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Autore: Yuna Shinoda    13/10/2008    9 recensioni
Bella va all'Università di Yale con la sua amica Angela.
Durante il viaggio incontra un ragazzo molto petulante, Emmett, e suo fratello, che, anche dopo averla vista più di una volta, non vuole rivelarle il suo nome.
Bella, dopo aver rivisto Emmett, è decisa nello scoprire il nome di suo fratello (che penso tutte immaginate chi sia) XD.
Nel campus, Bella divide la sua stanza con Rosalie ed Alice, che si rivelerà essere la sorella di Emmett, nonchè quella che svelerà il nome del ragazzo.
Bella sembra avere simpatia per lui, anche senza conoscerlo... Ma ha anche simpatia per un ragazzo che incontra la sera al buio e a cui racconta le sue confidenze, e di cui non conosce l'identità.
Che dite, Bella di chi si innamorerà?
E se il ragazzo del parco si rivelasse qualcuno che noi tutti conosciamo?
Sono tutti umani, senza poteri, Si adattava di più U_U
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Emmett/Rosalie
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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Era tutto pronto.

Avevo preparato tutta la roba da settimane, ormai, dopo il diploma, e finalmente quel giorno era arrivato. Il giorno in cui sarei partita per andare all'università.

Charlie mi aveva fatto mille raccomandazioni, ma io non ci badavo più di tanto perchè sapevo che lo faceva solo per evitare di non restare in silenzio, per farmi capire che in ogni caso lui tiene a me.

-C'è il taxi che ti aspetta, qui sotto – disse Charlie, proprio due secondi prima che mi avviassi verso il piano terra.

La cosa davvero triste era dover lasciare quella casa per del tempo. Non che ci tenessi molto, a dire il vero, ma mi dispiaceva lasciare Charlie da solo in balia della sua cucina penosa.

Guardai per l'ultima volta tutto. La mobilia, le foto appese alle pareti, la finestra. Poi presi un profondo respiro e scesi nell'ingresso.

Charlie, davanti alla porta con il resto delle valigie, mi guardava con aria triste.

Forse non l'avrebbe mai ammesso, ma di sicuro questa situazione lo faceva di sicuro piangere.

Non perchè non voleva che me ne andassi, ma perchè gli dispiaceva stare lontano da sua figlia.

Quando gli arrivai vicino, lo abbracciai.

Aveva gli occhi lucidi, ed anche io, ma tuttavia nessuno dei due pianse.

-Allora ci vediamo il giorno del ringraziamento, - disse, con un tono di voce un po' più basso e grave del solito.

-Sì, papà. Ed anche a Natale, naturalmente. Verrò da te ad ogni festività, - gli dissi sorridendo.

L'autista del taxi suonò il clacson. Era ora.

-Vai, Bella, altrimenti perderai il volo, - disse Charlie guardandomi negli occhi.

Annuii col capo, e mi avviai alla porta.

Mi girai per un'ultima volta, guardando anche le camere del piano terra, così come avevo fatto con la mia stanza.

Guardai nuovamente mio padre, e notai che era girato. Non riusciva a salutarmi.

-Ti voglio bene, papà – dissi, prima di uscire fuori e di salire nel taxi.

Lui non rispose, ma sentii dei piccoli singhiozzi. Piangeva.

Prima di dare la destinazione all'autista, guardai di nuovo la mia casa. Sarebbero passati due mesi prima di poterci tornare. Sospirai nuovamente e dissi – All'aeroporto di Seattle – e sfrecciammo in via diretta verso l'inizio della mia nuova esistenza.

Il volo per Hartford, nel Connecticut, durò cinque ore piene, ma, tutto sommato, alla fine l'importante è che arrivai sana e salva, senza complicazioni, tranne per un ragazzo che mi aveva importunata parecchio sull'aereo.

Era alto, immaginai, anche se era stato tutto il tempo seduto, ed aveva una folta chioma bruna. Era anche molto muscoloso, intravedevo la forma dei muscoli delle braccia sotto alla sua maglietta attillata. Sembrava quasi un body builder.

Assieme a lui c'era un altro ragazzo, non molto muscoloso come lui all'apparenza, che restò per tutto il viaggio molto sulle sue.

