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Autore: Thiare    14/10/2014    4 recensioni
FitzSimmons AU in cui ogni persona ha il nome dell'amore della loro vita scritto sul braccio sinistro sin dalla nascita.
Ma a volte quella persona non ti corrispondeva. Quindi, la gente tendeva a tenere le braccia coperte nel timore che fosse destinata a innamorarsi di qualcuno che era destinato a innamorarsi di qualcuno altro. Fitz e Simmons avevano i rispettivi nomi scritti sui loro polsi ma non ne avevano idea perché non l'avevano mai detto o mostrato a nessuno. Fino a quando non si ritrovarono in quel pod. Fino a quando Fitz non confessò a Simmons che lei era "più di un'amica" e lei non ebbe il tempo di rispondere adeguatamente.
[FitzSimmons] [accenni SkyeWard] [AU]
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jemma Simmons, Leo Fitz, Skye, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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La trama della storia non appartiene a me, a differenza del testo sviluppato. Qui potete trovare la fonte: http://jolteonerrex502.tumblr.com/post/87180923062/agents-of-s-h-i-e-l-d-au-where-everyone-has-the




His name.



Quando era piccola la sua mamma l'aveva presa e se l'era poggiata sulle ginocchia e aveva cominciato a raccontarle quella storia che assomigliava tanto a una fiaba. Mamma Roxanne le parlava con una voce dolce dolce.

"Ogni persona che nasce in questo mondo ha tatuato sul braccio il nome dell'amore della propria vita, tutti ce l'hanno perché tutti hanno il diritto di amare ed essere amati." Mamma Roxanne spogliò il suo polso, su di esso, con una grafia tondeggiante, c'era il goffo nome dell'ingegner Albert Simmons, marito e padre dei suoi figli. In effetti un paio di volte aveva notato quella scritta scura sul polso dei genitori ma non sapeva spiegarsi cosa fosse; non sapeva nemmeno come potessero le loro mani incrociate e i loro nomi a contatto generare così tanta luce. "E' la luce dell'amore, tesoro, anche tu la vedrai sulla tua pelle un giorno."

Jemma però non aveva capito così bene cosa fosse quello strano nome scritto sul suo polso sinistro. "Leopold Fitz" c'era scritto, ma lei si era impuntata che un tipo con quel nome orribile lei non l'avrebbe mai sposato.

Mamma Roxanne le aveva anche rivelato che non sempre l'amore è corrisposto. Qualche volta l'amore della propria vita non ricambiava, e le persone ne erano terrorizzate. Il non essere corrisposto? Faceva paura, incredibilmente. Quindi la gente non mostrava facilmente il nome scritto sul proprio braccio, proprio per il timore di innamorarsi di qualcuno che era destinato ad innamorarsi di qualcun altro.

Erano passati diciassette anni di interrogativi e di ricerche su questo tipo, Leopold Fitz, e ogni giorno che passava Jemma non poteva far altro che pensare la stessa cosa... "Che nome da prete." e anche "Ti prego fa che sia un figo assurdo."

Poi era iniziata l'accademia e Jemma aveva iniziato ad indossare i polsini colorati, nonostante Sally dicesse in continuazione che "tesssoro, sono così fuori moda!" ma erano utili a coprire quel nome.

Poi successe. Aveva già visto quel ragazzo timido tutte le lezioni del suo corso, era intelligente, quasi più di lei; diceva di chiamarsi Fitz, il nome? Mai saputo. Ma in fondo a questo mondo ci sono milioni di Fitz.

Se aveva parlato con lui? Mai. Nemmeno una volta. Jemma si nascondeva dietro l'immagine da secchiona asociale che gli altri si erano fatti di lei, ed era sicura che lo pensasse anche quell'antipatico di Fitz, dal modo in cui la guardava.

"Mi odia, Sally, quel Fitz mi odia!"


Poi successe. "Non in quel modo."
"Cosa?" Jemma alzò leggermente gli occhi dall'esperimento che stava svolgendo.
E il dosatore di lei cadde con un tonfo sordo sul pavimento.
Fitz si avvicinò pensierono stringendosi il mento ad una Simmons piegata sul suo Becco Bunsen.

Lavorarono tutto il giorno insieme quella volta, si completarono dove l'altro non riusciva ad arrivare e quando l'esperimento fu terminato con successo, Fitz allungò timidamente la mano a congratularsi con lei per il buon lavoro svolto. Jemma sorrise e le sue guance si imporporarono, quindi tese di rimando la manina per stringerla, stando bene attenta a nascondere quel nome.

"Jemma Simmons." si presentò.
Il ragazzo dall'altro lato sorrise ampiamente. "Fitz."
"Solo Fitz?"
"Leopold Fitz."

