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Autore: aduial    10/10/2014    1 recensioni
Una ragazza innamorata, un'altra invidiosa, un ragazzo che finalmente si decide ad aprire il suo cuore e un professore che si ritrova, suo malgrado, coinvolto. Una storia di cadute e umiliazioni, nella quale ognuno avrà la sua chance di ghermire il tanto agognato "lieto fine".
Storia partecipante al contest "Let's make some magic... together" indetto da Emily_Kingston sul forum di EFP.
Grazie alla mia super-compagna di scrittura Chibinekogirl, troverete la storia sul profilo di entrambe.
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Neville Paciock, Nuovo personaggio, Rose Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Nuova generazione
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Key for the right heart


 


Aduial – mini trama 1:




Il vento faceva ondeggiare lievemente le chiome degli alberi della Foresta Proibita. Il sole cominciava a levarsi da dietro le montagne, tingendo di riverberi dorati la superficie del lago Nero. La leggera brezza autunnale fece rabbrividire la bella ragazza, comodamente seduta sul parapetto della Torre di Astronomia, che ridacchiò, osservando la piovra gigante che si stiracchiava pigramente, come salutando il nuovo giorno.

Lo sguardo le scivolò inesorabilmente verso il basso. L’altezza non le aveva mai fatto paura, ma non poté negare di provare una fitta di eccitazione e adrenalina al pensiero del vuoto, che si estendeva per metri e metri sotto di lei. Sospirò. L’alba le era sempre sembrata il momento migliore per pensare, come se tutti i suoi problemi potessero sparire, annegando in quella luce soffusa, che trasmetteva calore anche in pieno inverno.

 

Si voltò, dando le spalle allo spettacolo meraviglioso del parco di Hogwarts che, dietro di lei, andava tingendosi di nuovi colori. Saltò giù dal parapetto, chinandosi a raccogliere un piccolo libro dalla copertina rossa chiuso da un lucchetto. Infilò le mani sotto la maglia, per prendere la piccola chiave appesa al collo. La serratura scattò, aprendo quel piccolo diario, che è lo scrigno dei suoi segreti più profondi.

 

Caro diario,

 

Si bloccò, la piuma restò sospesa a pochi centimetri dal foglio bianco del piccolo quaderno. Una goccia d’inchiostro cadde, rovinando la purezza della pagina intonsa. Pensierosa, fissò lo sguardo sulla piccola macchia, che, lentamente, si allargava. Sospirò, incapace di mettere per iscritto il tumulto di sentimenti e emozioni che le si agitava nel petto.

 

Oggi mi sono imbattuta in una frase che mi ha colpita, perché rappresenta tutto ciò che provo in questo momento.

“Ci sono abissi che l’amore non può superare, nonostante la forza delle sue ali.”

Mai ho trovato affermazione più vera. Da mesi ormai, scrivo che sono innamorata, ma che il mio è un amore impossibile, assolutamente irrealizzabile. Sai anche che non ho mai avuto il coraggio nemmeno di scrivere il suo nome. Tutto ciò è incredibile. La figlia di due grandi eroi della Guerra che non ha il coraggio di ammettere neppure a sé stessa di essersi innamorata della persona sbagliata. Lui è così… perfetto. Non c’è altro aggettivo che possa descriverlo. Ti potrei dire che è forte e al contempo gentile, determinato e dolcissimo, coraggioso e comprensivo, ma sarebbe comunque troppo riduttivo.

 

Posò la piuma accanto a sé, chiudendo gli occhi. La mente vagò, fino a quel giorno in cui tutto era iniziato. Ricordò le offese di quell’oca  della Brown, le insinuazioni sul fatto che tutta la sua popolarità, i suoi voti alti, fossero dovuti alla fama dei suoi genitori. Ricordò la sensazione che qualcosa dentro di lei si fosse spezzato, perché il timore di doversi confrontare con le loro imprese e la loro grandezza era da sempre la sua più grande paura. Le parole dell’altra avevano permeato le sue membra come un veleno, come una pianta maligna avevano germogliato dentro di lei. Aveva ribattuto con sicurezza, ma dentro di lei qualcosa si era danneggiato irrimediabilmente, perché, proprio quando pensava di aver superato questo suo timore, qualcuno era giunto a ricordarle ancora una volta che lei, in confronto a loro, non era nessuno.