Il ragazzo muscoloso, che si chiamava Emmett, come involontariamente mi aveva detto lui stesso, mi aveva intrattenuta per tutto il viaggio, facendo battute una dietro l'altra.

Io facevo la vaga, dato che non l'avevo mai visto, e sinceramente non avevo voglia di conoscere nessuno dopo la fine della mia storia con Jacob, un ragazzo che viveva in una piccola località accanto a Forks, la mia città. Non eravamo stati molto insieme, direi circa due o tre mesi, ma visto che lo conoscevo da tempo, la sua amicizia e poi il suo amore mi avevano davvero presa, che adesso avevo davvero bisogno di voltare pagina.

Questo era uno dei motivi che mi aveva portato ad allontanarmi il più possibile da Forks, e dalla voglia di tornare indietro da lui, anche se si era comportato davvero male con me; ma questa è un'altra storia.

Il ragazzo di nome Emmett mi aveva detto che a New Heaven – la sede della mia università – si stava bene, e che anche lui e l'altro ragazzo erano diretti lì per motivi di studio.

Tuttavia, pensavo che il ragazzo che lo accompagnava non aveva molta voglia di andare lì, dato che faceva delle facce tristi o scocciate che facevano presumere che quel Emmett lo avesse convinto a venire con lui quasi con la forza.

Quando poi eravamo arrivati a destinazione, e l'aereo era atterrato, Emmett mi aveva salutato dicendomi – Ciao, bellezza, penso che ci rivedremo, - accompagnato da una risata fragorosa. Il suo amico era sempre rimasto serio. Che tipo. Io feci appena un cenno col capo per annuire. Chi sa se aveva ragione.

Stavo ormai aspettando da quindici minuti che mi venisse a prendere la mia amica, Angela.

Angela aveva frequentato il liceo di Forks con me per un anno, ma poi, al quarto, i suoi genitori le avevano imposto di trasferirsi con loro qui, ad Hartford, dato che ormai da tempo avevano problemi di denaro, e Forks non aveva più risorse.

Non so quanto tempo ci voleva da casa sua, fin qui, ma era molto probabile che non era certa dell'ora d'arrivo del mio volo, e che quindi forse non si era ancora avviata.

Decisi intanto di andare al bar, per prendermi uno spuntino da mangiare, mentre l'aspetto.

Mentre sceglievo cosa volevo mangiare, sentii una voce che mi chiamava. - Hey, scusa, bellezza? - Era di nuovo il tipo dell'aereo.

Mi girai un po' arrabbiata, perchè odiavo essere importunata. Pensavo davvero che quel ragazzo era petulante.

-Sei ancora qui? - chiese, ed il suo amico gli diede una gomitata.

-Ehm, sì. Aspetto un'amica. - risposi freddamente per scrollarmelo di dosso.

-E' carina come te? - chiese di nuovo, ed il suo amico gli diede di nuovo una gomitata.

-Non spetta a me dirlo, - dissi, di nuovo con tono freddo. Ma perchè voleva sapere tutte quelle informazioni? Perchè non si faceva i fatti suoi?

Mi voltai di nuovo verso il bancone, e dissi al commesso che volevo un caffè da portare ed un cornetto caldo. Emmett, intanto, lo sentivo sogghignare dietro di me.

Mi allontanai ed andai a sedermi ad uno dei tavoli vuoti per mangiare in santa pace, ma lui mi seguii di nuovo. Che frustrazione!

Lui si sedette sulla sedia di fronte a me, mentre il suo amico – ancora senza nome – restò in piedi, con lo stesso sguardo indifferente che aveva avuto per tutto il viaggio. Anche lui si stava stancando.

-Posso? - disse, ma era inutile rispondergli, visto che aveva fatto tutto da solo. Mi limitai a fare cenno col capo.

Mentre mangiavo, attenta a non guardarlo direttamente in faccia dato che mi faceva un po' ridere, squillò il mio cellulare. Poggiai il mio misero cornetto sul tavolino, e risposi a bassa voce.

