Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: Scarlett_Brooks_39    09/10/2014    2 recensioni
Rebecca è una ragazza di sedici anni come tante: bella, popolare, brillante, attorniata da amiche e da ragazzi. Un giorno però vedrà spuntare un paio di ali in mezzo alle sue scapole e quello sarà l'inizio di un'avventura unica, in cui molte persone a lei care verranno messe in pericolo. Tra i demoni che dovrà fronteggiare ci sarà anche Iader, magnetico angelo nero a fianco di Lucifero. Nascerà tra i due una storia d'amore o si odieranno per sempre?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3
Origini.


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Era il loro secondo giorno di scuola e Tristan e Rebekah stavano percorrendo la strada per arrivarci.
Le cose tra loro dalla notte precedente stavano andando sempre meglio. Avevano passato tanto tempo a guardare le stelle e la mattina, appena usciti dalle loro camere, Tristan l'aveva abbracciata, baciandola dolcemente.
"Bonjour, mon cherie."
Le aveva sussurrato lui, in un francese perfetto. Lei era arrossita e si era messa a ridere.
Stavano camminando mano nella mano, stando attenti agli sguardi della gente: erano pur sempre cugini. Falsi, ma cugini.
Ogni tanto, quando non c'erano molte persone intorno a loro, Tristan la trascinava verso un muro e la baciava. Era pazzo, aveva bramato talmente tanto quel sentimento, l'amore, che adesso non riusciva più a fermarsi.
"Basta, adesso siamo vicini a scuola! Se ci vede qualcuno..."
"...Gli diremo che siamo una famiglia strana e che a Parigi si fa così."
Aveva suggerito lui, dandole piccoli baci sul collo.
"Tristan, dai!"
Aveva scherzato Rebekah, spingendolo via da se'.
"Va bene, va bene."
"Continueremo stasera."
Le aveva sussurrato lei nell'orecchio, con aria maliziosa, e subito dopo era scappata dalle sue amiche, lasciandolo sempre più colpito. Lei era così... travolgente, bella, brillante... Tristan non riusciva a resisterle, anche se sapeva che avrebbe dovuto.

Il pomeriggio Tristan si presentò alle selezioni per la squadra di baseball, come gli aveva detto Tim, l'amico di Adam. C'era anche lui, che non smetteva di guardare Rebekah, seduta sugli spalti insieme alle sue amiche.
Sembrava così radiosa quel giorno... più degli altri e Adam era sempre più preoccupato.

Rebekah guardava solo Tristan e pensava a quanto gli stesse bene quella divisa da baseball della scuola. Lui le sorrideva e nessuno sembrava accorgersi dei loro sguardi così eloquenti.
Le sue amiche parlavano tanto di lui.
"Cavolo Beck, com'è bello! Ha un viso stupendo!"
Madison, la meno aggraziata di tutte, esclamò:" Ragazze, se non fossi già fidanzata..."
"Maddi, é pur sempre mio cugino!"
"E quindi? Vuoi tenertelo stretto stretto senza condividere? Che egoista!"
Rebekah aveva appallottolato la sua giacca e gliel'aveva tirata addosso, tra le risate delle altre. Proprio in quel momento si era voltata ed aveva notato che anche Adam la stava guardando col suo solito sguardo perso. Era così distratto che non si spostò di un centimetro per evitare la palla che l'allenatore Evans gli aveva appena tirato, esclamando:
"Jordan, sei tra noi?! Sveglia!"
Gli altri si erano messi a ridere, tranne Tristan, che gli aveva dato una pacca sulla spalla.
"Tutto bene? Lascialo perdere, adesso gli facciamo vedere noi."
Adam si era sentito confortato, senza notare l'occhiata eloquente che Rebekah aveva lanciato a Tristan e alla quale lui aveva risposto con un sorriso sghembo.
Eve però se n'era accorta, ed aveva capito tutto.
