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Autore: JustAHeartBeat    15/10/2014    3 recensioni
Loro non parlavano.
Non parlavano mai,ma James poteva lo stesso sentire la voce della sua piccola fata nella testa, anche avendola sentita raramente, perchè loro si parlavano, ma in silenzio.
Il loro era un gioco di sguardi, era un discorso pronunciato dal cuore, e ascoltato da un altro cuore.
Strinse il foglietto tra le dita, avvertendone le pieghe, e beandosi del timido tocco di Lullaby, respirando il profumo di iris,a pochi centimetri di distanza,tanto vicino quanto distante, avrebbero detto menti poetiche guardando al loro amore.
James non era d'accordo, perchè loro non erano mai distanti, mai, nemmeno quendo lo erano fisicamente, i loro cuori battevano all'unisono e loro pensieri parlavano,si amavano, di un amore che mai nessuno avrebbe mai potuto capire, perchè troppo profondo, troppo cieco, troppo folle,come lo erano loro.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
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Salve a tutti!
Allora, so benissimo che se siete come me, non vi cagherete di pezza queste note (*fischietta colpevole*)
ma nel caso in cui, qualche anima buona abbia deciso di leggerle, (scappate finché siete in tempo! *risata malefica*) trovo indispensabile, per la mia incolumità, che sappia che questa, è la prima ff che scrivo (*scoppia a piangere implorando perdono*) e pertanto, vi supplico di essere clementi nel caso in cui la trama non vi piaccia o ci siano Orrori grammaticali sfuggiti alle correzioni.
Beene, che altro dire? Nulla di che, il rating di questa storia è giallo, perchè io personalmente trovo il contenuto abbastanza pesante ed è stata scritta senza alcun fine di lucro.
Vi auguro
buona lettura, e magari fatemi sapere cosa ne pensate con una recensioncina, ovviamente anche critica.
Bacioni,
JustAHeartBeat

 



CAN I JUST FIX YOU?


 
Londra, 13 Novembre 2014
Il cielo era grigio, era scuro, era buio ,in quella timida giornata di novembre.
Era imponente, quel cielo, nella goffagine delle nuvole,che di tanto in tanto lasciavano filtrare qualche umido barlume del sole mattutino, e altrettante volte si sfioravano delicatamente lasciando cadere piccole goccioline di pioggia, che rassegnate si andavano a posizionare sulle ultime foglie raggrinzite rimaste sugli enormi alberi centenariche coronavano i viottoli di quel posto magico,le stesse nuvole che la sorvolavano altezzose minacciandola con rumorosi tuoni, e ricoprivano quel piccolo quartiere Londinese, rendendolo cupo, peggiorandole l'umore già provato dalla 'straordinaria' mattinata passata.
Il cielo era un oblio di nubi e vento, tinto di stanchezza, era freddo ma non solo sulla pelle, era freddo al cuore,era freddo nelle vene,nella carne, era freddo nell'anima di Lullaby,ed era spento, proprio come i suoi occhi di ghiaccio.
Lullaby respirava a fatica, usando la bocca, mentre camminava sul marciapiede bagnato, tentando di schivare le pozzanghere fangose,piene di foglie pinte dall'autunno, e stringendosi nel pesante giaccone beige, la sciarpa verde di lana ,girata più volte attorno l'esile collo latteo, che arrivava a coprire il naso rosso dal freddo, le mani screpolate fasciate da due morbidi guanti neri, suo malgrado troppo sottili per infonderle il calore tanto agognato, il cappellino, anch'esso verde poggiato mollemente sulla chioma fulva,liscia da sebrare seta,morbida da sembrare un petalo di rosa,profumata di iris di campo,che fluttuava nel vento impicciandosi a tratti nella sciarpa,per poi tornare a immedesimarsi con la brezza gelida.