Ecco che successe. Il cuore di Jemma perse un battito. Leopold Fitz. Più un nome da secchione che da prete, se lo doveva aspettare.

Da quel momento di esperimenti ne avevano fatti una marea, riguardanti la scienza ovviamente, esperimenti sul piano sentimentale? Certo che no. Come si può pretendere da due scienziati sulla via dell'inseparabilità di esplorare i propri sentimenti?

Jemma non riuscì mai a vedere il nome scritto sul polso di lui, né lui riuscì mai a smascherare il suo. Fitz, dal canto suo, non l'aveva mai chiesto, al contrario di lei. Non riuscì a sbirciare neanche quando nella squadra capitanata dall'agente Coulson c'era da rimboccarsi le maniche per i lavori sporchi, neanche quando, per sbaglio, Fitz entrò in bagno quando lei era senza maglietta (non aveva visto niente di imbarazzante). Jemma stette così attenta a tenere per sé quel nome tanto importante che nessuno avrebbe mai potuto immaginare che si trattasse di Fitz. Nessuno tranne...

"E' Fitz, non è vero?"
"SKYE!" Simmons rimbeccò l'amica che le era piombata addosso e che ora le era naso a naso.
"Il nome che hai tatuato, è quello di Fitz, non è così? Dimmi di sì."
Ma lei aveva sbuffato e si era voltata dall'altra parte. "Non ho intenzione di rispondere a questa domanda."

"Però se non fosse stato quello di Fitz avresti semplicemente risposto no."

"NO."

Skye aveva sul braccio uno strano nome orientale, scritto in una lingua che nessuno ancora era riuscito a decifrare. Qualche volta accadevano questi scherzetti in natura.. Alcune volte la calligrafia del nome sul polso era scura e tondeggiante, altre volte era solenne e rossa, altre volte era spessa e gialla, altre ancora marcata e semplicemente bianca. Alcuni dicevano che cambiava a seconda del carattere della persona in questione, ma Jemma era una di quelli che osservava la gente e lei aveva intuito che fosse a seconda di quanto una persona desiderava di essere felice.

Il nome sul suo braccio era scritto con una grafia sbilenca e obliqua che sembrava scritta di fretta e il colore era un verde spento, quasi lontano dall'essere allegro. Quello di Skye aveva dei caratteri squadrati e scuri: un giorno Ward le si era avvicinato e le aveva afferrato il polso leggendo il nome di traverso. L'aveva osservato per un po' e poi si era lasciato scappare una risatina che lasciava intendere che il destino aveva giocato un grosso scherzo, poi era scomparso oltre la porta del suo bunk. Skye l'aveva tormentato per settimane perché le rivelasse quello che aveva letto, e quando ormai lei lo aspettava tutte le mattine davanti alla sua stanza per implorarlo e tutte le sere lo accompagnava a letto, lui si rassegnò. Allora si sedette finalmente e sorrise di rimando a quel faccino impaziente.

"E' una vecchia lingua orientale, non usata più ai nostri giorni."
"Come fai a conoscerla allora?"
Ward sorrise sornione.
Skye sospirò. "Cosa significa, allora?"
"Ragazzo dai mille segreti."

Skye trattenne il respiro e dilatò le palpebre; il silenzio era diventato troppo lungo per delle spiegazioni più esaustive e Ward ricambiò il suo sguardo.
Tutto ad un tratto però, nel bel mezzo della sua espressione più seria, scoppiò a ridere. "Scherzo, scherzo. Non ho la più pallida idea di cosa significhi."

Skye gli tirò uno schiaffo sul braccio. "Grant Ward questo non è affatto divertente!"

Jemma nascosta contro la parete del suo bunk faceva finta di non stare origliando i discorsi dei due nel bunker accanto. Perché forse Ward era anche un gran duro, ma un uomo il cui amore della propria vita è una certa donna di nome Mary Sue Poots poteva essere preso seriamente?

Comunque sia anche loro erano felici.

Una volta Jemma si era avvicinata alla May per sbirciare il suo nome tatuato e ne era rimasta scioccata quando si accorse che pesanti scorci e cicatrici spezzavano l'uniformità di quella pelle per cancellare quel nome indelebile. Lo stesso non poteva dire per l'agente Coulson, lui che sul polso peloso aveva inciso con una calligrafia semplice e rosata un nome schietto e nauseante allo stesso tempo di una ragazza che sarebbe potuta benissimo essere la Regina d'Inghilterra o la cassiera del bar sotto casa.