Riaprì gli occhi, dai quali già cominciava a cadere qualche lacrima di perla. Con lo sguardo fisso di fronte a sé, mormorò: «Io non sono loro».

Era quello che lui le aveva consigliato di dire a persone del genere. Chi erano gli altri per giudicarla? Per affermare che lei non si meritasse quello che aveva? La loro era solo invidia, perché lei, con la sua bellezza, la sua intelligenza e le altre sue innumerevoli qualità, sfiorava la perfezione. difetti ne aveva, come tutti, del resto, ma venivano mascherati dai suoi pregi.

Si alzò e si sporse dal parapetto, urlando nel silenzio che la circondava: «Io non sono loro».

 

Si risedette,sorridendo e si lasciò scivolare lungo la pietra fredda.

 

Lui si merita che io scriva il suo nome qui, nel diario che custodisce i miei pensieri e i miei segreti. Si merita che io scriva il suo nome, perché resti un pensiero indelebile nei miei ricordi, anche se il mio amore è impossibile e non corrisposto.

Grazie, Neville Paciock.

Tua, Rose

 

Come svuotata di un fardello pesantissimo, la ragazza si alzò e si diresse verso il suo dormitorio. Senza far rumore, per non svegliare le compagne, entrò nella stanza e si avvicinò alla scrivania. Aprì un cassetto, infilando il diario al suo interno, in un doppiofondo di cui solo lei conosceva l’esistenza. Benedicendo ancora i trucchetti che il nonno babbano le aveva insegnato, tornò a letto e si tirò le coperte fin sopra la testa, addormentandosi, finalmente serena.

Talmente concentrata nel non fare rumore, non si era però accorta degli occhi maligni che avevano seguito ogni suo movimento.

 

 

Dopo qualche ora di riposo, Rose Weasley era perfettamente in forma e più radiosa che mai. Entrò in Sala Grande, seguita dai soliti sguardi sognanti e si avvicinò al tavolo di Corvonero, per depositare un bacio sulla guancia al suo migliore (e invidiato) amico, Samuel Corner.

«Buongiorno, Rose!»

«Buongiorno a te, Sam!» ricambiò la ragazza, scompigliandogli i capelli corvini. Poi si diresse al tavolo di Grifondoro, accomodandosi con i suoi compagni di casa.

Improvvisamente, il chiacchiericcio nella Sala si spense. Nel gelo che si era venuto a creare una ragazza oltrepassò il portone di quercia. Alta, formosa, con lunghi capelli biondi. La gonna della divisa che portava era stata accorciata ai limiti dell’osceno e dai bottoni aperti della camicetta si intravedeva il pizzo del reggiseno nero. Non era bella, ma bisogna ammettere che attirava l’attenzione.

Dal tavolo di Grifondoro cominciò a levarsi un coro di squittii.

«BB! Vieni qui, siediti accanto a me!»

«No, vieni vicino a me!»

«L’ho detto prima io!»

I maschi presenti in Sala si chinavano al passaggio della bionda, tentando di portare a termine l’impresa, non così difficile, di sbirciarle sotto la gonna. In  molti le facevano proposte oscene, ma lei non sembrava disgustata, al contrario, ne era quasi compiaciuta.

Rose si alzò, decisa a non continuare ad assistere a quello spettacolo penoso. Così facendo, però, la sua strada si incrociò con quella della nuova arrivata.

«Weasley.»

«Brown.»

«Te ne vai già?»

«Sì, non è mia intenzione vomitare la colazione prima del tempo» le rispose Rose, sprezzante, dirigendosi verso l’uscita.

«Weasley! – la richiamò la bionda – io starei in guardia, se fossi in te.»

Rose alzò le spalle con noncuranza, abbandonando la Sala Grande.

