Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh
Ricorda la storia  |      
Autore: Achernar    14/10/2014    3 recensioni
Non è un mistero che Yugi non sia mai in casa di notte, non importa quanto possa essere tardi. Il mistero è dove vada. E il ragazzo sembra risoluto a mantenerlo tale. Yami però ha deciso che questa sera non accetterà un altro silenzio stampa. Cos’è quella dipinta nelle sue iridi rosse? Gelosia…?
Genere: Angst, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dark/Yami Yuugi, Yuugi Mouto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Mi dispiace per il titolo in inglese ma la nostra bella lingua non ha una traduzione soddisfacente per questa parola, che invece mi sembrava particolarmente adatta al racconto. È una oneshot un po’ lunga ma non me la sento di spezzarla in più parti, credo vada letta tutta di fila per apprezzarla, esattamente come tutto di fila è l’episodio raccontato.

Ne approfitto anche per ringraziare tutte le persone che hanno letto e recensito le mie storie negli ultimi mesi; sono stata un po’ presa da molte cose e non ho potuto rispondere singolarmente come faccio sempre ma vi ringrazio davvero dei complimenti e di trovare il tempo di lasciarmi un commento,

Buona lettura!

 -

Lo sbattere della porta d’ingresso fece finalmente sussultare Yami, i cui occhi rossi si erano ormai chiusi in un primo principio di sonno e dolce, meritato riposo. Ma non si sarebbe lamentato per via del risveglio brusco anzi, lo stava aspettando da ore.

Mettendosi su a sedere sul vecchio divano di feltro, il ragazzo combatté contro uno sbadiglio e riprese possesso della sua lucidità. La prima cosa che fece quando fu ormai sicuro di essere completamente sveglio fu guardare l’orologio.

4.55

Si girò istintivamente verso la finestra: se avesse aspettato ancora un po’ avrebbe potuto vedere il sole fare capolino tra i tetti dei grattacieli. Solo una mezz’oretta e il nero della notte si sarebbe tinto di rosa…

Passi risuonarono sul pavimento dell’ingresso. Passi pesanti, stanchi, eppure affrettati: l’altro non si preoccupava neanche più di nascondere l’orario indecente a cui rientrava ogni notte, o ogni giorno. Non aveva più neanche paura di svegliare il suo coinquilino. Yami non sapeva se fosse perché il ragazzo era così stanco da non riuscire più neanche a pensare di usare una simile delicatezza o perché obiettivamente non gli importava. Ma sentì la rabbia aumentare a poco a poco a ogni passo, a ogni scalpitio e a ogni rumore, fosse quello del cappotto che veniva levato sbrigativamente dalle spalle o dell’armadio che veniva aperto e poi richiuso con un tonfo. La rabbia saliva, così come il groppo in gola che ogni sera diventava sempre più pesante, tanto da fargli temere che prima o poi sarebbe scoppiato a piangere.

Patetico.

La porta del salone si aprì e Yugi fece il suo ingresso nella stanza, le gambe stanche, i capelli un disastro e due visibilissime occhiaie a incorniciare i suoi bellissimi occhi viola, resi opachi dal sonno e magari anche da un bicchiere di troppo. Yami si ritrovò suo malgrado a fissarlo minaccioso.

“Buonasera” lo salutò Yugi con un mezzo sbadiglio.

“Buongiorno sarebbe più indicato...” osservò tagliente l’altro. Yugi annuì distrattamente.

“Dove sei stato?” chiese Yami nel tono più calmo che poteva. Un come stai sarebbe stato più gradito. Yugi strinse le spalle e fece per dirigersi verso la porta della sua stanza, ignorando la domanda.

“Rispondimi almeno” ora la voce di Yami si era fatta più dura, la sua mano aveva afferrato il bracciolo del divano e lo stringeva con forza, gli occhi rossi non avevano lasciato Yugi un solo istante.

“In giro…”.

“Questo lo avevo capito. Ti ho chiesto dove” insistette il ragazzo, alzandosi dal divano. Yugi sbuffò alzando gli occhi al cielo: perché dovevano fare quel discorso tutte le sere?

“Non sono affari tuoi” mormorò.

“Sì che lo sono: non so se te ne sei accorto visto che sei sempre fuori ma io vivo qui” rimbeccò indicando teatralmente la casa con la mano. Erano coinquilini, una cosa più che normale fra studenti: in pochi potevano permettersi di pagare da soli l’affitto di un appartamento, e così i due ragazzi si erano messi d’accordo per dividere il tetto e le spese, e come la quasi totalità dei coinquilini non si erano mai visti o conosciuti prima di cominciare a vivere insieme. Non molto tempo fa in fondo, forse un anno o poco più… con lo studio e tutto la casa era sempre l’ultimo dei problemi e l’ultimo dei posti da frequentare: serviva solo per dormire. Yami passava tutto il suo tempo all’università e Yugi anche. O quasi.

“Ok, dov’è il problema? Perché non posso andarmene in giro?” chiese Yugi con un filo di esasperazione, la mano che stringeva la maniglia.

“Non ho detto questo: voglio solo sapere dove” non avrebbe permesso a Yugi di cavarsela anche stavolta, ogni sera era la stessa storia: le due, le tre, le quattro e mezza… oggi quasi le cinque. Dove andava la notte? Con chi, e soprattutto perché? Ormai era arrivato il momento in cui Yami sentiva che non sarebbe riuscito ad andare avanti se Yugi non gli avesse rivelato qualcosa: non riusciva a capire che era preoccupato per lui?

“E dopo che lo avrai saputo che farai?”. Yugi lo stava prendendo in giro, era evidente, forse Yami aveva permesso al suo lato di ‘mammina protettiva’, come lo chiamava Yugi, di venire allo scoperto troppo in fretta, ma era così dannatamente tardi: come si poteva pretendere che riuscisse a pensare logicamente a quell’ora? Yugi al contrario era sonnolento solo nell’aspetto, per il resto era lucido e brillante come sempre, pronto a dare le risposte taglienti e svianti che Yami tanto odiava.

“Mi proibirai di uscire? Mi metterai in punizione?” continuò Yugi. Seriamente, non riusciva a capire perché tutta quella premura da parte di Yami: tutti gli studenti escono la sera, in fondo non faceva nulla di male, non portava gente pazza o ubriaca fradicia in casa, non organizzava orge, non faceva rumore mentre l’altro studiava. Perché Yami doveva sempre lamentarsi? Il ragazzo dagli occhi rossi però non si fece tirare indietro dalle parole di Yugi e incrociò le braccia al petto, appoggiandosi alla parete.