- Pronto? -

-Bella, sono Angela -

-Ciao, dove sei? -

-Ecco, era proprio questo che volevo dirti. Sono imbottigliata nel traffico, ed in più mia madre mi ha detto che prima devo andare a prendere mio fratello all'asilo. -

-Oh, non fa nulla, aspetterò. Ci vuole molto? -

Angela sospirò dall'altra parte del ricevitore. - Un po'. L'asilo è dall'altra parte della città... Bella, scusami davvero... -

-C'è un bus che porta a casa tua? - le chiesi, anche se pensavo a come avrei fatto a trovare casa sua. Non mi sapevo orientare benissimo, nelle città che non conoscevo.

-Dovrebbe, ma non ho idea se ci sia la stazione lì accanto... -

-Mi informerò. Se non ci riuscissi, ti richiamo, okay? - dissi, un po' scocciata anche io.

-Va bene. E scusami di nuovo, davvero non volevo – mi rispose, il tono solennemente dispiaciuto.

Chiusi la telefonata e sospirai. La centesima volta in quella giornata. Non pensavo davvero che potesse cominciare tutto in modo così deludente, anche se, tuttavia, non era affatto colpa di Angela.

Guardai per terra. Adesso come avrei fatto? Sarei riuscita a trovare il famoso autobus? E chi lo poteva sapere.

Alzai la testa, e guardai davanti a me. Non ricordavo di Emmett e il suo amico. Mi prese un colpo.

-Cattive notizie? - mi chiese, più curioso ed invadente che mai.

-No, tutto bene – mentii. Non volevo dirgli di certo i fatti miei. Ripresi il cornetto ed iniziai a mangiare, come se niente fosse.

Emmett, però, non demordeva. - Sicura? - disse, avvicinandosi.

-Sicurissima – dissi, con finta sicurezza.

-Va bene, allora. Altrimenti potevamo darti noi un passaggio – l'amico gli diede di nuovo una gomitata, ma ancora più forte della precedente, e sussurrò il suo nome per apostrofarlo.

-Grazie, ma ti ho già detto che non mi serve. - gli risposi a tono. Era cocciuto!

Sorrise, e poi si alzò. - In tal caso, allora noi ce ne andiamo, - cominciò – ma se dovessi cambiare idea... Basta farmi un fischio prima che sia uscito dalla porta principale – ammiccò.

Sì, come no. Come se io ti conoscessi. Stava facendo tutto lui, sciocco ragazzo.

Si girò e fece per andarsene, ma per alcuni secondi rimase a fissarmi mentre si avviava con l'amico alla porta a vetri dell'uscita. Finalmente.

Anche se in quel momento mi serviva molto un passaggio, di certo non potevo fidarmi di un ragazzo conosciuto da poche ore. Poteva essere un maniaco, un ladro, un gangster; poteva essere qualunque personaggio poco raccomandabile che aveva trovato la ragazza da disturbare e che non avrebbe finito di romperle finchè non avrebbe ottenuto ciò che voleva.

Ma potevo anche sbagliarmi, sia chiaro, però purtroppo la vita ci da l'opportunità di vedere solo l'esterno delle persone, non l'interno. Non potevo sapere che cosa gli frullava nel cervello.

Quando Emmett e il suo amico furono usciti dalla porta principale, mi alzai ed andai al bagno.

Sarei andata a vedermi allo specchio, come una routine, e poi sarei uscita e sarei tornata nella sala d'attesa, magari sperando che Angela si sbrigasse in fretta.

Quando mi sbrigai, la sala era quasi vuota.

Guardai l'orologio; erano quasi le sei di sera e si stava facendo buio. Sospirai. Davvero carino il primo giorno nella nuova città.

Mi andai a sedere in sala d'attesa; avrei chiesto lì informazioni per l'autobus. Non avevo voglia di aspettare Angela perchè avevo fame. E sarei voluta andare a riposarmi su un letto caldo... anche un divano andava bene... ma bastava che mi riposassi.

C'era un signore a pochi passi da me, e decisi di chiedergli questa informazione.

-Scusi? - chiesi, attirando l'attenzione – Sa per caso se passa qui accanto l'autobus per la periferia di Hartford? -

L'uomo mi guardò pensieroso, forse nemmeno lui lo sapeva.

-Non ne ho idea, signorina. Mi vengono a prendere, quindi non ho chiesto prima – rispose con un sorriso, - potrebbe chiedere a qualche addetto all'uscita. Di sicuro sapranno aiutarla meglio di me – disse, sempre cordiale.