 

 

Beatrice Brown non era sempre stata così. Al primo anno era solo una ragazzina superficiale e anonima, figlia di una ragazza madre: Lavanda Brown. Poi aveva conosciuto Rose Weasley e tutto era cambiato. Aveva sviluppato il desiderio potente e viscerale, quasi ossessivo, di primeggiare, di batterla a qualunque costo. Questo desiderio si era poi trasformato nella smania caparbia e totale di umiliarla. Probabilmente era stata proprio questa sua determinazione e il suo sprezzo per le regole che le venivano imposte a farla finire a Grifondoro. Troppo superba per gli umili Tassorosso. Troppo superficiale per gli intelligenti Corvonero. Troppo espansiva per i freddi Serpeverde. Ma sufficientemente coraggiosa e testarda per i Grifondoro, “culla dei coraggiosi di cuore”.

Rose era il simbolo di tutto ciò che lei non era mai riuscita a essere. Bella, senza essere volgare o vistosa, intelligente, amata da tutti. Ogni volta che la vedeva, Beatrice non poteva non sentire il prepotente morso dell’invidia che la consumava dall’interno. Così aveva cominciato a vestirsi in modo provocante, tentando di attirare l’attenzione sfruttando le curve del suo corpo formoso. Aveva funzionato e ora tutta Hogwarts la conosceva, anche se la sua reputazione non era delle migliori. Ma Rose era sempre più popolare di lei. E goccia dopo goccia il veleno che le scorreva dentro le corrodeva l’anima.

Poi, un’estate, sua madre le aveva raccontato della storia d’amore che aveva avuto con Ronald Weasley. Il padre di Rose. Il padre che, a conti fatti, sarebbe potuto essere il suo. Allora l’invidia e l’antipatia che provava erano divampate, diventando odio. Voleva che Rose soffrisse, che la sua vita fosse rovinata, che fosse condannata a un’esistenza infelice e sofferta, più di quanto era stata la sua.

Perché Beatrice non era malvagia. Era solo distrutta e nessuno aveva mai provato a darle la speranza che per lei esistesse anche solo una minuscola possibilità di riscatto.

Così, quando vide il nascondiglio segreto del diario di Rose, iniziò immediatamente ad architettare un piano per sottrarglielo. Quella notte, mentre tutte le altre dormivano, si alzò e si avvicinò di soppiatto al letto della rivale. Accarezzò con lo sguardo i boccoli di fiamma, sparsi disordinatamente sul cuscino, e la pelle di porcellana, delicatamente spruzzata di efelidi. Afferrò la chiave che portava al collo, tranciando la catenella alla quale era appesa con un Diffindo non verbale. Poi si diresse verso la scrivania, aprendo il cassetto e trovando il diario. Con un sorriso soddisfatto, scese in Sala Comune, dove avrebbe potuto leggere senza essere disturbata. Mentre leggeva i pensieri messi per iscritto con l’elegante calligrafia di Rose, un’espressione di trionfo andava dipingendosi sul suo viso.

 

Rose si alzò, stiracchiandosi beatamente. Era incredibilmente di buonumore e nulla avrebbe potuto rovinare quella che si prospettava come una giornata straordinaria. Canticchiando, si lavò e vestì, scendendo poi in Sala Grande per la colazione. Le lezioni trascorsero veloci e in un batter d’occhio arrivò l’ora di pranzo. Appena Rose varcò il pesante portone, però, venne accolta da una serie di occhiate di soppiatto e bisbigli che non presagivano niente di buono. Si sedette accanto al fratello Hugo, chiedendogli preoccupata: «Che succede?»

Lui le sussurrò brevemente all’orecchio: «Gira voce che il professor Paciock abbia una tresca con una studentessa», guadagnandosi un’occhiata incredula e sconvolta della sorella. Il brusio cessò e la ragazza, voltandosi, si accorse che Beatrice Brown aveva raggiunto il leggio del preside.

La professoressa McGranitt si alzò in piedi: «Signorina Brown, si può sapere cosa vuole fare?»

«Non si preoccupi, professoressa. Voglio solo fare un piccolo annuncio e leggere qualcosa che la maggior parte di voi troverà sorprendente e… illuminante. Sì, illuminante credo che sia la parola giusta.» La ragazza tornò a guardare i suoi compagni, con uno strano sorriso a incresparle le labbra. Aveva un’aria palesemente vittoriosa, anche se Rose non riusciva a spiegarsi il perché.

«Miei cari compagni – cominciò, con voce solenne – questa mattina, alle vostre orecchie, sono sicuramente giunti alcuni pettegolezzi.»