“Hai qualcosa da nascondere?”. Touché. Le parole sembrarono sortire il loro effetto perché il ragazzo lasciò andare la maniglia della porta della sua camera. Gli occhi viola si dilatarono, per poi ridursi a fessure.

“Anche se fosse non sono tenuto a dirtela” rispose voltandosi verso di Yami. “Non puoi controllarmi: non sei mia madre, non sei mio padre, non sei nessuno” sibilò. Non era nessuno… quelle parole colpirono Yami più profondamente di quanto Yugi potesse immaginare, mettendolo davanti al vero motivo per cui si stava mostrando così insistente. Ma proprio come ogni volta che Yami veniva ferito, il suo dolore si trasformava in impeti di rabbia.

“Vivo con te, ho il diritto di dire la mia!” scattò. Ma sapeva che come giustificazione non era sufficiente.

“Ma non sulla mia vita! O credi che sia andato a pagare le bollette della luce alle quattro di notte e non ti abbia invitato? Oh, scusa Yami, ci siamo divertiti un sacco all’ufficio postale: la prossima volta ricorderò di portare anche te”.

Ci? “Piantala di prendermi in giro!” doveva controllarsi, stava per esplodere, stava per lasciare che le sue emozioni prendessero il sopravvento.

“E tu piantala di controllarmi! È sempre un ‘Yugi dove sei’, ‘Yugi dove vai’, ‘Yugi quando torni’” lo canzonò “Sono grande e vaccinato, so badare a me stesso”.

Poca gente riusciva a farlo arrabbiare, e poca gente lo faceva arrabbiare quanto Yami: riusciva sempre a premere i tasti giusti, chissà come li conosceva tutti, e in lui c’era sempre qualcosa che Yugi non riusciva a capire, per quanto si sforzasse. Ed era terribilmente irritante.

“E allora perché non mi dici semplicemente dove sei stato stanotte? Hai paura che ti pedini, che ti buchi le gomme dell’auto così domani non potrai uscire? Perché lo so che domani uscirai di nuovo, e dopodomani, e il giorno dopo ancora…” enumerò contando sulle dita.

Sì, sì aveva paura che lo pedinasse e facesse tutte le altre cose che Yami aveva appena elencato. Ma non perché il ragazzo fosse uno psicopatico: non aveva paura di Yami, non del ragazzo con cui condivideva il tetto da un anno. “Piantala di controllarmi ho detto” Yugi stava seriamente impegnandosi per non lasciare che la rabbia prendesse il sopravvento: era tardi, era stanco, non aveva le forze né la voglia di mettersi a discutere. Sospirò pesantemente, passandosi una mano sul viso “Non dovresti essere a dormire a quest’ora?”.

“Anche tu” ribatté Yami.

“Ok senti, te lo dico così la facciamo finita: sono un vampiro, la notte volo nelle case degli altri, succhio il sangue, uccido e odio la luce del giorno. Ecco dove sono stato. Contento adesso?”. Yami non rideva, la sua espressione era indecifrabile, forse era ferito, forse solo arrabbiato. Sembrava volesse litigare e basta, erano le cinque di mattina e lui voleva incastrarlo con le sue chiacchiere sul dove sei stato stanotte e i sensi di colpa.

“Non è divertente” mormorò il ragazzo fissando Yugi negli occhi. Un’ondata di emozioni investì il giovane dalle iridi viola: senso di colpa, stanchezza, tradimento, rabbia, esasperazione…

“Allora scusami, non ho niente di meglio da offrire a quest’ora…” disse Yugi con un filo di voce, fissando gli occhi sul pavimento. Forse Yami non aveva tutti i torti: era il suo modo per dimostrare che ci teneva. Se fosse stato nei suoi panni, probabilmente Yugi si sarebbe comportato alla stessa maniera… “Senti, mi dispiace, Yami. Scusa se ti ho fatto stare alzato fino a quest’ora, non volevo farti preoccupare, ma io sto bene, davvero, è stata una serata tranquilla. Non c’è bisogno che tu ti agiti tanto” disse al colmo dell’esasperazione, come se si stesse arrendendo.

“Allora dimmi solo dove sei stato” ma al contrario di lui, Yami non si arrendeva. Probabilmente era vero: Yugi non era in nessun brutto giro, non faceva nulla di male la notte. Era un ragazzo responsabile in fondo. E allora perché non dirgli semplicemente come stavano le cose? Una semplice risposta e Yami lo avrebbe lasciato in pace. Ma lo avrebbe fatto sul serio? No, e Yugi questo doveva averlo capito. La domanda era solo un pretesto: Yami avrebbe cominciato a cercare informazioni, a cercare gente, a fare altre domande, magari perfino a insistere di accompagnarlo. Era fatto così, e Yugi stava solo cercando di proteggere quel po’ di privacy che gli rimaneva, che Yami e la sua personalità non avevano ancora invaso.

“Perchè?” chiese fermamente Yugi.

“E tu perché non vuoi dirmelo?” ecco la rabbia tornare a salire di nuovo, insieme all’impazienza e alla… gelosia?

“Lasciami in pace!” Yugi per poco non urlò, abbassando finalmente la maniglia della porta ed entrando in camera sua, ma Yami fu veloce a seguirlo: in un paio di passi fu dentro anche lui e richiuse la porta alle loro spalle.

“Che ci fai qui? Esci immediatamente!” si stava comportando in modo più strano del solito quella sera, non aveva mai osato seguirlo fino in camera.

“Questa è anche casa mia” rispose Yami.

“Ma la camera è mia e io ti dico di uscire!” urlò finalmente Yugi indicando la porta.

“E io ti dico di rispondermi!”.

“No!”.

“Sì!” ormai stavano praticamente urlando, litigando come due bambini capricciosi e cocciuti: nessuno dei due si muoveva di un millimetro dalla propria posizione, nessuno voleva cedere, per quanto stupide e puramente orgogliose fossero le ragioni. Semplicemente una questione di puntiglio.

“Che cosa vuoi da me! Lasciami stare!”.

“Smettila di urlare! Sveglierai tutti!”.

“Ma stai urlando anche tu!”.

“Sì lo so!”.

“Vattene! Fuori da questa camera!”.

“Prima devi ascoltarmi!”.

