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Autore: Jawn Dorian    08/10/2014    3 recensioni
Tenere due persone come Mary Watson e Sherlock Holmes assieme troppo a lungo scatena inevitabilmente dei piccoli divari quotidiani. Divari idioti.
John sa che sono inevitabili, perchè Sherlock è una persona decisamente poco ragionevole, e sua moglie, beh, sua moglie è incinta.
E non c’è niente di ragionevole in una donna incinta.
{ John, Mary e Sherlock aspettano la bimba.
Super mega ultra iper fluff e...esiste il genere "stupido oltre un inimmaginabile livello"? }
Genere: Demenziale, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Sherlock Holmes
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'La famiglia che ti scegli '
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Chi mi segue (nessuno) sa quanto adoro questi tre.
E sa che queste cosine che scrivo fanno parte di  una serie che probabilmente non finirà finchè la quarta stagione non mi renderà spiritualmente appagata. Quindi per favore beccatevi il Fluff in silenzio fino al 2016. E Moffat, Gatiss, se mi ammazzate Mary giuro che vi rigo la macchina.
Non so come ma lo faccio.
Buona lettura a chi ama le stronzate e i golden trio, come me.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Qualcosa è diverso
 
 

 
Qualcosa è diverso.
 
John avrebbe dovuto formulare quel pensiero molto tempo prima.
Davvero, avrebbe potuto farsi venire un dubbio simile mesi e mesi prima.
Perché diamine, Sherlock si era messo a scegliere il colore del vestito delle damigelle d’onore per il loro matrimonio assieme a Mary. Letteralmente assieme a Mary.
E porca miseria, come poteva non essersi reso conto che qualcosa era diverso mentre aveva assistito alle loro raccapriccianti conversazioni?
 
“Che ne dici del viola? Non è bello, il viola?”
“Non dire sciocchezze, Mary. E’ orribile. Ci vuole il glicine, o al massimo il lilla.”
 
E John – che non sapeva neanche esistesse un colore chiamato ‘glicine’– non l’aveva capito subito, che qualcosa era diverso. Come diavolo aveva fatto a non capire subito?
Ma perchè non parlare anche degli  altrettanto inquietanti comizi che quei due tenevano insieme su quanto fossero imbarazzanti tutte le sue ex fidanzate?
 
“Oh, oh, mi ha detto che tu hai conosciuto quella antipatica, mora…aspetta…come si chiamava? Ah, ecco, ora ricordo! Janette!”
“Chi?”
“Dai, Sherlock, quella odiosa!”
“Quella odiosa alta dieci centimetri più di lui o quella odiosa coi foruncoli?”
 
Ma John aveva pensato solo ad accumulare pazienza, in quei momenti, invece di osservare.
Avrebbe dovuto intuirlo dal primo momento, quando si era reso conto che Sherlock non spaventava Mary.
Che Sherlock non aveva in alcun modo fatto fuggire Mary con le sue deduzioni.
Che Mary non si era messa in alcun modo in competizione con Sherlock.
Che Mary e Sherlock, di tacito accordo, si dividevano la sua persona con uno straordinario equilibrio.
 
“Venerdì mattina vieni con noi e a scegliere il vestito, vero, Sherlock?”
“Perché, io che c’entro?”
“Come che c’entri, sei il testimone, dovrete vestirvi uguali!”
“Non se ne parla. Venerdì dobbiamo indagare sul caso del-“
“Perfetto, ci vediamo venerdì mattina.”
 
Va bene. Forse ‘tacito’ e ‘equilibrio’ non erano le parole giuste.
 
Ma il punto era che a Mary, Sherlock piaceva.
Che a Sherlock, Mary piaceva.
 
