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Autore: KaterinaVipera    13/10/2014    2 recensioni
Rileggendo le due storie mi sono resa conto di non aver spiegato bene alcuni punti, creando, forse, delle lacune o dei punti poco chiari.
Così ho deciso di scrivere alcune one-shot per spiegare meglio la storia e tutto quello che è intercorso tra i personaggi principali delle ff ''Grazie a lei'' e ''La Gemma dell'Anima'': Cat e Loki.
Sono solo brevi capitoli che inserirò in ordine temporale e specificherò quando si ambientano.
ENJOY!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache dei Nove Regni'
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Sarebbe voluto uscire da casa dell'umana quasi a corsa, invece tutto quello che le sue gambe furono in grado di fare fu trascinarlo lentamente, ancora debole e malconcio, fuori dall'abitazione senza saper dove andare, dal momento in cui non aveva la più pallida idea di dove si trovasse.
Che fosse precipitato su Midgard, ormai, era cosa chiara e purtroppo non poteva farci niente ma la cosa che veramente lo irritò fu scoprire di essere arrivato in una cittadina di mare.

Dannazione!

Non poteva ritrovarsi in una regione in mezzo alle montagne, fredda e, possibilmente desolata, invece che in un luogo caldo ed afoso come quello?
Continuava ad aggirarsi per il quartiere senza una meta, ripensando ossessivamente a ciò che era accaduto solo poche ore addietro.
Era stato esiliato da Thor, per aver cercato di distruggere un pianeta. Che assurdità! Lui che era stato il primo a volere la distruzione di Jötunheimr, adesso era rinsavito tutto insieme per decidere di esiliarlo sulla Terra.
Strinse i pugni e contrasse ogni singolo muscolo in un moto di rabbia, al pensiero di quanto suo fratello gli aveva detto: era stato accusato di tradimento, di cospirazione contro il sovrano e della tentata distruzione di un intero popolo e per questo bandito.
Strinse ancora di più i pugni finché le nocche non gli divennero bianche ma dovette rilassarsi all'istante dal momento in cui sentiva ancora dolore su gran parte del corpo; dolore accentuato dall'urto con un signore che non lo aveva visto, troppo occupato a trafficare con il suo palmare, e che gli era andato praticamente addosso, facendo si che, sul viso del Dio si disegnasse una smorfia di sofferenza abbastanza evidente tanto da farlo, anche se in maniera impercettibile, mugolare.
Se Loki, in quel momento, avesse avuto suoi poteri su per compiere magie complesse, lo avrebbe sicuramente trasformato in un piccolo ed insignificante mucchio di cenere ma era già tanto che riuscisse ancora a stare in piedi, senza crollare come un miserabile.
Quello che gli serviva era un posto sicuro dove potersi nascondere e curare le ferite e, una volta ripresosi, pensare al suo piano di vendetta, perché nonostante muovere un passo gli costasse fatica, stava già premeditando la sua rivincita e sapeva, di già, che sarebbe stata totalizzante.
Non dovette camminare a lungo per trovare quel che cercava; non lontano da dove aveva conosciuto quell'umana, trovò un appartamento che, come diceva il cartello rbianco piantato nel cortile, era stato messo in vendita. Si accertò che nessuno lo vedesse, estrasse il cartello ed esercitando la poca forza che gli era rimasta, riuscì ad aprire la porta per poi entrarvi dentro richiudendosela alle sue spalle.
La fortuna fu dalla sua parte quando, salendo lentamente le scale che conducevano al piano superiore, trovò in una stanza un vecchio e logoro materasso gettato da una parte. Non era molto e, sicuramente, non era niente rispetto a quello a cui era abituato ma, vista la situazione in cui si trovava, dovette accontentarsi di quello che la sorte gli concedeva dato che, per adesso, non gli aveva arriso poi molto.
Si sfilò la maglietta nera che aveva stampato sopra l'immagine di un angelo riverso sopra una tomba, cercando si studiare le sue condizioni: gli ematomi viola risaltavano, macabri, sul pallore della sua pelle ed alcune ferite non si erano ancora del tutto risanate. Evitò di controllarsi la zona del viso dato che, a quella, ci aveva già pensato quella ragazza che aveva tanto insistito per aiutarlo. Si dette del debole per essersi lasciato convincere a farsi aiutare nonostante le avesse fatto capire che non gli serviva. O meglio, gli serviva ma non lo voleva da una ragazzina midgardiana. Aveva accettato, chissà perché, poi, immaginando ancor prima che ne avesse le prove che quella creatura sarebbe stata solo una gran seccatura e la sua rovina.

Maledetta ragazzina. Continuava a maledirla per averlo fatto sentire uno sciocco e un debole, per avergli fatto perdere la lucidità ed il controllo dei suoi pensieri; avrebbe continuato a maledirla finché gli sarebbero rimaste le forze.