Camminava a passo spedito,fissando il vuoto, condotta semplicemente dall'abitudine,alzando lo sguardo in rari casi,per saltare un tombino difettoso senza rompersi l'osso del collo, o per decidere quale strada prendere, per poi tornare ad essere guidata dal fato, la borsa di stoffa contenente i pochi tomi da riportare alla biblioteca della scuola, che sbatteva contro la sua gamba rendendo il suo tragitto goffo e faticoso.
Lullaby era abituata ormai.
Non faceva più caso alle occhiaie che le circondavano gli occhi grigi, duri a sembrare pietra, consumati nella fatica di trattenere le lacrime.
Perchè Lullaby non piangeva.
Non piangeva mai.
Perchè lei era forte,al contrario di sua madre.
Era cresciuta vedendola piangere, era cresciuta vedendola pregare, implorare, stesa per terra, mentre Jack,suo padre la guardava con odio e la riempiva di calci e percosse.
Lo faceva sempre. Per qualsiasi stupida ragione. Perchè l'insalata era insipida ,perchè aveva dimenticato di pulire la lettiera di quello 'stramaledetto'animale, perchè era un uomo quando si vestiva, mentre avrebbe dovuto essere provocante, perchè era vestita troppo provocante. Per qualsiasi stupido motivo.
E lei, Lullaby, se lo ricordava.
Si ricordava ogni singola volta.
Si ricordava quando l'avava quasi strangolata, perchè aveva osato criticare una sua battuta di pessimo gusto, l'aveva alzata dalla sedia di peso, prendendo quella minuta donnina per le spalle e attaccandola al muro,ripetendo che era uno stupido animale, e come tale meritava solo di obedire ed essere punita quando non lo faceva,l'aveva colpita, quella volta, l'aveva schiaffeggiata con forza brutale, davanti agli occhi della figlia di otto anni,che guardava incredula e impaurita,le manine agli occhi, coprendoli davanti a tanta violenza, e aveva pianto,quella volta, per l'ultima volta, quella sera stessa,infatti, si era giurata che mai più avrebbe pianto, perchè piangendo avrebbe fatto capire a Jack di essere debole, e lui odiava i deboli, e l'avrebbe picchiata, proprio come aveva fatto con sua madre.
Si ricordava quando le aveva spalmato la tavoletta dei trucchi su tutta la superficie del volto in lacrime, perchè si era truccata leggermente più del solito,l'aveva presa per i capelli tanto simili a quelli della sua bambina, questa volta undicenne, che ben presto avrebbe imparato ad odiarli, e che assisteva ancora alla scena, le gambe ancorate al petto, gli occhi vuoti, e l'aveva portata in bagno, lanciando epiteti affilati come coltelli,l'aveva attaccata alla parete tirando i cassetto dove la moglie teneva i suoi pochi cosmetici sul pavimento, distruggendo i profumi che conteneva e afferrando la ricercata tavolozza per poi sbatterla con forza sul volto della moglie che non prevedendo la mossa aveva cacciato un urlo, ingoiando così molta di quella polverina colorata, mentre il marito le urlava che così era molto più attraente.
Aveva bevuto, Jack, quella volta.
Lullaby alzò il capo per la terza volta da quando era scappata ad un altro attacco di violenza del padre ormai furioso per la somiglianza tra la moglie e la figlia.
"Non le hai dato nulla di me, troia! Volevi che fosse solo tua! La volevi portare via da me! Prenditela, è cresciuta come una malata! Proprio come sua madre! ma dovevo aspettarmelo, da una mela marcia come te!" aveva urlato mentre Lullaby si affrettava a prendere la borsa e a sparire sbattendosi la porta alle spalle.
Non aveva pianto.
Lei non piangeva mai.
Perchè era forte.
Anzi, odiava i rammolliti che lo facevano, odiava sua madre che lo faceva, che faceva arrabbiare così suo padre, cosa ci voleva ad avere un po' più di ossa?!
Ma lei sapeva che sua madre  piangeva perchè lui le faceva paura.
Jack faceva paura.
Obbiettivamente.
Faceva paura a tutti.
Persino i clienti dell'officina avevano paura di lui, ma tornavano, perchè,anche dal suo metro e novantacinque, jack, faceva buoni prezzi.
