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Autore: yuko_ichi    13/10/2014    2 recensioni
Ormai sono le 7:30.
La luce si sta intensificando, filtra dalle persiane e riesco a distinguere i riflessi scuri dei suoi occhi.
Lo guardo.
È sdraiato sul letto, il suo letto, e ha una maglietta al contrario.
Mi rinfilo le scarpe, le allaccio, passo una mano tra i capelli biondi e li arruffo ancora di più. Poi prendo una delle sue sigarette, ne do una anche a lui. Accendo la mia, la sua. Mi siedo sul bordo del letto e avvicino le ginocchia al petto, mi raggomitolo su me stesso e sento il suo odore su di me, mi coccolo con gli occhi chiusi, fra un tiro e l’altro e sento la stanchezza, la pesantezza del mio corpo, ammorbidito dalle sue carezze.
Lo guardo.
Ha gli occhi cerchiati e non sta pensando a niente, come me. Forse diciamo qualcosa, forse gli dico che in quel momento è bellissimo, ma non sento realmente la mia e la sua voce. Sono concentrato su qualcos’altro.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Note:
 
Questa… cosa,  l’ho scritta un secolo e mezzo fa… e si vede…
Quando ancora Naruto e Sasuke non facevano parte della mia vita.
Poi l’altro giorno l’ho ritrovata nei meandri del mio computer e mi sono detta: perché non riadattarla?
All’epoca era stata un regalo, ma sono sicura che la persona in questione, che comunque non lo verrà mai a sapere, non se ne vorrà.
Invece ho deciso di regalarla ai mie beniamini dell’ultimo anno, ossia i miei adorati lettori che mi riempiono di gioia con le loro recensioni e che stanno sopportando stoicamente il mio brutale ritardo nel continuare la fic lasciata in sospeso…
Ma sto lavorando per voi, non vi preoccupate, anche se ad un’altra cosa ancora in questo momento… ma giuro che finirò tutto quello che ho iniziato!
Inoltre mi sono accorta che un tempo ero abituata a scrivere con emozioni diverse e mi è piaciuto riuscire ad attribuire anche queste a Sasuke e Naruto…
Quindi, ecco a voi questo vecchio racconto, spero lo apprezzerete,
a presto,
 
Yuko

 

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La menzogna e la leggerezza

 


 
Ormai sono le 7:30.
La luce si sta intensificando, filtra dalle persiane e riesco a distinguere i riflessi scuri dei suoi occhi.
Lo guardo.
È sdraiato sul letto, il suo letto, e ha una maglietta al contrario.
Mi rinfilo le scarpe, le allaccio, passo una mano tra i capelli biondi e li arruffo ancora di più. Poi prendo una delle sue sigarette, ne do una anche a lui. Accendo la mia, la sua. Mi siedo sul bordo del letto e avvicino le ginocchia al petto, mi raggomitolo su me stesso e sento il suo odore su di me, mi coccolo con gli occhi chiusi, fra un tiro e l’altro e sento la stanchezza, la pesantezza del mio corpo, ammorbidito dalle sue carezze.
Lo guardo.
Ha gli occhi cerchiati e non sta pensando a niente, come me. Forse diciamo qualcosa, forse gli dico che in quel momento è bellissimo, ma non sento realmente la mia e la sua voce. Sono concentrato su qualcos’altro. La sigaretta mi nausea, ho bevuto troppo, non tocco cibo da almeno diciotto ore e sono tre giorni che non dormo una notte intera. È arrivato il caldo, sono stanco e attendo ciò che mi occuperà il ventre per qualche tempo, liberandomi da ogni stimolo fisico.
Non penso a niente, ho la mente svuotata e quando chiudo gli occhi arrivano all’improvviso. Emozioni.
 