E invece John lo sente, sente che qualcosa è diverso, sente quel presentimento farsi strada solo nell’ultimo periodo, solo recentemente.
Più o meno da quando - non sa bene perché, non sa bene come - sua moglie ha deciso con tutta la calma paciosa del mondo di seguirlo a Baker Street e di appostarsi lì con loro.
Con lui e con Sherlock.
Di qualunque cosa si tratti.
Lui e Sherlock si vanno a prendere un caffè?
‘Come non esserci.’
Lui e  Sherlock indagano sul brutale triplice omicidio a Downing Street?
‘Una mano in più vi farà comodo.’
Le proteste ovviamente risultano più che inutili.
E nulla di tutto ciò riuscirebbe a stupire John Watson –  ormai così abituato alle cose assurde -  se si trattasse semplicemente di sua moglie incinta che piuttosto che rimanere a casa da sola decide di seguirlo nelle sue folli imprese. Ma non è solo quello, è dannatamente molto più strano.
Dannatamente diverso.
 
Perché Mary è incinta.
I suoi ormoni sono in ebollizione, il suo corpo non reagisce come lei si aspetta, e la sua frustrazione a volte è tale che ha bisogno di un supporto morale. Le viene fame quando non è il momento, diventa irritabile e litigano mentre Sherlock elucubra teorie, e si addormenta sulle poltrone.
E John ha vissuto troppo a lungo con Sherlock Holmes per non sapere che lui odia quel genere di cose.
Ma c’è qualcosa di così palesemente diverso.
Perché a Sherlock, Mary non da minimamente fastidio.
Qualcosa non va.
Qualcosa è così diverso.


 
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“JOHN!”
 
Quando quell’urlo disperato lacera l’aria, John è sotto con la signora Hudson, e Sherlock è di sopra con Mary stravaccata sul divano.
L’urlo è di Sherlock. Ed è buffo – si ritrova a pensare John, mentre sale le scale assalito dal panico - come in tutti quegli anni i ‘grazie’, e gli ‘aiuto’ di Sherlock si riassumessero quasi solo nel suo nome.
 
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“JOHN! JOOOHN! JOOOOOOHN!”
 
E’ successo qualcosa a Mary – ha tempo si pensare il medico mentre si catapulta all’interno del 221b.
Può tastare nell’aria il disastro imminente. Ormai John Watson ha i presagi, se lo sente.
 
“Cosa?! Che è successo?! Che c’è?!”
 
Oh, Dio, forse le acque si sono rotte!- e non sa perché, ma la sua mente allenata da medico comincia ad elencargli tutte le complicazioni di un parto, in una frazione di secondo: la placenta previa, un’anomala posizione fetale che può indurre a dover usare il cesareo, le possibili anomalie dei cromosomi, i difetti di nascita...
 
“Sherlock! Mary-“
Mary gli sorride tranquilla, guardandolo compiaciuta da sopra il divano.
Sherlock si è messo il cappotto e la sciarpa. Lo fissa di sbieco come una civetta, con aria torva ed impaziente. Gli porge il suo cappotto.
 
“Dobbiamo uscire. Mary ha voglia di brioches.”
 
In quel momento, John Watson non sa davvero contro chi urlare: se contro Sherlock o contro sua moglie.
Nel dubbio, accusa tutti e due di essere dei dannatissimi pazzi, afferra il cappotto come un forsennato, e esce sbattendo la porta.
 
 
 
 
 
 



 
 
 
 
 
 
“No, non vanno bene.”
 
John si chiede se i popoli del passato si siano sentiti come si sente lui ora, quando erano sotto dittatura.
E ha davvero una voglia pazzesca di fare presente a Sherlock che il dittatore in questo caso è lui, ma decide di lasciar perdere.
Ed è evidente che Sherlock ormai, tra le altre cose, ha imparato a leggere nel pensiero, perché subito lo ammonisce.
 
“John, io e te abbiamo risolto un’infinità di casi insieme. Bene o male abbiamo sempre avuto la meglio. Quindi ora pretendo da te la massima concentrazione, per questo caso.”
 
Chiude la scatola.
Come diavolo si sono ridotti a questo, si domanda.
Certamente sarebbe tutto molto più semplice se Sherlock la piantasse di dargli ordini, scendesse dal suo dannato piedistallo immaginario, e lo aiutasse.
 