Mi limitai a dire un semplice grazie, e mi avviai all'uscita. L'avrei trovato da sola, sempre se esisteva questo autobus. Altrimenti avrei chiamato di nuovo Angela.

C'era un uomo alto e magro fuori, almeno questo era ciò che dedussi da lontano.

-Scusi? - chiesi, per la seconda volta in pochi minuti.

L'uomo si girò, ma per mia sorpresa, non era affatto una guardia della security. Eppure...

Lo riconobbi. Pelle chiara, capelli bronzei, ed occhi verdi. Non rispose.

-Scusami, ti ho scambiato per un altra persona, - dissi, imbarazzata. Sentii le guance tingersi di rosso, anche se, effettivamente, non potevo vedermi allo specchio per appurarlo.

Lui continuò a fissarmi, senza rispondere. Eppure, sul suo volto c'erano i segni del dolore, o della tristezza. Non sapevo decifrarli bene.

Presi ad avviarmi, evidentemente era tanto timido da non riuscire a dire nemmeno un “Non fa nulla”, oppure “Mi dispiace”, qualcosa, insomma. Qualunque cosa. Che tipo.

Presi ad avviarmi, quando una voce nuova mi bloccò.

-Serve una mano? - Era lui. Aveva una voce tanto melodiosa che mi fermai sul posto, incapace di voltarmi per guardarlo in viso.

-Ehm... In teoria, sì – risposi sincera. Potevo chiedergli semplicemente ciò che volevo sapere, e poi andar via, per la mia strada. Non vedevo nemmeno il suo amico Emmett nei paraggi.

Aggrottò le sopracciglia. - In teoria? Beh, vediamo se posso esserti utile -

-Mi servirebbe sapere quale autobus devo prendere per arrivare alla periferia della città -

Guardò per terra, come alla ricerca di qualcosa, e poi fissò qualche oggetto dietro di me. Sta di fatto che cercò di non incontrare mai i miei occhi. - Dovrebbe essere il numero diciannove -

Sospirai. - E sai dove posso andare a prenderlo? -

-Guarda, lì in fondo c'è la fermata. Dovrebbe passare ogni cinque minuti... E' una navetta -

Guardai dove mi aveva indicato. In effetti c'era la fermata, e c'era anche un bel po' di gente che aspettava. Adesso era fatta. Ed avevo chiesto le informazioni anche ad una persona a cui non avrei mai pensato di chiedere prima. Se ci fosse stato Emmett accanto a lui.

Vidi che stava arrivando proprio il numero 19 da lontano, così, cercai di avviarmi alla fermata.

Prima di correre via gli dissi – Grazie mille, sei stato molto gentile! - ed entrai nell'autobus proprio prima che l'autista chiudesse le porte.

Mentre ero accanto al finestrino, guardai di nuovo nella direzione dell'uscita, e lui era ancora lì, sotto la luce che lo illuminava da capo a piedi.

Sembrava stesse guardando nella mia direzione, ma non me ne curai abbastanza. Chi sa se lo avrei rivisto. La cosa non m'importava molto, dato che ormai ero diretta dove dovevo andare. Poco contava.

Il pullman si svuotò presto, e restai sola con tre persone.

Man mano che ci avvicinavamo alla periferia, vedevo come cambiavano le case attorno a me. Prima erano tutte belle, sfarzose, con grandi giardini, poi, poco dopo, divennero più modeste e piccole. Non avevo mai visto la casa di Angela, ma immaginai che fosse simile a quelle.

Nell'autobus assieme a me adesso restavano due donne – di sicuro due amiche – ed un ragazzo. Immaginai che anch'essi erano diretti in periferia, e un po' lo sperai, per non essere sola, all'arrivo.

Mentre ero intenta a guardare fuori, il ragazzo cambiò posto, sedendosi davanti a me.

Non avevo paura, poiché aveva un viso normale. Non da cattivo, insomma.

-Tutta sola? - disse, con voce che cercava vagamente di essere dolce. Non risposi, ed anche lui restò in silenzio.

Vidi sull'elenco delle fermata che la mia era la prossima. Non mi alzai subito, perchè non mi fidavo del tipo, ma mi avviai alle porte quando vidi il cartello dello stop da lontano.