“No, ho già sentito abbastanza!”.

“Ho detto che devi ascoltarmi!”.

VATTENE!!”.

“Dio, Yugi. MA NON LO CAPISCI CHE TI AMO??”.

La bocca di Yugi si aprì per controbattere ancora una volta, ma dalle sue labbra non uscì nessuno suono, per quanto il ragazzo provasse a muoverle. Completamente preso alla sprovvista. Il silenzio piombò nella stanza e i due si ritrovarono a fissarsi negli occhi, fra la rabbia e lo stupore, per secondi lunghi un secolo. Poi Yami si voltò di scatto, strinse la maniglia della porta e schizzò fuori dalla stanza a passi veloci, verso la sua camera. Non aveva idea di come quella frase gli fosse uscita fuori, sapeva solo che era vera. E quella era la cosa peggiore, perché non avrebbe mai potuto rimangiarsela o chiedere scusa come per qualsiasi altra frase avesse usato contro di Yugi nei loro litigi. 

Perché non aveva semplicemente detto qualcosa come ‘mi preoccupo per te’, ‘non voglio che ti succeda qualcosa di brutto’? Perché sarebbe stato imbarazzante: Yugi gli avrebbe risposto che non aveva motivo di preoccuparsi, Yami gli avrebbe detto che non poteva farne a meno e fra una frase e l’altra avrebbe finito per spiegare il perché, il perché teneva così tanto a Yugi, rivelandogli inevitabilmente quello che provava. Sarebbe stato decisamente imbarazzante. Invece così era molto meglio, vero? Già, urlargli direttamente in faccia ‘io ti amo’, così, senza motivo, era sicuramente meglio.

Perché non era andato a dormire? Che senso aveva aspettare Yugi al varco per poi aggredirlo? Forse sperava che il ragazzo lo accogliesse con un ‘ehi, grazie delle tue attenzioni: mi fa molto piacere sapere che ti preoccupi per me’. Come frase era adatta a Yugi, ma totalmente svincolata dal giusto contesto. Solo un pazzo, o un genitore, si permetteva di essere così insistente nei confronti di un'altra persona, e Yami non ne aveva il diritto non essendo né l’uno, o almeno così sperava, né tantomeno l’altro. Yugi aveva ragione. E lui aveva torto.

Yami chiuse la porta alle sue spalle, girando la chiave nell’uscio due volte: sapeva che era infantile ma aveva il bisogno di mettere quanta più distanza possibile fra sé stesso e Yugi, di preservare quel briciolo di orgoglio che forse gli era ancora rimasto. Si accasciò con la schiena addosso alla porta, lasciandosi cadere finché le sue mani non toccarono terra e rimase seduto lì sul pavimento, la testa piegata all’indietro e premuta contro il legno freddo. Chiuse gli occhi e si passò la mano sulla faccia: che razza di casino aveva combinato?

L’improvvisa uscita di scena di Yami non aveva avuto su di Yugi l’effetto sperato: invece di provare un senso di liberazione, il ragazzo si sentiva stringere dai sensi di colpa. Non sarebbe mai voluto arrivare a quel punto, litigare con Yami, urlargli e perdere la pazienza, ma era stato l’altro a costringerlo. Ogni volta che Yugi aveva tentato di abbandonare la discussione Yami era ripartito all’attacco, con un’insistenza e un’arroganza che non aveva mai visto in lui. Che tutte quelle sere passate fuori casa avessero spinto il ragazzo dagli occhi rossi sempre di più in là, centimetro dopo centimetro, come in attesa della goccia che facesse finalmente traboccare il vaso? Da quanto tempo Yami si sentiva così? E da quanto voleva chiedere conto a Yugi delle sue azioni ma si tratteneva per non dare l’impressione che lo stesse perseguitando? Forse molto tempo, eppure non si era mai fatto mancare frasi mirate, riferimenti più o meno cifrati al fatto che Yugi gli tenesse nascoste tante cose. Ma quella sera aveva deciso di non arrendersi davanti al silenzio di dell’altro ed era esploso.

Yami e le sue manie di controllo. Yugi questo non lo sopportava. Non l’aveva mai sopportato: lui doveva sempre controllare, dirigere, fare il bravo ragazzo...

Yugi si buttò a sedere sul letto, sospirando pesantemente.

Beh, almeno adesso era sicuro del perché. In un certo senso era sollevato: il fatto che Yami avesse agito in quel modo non era perché il suo coinquilino era uno psicopatico o uno stalker. Era solo seriamente preoccupato. E probabilmente anche molto geloso. Ci siamo, il groppo in gola che indicava che i sensi di colpa stavano peggiorando era già al suo posto. Ma perché Yami non glielo aveva detto prima? Yugi represse una risata amara, la vera domanda era perché non aveva continuato a tenerglielo nascosto. Non sono cose che si dicono facilmente e il suo amico era orgoglioso, non avrebbe mai rivelato nulla se non fosse stato sicuro che Yugi ricambiasse. Non era tipo da accettare rifiuti e quanto era appena successo lo dimostrava: pur di non accettare il "no" di Yugi sul dove era stato fino a quell'ora avevano finito per litigare. E aveva finito per urlargli in faccia quelle parole.

Idiota. D’accordo: Yami era bravo a nascondere le emozioni, ma come aveva fatto Yugi a non capirlo o a non pensarci? Era la spiegazione perfetta al comportamento insolito dell’altro, eppure a Yugi era sembrata un’eventualità così remota e assurda che non l’aveva considerata neanche per un secondo. I suoi amici sì però: Jono ci aveva scherzato su almeno un paio di volte, ridacchiando che se Yami si preoccupava così tanto doveva essere perché era geloso. E Anzu… Anzu glielo aveva ripetuto quasi ogni sera, ricordava benissimo le sue parole. “Non dovresti irritarlo così, in fondo anche lui ti vuole bene… forse anche di più”.

Irritarlo. Sì perché in fondo era stata tutta una ripicca, una provocazione nei confronti dell’altro per vedere quanto in là riusciva a spingerlo, quanto erano resistenti i suoi limiti. E adesso che Yugi li aveva finalmente toccati con mano, e aveva scoperto di che pasta erano davvero fatti, era come se dentro di lui si fosse aperto il vuoto. Era stato stupido, infantile, sì moltissimo, e aveva ignorato qualcosa che in realtà era serissimo, facendo del male a una delle persone a cui voleva più bene. Perché paranoie a parte, Yami era un ottimo amico, di quelli che non ti abbandonano alla prima difficoltà. E neanche alla seconda, alla terza o alla ventesima. C’era sempre, ogni volta che Yugi aveva avuto bisogno di lui. E il ragazzo cominciava a chiedersi da quanto tempo l’altro provasse quei sentimenti, se li avesse sempre provati, e come fosse stato in grado di nasconderglieli così bene.