L’intera Sala trattenne il respiro. Il silenzio era totale e nessuno osava infrangerlo, né tra gli studenti, smaniosi di sapere di più, né tra gli insegnanti, all’oscuro di tutta quella storia.

«Sono qui per smentirli. Ho le prove che il professor Paciock non ha avuto nessuna storia con una studentessa». Il professore di Erbologia la fissò, più stupito che altro, mentre la McGranitt, tentava di prendere nuovamente la parola, sconvolta: «Questo è inaudito, signorina Brown! Chi oserebbe affermare una cosa del genere?...»

La bionda la bloccò, con un sorriso smagliante sul volto. «Però, le voci che sono circolate non sono totalmente infondate. Infatti, a una tra noi studentesse, probabilmente la più insospettabile di tutte, piacerebbe molto avere la suddetta storia con il nostro professore».

Rose aveva la bocca completamente secca. La mano le corse sotto al maglione, alla ricerca della catenella con la chiave. Non trovandola, la terribile verità la travolse. Fissò con occhi vacui la ragazza che, con il suo discorso maligno, le avrebbe probabilmente rovinato la vita. la consapevolezza di ciò, le riempì gli occhi di lacrime, non riuscendo a capire il perché di quella cattiveria gratuita nei suoi confronti. Intorno a lei, si stava scatenando il caos, ma lei non lo sentiva, ogni suono le giungeva come ovattato.

Beatrice sovrastò il tumulto con un Sonorus: «Non siete curiosi di sapere di chi si tratta?»

Incurante dei tentativi dei professori di farla tacere, la ragazza riuscì a leggere l’ultima pagina del diario, quella in cui Rose si era messa più a nudo. Tutti gli studenti aspettavano solo che Beatrice dicesse il nome della giovane incriminata.

Poi la bionda sollevò la testa: «Grazie Neville Paciock. Tua,… Rose.»

Quel nome rimbombò nella Sala, amplificato dal silenzio e dall’eco.

Gli occhi di tutti si voltarono verso la ragazza, che si alzò di scatto, fuggendo da tutti quegli sguardi. Quello sconvolto di suo fratello, quello impietosito degli amici, quello incredulo di Neville, quello eccitato delle pettegole, quello amareggiato di Samuel e quello trionfante di Beatrice.

Prima che oltrepassasse le porte, un unico singhiozzò sfuggì dalle sue labbra, risuonando nella Sala ancora sconvolta e congelata dalla rivelazione.

 


Chibinekogirl – mini trama 2:




Neville si ritrovò in piedi, davanti la sua colazione, fissando sconcertato la ragazza bionda. Beatrice era ancora lì, altera e vincitrice, spietata. Faceva dondolare il quaderno avanti e indietro, con estrema lentezza, ridendo sottovoce. Gli studenti si erano divisi in gruppetti e avevano ricominciato a parlare fitto tra di loro, facendo echeggiare le voci concitate.

Il professore si passò una mano tra i folti capelli castani, socchiudendo gli occhi.

Si guardò intorno e si avvicinò di più al piccolo e incriminato diario ancora aperto all’ultima pagina scritta.

«Mi dia quel diario signorina Brown. Non sembra essere di sua proprietà. La Preside prenderà dei provvedimenti… ma intanto, quindici punti in meno a Grifondoro per il suo eclatante e meschino comportamento. Si dovrebbe solo vergognare.»

Beatrice sgranò gli occhi, corrucciata e fece schioccare le labbra rosse in segno di rifiuto. «Ma… ma professore! Ha capito o no cosa è appena successo?»

Neville si risedette al tavolo e accostò il piatto dorato a se, sbottando nervoso: «Anche troppo bene. Adesso vada a lezione. Immediatamente!» 

La Grifondoro si ricompose e camminò disinvolta e sinuosa, lanciando con noncuranza il libriccino a lato della brocca d’argento che tintinnò chiara, facendo fuoriuscire alcune gocce di succo di zucca. Sorrise sfacciata all’insegnante e sbottonò l’inizio della bianca camicia inamidata, mettendo in mostra una catenina con una chiave appesa. La tirò con forza facendo rompere le ultime maglie e poi la fece scivolare nel piatto vuoto, ridacchiando: «Ops!»