Ma lo temevano. Tutti.
Anche Lullaby aveva paura di lui. Lei, che era forte.
Non l'aveva mai picchiata, mai, ma questo solo perchè non era una debole,forte, ma se avesse ceduto?
L'avrebbe uccisa, ne era sicura.
Ricacciò indietro una lacrima dandosi mentalmente della stupida codarda.
Si addentrò nell'ampio cortile della scuola,fatto di pietroni e cemento, ricopento di spessi strati di fango e foglie impastate,metre qua e la aiuole coperte dal tempo e dalla poca manutenzione si ergevano, circondando vecchissimi alberi dal tronco niveo, e secco, superò gli studenti facendo slalom tra di loro,alzando lo sguardo solo una volta.
E quella volta, le parve d'aver visto la salvezza.
Le parve di aver visto un sogno, di aver sentito un 'crack' dentro, non uno di quelli che sentiva un po' ogni giorno, quando era costretta alla vicinanza con Jack,un crack buono, la melodia della rottura della pietra che circondava il suo cuore, come se questo avesse sentito il richiamo di quel ghiaccio fuso, esattamente come lo aveva sentito lei, che si era bloccata nel bel mezzo del piazzale, mentre continuava a navigare in qella calda e appagante freddezza, per poi riprendere a camminare, lentamente, attratta come un naufrago alla terra ferma, come un evaso alla libertà, come un uomo perso, al sentiero di casa, a quegli occhi, due stupidi occhi, che avevano dato un senso a tutto quello schifo.
Un passo.
Poi un'atro.
E un'altro ancora.
Sempre più vicina alla meta.
Sempre più vicina alla terra ferma.
Sempre più vicina alla libertà.
Sempre più vicina al sentiero di casa, la sua vera casa, le braccia dell'unico uomo che avrebbe mai potuta strapparla  al dolore, l'unico uomo che avrebbe mai potuto ricomporre un cuore ormai colmo di crepe e pezzi mancanti,l'unico uomo che poteva riscaldarla anche solo con un sorriso, con uno dei suoi bellissimi sorrisi irradianti.
Il suo angelo.
L'unico motivo per il quale aveva deciso di continuare ad andare avanti, a sopportare il dolore che le causava Jack, la pena che le causava Claire, la madre : James, un ragazzino di diciassette anni, più piccolo di lei di sei anni.
Lei sapeva che poteva sembrare una cosa stupida, lo sapeva benissimo, ma non le importava.
Non le importava delle ragazzine che gli giravano intorno, non le importava dei genitori che cercavano di rifilargli le più belle e ricche ragazze di Londra, non le importava delle note che gli mettevano gli insegnanti quando saltava le lezioni.
Non le importava di nulla.
Lui era suo.
Si appartenevano.
SI amavano.
SI amavano davvero.
Non controllava più le gambe, che avevano preso ad andare da sole.
Era vicina adesso, ad un palmo da lui, tuttavia non si fermò, ma con un esile tocco, gli passò il piccolo fogliettino stropicciato,che aveva stretto al petto tutta la notte precedente e quella precedente, e anche le sere prima da un anno, che aveva protetto gelosamente, che si passavano ogni giorno, come un silenzioso gioco, come una tacito invito, ad entrare a far parte delle loro vite reciprocamente.
Loro non parlavano.
Non parlavano mai,ma James poteva lo stesso sentire la voce della sua piccola fata nella testa, anche avendola sentita raramente, perchè loro si parlavano, ma in silenzio.
Il loro era un gioco di sguardi, era un discorso pronunciato dal cuore, e ascoltato da un altro cuore.
Strinse il foglietto tra le dita, avvertendone le pieghe, e beandosi del timido tocco di Lullaby, respirando il profumo di iris,a pochi centimetri di distanza,tanto vicino quanto distante, avrebbero detto menti poetiche guardando al loro amore.