Temeva forse che Yugi l’avrebbe cacciato via? Che gli avrebbe giurato di non rivolgergli più la parola? Che lo avrebbe abbandonato? Era davvero così stupido? Ma Yugi non era nemmeno arrabbiato, non più: le emozioni della sfuriata di poco prima si erano dissolte e adesso il ragazzo stava provando a pensare a mente lucida. C’era una sola cosa che poteva, doveva fare. Il suo amico la meritava, anche se il modo in cui l’aveva chiesta non era stato dei migliori.

Passi risuonarono sul pavimento dell’ingresso, passi pesanti e stanchi per l’orario, ma affrettati perché pieni di un disastro di emozioni diverse. I passi si fermarono proprio nel punto in cui Yami non avrebbe voluto che lo facessero, e anziché il lieve toc-toc di una mano sul legno della porta, il ragazzo sentì la voce decisa eppure gentile di Yugi chiamarlo dall’altra parte.

“Yami, apri la porta” lo sapeva che era chiusa a chiave, quando si trattava di essere infantile il suo coinquilino era imbattibile.

Yami chiuse gli occhi: quanta umiliazione ancora doveva sopportare prima che spuntasse l’alba? Ed era perfino stato lui a cominciare…

I lunghi secondi di silenzio che seguirono non scoraggiarono Yugi, che appoggiò la sua mano contro il legno.

“Yami, per favore” mormorò. Mettersi nei panni degli altri, soprattutto dei suoi amici, era uno dei talenti del ragazzo: riusciva sempre a simpatizzare, trovare le parole giuste, tirare su il morale. Ma con Yami era diverso: i muri che metteva attorno a sé erano talmente spessi che immaginare quello che stava pensando adesso era una sfida, e rendeva tutto così dannatamente difficile.

Silenzio ancora.

“Vuoi che cominci a passarti bigliettini da sotto l’uscio per comunicare con te?” sorrise Yugi.

Ancora qualche secondo di silenzio, poi la voce dell’altro raggiunse finalmente le sue orecchie, debole, eppure Yugi avvertiva chiaramente il timido sorriso che doveva aver sfiorato le labbra di Yami.

“… lo faresti davvero?”.

“Anche se dovessi assumere un interprete per decifrare la tua calligrafia” il tono del ragazzo era sempre uguale, calmo e gentile, ma decisamente sollevato adesso.

Una risatina camuffata, poi un’altra risposta.

“Allora posso anche restare qui. Passatemi il cibo dalla finestra, farò come Emily Bronte.” Yugi ridacchiò.

“Sei il solito secchione…” scosse la testa. “Mi fai entrare?” chiese piano.

Yugi non poté vedere ovviamente il lieve cenno d’assenso che Yami fece col capo, ma sentì il suono ovattato del ragazzo che si alzava pesantemente da terra, si girava e allungava la mano verso la serratura. Più decisi furono il doppio click della chiave e lo scatto della maniglia che si abbassava. Il viso di Yami fece capolino dalla fessura della porta, seminascosto dal buio che ancora avvolgeva la sua camera. Gli occhi però erano fissi sul pavimento, nonostante la postura eretta. Dopo qualche secondo di silenzio, Yugi fece un piccolo passo avanti, Yami rispose indietreggiando appena. Il più giovane lo interpretò come un invito ad entrare e in pochi passi fu nella stanza, la schiena rivolta a Yami, che intanto aveva chiuso la porta, e gli occhi persi nel vuoto. La tensione si tagliava con un coltello.

“Scusa…”

Yugi si voltò e incrociò le iridi scarlatte dell’altro per un attimo, prima che queste si andassero a fissare nella parete alle spalle del ragazzo. Il groppo in gola peggiorava. Yami continuò a parlare. “Non volevo urlare così, non dovevo dirti quelle cose, hai ragione: non sono nessuno per farlo. Non so cosa mi è successo, mi dispiace…” fu come se Yugi non avesse sentito la seconda parte della frase.

“Quelle cose quali?” chiese. Yami era indeciso se tacere ancora o rispondere. Optò per la seconda, omettendo sapientemente un elemento.

“Sono stato insistente, ti ho chiesto, ordinato, di dirmi dove eri stato-“ ancora una volta Yugi parve non sentire la risposta.

“Quelle cose quali? Che… mi ami?”. Fu come se Yami si fosse pietrificato, il petto si irrigidì, le mani strette ai fianchi, le vene del collo pulsavano. Yugi ebbe la conferma che non era previsto che quella frase scappasse dalle labbra dell’altro. I suoi occhi finalmente si mossero dal muro e cercarono quelli di Yugi nella penombra, incrociandoli e non abbandonandoli per lunghi secondi. Il ragazzo lo leggeva chiaramente nelle iridi rosse: sì, sì il ‘che mi ami’ era nella lista delle cose che non avrebbe mai dovuto dirgli e quegli occhi trasportavano con se un che di scuse sincere, desolazione e dolore. Dalle serrande ancora abbassate filtravano i primi raggi di sole. Dio, non era più tardi: ora era addirittura presto.

Cosa doveva dire adesso? C’era una cosa giusta che Yugi potesse dire, una possibilità che qualunque fosse la sua prossima frase non avrebbe ferito i sentimenti dell’altro o non l’avrebbe fatto suonare come un idiota? Ben gli stava per aver voluto insistere anche lui.

“Sono stato a casa di Anzu…”.

“Non mi interessa…” la voce di Yami era priva di emozione, non era un non mi interessa duro o irrispettoso. Nemmeno geloso. Era solo sincero. Non gli interessava davvero, non più. O forse non gli era mai veramente interessato. Era il suo modo di scusarsi e dire a Yugi che non era obbligato a dirgli dove era stato? Era come se il loro litigio lo avesse svuotato completamente. Anche Yugi si era sentito così, ma adesso era di nuovo a posto, quasi. Per Yami era diverso. In una gara fra sensi di colpa si sarebbero contesi certamente il primo premio.

