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Autore: Keiko    08/10/2014    3 recensioni
Soledad è terra in cui immergerti sino alle cosce, è pelle scottata dal sole e riccioli biondi. È terra di tutti, proprietà di nessuno. Si lascia andare alle risate, agli uomini, senza pudori. È bella di una bellezza grezza, semplice, che ti colpisce con uno sguardo profondo, vispo e attento.
Marin non è come Soledad.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Capricorn Shura, Eagle Marin
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Triangolo
- Questa storia fa parte della serie 'La rabbia delle stelle'
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A Francine.
A Françoise.

Tornare da dove è venuto, al luogo che più gli è vicino all'anima, per Shura è stata una scelta obbligata. Sono grandi proprietari terrieri a Castiglia y Leon, coltivano uva e olive. Non ha mai mangiato un olio così buono nemmeno ad Atene, lasciato a imbibire pane caldo appena sfornato. Si ciberebbe solo di quello, la sera, ammazzato dalla fatica e troppo stanco per ricordare. Quanto meno, è un illusorio ritorno agli anni degli allenamenti in Spagna. È questo il pretesto con cui è ritornato nella patria che più di tutte ha il sapore di casa. Soledad è un sorriso che si apre su un viso rotondo coronato da lunghi boccoli color miele, onde di luce che imbrigliano i raggi del sole. È stata lei ad accoglierlo alla fattoria, i polsini della camicia risvoltati sopra i gomiti e guance arrossate dal calore.
“Avete bisogno di un garzone?” le ha chiesto con uno spiccato accento basco.
“Se hai voglia di lavorare posso offrirti un tetto e pasti assicurati. Quest’estate ci sta mettendo in ginocchio: non posso pagarti a cottimo.”
“Va bene.”
“Come?” gli ha chiesto lei sorpresa, incredula. Nessuno è disposto a lavorare quasi per nulla.
“Va bene, accetto” le ha confermato con decisione.
Gli ha sorriso e gli ha fatto cenno di seguirlo dentro l’edificio principale, mura spesse e un gatto acciambellato nella penombra che gli ha lanciato un’occhiata fiacca e stanca, annoiata, ed è tornato poi a riposare. Doveva solo sporcarsi le mani, tornare alla terra che gli ha offerto asilo e ricordare come si usa Excalibur. Il suo maestro, tempo addietro, gli ha detto che può accadere, se la lama sacra è usata per offendere Athena anziché glorificarne il nome, che spenga la propria forza offensiva. Potrebbe persino non avere più la capacità per richiamarla e quel monito è una costante che non cede il passo con facilità ad altre ipotesi, e il Capricorno è stato costretto a mettersi in discussione: se avessi sbagliato?
Gli sembra, ogni volta che si pone questa domanda, che ci sia un errore dietro l'angolo ad attenderlo. L'ultimo, in ordine temporale, si chiama Soledad, ed è addormentata accanto a lui.
Nel suo letto.
Soledad è sanguigna, è piena come terra che si sfalda tra le dita, morbida come le zolle che spacca dall'alba al tramonto, senza sosta. Mugugna qualcosa quando muovendosi la sveglia e lei si solleva sui gomiti, posandogli un bacio sul collo.
“Lei com'è?”
È attenta alle parole e al loro significato perché non è brava con i sottintesi. Con uno come lui, taciturno e sempre schivo, è necessario utilizzare solo le migliori per non dargli possibilità di fuga.
“Lei chi?”
“Quella che cerchi di dimenticare.”
Lui non risponde e lei prosegue, i seni nudi che fanno capolino tra le lenzuola sgualcite.
“A me sta bene. Non sono gelosa. Se mio padre dovesse scoprirci, però, ci ammazzerebbe. Aspiro a qualcosa di meglio di un garzone.”
“Allora perché lo fai?”
“Perché sei bello. E io voglio toccare ogni cosa bella. Voglio che possa essere mia, anche se per poco soltanto.”
“Dovresti trovare una persona che ti possa amare. Una migliore di me.”
“Qui tutti si concedono più di una notte. È scaldare d'amore un letto in compagnia. Non è un contratto di matrimonio.”
“Dalle mie parti non è così.”
“Allora perché l'hai lasciata?”
Shura resta in silenzio, poi si solleva dal letto e si allontana da lei, rivestendosi in fretta.
L'alba è alle porte e deve svignarsela prima che il sole sorga, svegliando l’intera fattoria.
Nella penombra di bracieri e lumi e stelle, la notte gli è sempre stata amica e confidente.
Soledad non è come Marin.
Soledad è terra in cui immergerti sino alle cosce, è pelle scottata dal sole e riccioli biondi. È terra di tutti, proprietà di nessuno. Si lascia andare alle risate, agli uomini, senza pudori. È bella di una bellezza grezza, semplice, che ti colpisce con uno sguardo profondo, vispo e attento.
Marin non è come Soledad.