Scesi dall'autobus senza guardare indietro, e camminai a testa alta verso la mia meta. Rosemary Park Numero 13. Mancava solo qualche numero e sarei arrivata.

Sentii dei passi dietro di me, e non riuscii a pensare a niente di coerente tranne che accelerare il passo, come se avessi fretta. Ed in effetti ne avevo. Ed anche tanta.

La strada era deserta.

Le ruote dell'unica valigia che mi ero portata per andare da Angela – l'unica perchè le altre sarebbero state consegnate direttamente nella stanza del mio dormitorio – rombavano sull'asfalto non esattamente liscio come degli schiocchi delle dita.

I passi dietro di me non demordevano, così cercai di accelerare il più possibile.

Improvvisamente i passi divennero più forti. Stava correndo. Stava correndo per venire a prendermi. Per derubarmi. Non sapevo cosa pensare.

Mi prese per un braccio, e mi bloccò accanto al muro che c'era alla mia destra. Adesso mi guardava negli occhi. Erano famelici e assetati. Volevano me... Il mio corpo.

Rabbrividì, cercando di pensare coerentemente, ma non riuscii a muovermi di un centimetro. Ero paralizzata, anche se la stretta del ragazzo non era forte.

-Hai fatto davvero male a non venire con un'amica – disse, e sul volto aveva un'espressione come se divertita, compiaciuta. - O meglio con un amico, così avrebbe potuto difenderti. -

Cominciò a ridere. Non una risata normale, ma una risata da schizzato, da malato. Da pazzo. Restai in silenzio e lo continuai a fissare, sempre incapace di fare un movimento.

Avvicinò il volto al mio, sospirando, ed io cercai di spostare la faccia.

-Dai, su, sarà bellissimo e non ti farai nulla, - disse con la voce rotta dalle risate.

Continuò ad avvicinarsi, e questa volta chiusi gli occhi, aspettandomi il peggio.

All'improvviso, sentii la stretta al braccio, allentarsi. Riaprii gli occhi, chiedendomi perchè avesse mollato la presa, con la paura che con quella mano potesse stringere da qualche altra parte... Trasalii. C'era qualcun altro.

La luce era fioca e non riuscivo a capire chi fosse. Capii solo che era un altro uomo, o forse un ragazzo. Stava picchiando il malvivente. Ma... ci vedevo bene, oppure era un sogno?

Qualcuno, qualcuno di buono era venuto a salvarmi. Pregai di non star sognando.

Il molestatore cadde a terra, una scia di sangue si fece sotto di lui, mentre lui continuava da ansimare e a urlare dal dolore.

Il ragazzo, era davanti a me e mi fissava. Non riuscii ancora a decifrare bene i suoi lineamenti.

Prese la mia valigia, aprì lo sportello posteriore dell'auto, e anche quello davanti.

-Entra! - mi intimò, e non riuscii a non declinare l'offerta.

Nella macchina c'era un forte calore.

Mi rannicchiai sul sediolino come una bambina, e guardai alla mia destra, vedendo tutte le case che sfrecciavano e diventavano solo una sfocatura incomprensibile. Forse ero io che ero scossa e le vedevo così. Trasalii pensando a quello che sarebbe potuto accadere.

Sospirai, di nuovo, e chiusi gli occhi.

Una voce attirò la mia attenzione. - Stai bene? - disse la voce, dolce più che mai. L'avevo già sentita da qualche parte.

-S- sì – risposi, con i brividi.

-Sicura? Sicura che non ti ha fatto nulla? Se vuoi posso portarti da un medico... - cominciò.

Mi raddrizzai sul sediolino e guardai davanti a me, cercando di ricompormi. - No, no, sto b-bene. Non mi ha neanche... - cercai di non ricordarlo. Volevo dire “non mi ha neanche provata a baciare”, e rabbrividii di nuovo al solo pensiero della morsa del molestatore.

Mi scese una lacrima da entrambe gli occhi, e dopo poco iniziai a non vederci più tanto bene. Le lacrime mi offuscavano la vista.

-Dai, calmati. E' stato meglio... - disse, colpendo il clacson con un pugno, tanto che risuonò nell'abitacolo. Sapevo il continuo della frase, ma non volevo pensarci su. Era meglio così.