"Ommioddio!"- Aveva sussurrato tutto d'un fiato - "Non dirmi che..."
Rebekah si sentì avvampare, ringraziandola per non aver alzato troppo la voce.
"Sh!"
"Non lo dirò a nessuno, ma ti sei presa una cotta per lui?!"
Fu l'espressione a parlare per lei. Eve capì al volo e l'abbracciò. Un po' le stava iniziando a piacere Tristan, ma non avrebbe mai messo i bastoni fra le ruote alla sua migliore amica. 
Si raccontarono tutto, per filo e per segno e Rebekah rivide se stessa due anni prima, immaginando di avere davanti Rachel, la sua ex migliore amica.
Proprio in quel momento Rachel passò davanti a loro a testa alta, con la sua nuova 'corte', come la chiamavano le amiche di Rebekah. Era come se volesse sempre essere migliore di lei, in tutto. Ora stava cercando di imitarla, creandosi una certa popolarità con i ragazzi e mettendosi sempre in mostra. Rebekah non era così, era semplice e non voleva competizione. Salì sugli spalti con la sua andatura pavoneggiante e superiore e si mise a sedere alla loro sinistra. Si tirò su gli occhiali da sole di Dior, prendendo un cannocchiale in mano. 
Che voleva fare?
Rebekah e le sue amiche la guardavano con un'espressione a metà fra il disgusto e la pena. Le sue nuove amiche, quattro cornacchie prese dai quartieri bassi che giocavano a fare le principesse, gracchiarono qualcosa del tipo:"Ma chi è quel ragazzo? Rachel, che me dici?" - e lei rispose, con quella sua solita aria da superiore:"Credo di averlo già conquistato. Verrò alla festa di benvenuto con lui."
Certo, come no. Lui ti sputerà in faccia, pensò Rebekah. Era gelosa, ma anche soddisfatta, visto che aveva già vinto in partenza. Tra lei e Tristan c'era un rapporto unico, che si stava via via rafforzando. Qualcosa che andava ben oltre una semplice cotta da sedicenne. Non entrava neanche in competizione con lei. 
Così soffocò una risata e Rachel la sentì. Si voltò verso di lei, abbassando gli occhiali da sole sul naso.
"Qualche problema, cara? Invidiosa?"
"Oh no, tutt'altro."
"Tuo cugino è davvero carino, chissà, magari lo terrò in considerazione, che ne dici?"
"Certo, come se lui avesse intenzione di aver a che fare con te."
La sua espressione era di fuoco, Rebekah la conosceva e sapeva dove colpire per farle male. Non le piaceva fare così, ma se lo meritava.
"Beh, staremo a vedere. Oh, guarda, è finito l'allenamento. Vado a sentire se ha voglia di acqua fresca."
Eve guardò Rebekah, pregandola di non fare quello che stava per fare, ma ormai lei era già troppo decisa e le corse dietro.
Quasi le inciampò addosso, perché Rachel si fermò di colpo a parlare con Tristan.
"Tristan! Ciao, mi chiamo Rachel. Sei stato bravissimo. Hai sete?"
"Sì, grazie..."
Gli porse una bottiglietta d'acqua, ma quando lui stava per prenderla, la svitò e se ne versò un po' sulla testa, con un'espressione maliziosa in volto.
"Scusa, fa un caldo..."
Rebekah, che osservava la scena da dietro la spalla di Rachel, soffocò un conato di vomito, incrociando le braccia ed alzando gli occhi al cielo. Decise che era arrivato il momento di fare qualcosa. La spintonò di lato facendole quasi perdere l'equilibrio.
"No, non ha sete. Dobbiamo andare, vero Tristan?"
"Beh, sì, noi dovremmo..."
"Non dovremmo, dobbiamo! Su, forza."
"Va bene! Ciao Rachel, piacere di averti conosciuto."
"Tristan, un'ultima cosa: domani c'è la festa di benvenuto, speravo di poterci andare insieme, se ti va."