 

Rose riprese fiato e continuò a correre veloce, superando corridoi e aule, senza guardarsi indietro.

Voleva allontanarsi il più possibile dalla Sala Grande, lontano da quegli sguardi indiscreti e accusatori.

Lontano da Lei. Da Lui. Da tutti.

E conosceva solo due luoghi in cui si sarebbe potuta rifugiare, ma la biblioteca a quell’ora non era l’ideale.

Così ritornò sui suoi passi affrettati e svoltò a sinistra, dirigendosi fuori dal grande maniero.

L’aria pungente le sferzò il viso tirato, facendole pizzicare gli occhi. Si avviluppò nella divisa invernale, tremando leggermente. Appena fu arrivata a destinazione si appoggiò alla sconnessa pietra della parete e crollò pesantemente a terra, scossa da singhiozzi incontrollabili. 

Le mancava il respiro e le girava la testa. Non poteva credere che fosse veramente successo tutto questo a lei. Si strinse forte le mani al petto,cullandosi, come a trattenere ed alleviare quel dolore che minacciava di schiacciarla. I suoi confusi pensieri non le davano tregua, bersagliandola in continuazione.

La sua vita era rovinata. I suoi genitori sarebbero venuti a saperlo sicuramente e le avrebbero fatto una scenata.

Come poteva mostrarsi a scuola dopo questo?

Era stata umiliata. Derisa. Sconfitta.

Beatrice era riuscita nel suo intento alla fine. Si era presa la rivincita su qualcosa che lei stentava ancora a comprendere.

Quell’odio insensato e immotivato che provava nei suoi confronti era diventato incontrollabile con l’avanzare degli anni. Sopportava le sue angherie da così tanto tempo che stentava a ricordare la prima volta. Questa volta però era stata insuperabile. L’aveva colpita nel suo tallone d’Achille, dove era più vulnerabile e fragile, facendo centro perfetto.

Portò le esili ginocchia verso il mento e vi adagiò sopra il capo vermiglio. Scintillanti perle traslucide le offuscarono la vista, rotolando poi sulle proprie guance pallide. Si fermarono timide alla fine del volto e poi con un piccolo tremolio saltarono dal trampolino, rimanendo disinteressate di fronte al vuoto a cui stavano andando incontro.

Attorno a lei tutto era troppo luminoso e calmo per adeguarsi al suo stato d’animo, ma non le dispiaceva. Quel silenzio l’avvolgeva, lenitivo e assordante. Le piccole piantine  della serra sonnecchiavano tranquille, godendosi i mattinali raggi del sole d’ottobre e sprigionando un intenso e impalpabile profumo. Tra i gemiti avvertì dei passi ovattati e concitati ancora in lontananza che si fecero più udibili mano a mano che si avvicinavano.

La figlia maggiore dei Weasley si fece ancora più piccola, cercando di celarsi dietro ad un enorme carrello pieno di innaffiatoi e paraorecchie.

«Sapevo che ti avrei trovata qui, Rose.»

Quella voce.

La Grifondoro alzò il viso, indecisa se girarsi o meno verso l’ingresso del vivaio. Sfregò risoluta gli occhi cerulei e si tirò su, barcollando un po'.

L’aveva cercata. Era andato da lei.

Un barlume di speranza riaffiorò nell’animo di Rose, rincuorandola. S’incamminò lentamente verso Neville, timorosa.

Forse sarebbero stati insieme. Forse avrebbe avuto l’amore accanto.

«Come hai fatto a trovarmi?»

«È la tua materia preferita. So fare due più due.»

Rose, seppur a malincuore, abbozzò un sorriso spento.

« Era cosi lampante?» mormorò flebilmente.

«No. Ma ti conosco da quando sei nata, piccola Weasley. Avevo percepito che c’era qualcosa di diverso. Non mi aspettavo… questo però! »

«Scusami.»

Neville si avvicinò alla ragazza e le posò una mano sulla fluente chioma color del fuoco. La guardò negli occhi, resi lucidi e acquosi dalle lacrime.

Era cosi bella e ingenua. Così pura.