Mi distruggerai, mi distruggerai. E ti maledirò finché avrò vita e fiato.1

In fondo era già stata la sua rovina. Si, lei lo aveva portato in casa e lo aveva curato senza chiedergli nulla, con la sola intenzione di essergli utile – strano, perché con lui tutti avevano uno scopo – e per questo avrebbe dovuto esserle almeno in parte grato ma quando l'aveva guardata con più attenzione, aveva provato una sensazione senza nome e senza precedenti, che quasi la trovò irritante. Lui, sempre così composto ed altero, immune da qualsiasi cosa lo potesse abbassare al livello degli altri, specialmente se era a livello degli umani, si era trovato spiazzato davanti alla gentilezza che gli aveva usato ed allo sguardo dispiaciuto che gli aveva rivolto.
Sembrava che fosse sinceramente dispiaciuta per la sua sorte e per non poter fare di più per lui. Ma com'era possibile? Non lo conosceva. Se lo avesse conosciuto o se avesse conosciuto le sue vere intenzioni, avrebbe sicuramente cambiato atteggiamento. No che a Loki importasse cosa la terrestre pensasse di lui.
Si gettò con fare molto goffo sul materasso polveroso, alzando altrettanta polvere tanto da farlo tossire e maledire qualsiasi cosa fosse umana, cadendo, quasi all'istante, in un sonno profondo e terribilmente oscuro.

 

Si svegliò solo molto tempo dopo. Non sapeva dire con esattezza quanto avesse dormito ma, certamente, doveva essere passato più di un giorno.
Il sole non era ancora a metà del suo percorso e quando era entrato in quell'appartamento era pomeriggio inoltrato.
Aprì gli occhi, facendo mente locale alla svelta, venendo aggredito dagli ultimi violenti e odiosi ricordi. Gli doleva la testa ma, se non altro, gli altri dolori sembravano essersi attenuati ed alcuni addirittura spariti.
Si alzò col busto, guardandosi intorno e provando disgusto per quell'arredamento così scabro e privo di gusto che caratterizzava quella stanza spoglia.
Gli ci volle più del solito per rimettersi in piedi, ancora un po' indolenzito e sicuramente assonnato.
Poi un rumore ovattato, simile ad un gorgoglio, colpì la sua attenzione. Era il suo stomaco. Aveva fame. Scese al piano di sotto per cercare qualcosa da mettere sotto i denti ma in ogni ripiano della dispensa trovò solo una quantità incalcolabile di polvere e nulla più.
Così, anche se controvoglia, fu costretto ad uscire in quella seccante cittadina, brulicante di moleste persone. Camminò fino a che non gli parve di trovare quel che cercava. Era una specie di bancarella su quattro ruote e l'uomo che sembrava il proprietario stava trafficando con del cibo su di una piastra.
L'odore arrivò fino al Dio che, quasi senza accorgersene, si avvicinò spinto dalla fame che gli stava attanagliando lo stomaco.

“Ehi, amico!”esclamò l'uomo dall'altra parte del carretto, continuando a rigirare quel pezzo di carne, il tono della voce eccessivamente alto tipico dei mercanti.

Amico a chi? Chi si crede di essere?

Ogni tentativo di protesta da parte di Loki venne fatta tacere da un nuovo brontolio allo stomaco.

“Voglio mangiare.” si limitò a dire, il tono imperioso ed impaziente.

L'altro lo guardò un attimo, perplesso, prima di sorridergli cordiale e dire “Non ti preoccupare, ci penso io.” e così dicendo iniziò a trafficare con due fette di pane e delle salse dal colore poco invitante.
Nel giro di un paio di minuti Loki aveva tra le mani il suo pasto che gli era costato una serie di insulti e minacce per averlo preso senza pagare. Nonostante il suo aspetto misero doveva ammettere che non era poi affatto male, dopotutto era pur sempre qualcosa di commestibile che mangiava da diverso tempo.
Si ritrovò a camminare per un lungo viale alberato, dove tantissime altre persone stavano affollando il suo stesso tragitto impedendogli di camminare in modo lineare. Odiava tutta quella confusione, tutte quelle persone che involontariamente si scontravano con lui e quel senso di soffocamento causato dalla temperatura elevata del luogo.
Alla fine della lunga strada alberata si trovò di fronte ad una distesa immensa d'acqua, placida e – doveva ammetterlo – profumata. Quell'aria salmastra che si attaccava alla pelle e che invadeva le narici.
In quel momento iniziò a soffiare un leggero vento che trasportava con se quell'odore non tanto sgradevole e donava un sollievo tanto agognato dal Dio. Chiuse gli occhi per un momento, respirando a pieni polmoni quell'aria così nuova, beando i suoi sensi dell'aria di mare, rimanendo però sempre vigile su quello che lo circondava.
La sua attenzione, però, fu presto catturata da una voce che gli giunse alle spalle e che sembrava averla già sentita; la risata che ne seguì dopo gli dette la conferma.
Aveva già sentito quella risata ma la cosa che veramente lo sorprese fu il fatto di averla riconosciuta.
Si voltò, immaginando chi fosse la proprietaria.
Con sua sorpresa vide la mortale che lo aveva soccorso il giorno precedente, in compagnia di un'altra umana, una ragazza della stessa età, più alta della compagna, bionda e decisamente magra, mentre passeggiavano insieme, parlando e ridendo tra loro.
La ragazza dai lunghi capelli castani indossava un abito corto, che le lasciava le gambe scoperte e le ricadeva di lato, lasciando intravedere la pelle olivastra della spalla destra. Teneva stretto a se, all'altezza del cuore, un libro come se fosse uno oggetto prezioso e lo custodisse gelosamente. Erano poco lontane da lui e potette udire di cosa stavano parlando.