“Sherlock, per l’amor del cielo. Sono le dieci di sera. Torniamocene a Baker Street.”
“John. Ti ripeto, mi aspetto che tu sia preciso.”
 
Lo fissa con sguardo glaciale.
Il medico alza gli occhi al cielo.
 
“Non penso faccia molta differenza. L’importante ora è tornare a casa.”
“Non discutere. Noi abbiamo un preciso compito, John. E deve essere portato a termine. Dovresti saperlo bene.”
 
John sbuffa, e torna da dove è venuto, per poi fare ritorno con un’altra scatola.
Ancora una volta, ne mostra il contenuto a Sherlock.
 
“Perfetto. Possiamo andare.”
Il consulente investigatore produce un sorrisetto soddisfatto e si incammina, mentre l’ex soldato lo segue.
 
“Spiegami ancora…” chiede poi, con aria scocciata “…perché le ciambelle non andavano bene?”
“Mary ha detto che aveva voglia di brioches, John, brioches. Non ciambelle.”
“E non era la stessa cosa? Un dolce vale l’altro.”
“Certo che non lo è. “
 
John sbuffa.
Sherlock ne sa davvero fin troppo di donne incinte, per non essere mai stato incinto.
 
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A John vibra il cellulare. Nel bel mezzo dell’orario di visite.
Più velocemente che può, tenta di fare mente locale su chi può aver deciso di mandargli un messaggio quando sa benissimo che è al lavoro. Forse Mary ha notizie sulla bimba.
Ma l’ecografia non era martedì?
Poi ci pensa meglio, e ricorda che lei è a Baker Street.
Oh.
Decide di rispondere.
 
 
John.    SH
 
 
Ci siamo. John fa un respiro profondo.
Non sa per quale preciso motivo sua moglie stia sempre ad aspettarlo al 221b.
Probabilmente perché con la bambina in arrivo, è comodo avere uno Sherlock pronto a chiamare un taxi , o una premurosa signora Hudson che le prepara qualcosa di caldo.
Sta di fatto, che tenere due persone come Mary Watson e Sherlock Holmes assieme troppo a lungo scatena inevitabilmente  dei piccoli divari quotidiani. Divari idioti.
John sa che sono inevitabili, perchè Sherlock è una persona decisamente poco ragionevole, e sua moglie, beh, sua moglie è incinta. E non c’è niente di ragionevole in una donna incinta.
 
 
Sherlock, sono in Ambulatorio. Che c’è?
 
Mi serve un consiglio.   SH
 
Un consiglio? A te serve un consiglio? Non cancellerò mai più questi messaggi.
 
 
Si trattiene a stento dal sorridere compiaciuto. Qualunque sia la motivazione idiota del giorno, ha spinto Sherlock Holmes a dire – scrivere - una simile frase. John ci pensa, e crede proprio che uscito dal lavoro andrà a comprare un paio di dolcetti per festeggiare. Userà la scusa di Mary incinta, ma in realtà saranno i suoi segretissimi festeggiamenti.
 
 
Sì, mi serve un consiglio. Piantala di farla tanto lunga, e ascoltami.  SH
 
Bene. Sentiamo.
 
E’ una cosa di una certa delicatezza, non sono sicuro che tu mi possa aiutare.   SH
 
Come sarebbe a dire? Perché diavolo mi hai contattato, allora?
 
Non innervosirti.  SH
 
Per l’amor del cielo!
 
Appunto.  SH
 
Mi dici che ti serve o no?
 
Secondo te, sono meglio gli orsi di peluche oppure le costruzioni?  SH
 
 
Marcie, l’infermiera di turno bussa alla porta. Un paziente in arrivo.
E John, che è sicuro di star diventando un imbecille di proporzioni elefantiache, le strilla “Un attimo!” in tono acido, come se fosse colpa sua.
E, sul serio, non può riuscire a credere di averlo fatto. Stringe i denti.
Dovrà chiederle scusa, una volta finito il turno.
Era convinto che la fase del do-corda-a-Sherlock-Holmes-nonostante-dica-idiozie fosse conclusa.
E…e…e dannazione a te, fottuto Sherlock Holmes!
Digita freneticamente, senza smettere di ringhiare.
 