Sono stato un po’ folle stasera. Lui non mi ha quasi mai parlato. C’era un amico del suo ex, ubriaco, che ha catturato tutta la sua attenzione.
Suigetsu mi ha chiesto se mi dava fastidio. Ho risposto di no, non sopportavo quel suo sguardo malizioso. Non mi ha creduto.
Geloso? E come si può avere paura di perdere qualcosa che non si possiede?
Sono le 4:00, se ne sono andati tutti. Mi saluta con un cenno, accompagna Suigetsu che abita lì vicino. Sono terribilmente infastidito.
Non è il mio ragazzo. Nessuna promessa. Nessun accordo. Nessun pensiero. Solo qualcosa che a volte ci spinge l’uno verso l’altro.
Entro in macchina, mi accendo una sigaretta, poggio le mani sul volante e senza neanche pensarci metto in moto. Arrivo dietro casa di Sui e vedo la macchina che mi passa davanti e si ferma. Spengo i fari, il motore. Sono in un punto da cui non mi possono vedere. Restano in macchina per dieci minuti, poi sento il rumore della portiera. Parte. Lo seguo. Lampeggio ma non se ne accorge. C’è un semaforo, è rosso, ma diventa subito verde. Sfortuna. Ce ne è ancora uno, lo vedo da lontano, è verde. Spero con tutto me stesso che diventi rosso all’istante e il mondo è un po’ dalla mia parte perché sembra mi abbia ascoltato. Mi accosto alla sua destra. Abbasso il finestrino. Lo guardo. Lui si gira, stupito. Mi guarda. Abbassa il finestrino.
-Andiamo a prendere un caffè insieme?
Annuisco.
-Ti seguo io o mi segui tu?- dice.
-Ti seguo io,- rispondo.
Dopo due minuti accosta e scende. Viene verso di me.
-Non ci sono bar aperti su questa strada!
-Io non vado a casa senza un bacio,- rispondo.
Lui sorride, si china e mi bacia attraverso il finestrino.
-Ma non ci si può fermare in mezzo alla strada, bloccando il traffico, per baciarsi...- dice, -vieni a prendere un caffè da me?
-Va bene…
-Allora ci vediamo sotto casa mia.
Torna alla sua macchina e riparte. La strada a quest’ora non dura più di cinque minuti.
Parcheggiamo. L’alba sta arrivando, sono le 4:30 e il cielo non è più blu scuro.
Saliamo per un corridoio stretto, una lieve sensazione di disagio e claustrofobia, o forse è solamente la casa vecchia, che ricorda storie lontane. Andiamo nella sua camera, chiude la porta, mette la musica, si stende sul letto. Io sono in mezzo alla stanza e d’improvviso mi rendo conto che sono a casa sua, nella sua stanza, e che sto per infilarmi nel suo letto. Mi metto a ridere e mi chiede che c’è.
-Niente,- rispondo.
E come spiegargli che appena ieri sera ho parlato per ore con Sakura, la mia migliore amica, dicendole che mi piace molto, ma poiché non ho alcuna sicurezza, non voglio rischiare di soffrire?
 
Lo guardo.
Chissà che starà pensando? Mi dice che l’ho pedinato.
-Sarei un ottimo investigatore privato,- rispondo, nel mio modo un po’ tronfio.
Sorride in quel suo modo strano, sollevando solo un po’ un lato della bocca.
-Ma non dovevi offrirmi un caffè?- chiedo, lui mi guarda.
-Ma lo vuoi davvero?
Rido.
Una stanza piena di vecchie videocassette, dvd, locandine di film e troppe spie luminose, il televisore, la telecamera, lo stereo.
-Come fai a dormire con tutte queste luci?- domando.
Lui spegne la lampada e rimangono solo questi piccoli bagliori rossi e verdi, mentre dalle persiane striscia un po’ di chiarore.
Sono in piedi, accanto al letto, gioco con la mia ombra che si riflette sul muro. Mi prende per un braccio e mi trascina verso di sé.
Il suo letto mi piace, comodo, rosso scuro, su un piano rialzato rispetto al resto della stanza, un letto tradizionale giapponese.
Sono le 5:15.
Ciak.
Se io sono uno scrittore perché penso come uno scrittore, perché guardo il mondo ricercando le immagini, le emozioni che si nascondono all’ombra della parola scritta e cerco di vivere la mia vita scrivendola pezzo per pezzo, sforzandomi di mantenerla sotto controllo cosciente, tentando di capire i piani del destino, lui è un regista, che guarda il mondo attraverso le sue inquadrature, cercando sempre quella migliore, donando alla sua vita un tocco di finzione e commedia da cui non sa sfuggire.
Lo guardo.
Sono immerso nella strana sensazione di essere lo sceneggiatore, lui il regista. Dalla finzione alla realtà.
Siamo stesi sul letto. Ha una passione per il mio collo. A poco a poco comincia a spogliarmi, la maglietta arancione, i pantaloni. Gli levo la maglia. Il suo corpo sul mio corpo. Il suo odore dolce che si mischia col mio. Mi accarezza e mi avvolge, mentre l’alba si infila dalle persiane e i contorni si fanno più chiari. La luce avanza sui corpi di questi amanti improvvisati, accompagnandone la scoperta.
Barriere sovrapposte, muri innalzati per proteggere non so più neanche cosa, che si spostano, si aprono, con dolcezza. Il mio corpo risponde al suo corpo. Eppure so, con immenso disappunto, che quello che ho detto ieri a Sakura è ancora vero. So che ci sono troppi fantasmi nella sua testa e che quando mi dice che sono il primo ragazzo che entra in quel letto, perché lo ha comprato dopo che il suo ex se ne è andato, sta pensando a lui e chiude gli occhi per buttarmi fuori, mentre mi bacia e gioca col mio corpo. So che ci sono troppi pensieri nella mia testa, troppe paure, troppi luoghi che voglio restino solitari. E mentre i vestiti volano ai piedi del letto e ogni cosa si scioglie, il cuore cessa il suo battito per un istante.
 