“Ma sei pazza ad aver fatto entrare uno sconosciuto in casa mentre eri sola?!” sbraitò infervorata la ragazza bionda che le camminava accanto, cercando di non far cadere la borsa che teneva sulla spalla.

“Aveva bisogno di aiuto, non potevo lasciarlo lì.” constatò, senza sentire il bisogno di giustificarsi con l'amica.

Stavano parlando di lui, ne era sicuro.

Decise di seguirle, spinto dalla solita sensazione che aveva provato la prima volta che i suoi occhi di giada si erano posati sulla mortale.
Ma che cosa gli aveva fatto per farlo comportare in quel modo?
Sapeva cosa spingeva un uomo a seguire una donna; quante volte gli era toccato sorbire i racconti di Thor che gli narrava delle fanciulle che aveva sedotto? Tante per essere contate e ricordate. E tutte le volte si prometteva che non avrebbe fatto il suo stesso errore, evitando così di affrontarli.

Sento i sentimenti miei, che non ho sentito mai, l'onda che non affrontai.1

Ma adesso non riusciva a fare a meno di seguirla, spinto da uno strano desiderio a cui però non voleva dare un nome perché, ancora, il suo cuore freddo come l'inverno perenne di Jötunheimr non voleva ammettere.
Anche nei giorni successivi, continuò a ripetersi che la stava seguendo solo per capire se la poteva usare per i suoi piani, magari come uno dei tanti soggiogati che aveva irretito con la sua magia, ma la verità era che era stranamente incuriosito da quella ragazzina e voleva capire cos'era quell'agitazione alla bocca dello stomaco che gli prendeva ogni volta che la vedeva. Doveva capire cosa gli fosse preso, se si fosse ammalato nel suo corpo mortale o se quello fosse solo un brutto sogno o un tiro mancino giocatogli dal fato.

Io non so più cosa sono. E se ragiono o se sogno.1

Accadde un giorno, mentre il sole iniziava la sua discesa e tingeva il cielo di fuoco, la temperatura più alta del normale.
Aveva passato tutto il giorno ad ultimare il suo piano di conquista e si era deciso ad uscire, non tanto perché gli piacesse quel posto ma perché dentro a quelle squallide quattro mura si sentiva soffocare, come un animale in gabbia.
Percorse lo stesso viale che, ormai, da giorni sondava quotidianamente. Dentro di se continuava a ripetersi che lo faceva solo perché non c'era altro luogo in cui poteva schiarirsi le idee e fare lunghe e solitarie passeggiate come quelle che faceva nei giardini o nei boschi ad Asgard.
Ma, la verità, era che in tutto quel fluire frenetico di persone, ne cercava una in particolare; una persona che non riusciva a togliersi dalla mente. E quel pensiero fisso lo avrebbe fatto impazzire, lo avrebbe distrutto.

Tu mi hai gettato nell'abisso di un pensiero fisso. Tu mi distruggerai, mi distruggerai. Mi distruggerai.1

Aveva impiegato solo un paio di giorni a capire le abitudini giornaliere dell'umana che, puntualmente, attraversava la via verso il tramonto di ritorno dalla biblioteca ogni volta con un libro diverso stretto a se. La vide, da sola, l'aria stanca ma serena, con una tracolla pesante sulla spalla, mentre si avviava verso casa. Indossava degli stivaletti neri, bassi, le stringhe troppo lunghe legate intorno alla caviglia, dei pantaloncini corti, i fili scuciti dell'orlo che si muovevano al vento ed una canottiera che le lasciava parte della pancia scoperta. Aveva le cuffie e non si accorse che una ragazza ed un ragazzo le stavano andando dietro, cercando di non farsene accorgere. Quando le furono abbastanza vicini, la ragazza bionda le coprì gli occhi con le mani, facendola fermare all'istante.