“Ci sono stato tutte le sere…” ora le parole uscivano da sole, meccanicamente, inconsciamente. Come in un sogno.

Solo, quanto aveva intenzione di fargli male Yugi quella sera? O mattina, per quanto gli importasse… Beh, aveva sempre sospettato che l’altro avesse una cotta per la sua amica d’infanzia. Era una brava ragazza, gentile e spiritosa, i capelli lunghi e scuri, gli occhi blu, decisamente bella. In fondo che diritto aveva di essere geloso: quella frase sarebbe dovuta rimanere un segreto quindi era come se i suoi sentimenti non ci fossero, doveva solo ripeterselo così tante volte da finire per crederci. Poteva farcela. Ammiccò un mezzo sorriso.

“Sono contento per te” e in fondo lo era davvero, erano una bella coppia: Yugi sarebbe stato felice.

L’altro però scosse la testa, deluso. Yugi inclinò il capo di lato, fissando Yami con uno sguardo che sembrava voler indagare nella sua anima.

“Ti arrendi così facilmente?”. Cos’era quel tono? Amarezza… Rimprovero? Perché? Che voleva dire che si arrendeva? Non aveva neanche cominciato a lottare, non doveva cominciare a lottare, ed era molto più difficile di quanto Yugi insinuasse. Le iridi rosse si ridussero a fessure: lo stava prendendo in giro?

“Che cosa vuoi dire?” non aveva intenzione di usare un tono così aspro e basso, eppure non riuscì a impedirgli che lasciasse le sue labbra.

“Non mi hai neanche chiesto cosa abbiamo fatto io e Anzu tutte queste sere”. Sì, Yugi lo stava decisamente prendendo in giro. Cos’è, il litigio di prima non gli era bastato?

“Grazie, credo di avere sufficiente immaginazione per capire cosa fate voi due di notte…” sibilò. L’immagine di lei e del suo Yugi abbracciati, l’uno sopra l’altra si affacciò crudelmente davanti ai suoi occhi. Scacciarla via richiese un attimo ma era stato sufficiente per farlo quasi sentire male. Eppure non doveva: se questa era la decisione del suo amico il suo dovere era sostenerlo. Ma almeno Yugi avrebbe potuto dirglielo in modo diverso.

Un lievissimo color rosa scuro si andò a poggiare un istante sugli zigomi di Yugi, ma la penombra della stanza lo mascherò completamente.

“Che diavolo…?” balbettò, aveva davvero pensato che lui e Anzu… “Complimenti per l’immaginazione, vedo che ne hai davvero parecchia” rimbeccò Yugi. “Non stiamo insieme, genio”. Ci stava provando di nuovo: voleva litigare, farlo apposta, per scuotere Yami da quello stato di apatia e ottenere una reazione. Una qualunque.

Gli occhi di Yami, prima ridotti a fessure, si spalancarono, brillando come piccole gocce di acqua scarlatta. Odiava sbagliarsi o essere contraddetto, ma diamine, lamentarsi era l’ultima cosa che aveva intenzione di fare. Sentiva il suo cuore battere forte nel petto e si sentiva stupido per questo: Yugi non aveva mica detto che lo amava, semplicemente che lui e Anzu non stavano insieme. Tutto come prima. Ma il prima che Yami credeva di odiare non doveva essere così male se l’idea di perderlo gli era sembrata così orribile. E se la sensazione di averlo riguadagnato era così bella.

E si sentì stupido di nuovo quando un sorriso sincero, ampio e che non riuscì a nascondere, si andò a posizionare sulle sue labbra. E stupido ancora quando con voce quasi tremante sussurrò quelle sillabe.

“Davvero?”.

Anzu aveva ragione. Aveva sempre avuto ragione. E a volte Yugi si chiedeva perché era così dannatamente cocciuto da non darle mai retta e credere all’evidenza. Aveva avuto ragione: Yami gli voleva bene, lo amava. E aveva ragione su un’altra cosa anche: Yugi gli voleva bene a sua volta. Perché Yugi era così contento di vedere quel sorriso sul volto dell’altro, un sorriso solo per lui. Dovuto a lui e regalato a lui. E si sentì immediatamente sereno, caldo, come in un abbraccio. Per l’ennesima volta i sentimenti del litigio lo abbandonarono. Davvero significava così tanto per Yami?

Yugi sorrise a sua volta, incapace di rispondere con una battuta come avrebbe fatto in un’altra situazione. Invece annuì.

“Davvero”.

Yami sembrò riscuotersi dallo stato di torpore in cui la frase di Yugi lo aveva portato e riacquistò di nuovo il dominio di sé. Inclinò la testa di lato, tangibile curiosità radiava dai suoi occhi.

“Ma allora che facevate tutto quel tempo?”.

L’altro parve un po’ imbarazzato dalla richiesta, il che allarmò di nuovo Yami. Yugi si aspettava una domanda come quella, solo che rispondere richiedeva davvero un grande sforzo perché la risposta, come per Yami, era nuova anche per lui. Ma ora più che mai ben accetta.

“Parlavamo… “il ragazzo si avvicinò al letto di Yami e ci si lasciò cadere seduto sopra, rimbalzando lievemente sulla superficie elastica e morbida “E dormivamo anche, o meglio: crollavamo esausti sul divano. Stare alzati tutta la notte è difficile…” aggiunse ridacchiando piano, una mano dietro il collo a giocare con i propri capelli.

Sapeva che c’era dell’altro, come spiegazione non era neanche lontanamente sufficiente per tutte le cose che voleva sapere, ma Yami non voleva insistere di nuovo. Si avvicinò e si mise a sedere poco distante da Yugi, le mani sulle ginocchia, aspettando pazientemente stavolta che ricominciasse. La domanda ‘di cosa parlavate’ ovviamente aleggiava nell’aria, il più giovane sarebbe stato uno sciocco a non afferrarla, ma ci stava arrivando ed era contento che questa volta Yami si mostrasse meno precipitoso.

“Come sai ci consociamo da tantissimo tempo, Anzu è come una sorella per me… e quando ho bisogno di un consiglio so che posso sempre contare su di lei”. Una breve pausa.

“Puoi sempre contare anche su di me…” mormorò Yami. Era difficile capire se animato anche da gelosia per essersi visto preferire la ragazza, ma era sincero. E forse ferito perché non era stato in grado di aiutare Yugi questa volta, qualunque fosse il suo problema. L’altro però sorrise e poggiò la sua mano sulla spalla di Yami, in un gesto di fiducia.

