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Autore: alix katlice    10/10/2014    3 recensioni
Nadia ha quindici anni e deve ancora scoprire chi è, qual è il suo posto.
Quando il migliore amico di suo fratello -Simone, che di anni ne ha diciannove e ha già capito tutto, si trasferisce a casa loro, Nadia pensa di aver finalmente trovato il suo principe azzurro.
Ma sarà davvero così?
La realtà è davvero come lei la vede?
Cosa succederebbe se, inconsapevolmente, cominciasse una partita pericolosa, di un gioco da cui non sa tirarsi fuori?
[...]
Ero troppo presa dalle parole di Nicola, che non mi accorsi dell'altra figura che era scesa dalla macchina.
Un paio di occhi verdi mi scrutarono, ed io scrutai loro: il ragazzo che li possedeva aveva una folta chioma di capelli neri come la notte, ricci, dei lineamenti non propriamente dolci ma in un certo senso femminili.
Era bello.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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capitolo 2
ACCORGERSENE

 







This is not the way into my heart, into my head
Into my brain, into none of the above
This is just my way of unleashing the feelings deep inside of me
This spark of black that I seem to love

We can get a little crazy just for fun, just for fun
.


[F.L.E.S.H - Simon Curtis]



 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal mio incontro serale con Simone oramai è passata una settimana, e tutto quello che è successo fra di noi nel mezzo... non è successo.
Non è successo nulla.

Per i primi quattro giorni ho avuto la tendenza ad arrossire ogni qualvolta lui si trovasse nei paraggi -cosa a dir poco imbarazzante. Invece, riguardo gli ultimi tre giorni, li ho passati ad interrogarmi sul perchè, a domandarmi se ci fosse una spiegazione logica per il suo comportamento, per la sua provocazione.
Spesso seduta accanto ad Ilenia, poche parole e tanti pensieri: sono giunta ad una conclusione ieri sera, quando ho spento il cellulare e l'ho poggiato sul comodino, gli occhi che mi si chiudevano per la stanchezza.
Non c'è una spiegazione logica. Simone non ha nessun motivo per comportarsi così.
Io non gli piaccio -come potrei? Sono solo una ragazzina in confronto a lui, non sono interessante, non sono bella -non nel modo più convenzionale del termine, non sono ancora nulla. Quindi, giungo alla conclusione che doveva essere ubriaco, che i suoi sguardi sono sguardi che io mi immagino, (forse perché è ciò che vorrei), che i suoi sorrisi obliqui a tavola degli ultimi giorni, ovvero l'unica cosa che da lui ho ottenuto, non significano nulla se non simpatia per la sorellina di un suo amico.
E mi sta bene, penso. Scendo a patti con l'idea ed oggi vado a dormire con la mente calma, in pace.
Ho una cottarella per questo ragazzo? Sì, mi affascina ed è infinitamente bello
Potrebbe essere mai qualcosa più di questo?
No.

La mattina, quando mi alzo, mi rendo conto che è presto grazie alla luce che non filtra attraverso le tapparelle della mia camera.
Siamo a Settembre, e a Settembre alle 7.00 (cioé quando mi sveglio per andare a scuola) solitamente c'è luce.
Ora, apro gli occhi e vedo solo l'oscurità della stanza.
Mi alzo e barcollo leggermente prima di riuscire ad accendere la luce; mi acceca, devo strizzare un paio di volte gli occhi prima di poterli aprire.
Tengo le dita sulla parete mentre percorro il corridoio, diretta in soggiorno: c'è sempre una spiegazione a tutto, ed io trovo quella per cui mi sono alzata così presto seduta al tavolo
della cucina.

La mamma ha lo sguardo puntato sulla tazza del thé che tiene fra le mani.
Mi avvicino, cercando di far più rumore possibile per segnalarle la mia presenza, ma quando le sfioro una spalla lei comunque sobbalza leggermente.
Mi siedo, senza dire nulla; la mamma mi sorride e poi abbassa di nuovo lo sguardo sulla tazza.
E capisco che c'è qualcosa che non va.
« Mamma? » richiamo la sua attenzione di nuovo, e non riesco a nascondere la preoccupazione.
« La nonna sta male » mormora lei, ed anche se non è proprio una bella notizia sento il mio stomaco che si alleggerisce di botto (dopotutto io la mia nonna non la conosco più di tanto, non posso dispiacermi.)
« L'hanno portata in ospedale? »
Annuisce, non guardandomi negli occhi.
« Volevo andarla a trovare, ma mi hanno chiamato per fare dei turni in più... »
« Ci vado io. »
Lo dico senza pensarci e senza valutare nulla; perderò ore per studiare o per stare con i miei amici? Sì, ma non me ne curo.
La nonna ha bisogno di me, la mamma ha bisogno di me. Soprattutto contando che il suo dispiacere non è poi così tanto per la suocera quanto per il fatto di doverla andare a
trovare.