“Mary, so che sei tu.” fece una breve pausa durante la quale si tolse le mani dagli occhi. “Ti riconoscerei ovunque.” puntualizzò voltandosi verso i suoi amici.

“Ma così non c'è gusto!” si lamento bonariamente l'altra, fingendosi offesa.

“Dove stavate andando?” domandò Cat, rivolta ai due fratelli.

“Jake ed io volevamo andare a mangiare da Joe, ti unisci a noi?”

“Non posso, avrei da studiare ed anche tu.” le consigliò sorridendole, sapendo come sarebbe andata a finire. Ed infatti, come prevedeva, Mary sbuffò alzando gli occhi al cielo.

“Dai, Cat, non fare la secchiona ed esci.” scherzò Jake.

“Cosa?! Io non sono secchiona.” si difese, dando una spallata giocosa a Jake, non spostandolo di un millimetro, facendolo sorridere.

“Dai, vieni con noi, per favore!” insistette Mary, le mani giunte a mo' di preghiera, per cercare di convincere l'amica.

“Okay, va bene. Verrò.” sentenziò alla fine, non potendo più resistere allo sguardo che le stava rivolgendo la bionda. Anche se, in verità, le faceva piacere passare del tempo con i suoi amici.

La ragazza bionda le cinse la vita con un braccio, continuando a camminare tutti e tre uno di fianco all'altra, mentre il viale, piano piano si stava svuotando facilitando il cammino.

“Hai più rivisto il tizio dell'altro giorno?” domandò a bruciapelo Jake, informato dell'accaduto dalla sorella, tra il curioso ed il preoccupato.

“No, a dire il vero non l'ho più visto.” rispose Cat, soffermandosi sulla stranezza della cosa.

“Beh, meglio così. Poteva essere pericoloso.” proseguì il ragazzo, il tono della voce premuroso come se stesse parlando con un'altra sorella, ribadendo sempre la stessa cosa.

“No, io non credo che fosse un uomo pericoloso.” anche Cat, insisteva sempre sullo stesso punto: era convinta di aver fatto la cosa giusta e non sentiva neanche il bisogno di giustificarsi con nessuno mentre i due fratelli si ostinavano a dire che aveva corso un grosso rischio.

“Ma almeno era carino?” si intromise Mary, curiosa ed un poco civettuola come suo solito.

Cat si prese del tempo per pensarci ed in mente le si proiettò l'immagine del suo viso, all'inizio le era sembrato abbacchiato e ferito, terribilmente solo, ma appena lo aveva finito di medicare i lineamenti del viso erano cambiati radicalmente, diventando terribilmente duri ed austeri, con quello sguardo glaciale e penetrante.
Si ritrovò a guardare per terra e ad arrossire impercettibilmente.

“Si.. no.. cioè, era un tipo..” balbettò, non riuscendo a trovare le parole giuste ma l'amica aveva già capito e le venne da sorridere.

“Capito: lo trovi carino.” rispose per lei la bionda.

“Si, si è così.” ammise alla fine, dopo un lungo momento di silenzio, sapendo che non poteva nascondere nulla all'altra ragazza, sorridendo al vuoto mentre ripensava al ragazzo che aveva conosciuto.

Loki, in tutto quel tempo, aveva seguito i tre ragazzi sotto le sembianze di un'altra persona ed aveva sentito tutta la loro conversazione. Quella ragazza lo trovava carino. Carino? Ma lo aveva scambiato per un cucciolo di lupo per essere considerato tale?!
Non sapeva se esserne offeso o lusingato.
Comunque, capì che ne voleva sapere di più sulla creatura mortale e c'era solo un modo per capire che cosa gli stesse succedendo. Doveva mantenere la sua parola.

Era giunto il momento di riprendersi quella maglietta.

 





 

- Angolino dell'autrice-

Salve... si, sono di nuovo io e no, non mi sono scordata di voi, non potrei mai.. :*
Sono tornata con le avventure di Cat e Loki, in attesa del seguito de ''La Gemma dell'Anima'', spero che vi piacciano e che apprezziate. Questo primo capitolo si inserisce tra il primo incontro tra Loki e Cat ed il secondo in cui il Dio va a riprendersi ciò che gli appartiene.

 

PS: per chi segue anche l'altra mia storia (La Nipote dello zio) sappiate che è ancora in corso e che non me ne sono dimenticata, ho avuto solo parecchi imprevisti che mi hanno fatto rimanere indietro. Riprenderò il prima possibile.

 

NOTE:

1 Mi distruggerai, Frollo, Notre Dame de Paris;

Besos :*

  
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