Il ragazzo non sapeva che fare: da una parte c'era Rachel e dall'altra Rebekah. Non voleva ferire nessuna delle due, ma come poteva? Alla fine decise di seguire la testa e non il cuore.
"Ma certo. A domani."
Rachel sorrise soddisfatta, mentre Rebekah rimase a bocca aperta, si voltò e continuò a camminare.
Arrivati lontano dalla scuola, Tristan prese Rebekah per un braccio, supplicandola di ascoltarlo, ma lei non voleva sentire ragioni.
"L'ho fatto solo per mantenere una copertura! Se non m'inserisco bene qualcuno potrebbe iniziare a destare sospetti e devo seguire la mia missione, ciò per cui sono qui."
"Quindi ieri sera non ha significato niente per te, giusto?"
"Ma come puoi pensarlo? Sono stato sincero con te, ma devo seguire prima di tutto i miei doveri, ed il mio dovere dice di farmi una copertura, di sconfiggere i Bui e di tornare al mio posto! Non ho tempo per l'amore."
No, l'ultima frase non voleva dirla. Accidenti...
"No, aspetta..."
"Neanche io. Ho cose molto più importanti da fare, invece di occuparmi di te."
"Non hai capito..."
"Ho capito, Tristan. Ora l'unica cosa che voglio è trovare mia nonna, perciò, anche se l'idea non mi piace, devo collaborare con te. Dobbiamo avere risposte, e mia nonna le ha. Quindi muoviamoci."
Rebekah non voleva piangere, ma le ultime parole di Tristan l'avevano davvero ferita. 

"Sei sicuro che è il posto giusto?"
Rebekah e Tristan erano arrivati davanti alla casa di cura dove doveva essere ricoverata sua nonna. Non si erano parlati per tutto il viaggio. Tristan avrebbe voluto dirle tante cose, ma ogni volta che provava ad aprire bocca usciva a malapena un rantolio, che poi tornava indietro. Aveva sempre detto cosa era giusto e sbagliato, eppure ora non ci riusciva. Un Cherubino doveva sempre dire la verità, fare quello che era giusto, non innamorarsi mai. Ecco perché sospettava che stesse diventando sempre più umano che angelo. Metatron gli aveva detto una cosa prima di affidargli la missione, gli aveva detto esattamente:
< Non innamorarti mai, qualunque cosa succeda. L'amore è un sentimento che ci trasforma in deboli ed in questa guerra contro il male noi non possiamo essere deboli >.
Eppure Tristan aveva disobbedito, e questa era una cosa che non aveva mai fatto. Non era la sua prima missione, era già stato sulla Terra a studiare ed osservare gli esseri umani. 
Lui li ammirava, avrebbe dato di tutto per essere come loro. Poter amare, poter odiare, poter sbagliare. Poter stare con chi si desidera. Eppure non poteva, perché la sua missione era una, e doveva portarla al termine con successo, come era sempre stato. 
Eppure mentre guardava Rebekah, la sua espressione seria, delusa, ferita e quegli occhi così grandi e profondi fin troppo sinceri, gli veniva voglia di mandare tutto a monte, prenderla per mano e baciarla, anche se lei l'avrebbe respinto. Perché lui l'amava davvero, anche se Rebekah non ne era per niente sicura. 
"Sì."
Entrarono nell'edificio, e si trovarono davanti una sala piena di poltrone e divani, come un hotel, dove teneri vecchini e vecchine passavano il tempo, chi giocando a carte, chi passeggiando col sostegno di un deambulatore, chi leggendo.
Rebekah era ansiosa. Come sarebbe stata sua nonna? Con i capelli bianchi? Mossi? Lisci? Con gli occhi azzurri come i suoi? Col viso dolce e rugoso, di chi porta il peso degli anni e della vita sulle spalle? Era troppo piccola quando sua madre le disse che era morta, perciò non poteva ricordarsela. Tristan si accorse della sua tensione, continuava ad intrecciarsi le dita nervosamente. Le prese la mano e lei lo guardò in cerca di comprensione, di sicurezza. Non le importava di Rachel, le importava di averlo sempre vicino, perché in qualche strano modo riusciva ad infonderle un sentimento sconosciuto, che la faceva andare avanti anche quando la situazione non era facile. 