“Lo so, e ti ringrazio. Ma questa volta non potevi aiutarmi…” un’altra pausa, la mano si andò a posare sul copriletto. Non aveva ancora deciso quanto volesse essere esplicito o dettagliato nel suo racconto, certo non aveva intenzione di descrivergli per filo e per segno tutti i problemi che aveva avuto da quasi un anno a quella parte a causa della sua sessualità. Descrivergli che aveva cominciato a dubitare, a farsi delle domande, ad accorgersi che un anno a quella parte era esattamente lo stesso periodo di tempo per cui aveva conosciuto Yami. Mese più, mese meno. E non intendeva riferire delle litigate con Anzu, l’unica che sapesse, per tutte le volte che lei gli aveva sbattuto in faccia la realtà, stanca dei suoi no, e lui aveva negato ancora. Ormai aveva quasi superato tutto, mancava un ultimo scoglio e anche se non aveva immaginato di portare a galla la verità proprio adesso, in fondo rimandare non sarebbe servito a nulla.

Così Yugi decise di mettere da parte tutto il bel discorso che aveva già preparato nella sua mente e invece si girò verso di Yami, lasciando che da quel momento fosse l’istinto a guidare le sue parole.

“Io ti piaccio?”.

Le guance dell’altro si tinsero lievemente di rosso, Yugi non l’avrebbe mai notato se non fossero stati così vicini, eppure la cosa gli faceva piacere: anche Yami era umano allora. Yami annuì sorridendo, era già dentro fino al collo; non aveva intenzione di comportarsi anche da ipocrita.

“Direi di sì” rispose.

Sì, non si sarebbe aspettato nessun altra risposta da Yami. E allora perché aveva chiesto? Forse gli faceva semplicemente piacere sentire quelle parole… e non appena l’ebbe ammesso, Yugi sentì un altro tassello del puzzle andare a incastrarsi perfettamente dentro di sé, l’immagine finale finalmente sempre più nitida.

“E mi ami…” più un’affermazione che una domanda, anche il suono di quelle parole sulle sue labbra era piacevole. Quasi come ascoltarle.

“Sì” come ti ho detto prima. Non cambio idea in così poco tempo. Ma non lo disse, Yami era semplicemente curioso di sapere dove Yugi voleva arrivare. Non osava immaginarlo.

“Mi dispiace…”. Ecco, quelle erano le parole che Yami aveva temuto, ma era preparato anche a quello, anche se non poté impedire ai suoi occhi di abbassarsi un poco e a un piccolo sorriso amaro di affacciarsi sul suo volto. Era più che ovvio che Yugi non potesse ricambiare, c’era un fattore fondamentale perché una loro eventuale relazione potesse funzionare, e il fatto che Yugi appartenesse alla sponda sbagliata eliminava definitivamente quel fattore.

“Mi dispiace di averti trattato così…” continuò Yugi. Non di non ricambiarmi? No, tieni a freno i pensieri…

“Non devi scusarti, è colpa mia, non avrei mai dovuto dirti niente. Dimentichiamo questa sera e-“

“No!” le iridi color mora di Yugi si fissarono nelle sue, scuoteva il capo piano “E’ colpa mia, sono io che sono stato un idiota tutto questo tempo, che non mi sono mai accorto che tu…”.

“Non dovevi accorgertene…”

“Che non mi sono mai accorto che io, anche io…”.

Che cosa? Adesso Yami sentiva chiaramente i battiti del suo cuore rimbombare dentro la sua gabbia toracica. Qualcuno lo facesse stare zitto. Eppure il suo corpo non ascoltava: perché le punte delle dita avevano cominciato a formicolare? E se fosse stata un’altra delusione? Se si riempiva di aspettative la caduta sarebbe stata solo peggiore, allora perché non riusciva a calmarsi?

“Avrei dovuto dirtelo prima, ma sono un codardo quando si tratta di cose personali, lo sai”. Yami sorrise, l’altro continuò “Era di questo che parlavo con Anzu tutte le sere, a un certo punto ho sentito il bisogno di starti lontano, come se dovessi difendermi perché era colpa tua se mi sentivo così… strano, diverso” Yugi sperava davvero di non ferirlo con le sue parole, sempre che le sue azioni non lo avessero già fatto tempo prima. Si sentiva tremendamente male per essersi comportato in quel modo, ma era l’unica cosa che gli era venuta in mente a quel tempo. “Lei aveva già capito tutto sai? È passato più di un mese dalla prima volta che mi ha detto che tu mi amavi”.

Gli occhi di Yami erano diventati così grandi che Yugi ridacchiò sotto i baffi. “Ti ho tenuto nascoste tante cose, volevo capire se era vero, se anche dopo tutto quello che ti facevo tu ti saresti ancora preoccupato, mi avresti… voluto bene ancora” una pausa. “Ti chiedo scusa. Mi sono comportato da schifo nei tuoi confronti”.

“La colpa è anche mia, se te ne avessi parlato prima o se non ti avessi assillato così magari non saresti arrivato a questo punto…” mormorò Yami. No, Yugi non credeva di meritare Yami: aveva ferito, calpestato e maltrattato i suoi sentimenti in così tanti modi che si sentiva male solo a pensarci. E tutto questo per dimostrare a se stesso che cosa? Che di Yami non gli importava niente? O che di Yami gli importava tantissimo, e sperava che nonostante tutto, lui non lo lasciasse andare?

Questa volta fu Yami a rompere il silenzio, gli eventi avevano preso una piega inaspettata, e capiva le emozioni e i pensieri che in quel momento stavano facendo a botte nella testa di Yugi. Il senso di colpa lo divorava, i suoi occhi erano chiari come un libro aperto. Possibile che non capisse che erano tutte sciocchezze? Il passato è passato, chi se ne importa di quello che aveva fatto Yugi, una sola cosa importava adesso, e lampeggiava nella mente di Yami come l’insegna luminosa di una pizzeria in pieno centro. Aveva una possibilità. Sorrise rivolto verso l’altro, che teneva ancora la testa bassa, immerso nei suoi pensieri.

“Yugi,” lo chiamò e aspettò che il ragazzo incrociasse i suoi occhi nei suoi prima di porre la sua domanda, in tono forse un po’ sardonico.

“Io ti piaccio?”.