Fitz era sempre il solito Fitz e sempre sarebbe stato per lei, questo se l'era inciso nella coscienza perché non credeva che il loro rapporto sarebbe mai cambiato. Non che Jemma si aspettasse che Fitz la ricambiasse, ovviamente, ma questo era il suo piccolo sogno segreto che neanche Skye aveva potuto sapere.

Poi successe. Arrivò l'HYDRA. No, diciamo che l'HYDRA c'era sempre stata, il dubbio ormai era se lo SHIELD fosse mai esistito realmente. Ecco come lo scoprì, lei, grazie (relativamente) all'HYDRA.

Come poteva pensare quella bambina di cinque anni seduta sulle ginocchia della madre, che il futuro avrebbe avuto questo in serbo per lei; e come avrebbe potuto mai immaginare una diciassettenne indipendente, bramosa di conoscenza, che quella strada l'avrebbe condotta a questo? Ma sicuramente in tutti gli anni passati, in tutti i pensieri avuti e tutte le fantasie fatte, quel momento, il momento in cui avrebbe incontrato Leopold Fitz, il momento in cui lui l'avrebbe seguita persino sul campo, il momento in cui loro si sarebbero ritrovati in una cabina sul fondo dell'oceano insieme, il momento in cui Fitz si sarebbe... "perché vuoi che faccia questo?!"
... s a c r i f i c a t o
  per lei, beh quello era già scritto nel destino da prima che nascesse.

Così successe. Anche a trenta metri sotto il mare e con poco ossigeno, avendo solo l'un l'altra e solo due nomi scolpiti nelle proprie anime, persino adesso Fitz si fece amare ancora di più e...

"Perché vuoi che faccia questo?! Tu sei il mio migliore amico al mondo!" lo disse, sì, Jemma, ma non andò oltre al concetto di amicizia per non far intuire niente sui suoi sentimenti, perché se non fossero stati ricambiati allora non sapeva cosa avrebbe fatto.

"E tu sei molto più di quello per me." SBAM. Ecco il colpo finale. La saliva le si fermò in gola e gli occhi le si riempirono di lacrime. Di sicuro il colpo più forte, più letale, più doloroso fu questo, che neanche l'annegamento poteva eguagliare. Lui, Fitz, che credeva di poterla salvare ma che con questa dichiarazione l'aveva annientata. Perché era quello che Simmons pensava: adesso che erano così vicini allo stare insieme, adesso che tutto poteva essere bello, adesso proprio doveva lasciarla.

Fitz spinse la bomboletta tra le sue mani e tutto esplose. L'ultima cosa che Jemma poté ricordare della loro permanenza nel pod erano due occhi pieni di lacrime e poi lo sguardo che le cadde su quel nome sul proprio polso, a quanto ci era andata così vicina a raggiungerlo.

Non aveva avuto il tempo di rispondergli, e se Fitz non si sarebbe più svegliato non avrebbe mai saputo cosa realmente lei provava.

Quando Jemma arrivò a Playground con Koenig e un corteo di medici specializzati al suo seguito, a malapena riusciva a reggersi in piedi e vedere bene, soprattutto quando Fitz uscì dalla sala operatoria e non era sveglio.

"E' in coma."
"Lo vedo che è in coma."
"Mi scusi, agente Simmons, volevo solo informarla riguardo.."
"Non mi importa, non voglio sapere niente. Basta che lo curiate."
"Sì signora."

Quando finalmente rimasero soli, Jemma tirò un sospirò e si fece piccola piccola contro lo schienale di quella poltroncina, con le gambe strette contro il petto. Gli strinse la mano tiepida mentre il Fitz che conosceva prima scivolava lentamente via, con quel tubo che lo aiutava a respirare e il rumore acuto dell'elettrocardiogramma che confermava che era ancora vivo.

Jemma sospirò di nuovo e poi decise che doveva sapere. Finalmente si strappò quel polsino e lasciò libera la mano che presto andò a stringere il braccio di lui; lentamente Jemma gli girò il polso e quando il suo bel nome comparve con una calligrafia regale e allungata, i suoi occhi si inumidirono e iniziò a piangere.

"Jemma Simmons." Il suo, l'unico nome che era possibile che ci fosse.

Quella sera i loro nomi si sovrapposero e anch'essi generarono tanta luce, quella luce dell'amore.

"Oh ti prego svegliati..."




Quando Leopold Fitz si svegliò, Jemma Simmons non era al suo fianco. Per mesi non seppe dove si trovava ma dal biglietto che miseramente gli aveva lasciato la ragazza, poteva capire solo una cosa: non importa dov'era, quel nome sarebbe stato sempre con lei, tatuato nel suo cuore.





 
   
 
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