È triste, a pensarci bene. Ciò che è successo fra la mamma e mio padre non dovrebbe riguardare un'anziana vecchietta, non dovrebbe neppure sfiorarla; mia madre è  buona, certo, ma anche una persona che non riesce a perdonare facilmente.
« Sicura? » mi domanda, anche se già vedo che la notizia l'ha resa più rilassata.

« Più che sicura » dichiaro allora, sorridendole.
Mi sfiora con il dorso delle dita la guancia, un piccolo gesto che però mi rende felice.
« Grazie mille, tesoro. »
Torno in camera mia per godermi gli ultimi minuti di sonno prima della sveglia.

 

Una delle poche cose che ho imparato di Simone è che ama parlare.
In realtà è un po' strano, perché non è il chiacchiericcio sconclusionato di Nicola, no; parla di cose che sa, di cose che ha toccato con mano propria, luoghi che ha visitato, posti magnifici che ha visto, persone che ha incontrato e con cui ha parlato.
Non che le racconti a me, ovviamente.
Mentre studio in terrazza, la porta-finestra della cucina aperta per permettere alla mamma di sentirmi in caso di necessità, lui parla; si siede al tavolo, mamma che intanto tagliuzza verdure per la cena, e lui comincia.
E diventa un sogno ad occhi aperti, un viaggio fantastico di cui vorrei non interessarmi ma che, alla fine, riesce a trascinarmi sempre con sè: e vedo tutto ad occhi aperti, con chiarezza, contorni netti.
È una cosa che mi affascina, perché io ciò che penso lo tengo nella mia mente: invece Simone lo disegna in aria, e non scompare nulla, anzi, si fa sempre più nitido e rimane tutto impresso.
Amo questi momenti, quando mi perdo nella sua voce e non c'è null'altro.
L'unica cosa che vorrei è che tutto questo fosse effettivamente riservato a me, e a me soltanto.

 

Il sabato arriva velocemente; Simone non mi considera -oltre a quei sorrisi e quegli sguardi che, mi ripeto, sono tutti nella mia testa, la scuola non mi offre nulla di nuovo se non lezioni su lezioni e interrogazioni, e Ilenia ed Andrea sono sempre gli stessi.
Io ed Andrea siamo al parco, questo pomeriggio.

Il sole mi riscalda il viso senza però scottarmi, l'erba sotto di me ha un odore buono.
« Mia nonna sta male » dico.
Andrea immediatamente si irrigidisce, il suo sorriso scompare dal viso, si volta verso di me.
« L'hanno portata in ospedale? »
Annuisco.
« Ho promesso alla mamma che sarei andata a trovarla. »
« Se vuoi posso accompagnarti... » si offre lui dopo qualche secondo di silenzio.
Scrollo la testa, sorrido.
« Non ti preoccupare. Volevo solo dirtelo. »
Andrea allunga una mano, afferra la mia. La stringe forte, ed io lo ringrazio silenziosamente.
 

Quando torniamo dal parco, prima di entrare in casa, Andrea fa una cosa strana.
Prima di entrare, mi afferra il polso e mi tira verso di sè; sento le sue braccia avvolgermi.
Ci siamo abbracciati tante, tante volte... ma questa volta è diverso. Non so da cosa riesco a capirlo, ma c'è qualcosa di profondamente diverso.
Mi lascia andare dopo qualche secondo, con un'espressione strana in viso.

Entro in casa e la cena è servita.
A tavola ci sono tutti; mia madre, Nicola e Simone.
Mi siedo fra Nicola e la mamma, lanciando un veloce sguardo a Simone che però viene intercettato -cosa che speravo non accadesse. Abbasso gli occhi quasi immediatamente, mentre vedo sulle sue labbra formarsi già i contorni di un sorrisetto sghembo.
È bello. Lo penso durante tutta la cena, (pasta al pesto e petto di pollo), lo guardo di soppiatto e penso che è davvero troppo bello.
Non ascolto ciò che dicono, non mi concentro nè su Nicola nè sulla mamma; la mia attenzione viene risvegliata solamente quando vedo le labbra di Simone muoversi mentre guarda me, segno che mi sta parlando.
« Scusa, come? » domando, e Nicola non si trattiene dal ridacchiare; sono conscia che sembro davvero una sciocca, ma ciò che mi ha chiesto o detto mi interessa, davvero.
« Dicevo » ripete lui, un tono cordiale, nessuna presa in giro « che se vuoi posso accompagnarti io. »
Dove dovrebbe accompagnarmi?
Penso di averlo detto ad alta voce.
« All'ospedale, da tua nonna » chiarisce subito la mamma, trovandomi in difficoltà.
Non mi piace, l'idea. Non mi piace affatto. Trovarsi da sola con Simone? Potrebbe anche essere piacevole -sicuramente per quella parte di me che anela la sua attenzione.
Ma arrossirei di continuo e mi troverei a disagio, di sicuro.
« Se vuoi un passaggio in auto, visto che mi pare di aver capito che dovresti prendere l'autobus... » aggiunge poi Simone.
Oh.
Vuole essere solo gentile. Non vuole passare del tempo con me: decido che non deve importarmi, che non deve sfiorarmi, anche se so benissimo che mi ha ferito più di quanto avrebbe dovuto.
« No, non preoccuparti, posso andarci da sola. Dovrei riuscire a non perdermi. »
Il mio tono è amaro, ma nessuno sembra notarlo più di tanto.