« Sono il tuo padrino, Rose. Io ti voglio bene e te ne vorrò sempre. Sei la ragazza più in gamba, gentile e altruista che conosco.» sospirò.

«Io non ti voglio bene. Io…credo di amarti.»

«Rose! Sono sposato.»

Lei rispose risoluta: «Le coppie si dividono a questo mondo. Sono cose che possono capitare. Succede ogni giorno!»

« Quello che provi per me non è amore. Non hai pensato ai tuoi genitori? A te stessa?»

Il professore di Erbologia adesso la guardava serio, quasi burbero.

«Certo che ci ho pensato! Ma non cambia i miei sentimenti per te. Qui la cosa importante non sono loro… sei Tu.»

«Ti prego.»

«Si, sei tu! Tu che non vuoi ammettere di provare qualcosa per me, solo perché sono più giovane e figlia di due dei tuoi più cari amici. Ma io ‘non sono loro’! Me lo hai detto una volta ti ricordi?»

La ragazza parlò concitata, accostandosi all’uomo. Prese la sua mano e l’afferrò con forza.

«Hai diciassette anni! »

« Anche voi avevate diciassette anni quando avete combattuto contro Voldemort, quando siete diventati eroi. I miei avevano la mia stessa età quando scelsero di stare insieme. Sono abbastanza grande.» lo aggredì.

«Rose ascoltami per favore.»

«Ammettilo!»

«Non posso ammettere niente di quello che dici.»

«Dimmi perché allora!»

L’uomo sospirò e prese la giovane tra le braccia. Non voleva ferirla, ma doveva essere schietto se voleva sistemare questa irrazionale situazione. Farle capire l’errore in cui si stava illudendo e che doveva andare avanti.

Rose senti la stoffa ruvida venire a contatto con la sua gota liscia. Chiuse gli occhi e godendo di quel piccolo momento, lo abbracciò di rimando.

Sentiva il respiro fresco di Neville farsi profondo e sfumato, gonfiarsi nel petto largo per poi sparire tra i suoi capelli come un tenue alito di vento. Artigliò la veste scura del mago e attese impaurita la risposta che stava per dargli.

«Perché amo profondamente la mia Hannah. Perché il mio matrimonio è felice, come quello dei tuoi genitori. Sei la mia figlioccia e sei solo spaventata e confusa. Io non ti abbandonerò mai Rose… sarai importante per tutta la mia vita. Ma devo proteggerti dalle scelte sbagliate che vorresti fare.»

La Grifondoro scosse vigorosamente la testa, battendo il pugno sulla sua spalla: «Non chiamarla scelta sbagliata, non farlo.»

«Troverai l’uomo che ti amerà, bambina mia. Fidati.»

«Sei tu.» ripeté.

«Lo pensi adesso. Ma con il tempo comprenderai. Il tempo sistema ogni cosa.»

«No!»

Continuava a negare, ma ormai aveva capito.

Lui non sarebbe mai stato il suo amore. Non la desiderava come lo faceva lei.

Il suo sogno si era infranto in mille pezzi e le schegge rischiavano di marchiarla per sempre. Come sarebbe andata avanti? Cosa avrebbe fatto adesso?

«Mi dispiace non essere quello che vorresti, Rose. Non sono io quello giusto per te.»

Le alzò il mento e posò lieve le proprie labbra sulla sua fronte accaldata.

Il loro unico bacio. Un taciturno e inespresso addio.

La giovane si scostò da Neville e sfiorò con i polpastrelli la bocca di lui, imprimendola nella sua memoria, poi bisbigliò sottovoce: «Io…Voglio stare da sola.»

Lui abbassò il capo per osservarla: «Lo capisco.»

«Non sarò presente a lezione oggi.» rispose laconica.

«Recupererai. Hai il cervello di Hermione dopotutto.» mormorò tollerante e la lasciò andare via.

Così Rose si scoprì nuovamente a vagare solitaria e abbattuta per il castello, cercando di evitare chiunque passeggiasse negli immensi corridoi. Tornò alla torre di Grifondoro, si arrampicò oltre il ritratto della Signora Grassa e s’infilò nel suo letto, celandosi dietro le folte e vellutate coltri rosse e oro.