Il ragazzo dagli occhi viola deglutì. Si era preparato a questo momento. Solo mentalmente però, non psicologicamente, e sembrava che le parole facessero una fatica tremenda a uscire dalla sua bocca in quel momento.

“Io credo… credo di sì. Sì” annuì, e fu come se un peso si fosse tolto dal suo cuore, un altro tassello del puzzle, tanti tasselli, presero il loro posto. L’immagine ancora più nitida. Yami rifletté prima di porre la sua seconda domanda: forse stava correndo troppo, guidato dall’euforia e dalla mancanza di logica e razionalità che solo le notti insonni riescono a dare, insieme a un’incredibile e inspiegabile adrenalina. Avvicinò la sua mano a quella di Yugi e la sfiorò, quasi timoroso di toccarla, come se tutte le volte che si erano toccati o perfino picchiati nell’ultimo anno, non fossero mai esistite e lui lo stesse toccando per la prima volta. Le dita di Yugi si alzarono un po’, catturando delicatamente quelle di Yami e allacciandole alle sue, gli occhi di entrambi fissi sulle loro mani.

“E… mi ami?” sì era sicuramente troppo veloce come richiesta, ma l’impazienza aveva avuto la meglio su ogni prudenza e alle sei del mattino Yami pensò di potersi concedere un attimo di avventatezza, per quanto la paura della risposta era tutt’altro che svanita. Yugi era pensoso, guardava le loro dita, carezzava il palmo di Yami col proprio pollice, taceva.

“N-non ne sono sicuro…” fu il meglio che riuscì a dire, una domanda simile se l’era posta solo poche volte, fermandosi sempre al semplice ‘mi piace’. Eppure non capiva il perché di quel sorriso sul volto di Yami: non l’aveva appena ferito? Yugi chiaramente non capiva che un ‘forse’ assomiglia molto più a un ‘sì’ che a un ‘no’. Il sorriso del giovane si trasformò in un sorrisetto.

“Mi faresti provare?” sussurrò.

“Provare cosa?” cosa voleva fare? anche il cuore di Yugi aveva preso a battere forte, e non se n’era reso conto fino ad adesso perché troppo concentrato a pensare ai suoi sensi di colpa. Yami si stava avvicinando a lui, spostò la mano allacciata a quella di Yugi davanti a sé, e la strinse piano con l’altra, carezzandola con il pollice proprio come aveva fatto l’altro prima, sempre fissando Yugi negli occhi.

“Provare…se mi vuoi bene” solo quello era più che sufficiente per ora.

“E’ una cosa di cui poi mi pentirò?” scherzò Yugi, ridacchiando nervosamente. Yami si unì alla sua risata.

“No, non credo” spero di no avrebbe voluto dire. Ma non voleva cominciare a dubitare anche lui. Yugi annuì piano.

“D’accordo allora”.

Anche questa probabilmente era stata un’idea stupida, ma Yugi aveva dato il suo consenso e sarebbe potuta essere l’unica occasione di Yami, non sapeva quanto l’altro potesse essere pronto o disposto a una relazione: accadeva tutto troppo in fretta. Anche se Yugi gli aveva detto che erano mesi che ci rifletteva e… Forse era meglio rimandare i rimorsi e le preoccupazioni a dopo. Lentamente, quasi timoroso di invadere lo spazio dell’altro, Yami si avvicinò a Yugi, attento a qualunque segno dell’altro. Se Yugi si fosse ritratto o avesse cambiato idea all’improvviso allora anche Yami avrebbe fatto altrettanto, senza nemmeno pensarci.

Restarono immobili per qualche secondo, a così poca distanza che poteva sentire il respiro di Yugi sulla propria pelle, e il battere forte del suo cuore, come il suo. Yami allungò a mano e sfiorò il volto dell’altro, carezzando delicatamente il suo zigomo, la sua guancia, percorrendone la superficie con il pollice, e andando infine a prendere il suo mento fra le dita, in una stretta priva di forza, sollevandolo piano. Gli occhi color mora di Yugi si stavano socchiudendo, le iridi rosse di Yami risposero allo stesso modo e si ridussero piano piano a fessure, mentre le sue labbra si avvicinavano lentamente a quelle di Yugi.

Nel momento in cui si sfiorarono avevano entrambi chiuso gli occhi. Non c’era nessuna pressione in quel bacio, nessuna fretta o violenza, era un contatto semplice, delicatissimo, forse molto timido. E decisamente strano. Eppure il pensiero di stare baciando un ragazzo non sfiorò la mente di Yugi neanche per un istante, era come se fosse qualcosa che aveva aspettato da sempre e non c’era nulla di sbagliato in quel gesto. Non stava baciando un ragazzo, stava baciando Yami. E quella era l’unico cosa a cui riusciva a pensare. E le sue dita formicolavano, il suo cuore batteva, era come se il suo stomaco facesse su e giù dentro di lui e sentiva calore, calore ovunque. Come prima, come in un abbraccio. E gli ultimi tasselli del puzzle cominciavano a mettersi al loro posto, a riempire tutti gli spazi vuoti.

Le labbra di Yugi erano morbide, umide per il tanto parlare, screpolate per il freddo di quei giorni di febbraio, e dolcissime da toccare, anche solo sfiorare, come stava facendo adesso. Non osava spingersi più in là, forse stava già forzando Yugi, ma era un contatto che aveva desiderato da quasi un anno e finalmente lo stava sperimentando. Cosa che non avrebbe mai immaginato. Inaspettatamente, Yami sentì una pressione sul suo collo, una mano che lo spingeva con più forza verso quelle labbra, sempre delicatamente, ma guidata come da un bisogno. Yugi inclinò la testa di lato, appena un po’, per lasciare che la bocca dell’altro avessero più facilmente accesso alla sua.

Non ci voleva un genio per capire che quello che stava succedendo non gli dispiaceva neanche un po’, Yugi ne era consapevole, e adesso che aveva provato la sensazione delle labbra di Yami sulle sue voleva sentire quella pressione ancora un po’ di più, un po’ più a lungo, un po’ più vicino. Non aveva ancora deciso come rispondere alla sua domanda, ma intuiva che di quel passo, il suo ‘forse’ aveva buone probabilità di trasformarsi in un sì.