"Mi scusi, stiamo cercando Rosalie Fisher. Sa indicarci dove possiamo trovarla?"
"E voi siete?"
"Sono sua nipote."
Rispose prontamente Rebekah, che moriva dalla voglia di pronunciare quelle parole. L'infermiera le rivolse un sorriso gentile, che però secondo Rebekah nascondeva qualcosa di losco. Aveva imparato ad essere sempre diffidente nei confronti delle persone, a non fidarsi mai di nessuno. E forse questo aspetto del suo carattere era sbagliato, o forse era l'unica risorsa che aveva per salvarsi davvero la vita e l'anima. 
"Seguitemi."
L'infermiera dai capelli rossi iniziò a salire le scale ed i ragazzi la seguirono. Al piano superiore c'era una sala totalmente identica alla precedente. Entrarono nell'ascensore ed attesero, con le loro spalle che si sfioravano, con l'ansia che sempre più attanagliava lo stomaco di Rebekah. Giunti al quinto piano, l'infermiera strofinò un'apposita carta in un lettore di codici a barre ed una porta di metallo si aprì, scorrendo di lato. Perché tutta questa strada? Perché tutte queste precauzioni? Era forse una matta, pericolosa donna? E lei era stata un'imprudente, una sciocca? Sperava davvero di no. Da quanto ricordava, ovvero solo pochi frammenti di momenti sfocati, sua nonna l'aveva sempre trattata con premura e dolcezza. Era forse cambiata?
"Ecco, questa è la sua stanza."
L'infermiera aprì la porta e Rebekah deglutì. Guardò Tristan e fece cenno di sì con la testa. 
"Rosalie, ci sono visite!"
La stanza di sua nonna era gigantesca: era inondata da tantissima luce che dava sull'arancione, dato il tramonto. C'erano forse un centinaio di piante, tutte di tipi diversi. In fondo, seduta su una sedia di paglia intrecciata, appoggiata allo schienale, c'era una signora dai capelli lisci e corti, che guardava fissa davanti a se'. L'infermiera era andata via, lasciandoli soli. Tristan aveva fatto cenno alla ragazza di andare avanti. Lei non sapeva che fare, provava un po' d'imbarazzo. Cosa poteva dirle? 'Ciao, ti ricordi di me? Sono tua nipote.' Ma più lo ripeteva, più si sentiva stupida.
Si mise a sedere nella sedia vuota accanto a quella di sua nonna e sussurrò semplicemente: "Ciao, nonna."
La vecchina si voltò e la guardò. Il suo viso s'illuminò, l'aveva riconosciuta. 
"Oh, piccina mia!"
L'avvolse in un abbraccio, in cui Rebekah assaporò ogni sfumatura e variazione di profumo e sensazione. Era passato così tanto tempo dall'ultima volta in cui l'aveva vista e voleva che questo fosse il ricordo più bello che avrebbe avuto di sua nonna, per sempre."
"Pensavo di non poterti più vedere."
Tristan era rimasto in disparte e durante l'abbraccio le aveva lasciate da sole.
Si raccontarono di tutto ciò che era successo, di sua madre, del paradiso.
"È bello, vero? Ricordo perfettamente la prima volta in cui lo visitai: ne rimasi totalmente affascinata. Ma il fascino ha sempre un prezzo, ed io lo so bene. Ero solo una ragazza quando scoprii di essere un Angelo Terreno, avevo sedici anni. Affidarono anche a me un Custode, era un Cherubino, si chiamava Cedric. Inutile nascondere che me ne innamorai subito. Ma fu il mio più grande errore, perché quando tutto ebbe fine, lui tornò in Paradiso, al suo posto, ed io rimasi sulla Terra. Questo amore è impossibile, Rebekah. Ho visto come vi siete guardati, ho capito cosa c'è fra voi."
