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Autore: LadyTargaryen    15/10/2014    6 recensioni
E' sera, e Grantaire è a zonzo per Parigi con la sola compagnia di una bottiglia di vino. E' sera, e Enjolras è solo, fuori dal Musain, in preda ai dubbi. E Grantaire, felice come non mai all'idea di poter trascorrere una serata in sua compagnia, si propone di tirarlo su di morale...Ovviamente alla sua maniera.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Enjolras, Grantaire
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se il mattino fosse una chiave

 

 

 

 

 

 

 

Grantaire si stiracchiò, sbadigliando sonoramente. L'aria era piacevole e frizzante e se ne riempì i polmoni, incamerandone quanta più poteva. L'odore, nonostante si trovasse nei bassifondi della città e praticamente all'imboccatura delle fogne, non era neppure così insopportabilmente pestilenziale. Era l'imbrunire, e gli ultimi, ultimissimi raggi del sole proiettavano ombre gigantesche sulla via. I bottegai erano in procinto di chiudere, mentre altri, specie osti e tavernieri, si preparavano all'apertura serale. Per la strada solo pochi passanti, tra i quali gli sfaccendati come lui all'eterna ricerca di un posto in cui occupare il tempo nella maniera meno produttiva ed impegnativa possibile, in allegra compagnia e con molto vino di contorno.

 

Sbadigliò una seconda volta, ancora più rumorosamente.

 

Era accaldato, un poco intontito e piacevolmente sazio. Quel mezzo pollo allo spiedo gli era scivolato giù per la gola come una slitta e quel delizioso Borgogna d'annata ne aveva avvantaggiato la discesa. Raramente gli capitava di trangugiare un'intera bottiglia durante il pasto: preferiva sempre bersene tre quarti e portarsi a passeggio per la città il quarto rimasto, nel suo eterno andare a zonzo. “Nel caso mi si secchino le labbra.” diceva.

 

Aveva mangiato a sazietà e bevuto altrettanto.

 

Ed ora eccolo lì, di nuovo in giro, soddisfatto di stomaco e lieto di gola, appena brillo. Ma la notte era ancora giovane e avrebbe presto trovato un'altra locanda o taverna in cui dissetarsi ulteriormente quando il vino avanzato fosse finito. Infine si sarebbe trascinato a casa, se fosse stata già mattina, o al Caffè Musain, in alternativa. Oltre a quello che concerneva il futuro prossimo non aveva né piani né programmi. Aveva sempre basato la sua vita sui “si vedrà”, sui “forse” e sui “chi lo sa”. Perché mai fare progetti a lunga scadenza, in fondo? L'oraziano “carpe diem” era sempre stato il perno della sua filosofia di vita.

 

Prese un altro sorso e si incamminò, senza meta, lasciando che i piedi andassero dove volevano, quelli in una direzione e la mente in un'altra, troppo preso dal vino per occuparsi d'altro.

 

E così, impegnato com'era a scolarsi la bottiglia, svuotandola goccia a goccia con una minuzia degna di un orologiaio svizzero che aggiusti gli ingranaggi di una pendola, si rese conto di trovarsi al Musain solo quando vi si arrestò davanti, il vino praticamente finito e il sole ormai completamente tramontato. Il ristorante era in chiusura e degli avventori abituali non rimaneva quasi nessuno. - Ah! - commentò Grantaire – I miei amici rivoluzionari hanno levato le tende. Più che giusto, più che legittimo: chi dorme non piglia pesci ma in compenso fa bei sogni. Ed io ho sempre preferito un bel sogno ad una spigola: puzza meno e non ha spine. - Non fece in tempo a formulare questa massima che qualcosa – o per meglio dire, qualcuno – catturò la sua attenzione. Grantaire strinse gli occhi nel tentativo di distinguerlo nella poca luce della sera. Il cuore gli fece un tuffo in petto; si produsse in un gran sorriso e si sbracciò in un allegro saluto:- Enjolras! Salve! -

 

Enjolras, perché di lui si trattava, si voltò verso di lui. - Grantaire. -

 

La schiena appoggiata alla parete dell'edificio di fronte al Caffè, le mani dietro la schiena, fissava assorto lo spicchio di cielo visibile sopra di lui. Pareva pensieroso.