L'ha scelta prima come compagna, poi come depositaria di un segreto troppo grande. L'Aquila non l'ha mai tradito, questo lo sa. Ha comprato il suo silenzio con un pegno d'amore che ora è inesistente, ma nonostante questo non ha infranto il giuramento. L'ha lasciata ad Aiolia certo che avrebbe raccolto i cocci che si era lasciato alle spalle con un addio da codardo, senza dare il tempo o la possibilità ad alcuno di fermarlo. Di chiedere spiegazioni di un abbandono da traditore. Aiolia è buono nonostante non accetti mai di mostrare il fianco, rendendosi duro, un combattente anche nel quotidiano di una vita adagiata ai piedi di un tempio addormentato. È fatto della stessa sostanza degli eroi, di Aiolos, agghindato di una luce uniforme che non conosce zone d’ombra. Forse un giorno Aiolia e Marin sapranno innamorarsi e potrà laversi la coscienza ancora una volta. A quel pensiero si rabbuia, perché la verità è che cedere Marin a qualcun altro gli costa persino più di abbandonare il Gold Cloth. Per Marin, con ogni probabilità, avrebbe rinunciato a qualsiasi cosa. E, in un certo senso, l’ha fatto. Per evitarle altro dolore, altro silenzio, altri sensi di colpa nei confronti di Aiolia e di chiunque calpestasse il suolo sacro di Atene.
Esisterà mai un'azione che riuscirà a rendergli onore per ciò che è davvero?
Sa di non essere solo sotterfugi e tradimenti, eppure ora è solo quello: qualcosa di sbagliato e un Saint a metà. Lui e Marin si sono scelti un giorno di maggio, chiusi in preghiera in una chiesetta arroccata su una roccia rossa che si tuffa dritta sull'Egeo. È una costruzione spoglia, costruita da pescatori che le affidano preghiere e omelie. Per avere un mare mite, un mare amico, una pesca abbondante. Pregano un dio volubile come Nettuno, piuttosto che la Vergine, ma non sanno chi riceverà le loro richieste esaudendole. Marin quel giorno se ne stava lì, raccolta in preghiera. Non le ha chiesto nulla, si sono guardati e poi hanno continuato a pregare, in silenzio. Shura ha atteso qualcuno per la confessione, poi è uscito senza attendere oltre dopo aver fissato un crocefisso muto, che non ha saputo dargli risposte né, tantomeno, conforto.
“Aspettavi qualcuno?” gli ha chiesto lei senza dargli il tempo di varcare la soglia dell’edificio.
“Il curato.”
“Non viene mai quassù. È un luogo di preghiera popolare, le messe e le funzioni vengono gestite giù in città, ad Atene.”
“Perché vieni qui?”
“Qui parlo direttamente con Lui. Potresti farlo anche tu.”
“Non credo ascolti.”
Non credo in Dio, avrebbe voluto risponderle, ma la verità è che non sapeva nemmeno lui a cosa credere, in quel momento. Gli sarebbe bastato un segno soltanto, da parte di chiunque, per sentirsi nel giusto. Nel rosso sanguigno di quel tramonto è stata lei a restare senza che le chiedesse nulla. Ha raccolto le sue suppliche senza avere la crudeltà di umiliarlo facendo domande. Non ha aggiunto altro, si è messa al suo fianco e non se n’è più andata.
Nel meriggio di agosto, Shura osserva il cielo terso di Castiglia y Leon: è certo che a Marin piacerebbe quel paesino dalle strade tortuose un po’ tutte uguali, le costruzioni in mattoni e il sole a picco che scotta la pelle. Vorrebbe anche chiederle di perdonarlo, perché cercare di dimenticarla è impossibile. Nel letto di Soledad, però, si sente vivo. Tra le cosce di un’altra, nella vita di chi – come lei – non fa domande, se non per stuzzicarlo. A Soledad piace prenderlo in giro, umiliarlo un poco ricordandogli che è solo un fattore di poco conto. Come lui, ne passano tanti in quella stanza. Il numero si è perso ed è Shura a non fare domande, questa volta. Ci sono donne che giurano fedeltà a un unico uomo, donne come Soledad che lo giurano all’amore. C’è differenza dall’amare e dall’essere innamorate dell’amore. Gliel’ha detto una volta Aphrodite, quando ha scoperto che l’Aquila era la presenza che infestava le notti della Decima Casa.
“Finirai nei guai. Non domerai una donna come Marin.”
“Non voglio farlo.”
“Dunque ti lascerai domare tu?”
Shura non gli ha risposto, perché la verità era molto più semplice: si era lasciato addomesticare. È la facilità con cui qualcuno ti entra dentro, in punta di piedi, per non fare rumore. Per non disturbarti, perché la vita è già di per sé troppo rumorosa per permetterti di essere sereno. Sono le donne così, che ti attendono senza che tu chieda loro nulla, a fregarti.
A diventare indispensabili, uniche.
Vitali, soprattutto. Marin è stata quel qualcosa che l’ha riportato alla vita, che gli ha fatto dimenticare di avere ucciso Aiolos. Se n’è ricordato una notte di plenilunio, all’improvviso, come se fosse stato colto da un brutto sogno.
“Ti senti bene?” gli ha chiesto accovacciandosi accanto a lui per ricordargli che non l’avrebbe lasciato, che anche in quel caso sarebbe rimasta al suo fianco. Qualsiasi demone l’avesse strappato al sonno.
“Ci sono cose di me che non conosci e che ti farebbero cambiare idea sul mio conto.”
“Tutti abbiamo dei segreti.”
“Il tuo quale sarebbe, Aquila?”
Marin detestava essere chiamata con quell’appellativo che rimarcava distacco, il parlare dalla posizione superiore di Gold Saint a un Silver Saint.
“Cosa ti succede, ora?” gli ha chiesto lei, tagliente, ferita.
“Ho ucciso un uomo.”
“Sei un Saint. Il Tempio ci chiede di andare in missione per il volere di Athena e…”
“Ho ucciso un amico. Ho ucciso Aiolos.”
Silenzio.
L'Aquila sceglie un unico compagno per tutta la vita e Marin non ha fatto eccezione.

   
 
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