 
Ti sei per caso rincretinito?
 
Mary sostiene che sia opportuno che la bambina riceva un orsacchiotto.
Io ritengo che delle costruzioni sarebbero di gran lunga più costruttive.   SH
 
Il mio migliore amico è un idiota e mia moglie lo segue a ruota. Grandioso.
 
Il sarcasmo non è gradito, John. E’ una questione seria.   SH
 
 
John ci pensa.
Pensa a come Sherlock abbia usato la parola ‘serio’ in circostanze molto diverse dal solito, nell’ultimo periodo. Procurarsi le coperte per Mary era una cosa seria. Pensare alla culla per la piccola era una cosa seria. Scegliere un passeggino adeguato era una cosa seria.
Il fottuto Sherlock Holmes sta per diventare zio Sherlock, vero?
Si ritrova a sorridere come non ha mai fatto in vita sua.
 
 
Compreremo entrambi. Ok?
 
Ok.   SH
 
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“Ho fame.”
 
Mary ha fame. Ultimamente ha sempre fame. La fame arriva, così, senza il minimo preavviso, e a getto continuo. Stamattina ha fatto colazione con un tè e dei toast, ma l’ora di pranzo è ormai vicina, e Mary ha fame. E non va bene. Se non mangia entro un quarto d’ora potrebbe rischiare di divorare – con la vestaglia e tutto il resto – Sherlock, che la guarda smarrito.
 
“Un attimo, un attimo…il caso, devo prima-“
 
Sherlock fa una piroetta nella sua montagna di appunti e scartoffie. Il caso dell’eredità dei signori Elliot non gli sta dando pace da tutta la giornata. John non c’è, e Mary è quasi sicura che è per questo che Sherlock non assembla subito i pezzi del puzzle.
 
“Non riesco…non collego…”
 
Farnetica, galoppa col pensiero più che può, ma niente da fare.
E lei ha fin troppa fame.
Si alza a fatica dalla poltrona, che ormai ha quasi assunto la sua forma, e dondolando un pochino raggiunge Sherlock di fronte al suo muro pieno zeppo di mappe, foto e indizi.
 
“Spostati.”
“Ma che-“
 
Mary fissa tutti i foglietti. Uno per un uno. Le sue pupille saettano, il suo sguardo è vispo e attento, e Sherlock la guarda come se stesse assistendo ad un miracolo. Ed è buffo, considerando che Sherlock Holmes non ha mai creduto nei miracoli.
 
“Credo che c’entri qualcosa la nipote, Dorothy Elliot.”
 
Sherlock spalanca la bocca. Tutti i pezzi nella sua mente prendono posto, si assemblano da soli, il movente, l’arma, il perché la vittima avesse bruciato il testamento due ore prima di morire.  Mary ha tirato fuori una scintilla, e lui riesce a trasformarla in fiamma. Le sue mani vagano alla ricerca del cellulare nella tasca della vestaglia. In un attimo il messaggio a Lestrade è stato inviato e recita solo ‘Dorothy Elliot –SH’, ma ovviamente Greg capirà.
Mary sorride radiosa, mentre Sherlock la guarda ancora allibito, aspettandosi un’osservazione o un commento qualunque sul caso.
 
“Ho voglia di salmone affumicato” è tutto ciò che ottiene.
 
Ex agente segreto o no – pensa Sherlock mentre le sistema la sciarpa in un vago gesto di tenerezza – rimane pur sempre Mary Watson incinta ed affamata.
 
 
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John non è un padre. Non ancora. Manca poco, sì, ma non ancora.
Eppure in lui c’è qualcosa di infinitamente paterno, al momento.
Passeggia con le mani dietro la schiena, di fronte al divano sopra cui stanno sua moglie e il suo migliore amico, che lo seguono con lo sguardo.
La prima con finta aria innocente, il secondo non si sforza nemmeno di alzare un sopracciglio.
 