 

Il cogitare a lungo estraniandosi dal mondo era tipicamente suo, e l'isolarsi da tutti per poter stare a tu per tu con se stesso anche, ma Grantaire non l'aveva mai visto così. Gli pareva...Accigliato.

 

Preoccupato.

 

Forse poteva tentare di distoglierlo da quei pensieri, qualunque cosa fosse quella che lo angustiava. Il suo sorriso si allargò.

 

- Esatto, è proprio così che mi chiamo. Così mi chiamano il padre, la madre e i compagni tutti. - rise allegramente, un po' parafrasando e un po' citando Odisseo. - Tu piuttosto? Cosa fai qui, tutto solo? La signorina Patria ti ha forse preferito un altro? Vedrai che presto tornerà. Sei un uomo dai lunghi silenzi, Enjolras, per non dire praticamente muto, ed è la cosa che le donne apprezzano di più al mondo, molto più di quanti cappellini o abiti all'ultimo grido si possano regalar loro: noi taciamo e loro parlano per due. Ma vuoi la mia opinione? Le donne che non se ne stanno mai zitte mi stancano presto. Triste è quella casa ove la gallina canta e il gallo tace! -.

 

Enjolras scosse il capo. - Grantaire, sei ubriaco. -.- Che dici? Sono quasi sobrio. -.- Quasi. -.- Il “quasi” è ricco di sfumature, carissimo. Un “quasi” è un mondo di possibilità. Dici “quasi”, dici “mondo”. -

 

Scosse la bottiglia, cercando di capire se questa fosse vuota o meno, infine la posò, abbandonandola a terra. - In ogni caso, mi stupisce vederti qua fuori. A quest'ora Apollo avrebbe già dovuto cedere il posto a Diana, e tornarsene sull'Olimpo. Come mai ancora qui? -. Enjolras calciò via un ciottolo con la punta dello stivale. - Avevo delle questioni da sbrigare. -.- Capisco. E le sbrighi per strada, le suddette questioni? -.- Avevo bisogno di aria. -.- Capisco. - ripeté, e tra loro calò il silenzio. Grantaire si mise a fischiettare un motivetto molto in voga nelle sale da ballo, Enjolras riprese a contemplare il cielo, in cui ora iniziavano a spuntare le prime stelle, timide e sparute ma già brillanti come gemme preziose nel manto blu del cielo. Attorno a loro Parigi, la Parigi notturna dei ladri e degli assassini, la Parigi degli ubriaconi e delle prostitute, cominciava a destarsi.

 

D'un tratto Grantaire sollevò il capo, come folgorato da un'idea improvvisa:- E se venissi con me? -. Enjolras abbassò gli occhi e lo fissò senza capire. - Prego? -.- Vieni con me, facciamo due passi per stimolare l'appetito, troviamo un posto decente dove si mangi bene senza praticare un salasso alle proprie finanze e vi restiamo finché non viene mattina. O finché non siamo gonfi come tacchini e ne abbiamo abbastanza di cibo e vino. Che te ne pare? -.- Pensavo tu avessi già mangiato. - obiettò l'altro. Grantaire rise, davanti all'ovvietà di quell'affermazione. - Io? Certo che sì. Ma credimi, mi torna fame in fretta. Tu, piuttosto? Hai messo qualcosa di commestibile sotto i denti? -.- Certamente. - replicò non senza uno sbuffo seccato Enjolras. - Lasciamene dubitare. Probabilmente eri così occupato a pensare alla signorina Patria che non hai toccato cibo. Ma non è così che la riconquisterai, sappilo. L'unico amante che seduca con la propria magrezza da morto di stenti è Joly e dubito riuscirò mai a capire il perché. Non che mi interessi, in ogni caso. Un uomo tutt'ossa è uno scheletro ambulante. E l'unica cosa che si può fare con le ossa è il brodo. Sii sincero, confessa: non hai mangiato nulla, vero? -.- Certo che ho mangiato. - sbottò il giovane dalla chioma bionda, ma la sua orgogliosa alterigia andò in frantumi quando si udì distintamente il rumore di una pancia che brontola imperiosa, e sonoramente.

 

Decisa avvisaglia di una fame da lupi.

 

E le guance pallide di Enjolras si tinsero gradevolmente di rosso.