 

 

«Allora può restare, Signor Corner. La preside McGranitt ha dato il suo nulla osta. Come sempre, d’altronde. Si ricordi di rimettere tutto a posto prima di cena.»

«Certamente. La ringrazio infinitamente, professore.»

« Si figuri. Per uno studente come lei! A domani allora.»

Samuel ricambiò il saluto in maniera ossequiosa e osservò la porta chiudersi cigolando.

Inspirò a fondo e spinse sgarbatamente con un piede uno degli sgabelli vicino al banco.

Mancavano ancora un paio d’ore alla cena e come al solito era rimasto da solo nell’Aula di Pozioni, a perfezionare l’egregia maestria che gli aveva fatto guadagnare il titolo di “primo della classe”.

Ma oggi aveva un motivo in più per stare lì.

Prese il coltello dalla scura borsa di cuoio, chiuse il libro di Pozioni Avanzate con un movimento deciso e iniziò a sminuzzare con rabbia le radici di fronte a lui, una alla volta, con meticolosità e cadenza.

Sperava che il tonfo cupo e ritmico del coltello sul tagliere di legno lo avrebbe aiutato a non pensare.

A quanto pare però si sbagliava di grosso.

Era tutto lì, davanti ai suoi occhi, la grande e inaspettata scenata di quella mattina.

Buttò indifferente l’ingrediente nel calderone acceso e s’indirizzò verso un armadio dove vi erano stipati barattoli di ogni tipo. Allungò la bacchetta e ne agguantò due, ispezionandone il contenuto.

«Rosso! E ti pareva.» sbottò rimettendolo al suo posto.

Inveì sottovoce verso il vuoto e afferrò un vasetto dove galleggiavano nell’acqua torbida piccole creature immobili.

No, non era stata una buona giornata per Sam.

Scoprire in quel modo imbarazzante che la sua amica Rose era infatuata del professor Paciock era stata un bella batosta, difficile da metabolizzare.

Perché lui, Samuel “ Avvenente” Corner , come lo chiavano certe insipide e superficiali ragazzine del secondo anno, era innamorato di Rose Weasley. E ne era il migliore amico.

Una bella fregatura quindi.

Di tutte le ragazze che poteva avere, aveva designato per lui quella sicuramente più difficile da conquistare. Se non proprio impossibile.

Rose non si era vista per tutta la giornata, a nessuna delle loro lezioni. Aspettarla inutilmente non aveva fatto altro che caricarlo di maggiore tensione e irritazione .

Gli studenti avevano sparlato e ingigantito la notizia scandalosa, facendo saltare i nervi al giocatore di Quiddicht che, nel bel mezzo della lezione di Storia della Magia, se ne era andato, furioso.

Aveva sperato di incontrarla a pranzo, ma ovviamente lei non era scesa. Voleva parlarle e confortarla, farle capire che sarebbe stato lui la sua metà perfetta. Era lui quello giusto.

Scaraventò il secondo barattolo nel fondo del pentolone di peltro e grugnì: «Cavolo, Rose!»

«Che c’è?» lo interpellò lei.

Samuel spalancò gli occhi azzurri e si portò una mano sulla fronte, nascondendo le perfette sopracciglia corvine.

La ragazza era davanti alla porta con in mano un sacchetto di dolciumi. Visibilmente provata e con profonde occhiaie si avvicinò, sedendosi sul banco di noce.

«Hai un aspetto orribile Rosie.»

«Sempre gentile eh, Sam? Anch’io ti voglio bene.»

Sorrisero insieme.

«Dove sei stata si può sapere? Ti ho aspettata tutto il giorno . Pensavo avresti parlato almeno con me.» disse risentito il Corvonero prendendo una Cioccorana.

«Volevo stare da sola.» rispose allungando una mano e prendendo la sua.

«Quello che ti ha fatto BB è mostruoso! Non dovrebbe passarla liscia lo sai?»

«Lo so. Ma mi conosci… non sono tipo da vendette. Mi sei mancato oggi.» sospirò.

«Non mi piace come ti fai trattare. E poi:come diavolo ti è venuto in mente di innamorarti di lui! Un professore, Rosie! Il tuo padrino per giunta.»

Rose chinò il capo, sconsolata.