Sorridendo, Yugi si scansò riluttante dalle labbra dell’altro, giusto il tempo per respirare un attimo e poterlo guardare negli occhi, come se lo stesse osservando adesso per la prima volta. La persona che viveva con lui da più di un anno, la persona che non sapeva cucinare neanche un uovo sodo, che riusciva a imparare un libro intero in una giornata ma poi la stessa sera era pronto a sfidarlo a una maratona di videogiochi. La persona che aveva incolpato per tutte le sue crisi degli ultimi mesi, che aveva odiato, senza riuscirci, e che aveva appena baciato. Per la prima volta. Yugi allungò la mano e scansò con le dita una ciocca di capelli biondi, arruffati, dagli occhi di Yami. Non si era mai reso conto di quanto quegli occhi fossero belli, brillavano quasi, anche se l’altro era stanco e assonnato. E brillavano per lui. Piano, Yugi depositò un secondo bacio sulla sua bocca, poteva diventare una dipendenza, era così morbida. Ma era una dipendenza piacevole, decisamente.

Yami sorrideva, con quel suo ghigno un po’ sornione che Yugi a volte trovava irritante e canzonatorio, eppure l’unico aggettivo a cui riusciva a pensare ora era adorabile. Poi Yami si portò una mano alla bocca e tentò di mascherare uno sbadiglio, difficile a farsi visto quanto erano vicini. Yugi ridacchiò.

“Ti sei già stufato di me?” sussurrò.

“Non dirlo neanche per scherzo” rispose Yami, dandogli una leggera pacca sulla testa.

“Mi spezzi il cuore così…”.

“C’è del nastro adesivo in cucina, se vuoi aggiustarlo…” Yami strinse le spalle. L’altro inarcò un sopracciglio. 

“Che ci fa il nastro adesivo in cucina?”.

“Non ne ho idea” sbadigliò “forse sei sonnambulo e ce lo hai portato tu…”.

“Non sono sonnambulo!” ribatté Yugi.

“Come faccio a fidarmi?”.

Yugi si distese sul letto, sprofondando la testa nel tessuto. Non si era reso conto di quanto avesse sonno anche lui, ma quel materasso era così morbido che non l’avrebbe lasciato per nulla al mondo, non prima di una buona dormita. Chiuse gli occhi e si raggomitolò sul cuscino. “Dovresti controllarmi mentre dormo…” mormorò. Yami trattenne un altro sbadiglio e si accasciò sul letto anche lui, vicino a Yugi.

“Sai che non è una cattiva idea?” mormorò “Lasciami un po’ di spazio” ridacchiò. Yugi aprì gli occhi ridacchiando a sua volta e scosse la testa deciso “Neanche per sogno”.  Yami si avvicinò all’altro allora, una piccola parte di lui ancora timorosa di stare invadendo gli spazi di Yugi o di forzarlo, ma l’altra aveva intenzione di rimanere al gioco e giocare alla sua maniera. Strinse un braccio attorno al ragazzo e lo tirò a sé: adesso sì che il letto di Yami era della grandezza giusta per tutti e due. “Peggio per te allora…” rispose.

Peggio? Il braccio di Yami intorno alla sua vita e il suo viso così vicino al proprio sembravano a Yugi tutto fuorché peggio, non riuscì neanche a pensare a quanto tutto ciò potesse sembrare sdolcinato, chiuse semplicemente gli occhi, rilassandosi in quell’abbraccio.

“Buonanotte” sussurrò.

“O buongiorno…” fu la risposta, ma Yugi era già sprofondato dall’abbraccio di Yami a quello di Morfeo. Anche se adesso sapeva perfettamente quale dei due fosse più accogliente.

-

Nonostante le serrande abbassate e la stagione invernale, la luce entrava prepotentemente attraverso le fessure delle finestre, bianca e brillante, proprio come a mezzogiorno, colpendo i suoi occhi e facendogli tremare le palpebre. Molto probabilmente l’orario era esattamente quello. Come mai aveva dormito così tanto fu la prima domanda che si affacciò alla mente di Yami, ma la buona memoria non gli serviva solo per studiare: ricordava perfettamente la sera precedente, ricordava chi stava ancora tenendo stretto, la stessa persona che evidentemente dormiva ancora, con la testa probabilmente poggiata sopra il suo braccio. Anche con gli occhi chiusi Yami poteva sentire la pressione di Yugi sul suo arto, ma non era qualcosa di cui avesse intenzione di lamentarsi. Ancora assonnato, aprì a malapena gli occhi, quel poco che bastasse per indagare con lo sguardo la stanza, debolmente illuminata, e cercare il verde elettronico del display della sua sveglia.

10.12

Invece no, non era mezzogiorno. Le iridi rosse spostarono la loro attenzione dall’orologio al ragazzo accanto a lui. Sorrise piano. Poteva restare lì ancora un po’.

Yami non era l’unico a non essere più addormentato. Un altro paio di iridi erano socchiuse, appena pigramente aperte, ma viola, dello stesso colore delle more.

Allora era tutto vero, tutto quello che era successo poche ore fa: lo sbraitare, il litigio, la presa di coscienza, le scuse, Yami…

Yami era vero, lì accanto a lui. A dirla tutta era anche comodo... Se non fosse stato così assonnato, probabilmente Yugi si sarebbe messo a ridere. C’era qualcosa di bello in tutto questo: non sentiva nessun peso, nessun groppo in gola, nessun senso di colpa. Non c’era nulla di cui si pentisse, eppure nel giro di poche ore aveva stravolto la sua vita più di quanto avrebbe potuto farlo in mesi interi. Com’era quel detto? Cambiare tutto perché non cambi niente? In fondo non era del tutto falso: avrebbero continuato le loro vite, studiare, scherzare, sicuramente litigare ancora, vivere sotto lo stesso tetto. Sempre loro due in fondo. Però qualcosa era cambiato sicuramente, nel suo modo di vedere Yami, nel suo modo di vedere se stesso.

L’ultimo pezzo andò a sistemarsi con disinvoltura nella cornice di tasselli, l’immagine ora era finalmente chiara, non sicura: il futuro non è mai sicuro, ma non c’era più nebbia ad avvolgerla. Yugi aprì gli occhi ancora un po’, tanto da poter guardare il viso di Yami e scansare con le dita una ciocca di capelli dal suo volto, lasciando scoperte due iridi rosse, seminascoste dalle palpebre, che lo fissavano dolcemente. Sorrise. Il resto dell’immagine l’avrebbero scoperto insieme.

Owari

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Yu-gi-oh serie > Yu-gi-oh / Vai alla pagina dell'autore: Achernar