“Io non sono arrabbiato” Inizia John – e quando avrà finito con quella paternale così ridicola, Sherlock lo prenderà in giro, oh se lo prenderà in giro – “sono solo molto deluso dal vostro comportamento.”
 
Mary schiocca la lingua, roteando gli occhi. Sherlock fa la stessa identica cosa.
Lo fanno così perfettamente all’unisono che John ne è quasi infastidito.
 
“Tesoro, non credi di star un pochino esagerando? Non siamo stati noi.”
“Ammettilo, John. Ti diverti a fare il drammatico.”
 
John non risponde. Riporta le mani dietro la schiena e li fissa trucemente, ora con il suo miglior sguardo militare.  Mary alza le sopracciglia. Sherlock, finalmente, abbassa lo sguardo come un bambino in punizione.
Reazioni diverse - pensa John soddisfatto – stanno per cedere.
 
“E’ stata un’idea di Mary!” sbotta Sherlock alla fine.
“Spia, spione!” gli dice Mary, corrucciata.
Cos’è una bambina in arrivo quando hai una moglie e un migliore amico così?
 
“Fate silenzio!” ordina John “Non voglio sentire una sola parola da nessuno dei due! Siete entrambi in punizione! Mary, niente dolci per te, stasera! E tu, Sherlock, mi aiuterai a sigillare tutti gli inviti per il battesimo!”
 
“MA JOHN!”
Lo gridano così forte e all’unisono da farlo quasi intenerire.
 
“Ci stavamo annoiando!” proclama Mary, con tutto il candore di cui è disposta.
“Non risolvo un caso da ben tre giorni!” le da man forte Sherlock.
 
John sospira.
 
“Avete aperto il Piccolo Chimico per la bambina. Non c’era proprio nient’altro da fare?”
 
 
 
 
 



 
 
 
 
 
 
La signora Hudson è preoccupata: fino a un’ora prima, nell’appartamento di Sherlock c’era un gran trambusto. Non aveva capito molto bene, ma da quel poco che era riuscita ad origliare, aveva dedotto che John aveva urtato un provetta e l’aveva rotta, Mary aveva fame e si lamentava e Sherlock era infinitamente irritato. Ora tutto sembra essere sprofondato nella quiete più assoluta, e la cosa è decisamente preoccupante. Oh, questi benedetti ragazzi – si ritrova a pensare, addolorata.
La padrona di casa inizialmente tentenna un po’, ma poi si arma di santa pazienza, e comincia a salire le scale del 221b. Scosta l’uscio cigolante con una certa cautela, ed entra in punta di piedi.
 
“Cucù…Sherlock? John? Mary?”
 
Nessuno risponde. E Martha comincia a prendere in considerazione l’idea che siano usciti senza salutarla. Poi nota il camino ancora acceso.
 
“Oh, ragazzi miei…”
 
Li trova addormentati sul divano, tutti e tre.
Sherlock è in mezzo, il viso all’indietro, le labbra chiuse in una specie di sorriso.
Mary e John sono rispettivamente appoggiati sulla sua spalla sinistra e su quella destra.
Mary, con una mano, si tiene il pancione.
John, con una mano, afferra un lembo della camicia di Sherlock. Come a non volerlo far fuggire mai più. Neanche nel sonno.
 
La signora Hudson sorride spesso, ma certamente non in quel modo raro e luminoso.
Prende la coperta a scacchi rossi e blu dalla poltrona di Sherlock - quella in cui Mary si raggomitola ogni volta -  e la sistema in modo da coprirli tutti e tre.
 
“E’ tutto diverso, eh?” dice.
E non ha mai detto niente di più sensato in vita sua.
 
Perché John si sbagliava.
 
Non ‘qualcosa’.
Tutto.
 
E’ tutto diverso.

 
 
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