Sono le 7:15.
Ho sonno, sono stanco e ho il corpo ammorbidito e indolenzito. È ora di tornare a casa. Mi comincio a vestire e lui mi ferma, mi morde. Dice che ha dei problemi con gli inizi ma che poi non si fermerebbe mai. Rido. Quando sono con lui rido sempre. È il nostro teatrino della conflittualità.
Il giorno prima siamo rimasti fuori fino alle 6:00. Mi ha stupito.
Il suo migliore amico è il mio migliore amico e ogni tanto, di sera, li raggiungo in un locale gay dove vanno sempre. Ci salutiamo, ma non so mai se succederà qualcosa o se ci ignoreremo. Però, ieri, quando sono arrivato, ed era una settimana che non ci vedevamo, era seduto ad un tavolo, e quando mi sono avvicinato a lui, ha aperto le braccia e mi ha tirato verso di sé dandomi un bacio e facendomi sedere sulle sue gambe. Non me lo aspettavo.
Durante la sera si è venuto a sedere vicino a me, ha detto che dovevamo parlare. Mi è preso un colpo, come quando un giorno mi ha risposto chiamandomi amore ed io sono sbiancato. Piccole parole, gesti, frasi spezzate, che un amico può dire per gioco, un amante per sentimento; ma che significato assumono se a dirle non è né un amante, né un amico?
-E di che dovremmo parlare?- gli ho chiesto.
-Del teatrino della conflittualità,- ha detto, del fatto che ci divertiamo ad essere sempre di idee opposte e a non trovarci mai d’accordo su nulla, -se non si fa il teatrino della conflittualità, che cosa si fa?
-Non si fa niente,- ho risposto, istintivamente, e mentre lo dicevo mi pentivo di averlo fatto, perché ero stato duro, freddo e scostante, perché forse avrei dovuto cogliere quell’attimo di apertura che aveva avuto.
 
A giugno dell’anno scorso abbiamo avuto una piccola storia. Ma lui stava con un altro ed io non lo avevo capito. Mi piaceva molto, stavo bene con lui.
In quel periodo ero alla ricerca di un amore, avevo vissuto all’estero per un po’ ed ero tornato pensando che avrei incontrato qualcuno.
Me lo ha presentato Suigetsu perché voleva che avessi una storia, diceva che non era possibile che a vent’anni non mi piacesse nessuno.
È scattata subito. La curiosità. E dopo un po’ questa strana attrazione che vaga tra me e lui. Siamo usciti insieme un paio di volte. Poi ho capito che c’era lui, che non avevo possibilità, e mi sono ritirato.
-Se non posso avere tutto, preferisco non avere nulla,- ho detto, poi gli ho sfiorato le labbra e me ne sono andato.
Eravamo in un bar all’aperto, erano le sei del pomeriggio, avevamo gli occhiali da sole.
Come avrei voluto che mi fermasse...
 