"Nonna, non preoccuparti, metterò fine a questo sentimento, ho un compito e devo rispettarlo."
"Tesoro, credi che io non ci abbia provato? È impossibile mettere da parte l'amore."
"E allora cosa posso fare? Io... io credo davvero di provare qualcosa di forte per lui."
"Non ci sono rimedi, ormai. Ma dimmi, come procede la caccia ai Bui?"
"L'altro giorno, a scuola, un Buio si è impossessato del corpo di un mio professore e mi ha detto < Dammi quello che cerco > Cosa significa? Cosa ho io che vogliono?"
"Esattamente ciò che sto per darti."
Sbottonò un bottone della sua vestaglia e tirò fuori una collana con un ciondolo al centro. Era di un colore forte, celeste cangiante, come il cielo in una bella giornata di primavera. 
Qua dentro è contenuta l'Essenza Celestiale, la cosa che i Bui bramano di più. Questa rende immune Lucifero ed i suoi seguaci alla potenza della luce del paradiso, potendo quindi abbattere i cancelli e distruggendo il Paradiso. Senza questa, il suo piano malefico non può realizzarsi."
"Ma perché dobbiamo custodirla noi?"
"Vedi, tanti secoli fa, quando vennero creati il Paradiso e l'Inferno, il bene ed il male, venne creata anche l'Essenza Celestiale. Non può essere custodita dagli esseri superiori, perché non possono sfiorarla. Essendo stata creata da un umano, che in seguito divenne Angelo, può esser custodita solo da coloro che sono sia carne che pesce. A noi Angeli Terreni è affidato il compito di custodirlo e proteggerlo, da secoli."
"Nonna, so che il Gene si trasmette ogni due generazioni,Nico significa che anche mia sorella è un Angelo? Non vale la regola del primogenito?"
"Rebekah, vedi... tua sorella Kate non è un Angelo, perché non è veramente tua sorella."
"C- come?"
"È figlia di tuo padre, non di tua madre. Per questo non ha il nostro sangue nelle vene, per questo non può essere un Angelo Terreno."
"Ma non è possibile.... lei è mia sorella! No, non può essere vero..."
Rebekah si sentiva tradita dalle persone che più amava. Era sua sorella! Non poteva essere altrimenti. Perché le sembrava che tutto il mondo le stesse lentamente crollando addosso e lei non potesse fare niente? Perché era così difficile vivere? Voleva solo svegliarsi da questo brutto sogno. Ora. All'istante. Ci provò, ma non successe niente. Era solo la sporca realtà.
"Piccola, so che sei sconvolta, ma rimane pur sempre tua sorella. Tuo padre ha sbagliato, ma tua madre l'ha perdonato perché era innamorata di lui."
"Perché mamma non me l'ha mai detto?"
"Tua madre ti vuole tanto bene, forse troppo. Vuole proteggerti, sai che è molto apprensiva."
"Nonna, ho sedici anni! Com'é possibile che ancora lei non si fidi di me? Come può avermi nascosto una simile cosa?"
"Avrebbe voluto parlartene prima, ma non ce n'è stato il tempo."
"E di te, allora? Mi ha nascosto la tua esistenza. Mi ha fatto credere che fossi morta! Ogni sera nel mio letto pregavo per te, e sapevo che mi eri vicina. Mi sei mancata così tanto... e tutto questo per cosa? Perché ti tengono rinchiusa qui? Perché voleva proteggermi, ora che so che non sei pericolosa?"
"Rebekah, ci sono tante cose che non sai..."
"E allora, ti prego, ti scongiuro, spiegami! Non ce la faccio più a non sapere..."