 

La Domenica mattina perdo qualche minuto a sciegliere ciò che devo indossare: alla nonna i vestitini e le gonne devono piacere, penso, non lo so, non ho mai passato molto tempo con lei.
La mia scelta alla fine ricade su una camicetta bianca e una gonnellina a vita alta a fiori, colori che vanno dal rosa carne al rosso: la infilo, osservandomi allo specchio.

Non so perché, ma mi ritornano in mente le parole di Ilenia, quelle che mi ripete spesso, sullo sciogliere i capelli (sei più bella!).
Non la ascolto, e al posto di quel consiglio decido di sistemare al meglio la treccia che ho tenuto per tutta la notte.
Quando ho fatto, devo dire che complessivamente mi piaccio.
Afferro lo zaino -con dentro una boccetta d'acqua e un paio di panini per il pranzo, ed esco velocemente dalla mia camera: poi, la mia traiettoria viene interrotta da Simone che esce dal bagno.
La prima cosa a cui penso è che non è davvero possibile: la nostra casa è piuttosto grande; come ho fatto ad incontrarlo? Soprattutto ora, soprattutto così.
Ha i capelli bagnati e la pelle umida di chi si è appena fatto la doccia: indossa solo un paio di pantaloni stretti, i piedi nudi, il petto scoperto.
Reprimo l'istinto di guardarlo, sondarlo con lo sguardo.
Appena mi vede, per un momento resta interdetto, come se ci fosse qualcosa che non lo convince appieno: in un secondo momento mi rendo conto che, semplicemente, non mi aveva riconosciuta, vestita così carina.
Il suo sguardo cambia, la tentazione di fare un passo indietro è forte: è famelico, ora, un sorriso sghembo che aleggia sul suo viso, ma che non lo rende meno bello -al contrario di quello che si potrebbe pensare.
« Questo è per andare dalla nonna? » mi domanda, e la sua voce è un suono leggermente roco, basso.
Annuisco, guardandolo negli occhi, ora, per non guardare altro.
Si avvicina leggermente, il suo sguardo sulle mie gambe messe in bella mostra dalla corta gonnella e poi sulle mie labbra.
« Stai bene, angioletto. »
Angioletto.
Non mi piacerebbe, se fosse Nicola a dirlo, come non mi piacerebbe se Simone mi chiamasse Nena: ma angioletto suona così giusto, sulle sue labbra.
Allunga una mano verso il mio viso e, impercettibilmente, mi tiro indietro; lui non ci fa caso, o fa finta di non farci caso, e sfiora con delicatezza la treccia.
Le sue dita la afferrano con dolcezza e percorrono per intero tutta la sua lunghezza, fino ad arrivare al laccetto nero che la tiene: lo slega.
Ora i capelli mi cadono sul viso; li scansa leggermente dai miei occhi, e poi sorride, compiaciuto.
« Così però è meglio. »
Vede che non dico nulla, non ho nessuna reazione -almeno esterna: dentro, sto bruciando come se qualcuno mi avesse dato letteralmente fuoco.
« Buona giornata, allora » dice infine, voltandosi e entrando in camera di Nicola.
Rilascio un sospiro di sollievo solo quando la porta si chiude dietro le sue spalle, e mi sento libera di uscire di casa (anche se con un groppo in gola.)

 

[1'928 parole]









 











Spazio di Alice:

Piccolo particolari:
Salve :D Scusate il mostruoso ritardo ma l'inizio della scuola mi ha tenuto un po' occupata.
Queste note saranno davvero cortissime: mi scuso per i molti errori del testo (ho molo sonno e penso di essermi persa parecchi orrori grammaticali) ma ho riletto quattro volte e non trovo null'altro.
Insomma, secondo capitolo! Si incominciano a esplorare alcune dinamiche.
Nulla, un bacio, un abbraccio, se vi va lasciate un commento sia negativo che positivo -fanno sempre piacere tutti e due, e ci sentiamo al prossimo aggiornamento!
Baci :*

 
  
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