« Ti pare che io l’abbia deciso o premeditato? È successo e basta! Adesso ti ci metti anche tu? » sputò tagliente.

«Cioè?»

«Neville è venuto a parlarmi, subito dopo colazione.»

Sam smise di mescolare l’intenso filtro violaceo e la fissò. I battiti del cuore accelerarono e s’irrigidì, allerta.

«Cosa vi siete detti?»

«Semplice. Lui non mi vuole. Non sarà mai quello che io ho sognato.» confessò d’un fiato. Tirò su con il naso, pescando un fazzolettino pulito dalla tasca interna della divisa.

Samuel esultò intimamente, ringraziando la sua buona stella. Questo significava che aveva un’opportunità. Piccola, è vero, ma era pur sempre qualcosa.

E l’avrebbe sfruttata al meglio.

Posò gli utensili sul tavolo e disse: «Vieni qui.»

Abbracciò la sua migliore amica e le fece poggiare la testa sul suo petto muscoloso, inebriandosi del suo profumo di sandalo e cannella. Frizionò la sua pelle come ad infonderle calore, sperando in un miracolo.

«E adesso?» domandò.

«Devi dimenticarlo, Rose. Andare avanti e guardarti intorno.»

«Non posso Sam. Per me è importante.»

La cinse con più vigore, per paura di vederla sparire all’improvviso.

«Lo è in questo momento ma piano piano scemerà tutto e sarai di nuovo felice.»

La fece alzare, portandola davanti alla finestra opaca. L’ammirò intensamente sotto la luce tenue che annunciava la luna, carezzandole le spalle.

Come avrebbe voluto baciarla.

Emise un debole respiro e si soffermò a contemplare gli occhi limpidi e timidi, striati da pagliuzze dorate; le invisibili e piccole efelidi chiare delle gote; le delicate labbra rosee aperte in un sorriso triste.

Le era sempre sembrata una creatura della notte, con quella pelle diafana e quei morbidi boccoli fulvi sparsi oltre le terga. Come una delicata e schiva fata dei boschi.

Avrebbe avuto tutto quello solo per lui. Ne avrebbe avuto cura e attenzione. L’avrebbe amata come se ne dipendesse la propria vita.

«Se solo tu sapessi, piccola Rose..» le sussurrò all’orecchio.

Brividi le percorsero tutto il corpo e Rose si senti stranamente emozionata. Alzò il viso ovale, incuriosita.

«Se sapessi cosa?»

«Che c’è qualcuno che ti ama veramente. Che ha aspettato tutto questo tempo per paura. Che adesso non vuole più nascondersi.»

Le poche candele accese li osservavano nella penombra delle loro fenditure, creando particolari giochi di luce sui loro volti.

«Sam, cosa stai dicendo?»

«Che sono io ad amarti, Rose. Io che potrei farti felice se solo tu me ne dessi l’occasione. Sei la mia migliore amica, ma questo non mi basta più.»

Rose rimase spiazzata. Oggi era la giornata più strana che gli fosse capitata in diciassette anni. Samuel provava qualcosa per lei! Il suo migliore amico era sempre stato segretamente innamorato e non si era mai accorta di nulla

Cosa doveva rispondere?

«Io.. io non so che dire.»

Il Corvonero le scostò una ciocca dalla fronte. Alzò entrambe le mani e vi racchiuse il suo volto. Le lambì la punta fredda del naso con l’indice e riprese: «Non dire niente adesso. Continueremo come abbiamo sempre fatto fino a quando sarò il tuo pensiero fisso. E allora staremo insieme.»

«Come fai ad esserne così sicuro? E se amerò Neville per sempre?» chiese la ragazza in preda al panico. Non voleva fargli del male, gli voleva troppo bene. L’amico però aveva ragione: doveva lasciar perdere quella sua fantasia irrealizzabile.

« Non succederà. Quando meno te lo aspetti capirai di essere perdutamente innamorata di me.»

«Dici?» chiese fiduciosa.

Samuel sorrise, guardandola intensamente. La prese per mano e, incurante della confusione in cui lasciava l’aula, scappò fuori con Rose.

Oh si! Quella domanda suonava come una sfida.

E lui amava le sfide, soprattutto quelle in cui sapeva di poter vincere.

   
 
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