James non era d'accordo, perchè loro non erano mai distanti, mai, nemmeno quendo lo erano fisicamente, i loro cuori battevano all'unisono e loro pensieri parlavano,si amavano, di un amore che mai nessuno avrebbe mai potuto capire, perchè troppo profondo, troppo cieco, troppo folle,come lo erano loro.
Il biondo si ritrovò a sorridere da solo a quel pensiero,le affusolate dita pallide a carezzare il bigliettino come un tesoro caro, mentre attraversava il corridoio della scuola,prima di sentire un  dolore acuto alla tempia, segno che qualcunolo aveva spinto.
"Cosa c'è Woodrock? Perchè ridi? Adesso oltre che muto sei anche matto?" lo sbeffeggiò un ragazzone più grande di lui di un anno, uno di quelli che lo aveva sempre odiato e preso in giro, il primo a buttarlo nella spazzatura, chiamandono verme, rifiuto.
James, a contatto con la pietra delle mattonelle del corridoio aprì la bocca, per ribattere, ma da questa non ne uscì neppure un suono.
'Oh,vero,non posso parlare'  pensò,tra se e se, sentendo una morsa dolorosa al petto, per nulla dovuta all'urto.
"Cos'è Wood? Ti sei scordato che sei talmente stupido da non saper parlare?? Persino mia sorella di tre anni parla meglio di te!" Gli sputò ancora, ottenendo risate dai lecca piedi che si portava sempre in giro.
Ma James, non ascoltava più.
Si alzò,pulendosi la divisa della scuola alla bell'e meglio.
Poi, si voltò e si allontanò,lasciando che sul volto di Isaac, si alternassero espressioni su espressioni, come se neppure lui avesse saputo come reagire, si poteve leggere tutto sopra il perfetto volto di quel diavolo dai capelli di pece, tutto.
In quel momento si potevano distingure: prima stupore, poi rabbia, poi vergogna e infine la sconfitta.
James sorrise ancora, aveva vinto, per la prima volta, aveva vinto, e gli era bastato pensare a Lullaby, perchè era lei la sua vera e unica vittoria,e questo James lo sapeva, lo sapeva bene.
Poi corse.
Il più velocemete possibile.
Corse da lei.
Superò tre rampe di scale, saltando i gradini a due a due, fino ad arrivare alla scrivania della bidella.
E li la vide.
Bella,come solo lei sapeva essere, pensò.
Bella, con i capelli vellutati rosso di rosa , illuminati da un unico spazio tra due nuvole scure, e lui pensò che quello era lei, lei era un barlume di luce tra nuvole cupe, luce accesa nella noia spenta,lei ara il faro nella tempesta, era la brezza tra i capelli in un giorno afoso, era il profumo che avrebbe riconosciuo ovunque, era la donna che aveva rubato il suo cuore, ma lo teneva con cura, si prendeva cura di lui, di James.
Era sua, pensò ancora il biondo, avanzando cautamente,quasi avendo paura di rovinare la magia.
Lullaby alzo il volto, e icrociò i suoi occhi.
"Pensavo che non saresti venuto, avevi una lezione importante." sussurrò,dopo minuti a contemplare la figura longilinea del suo salvatore.
James scrollò le spalle, sorridendo.
'Tu sei più importante' le rispose,con lo sguardo.
E lei capì.
Si avvicinò, sorridendo.
Fino a sfiornare il naso del ragazzo con il suo,potendo chiaramente respirare il suo profumo,un aroma che le urlava una sola parola: casa.
"Ti amo" mormorò,lo sguardo fisso nelle iridi ghiaccio fuso di lui.
Lui,per tutta risposta si avvicino ancora,inclinando il capo,facendo aderire le sue labbra a quelle di Lullaby, dolcemente, perdendosi nelle mille sensazioni che gli concedeva solo quel timido tocco.
Sarebbe stato così per sempre, si dissero, nessuno li avrebbe mai capiti, tutti avrebbero voltato loro le spalle, ma non importava, perchè loro erano uniti da un amore che non vedeva rifiuti, gelosie, violenza,bullismo, vedeva solo loro due, e i loro cuori coordinati, e così sarebbe stato.
Per sempre.
   
 
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