Mi voltai verso il ragazzo, per guardarlo negli occhi e ringraziarlo.

Quando mi girai, mi venne un colpo. Anche nell'oscurità, riconobbi i capelli bronzei e gli occhi chiari. L'amico ancora senza nome di Emmett. Da solo.

-Oh, tu... - cercai di dire, senza parole e imbarazzata come poco prima, quando gli avevo chiesto le informazioni sull'autobus.

-Io - disse, sorridendo. Forse lo faceva solo per calmarmi.

-Ma... Come hai fatto a trovarmi? Non c'era nessuno... -

Lo vidi un po' in difficoltà. - Vedi, io abito qui vicino... Non nella periferia, ma quasi. Avevo appena accompagnato mio fratello a casa, e stavo tornando indietro, perchè avevo dimenticato una cosa... E poi. Poi sai cosa è successo -

Abbassai gli occhi. Beh, almeno era stato carino a non lasciarmi lì...

Gli chiesi, come mio solito, i particolari stupidi della questione. - Tuo fratello, hai detto? -

Mi guardò incuriosito, sempre sorridente. - Sì, Emmett... E' mio fratello. -

Restai sbalordita. Sembravano così diversi... Sia d'aspetto, sia di carattere. Lui sembrava più... Riservato, timido. Ma anche indifferente. Almeno all'aeroporto era così. Se fosse stato totalmente indifferente, a quest'ora...

-Ah. -

-Stupido, vero? - mi chiese.

-Già, molto stupido... Non... Mi sembravate fratelli... -

-Niente è ciò che sembra. - Rispose, e ad un tratto si fece più serio.

Sospirai, e poi risposi – Hai ragione. Anche i ragazzi dalla faccia d'angelo nascondono brutti segreti – dissi, rabbrividendo nel ricordare il ragazzo di poco prima.

Il ragazzo si voltò, e guardò dritto davanti a sé. Notai che corrugò le sopracciglia. Forse lo preoccupava qualcosa, o forse stava solo pensando a quello che stava per succedere poco fa.

Poi sospirò anche lui – Allora, dove devi andare? -

-A Rosemary Park... Al numero 13 - dissi a bassa voce.

-Allora non manca molto... Ti accompagno -

Mise subito in moto, e partì, senza aggiungere altro.

Fu davvero un breve tragitto, aveva già guidato più o meno fin lì quando eravamo andati via dal malvivente. La casa non era distante.

-Beh, eccoci qui... Penso che sia questa la casa giusta – disse, con tono indifferente.

Guardai fuori. Era il numero 13. - Sì, esatto. -

-Addio, allora – rispose, sempre con tono distaccato, noncurante.

Lo guardai negli occhi. Era davvero un addio? Forse sì. Nessuno poteva sapere se ci fossimo rivisti, quando sarei andata a New Heaven. Però era davvero triste sentire quella parola...

-Ciao... - gli risposi, facendogli capire che se ci fossimo rivisti mi avrebbe fatto piacere – e grazie. Non so cosa dire. -

-Non devi dire nulla -

-Grazie... ? - non era un'affermazione, ma con questa domanda intendevo dire non esplicitamente “il tuo nome?”.

-Non credo che sia un particolare saliente – rispose, nuovamente gelido.

Perchè non voleva dirmi il suo nome? Ci conoscevamo da troppo poco per presentarci? Non riuscivo proprio a capirlo. Era un libro chiuso con il lucchetto. Ma era stata buttata via la chiave.

-Per me lo è... E' un segno di riconoscimento – dissi, per provocarlo.

Non rispose, ma continuò a fissare la strada davanti a se, con volto inespressivo.

Passarono due o tre minuti, ma restò in silenzio. Non so perchè ancora aspettassi lì, quando potevo semplicemente salutarlo ed uscire dall'auto.

Non ero stanca, e per di più, affamata? Non volevo rivedere la mia amica? Allora perchè restavo lì? Cosa mi tratteneva?

-Beh, allora grazie. E buona fortuna per ciò che devi fare qui... -

-Grazie – rispose semplicemente, voltandosi e guardandomi negli occhi.