Sono passati sei mesi in cui non ci siamo mai visti. Lui è stato lasciato. Io ero alla fine di una storia che mi aveva fatto sentire bloccato, imprigionato, legato da sensi di colpa. Gaara. Una storia tutta cerebrale e con poca, se non nessuna, passione. Quando un amico si innamora di te, non è facile distinguere tra l’amicizia, l’affetto e l’amore.
Il giorno in cui ho detto che avevo dei dubbi, che non mi sentivo amato, che temevo di non essere innamorato, in cui ho chiesto qualche giorno per riflettere, sono andato a casa di Suigetsu. Dovevo vedere qualcuno che non mi facesse pensare a quel rapporto denso e infelice.
Mentre ero lì ha chiamato lui, Sasuke. Ho preso il telefono. Erano sei mesi che non sentivo la sua voce.
Ci siamo visti in un locale a Shibuya. Abbiamo cominciato a chiacchierare e a bere gin tonic. Ci siamo raccontati le nostre tragedie sentimentali. Qualcosa ha iniziato a crescere.
Era tardi. Mi ha accompagnato alla macchina, avevo parcheggiato dall’altra parte del fiume. Pioveva e non avevamo un ombrello. Sul ponte mi sono fermato. Un attimo di pura bellezza, il fiume ingrossato e le luci della città. Lui mi ha preso per la vita e mi ha detto che non aveva mai avuto tanta voglia di baciarmi. Io stavo con un altro. Ha detto che avevo già deciso di lasciarlo. Un lungo bacio. La pioggia sulle mie guance come lacrime inespresse.
Due giorni dopo ho lasciato Gaara.
Quella era stata la prova. La prova che tutto quello mancava tra di noi. La passionalità, l’attrazione. Lui mi aveva ricordato che quel pezzo di me lo avevo perso per strada.
Qualcosa è cambiato. Con Gaara si è chiusa l’era della pesantezza. Era come se mi avesse lanciato una maledizione, per cui fino a che il nostro rapporto non fosse finito drasticamente io non sarei riuscito ad essere libero. Leggero. Ora non desideravo niente.
Sono passati due mesi. Ho continuato a vederlo, sempre insieme ad altri amici, la voglia di stare un po’ bene insieme, senza chiedere nulla. Ci baciavamo e poi facevamo qualcosa chiusi in un gabinetto. Per curiosità, per gioco, per non sentirci troppo soli.
 
Che cos’è il sesso? In quanti modi diversi si può vivere?
Si dice sempre che da una parte c’è il sesso fine a se stesso, senza amore, e dall’altra c’è l’amore, che si esprime attraverso la sessualità. Ma non voglio rientrare in una di queste categorie. Tra queste due montagne che si fronteggiano c’è una sconfinata pianura di diverse possibilità. È lì che voglio andare.
Non mi interessano telefonate, parole dolci, compromessi. Non voglio ricominciare a litigare e ad avere continuamente  paura di non essere amato.
Voglio un amante. Abituarmi al corpo di un altro.
La sessualità come incontro, come leggerezza.
 
Ormai sono le 7:30.
La sigaretta sta finendo.
Dio, come è bello questo momento, di una bellezza sconvolgente e inaspettata.
Lo guardo.
So che dopo avermi accompagnato alla porta cadrà addormentato.
So che quando si sveglierà avrà dimenticato tutto e che solo dopo un po’ si ricorderà e si stupirà.
So che quando ci rivedremo non mi saluterà, forse neanche mi parlerà, o forse dirà che dovrei odiarlo, come mi dice sempre, ed io risponderò che non potrò odiarlo, fino a quando non lo prenderò sul serio, e mentirò ancora una volta non dicendo ciò che vorrei rispondere davvero. Non posso odiare qualcuno perché non mi ama. Non posso odiare qualcuno perché pensa a me come a un bel giocattolo.
 
Lo guardo.
Ha gli occhi neri che guardano verso la finestra.
Spengo la sigaretta. Rimetto le cose in tasca. Mi accompagna alla porta. Nel tragitto tra la sua camera e l’ingresso so che sono stato preso da un momento di debolezza. So che avrei voluto alzarmi da quel letto e ritrovarmi innamorato. So che, nel tempo di una sigaretta, mi sono chiesto se esista una possibilità d’amore tra me e lui, se tra le porte aperte e quelle chiuse ci sia un unico corridoio e un’unica chiave.
 
Ma l’incantesimo della menzogna e della leggerezza non sopravvive al vacillare di uno dei partecipanti.
 
Emozioni. Eccole. Le ascolterò, le scriverò e proverò una nostalgia struggente. Lui partirà. Lo dimenticherò, e quando tornerà faremo finta di essere due sconosciuti che si sono incontrati per caso.
 
Mi saluta sfiorandomi le labbra e mi dice:
-Buongiorno Naruto…





 
  
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