"Sta' tranquilla piccola mia, ti spiegherò tutto. Sono rinchiusa qui perché così i Bui non possono catturarmi. Ormai sono vecchia, indifesa, i miei poteri sono svaniti assieme alle mie ali. Sono protetta da questa luce che tiene lontani gli spiriti maligni. Non nascondo di avere paura la notte, ma so che Dio mi protegge e gli Angeli lo aiutano. È di vitale importanza che tu stia molto attenta, ora. Odio accollarti un simile pericolo, ma purtroppo non mi rimane scelta. Tua madre ha sempre voluto proteggerti, ecco perché ti ha nascosto la mia esistenza, perché non ha mai voluto metterti in pericolo. Lei tiene davvero tanto a te, anche se non lo da' a vedere. Ed anch'io. Potrai sempre contare su di me."
Dopodiché si abbracciarono, e Rebekah provò del sollievo, e l'odio che iniziava a provare per sua madre iniziò a scemare pian piano. 
"Ma mi raccomando: non fidarti mai di nessuno. Se c'è una cosa che ho imparato, è che il male si annida ovunque. Ovunque. Non mostrare a nessuno l'Essenza Celestiale. Nessuno."
"Io...ci proverò, nonna. Ma come posso, da sola, riuscire a fare così tante cose? A farle bene, senza sbagliare?"
"Vedi, piccola mia, ti sei mai chiesta cosa può fare una goccia d'acqua, dopo tanto tempo, ad una roccia? Ti aspetteresti mai che una semplice goccia riesca a scavarla? A corroderla? Tu hai un grande destino di fronte a te, non devi aver timore."
Ed anche se in un certo senso ciò che aveva detto sua nonna aveva un filo logico, Rebekah non riusciva a credere che tutto quello stesse capitando esattamente a lei.

"Allora, com'è andata?" 
La voce di Tristan era un sussurro, come se avesse paura di dire qualcosa di sbagliato. Rebekah rimaneva immobile a guardare dritto davanti a se', un punto fisso perso nell'oscurità. In quella sera di settembre la brezza autunnale le pizzicava la pelle liscia, facendola diventare d'oca. Era tornata di fretta e furia a casa, non rispondendo alle domande di Tristan, dicendogli che era un momento delicato per lei. E lo era davvero.
Non aveva scambiato parola con sua madre, né tantomeno con suo padre. Doveva assimilare il fatto di essere figlia unica. Doveva capire perché mai questa vita le riservava tante sorprese.
"Rebekah...parlami." 
Tristan le sfiorò la guancia con la punta delle dita, facendole voltare il viso affusolato verso di lui. Così poteva guardarla negli occhi, cercare di carpire qualche sentimento da una qualche sfumatura. Ma i suoi rimanevano spenti, senza quella luce che prima li faceva brillare.
"So che sei sconvolta...ma non credo che tenerti tutto dentro sia il modo migliore. Rebekah, ti prego, parlami."
La sua voce era soave, calda, come a volerle dire che lui per lei c'era sempre.
"Mi sento tanto sola...abbandonata, non riuscirò mai a sconfiggere Lucifero, o i Bui, o a proteggere...."- l'Essenza Celestiale. Voleva dirlo, ma si era ricordata delle parole della nonna, e non era totalmente sicura che Tristan potesse capirla. Non si fidava, malgrado provasse un forte sentimento nei suoi confronti. Come aveva fatto lui, decise di seguire la testa e non il cuore. E la testa le diceva di tenere la bocca chiusa. - "...i miei amici. Le persone a cui voglio bene. Non ce la farò mai, Tristan!" 
"Rebekah...non puoi dire così..."
"Oh, sì che posso! A te di me non importa niente, ho scoperto di non avere più una sorella, non so chi sia mia madre, mio padre, non so se riuscirò a fare ciò che devo, io ormai....ormai non so più niente!"
"Non è vero che di te non mi importa niente."
Lui la fissò coi suoi occhi così celesti da ricordarle le distese infinite di nuvole del Paradiso.