Aprii lo sportello dell'auto, ed uscii. Lo aprii anche lui, e fu in fretta al mio fianco per aprire anche lo sportello della porta di dietro per prendere la mia valigia.

Gli sorrisi quando me la porse, ma lui resto impassibile, privo di emozioni.

Tornò in macchina, e quando radunai tutte le valigie attorno a me, mise in moto, senza nemmeno salutare. Troppo, troppo riservato.

Possibile che non riuscisse nemmeno a dire un “ciao”? Che strano.

Mi voltai verso la casa, e notai che c'era qualcuno alla finestra. Quel qualcuno venne ad aprirmi e mi corse incontro.

-Oh, Bella, da quanto tempo! - disse Angela, tutta eccitata.

Stavo quasi soffocando perchè mi stringeva stretta, ma dopotutto ero felice di vederla.

-Ciao, Angie... -

Si allontanò per vedermi, e mi squadrò dalla testa ai piedi con aria stupita. - Come sei cambiata! Sei molto, molto più carina! -

Arrossii, e di certo non fui d'accordo con lei. Io ero passabile, ma non assolutamente carina. Ero normale, e non ero niente di speciale. - Ehm, grazie, - risposi, per non offenderla. Altrimenti avrebbe ricominciato a dire che non era vero e roba varia.

Mi prese per un braccio e mi trascinò all'interno, dove rividi i suoi genitori e anche il suo piccolo fratellino, Mikey. Com'era carino, anche se era una peste!

Angela mi portò di sopra, dove mi mostrò il mio letto.

Avevamo in pratica la sua stanza da dividere, per quella notte prima di andare a New Heaven, ma poteva bastare. Era già tanto che fossi arrivata lì senza troppi intoppi.

Poggiai le valigie ai piedi del letto, e mi spinsi subito all'indietro, stanca del viaggio.

Angela si sedette sul letto di fronte al mio. - Beh, allora tutto bene il viaggio? Mi dispiace tanto di non essere potuta venire... - si scusò.

-Benissimo, grazie – mentii. Non volevo farla sentire in colpa per la faccenda del pervertito.

-Ci credo! -

Ero confusa. A cosa si riferiva? - Scusa? Non ti seguo. -

-Bella, ma come? Ti ha accompagnata qui quel bel ragazzo! -

Ah. Si riferiva al fratello di Emmett – purtroppo il signorino si stancava di dirmi il suo nome e allora posso solo chiamarlo così – il pallido e freddo ragazzo. Chi sa poi come aveva fatto a vederlo nell'oscurità.

-Sì, lui – risposi fredda, noncurante.

Angela fece una faccia sbalordita. - Bella? Cos'è quella faccia? Sembra che non ti abbia fatto piacere stare con lui -

-Guarda, non so nemmeno chi sia. Suo fratello ha iniziato a parlarmi sul volo e non la smetteva più. Poi lui... Vabbè, mi ha aiutata a trovare la tua casa perchè non sapevo dov'era -

Non dovevo dirle del maniaco. - Oh, capisco. Vabbè, sarà per un'altra volta – disse, sorridendo.

Sì, come no. Non penso davvero che ci sarà, da come mi ha salutata. Non vedeva l'ora di andar via.” Dissi nella mia mente. Sbadigliai.

-Bella, sarai stanca... Penso tu debba dormire – mi disse Angela, ed in effetti, quella era la cosa che mi premeva di più fare quella sera. Dormire e dimenticare.

Mi cambiai in fretta e mi misi sotto le coperte, cercando di dormire. Non ci riuscii molto, perchè, molto stranamente, mi chiedevo ancora quale fosse il nome del ragazzo. Perchè? Non ne avevo idea. Chissà se l'avrei mai scoperto. Chi sa se l'avrei rivisto di nuovo.

Nella mia testa, sperai di sì.

 

 

 

 

 

 

Salve, come va? Son sempre io... Mi è venuta l'ispirazione per una nuova storia, ed eccomi qui. L'ho quasi finita di scrivere e sono contenta del risultato.

Beh, penso che abbiate capito chi sia il ragazzo dell'aeroporto, assieme ad Emmett... no?

Nei prossimo capitoli, comunque, verrà rivelata la sua identità.

Spero che commenterete, vi voglio bene ^^

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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