"Ah, no? Dimmi che ti importa allora. Dimmi che faresti di tutto per me. Dimmi che mi ami, che nonostante tutto ciò che succederà tu rimarrai con me. Se davvero a me ci tieni, dimmi che avremo una famiglia, dei bambini, che vivremo felici, insieme. Dimmi che non tornerai in Paradiso e che rimarrai sulla Terra, con me."
Tristan rimase in silenzio, con gli occhi che fissavano davanti a se', mentre Rebekah si era alzata, facendo per andarsene. 
Al suo silenzio, lei capì che non c'era più speranza per loro, che Tristan non l'amava veramente. Ed era questa la cosa che le faceva più male, perché, seppure si conoscessero da molto, molto poco, pensava il loro amore andasse oltre un normale rapporto umano, perché entrambi erano in parte Angeli, e quando essi s'innamorano, nasce un rapporto unico tra loro, che non muore mai.
"Già, come pensavo."
Rebekah stava per andarsene, rientrare in camera ed andare a letto, senza versare lacrima, contemplando ciò che rimaneva della sua vita e dei suoi ricordi, di quando ancora era 'normale'. 
"Aspetta!"
E Tristan, come aveva già fatto, la prese di scatto fra le sue braccia, baciandola, come a lei piaceva tanto. Non poteva proprio lasciarla andare. Rebekah si ricordò della morbidezza delle labbra di Tristan, proprio come quando, al loro primo bacio, avevano lasciato sulla sua bocca un segno, un sigillo, che avrebbe ricordato per sempre. Aprirono gli occhi all'unisono e si guardarono. Era tanto mancato a Tristan come gli occhi profondi della ragazza lo scrutavano quando lui la baciava di scatto, senza un perché, solo per desiderio. 
"Io ti amo, Rebekah. Ti amo e ti voglio al mio fianco. Ti proteggerò fino alla morte e ti amerò per sempre, ma...devo seguire il mio destino. Per noi non c'è speranza, l'amore, per quanto meraviglioso, ci rende deboli e noi non possiamo essere deboli. Quando avrò finito la mia missione tornerò in Paradiso, non potrò impedirlo. I miei sentimenti per te sono puri, ma devo far sì che la missione si compia. Non posso oppormi...mi spiace."
Allora perché mi aveva baciata? Si chiese Rebekah. Perché, se tanto non può stare con me, continua a farmi del male? Ma Tristan lo faceva solo perché non sapeva resistere al suo profumo, ai suoi occhi, alle sue labbra. Invece avrebbe fatto meglio a contenersi, perché così stava solo peggiorando le cose. 
"Certo, lo capisco."
In realtà però non lo capiva. Non capiva perché l'amore dovesse essere così complicato, sempre. Bastava solo che lui volesse stare con lei, un modo alla fine l'avrebbero trovato. Ma forse lui non vuole veramente stare con me, pensò ancora lei. Allora inizierò anch'io a fare come lui.
"Scusa Tristan, devo andare ora. Buonanotte."
Senza dire più niente si scostò da lui, lasciandolo deluso e con la fronte corrugata. Sapeva di aver fatto uno sbaglio, ma si ripeteva che era la cosa giusta. 

E più tardi lei rimase accasciata al muro di camera sua, con la fronte che guardava in alto e scrutava le mille e nuove sfumature del soffitto, con le mani che trattenevano le gambe al petto, preoccupandosi del domani, di cosa sarebbe successo, di come sua sorella avrebbe reagito.
Lui fece lo stesso, chiedendosi ancora se un giorno ne sarebbe valsa la pena aver perso Rebekah. 
E fu come se quel muro non ci fosse, come se le loro teste si accarezzassero, le loro labbra si toccassero, i loro cuori battessero all'unisono, le loro mani si sfiorassero, e loro si innamorassero di nuovo l'uno dell'altra. 
Sarebbe stato bello, se quel muro non fosse mai esistito. 
  
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