 

Grantaire gongolò soddisfatto:- Galeotto fu lo stomaco! Ti sei tradito. Ed ora dovrai venire a cena con me. Altre castelli in aria fatti di scuse? Altre inutili obiezioni da muovere? No? Stupendo. Me ne rallegro assai. E allora avanti, si va. - E lo prese a braccetto, un po' per fare strada, un po' per assicurarsi che non gli sfuggisse. Enjolras tentò un'ultima, debole resistenza, ma infine cedette e lo seguì, con sulle labbra un lieve, lievissimo, quasi invisibile accenno di sorriso.

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

- Dunque, che ne pensi? Non hai aperto bocca da quando siamo partiti. Non che l'evento abbia del miracoloso. Mi avrebbe piuttosto stupito il contrario! - scherzò Grantaire, dondolandosi avanti e indietro sulla propria sedia, le braccia comodamente intrecciate dietro la nuca.

 

Teneva lo sguardo fisso sull'amico. Sorrideva come un bambino davanti ad un regalo tanto desiderato e a lungo atteso. Non riusciva a impedirselo: la gioia che provava per averlo lì con lui era indescrivibile.

 

La taverna in cui si trovavano, un locale minuscolo con non più di quattro tavolini e tre panche, era situata in una sperduta viottola del centro parigino. Impossibile da trovare, irraggiungibile se non da chi già sapeva dove cercare. Un ambiente sufficientemente illuminato, dal pavimento scricchiolante, con sedie che cigolavano ad ogni movimento e tavolacci di legno lucidato dai numerosi avventori, nonché dalla birra e dal grasso che pasto dopo pasto si erano depositati sulla superficie. Sul fondo della stanza si trovava un bancone che dava su un corridoio portante sul retro e con sopra due botti di birra e alcuni boccali vuoti e impolverati. Un po' squallido, magari, ma abbastanza pulito e in ordine. E se Grantaire, che sapeva diventare impossibile in fatto di pietanze, lo aveva eletto a suo possibile punto di ristoro significava che la cucina ripagava della sopportazione dell'arredamento rustico e consunto. In materia di bevande sapeva invece essere meno difficile: se la qualità e la gradazione alcolica erano soddisfacenti si accontentava di quasi tutto. Quasi, perché anche qui possedeva le sue riserve. “Bevitore, sì. Ubriacone, pure. Ma facendo le doverose distinzioni del caso” era la sua massima a riguardo.

 

- E' passabile. Anche se un po' desolata. - rispose Enjolras, che gettava l'occhio attorno nel locale. L'altro, arrestando il suo fastidioso dondolio, i piedi ora mollemente allungati sulla tavola da cui più di un'occhiataccia di riprovazione da parte di Enjolras non era riuscita a smuovere, ridacchiò e si mise in bocca uno stecchino, a nettarsi i denti dal pasto precedente. - Passabile. Immagino che da parte tua equivalga ad una lunga, entusiasta ed appassionata recensione. Dire che hai il dono della sintesi è eufemistico, forse solo la prosa di Cesare è più sintetica di te. Veni, vidi, vici. Parola d'ordine: ridurre all'osso. Non è così? - Enjolras continuò a guardarsi attorno, senza dare alcuna replica se non un sospiro esasperato davanti al consueto, polemico eloquio di Grantaire. - Non c'è nessuno. Neppure l'oste. - constatò dopo un po'. - Oh no, stai tranquillo. - lo rassicurò Grantaire, decidendosi infine a togliere i piedi dalla tavola. – Sono nel retro, ad occuparsi della macchina che distilla l'acquavite. Ora li chiamo, pazienta un po'. - si mise la mani a coppa davanti alla bocca ed urlò con quanto fiato aveva in gola: - Ehi! Julie! Qua i clienti aspettano! Spicciati! - E doveva averne parecchio, di fiato, perché Enjolras sobbalzò e quasi cadde dalla sedia. D'un tratto dal corridoio dietro il bancone comparve una servetta piuttosto graziosa, capelli rossi e una spruzzata di lentiggini sulle gote, che andava per i trent'anni.

 

- Il diavolo ti porti, Grantaire! Che hai da gridare a quel modo? -.- Anche tu mi sei mancata, tesoro mio adorato. - sorrise languido Grantaire ignorando completamente le sue proteste. - E sicuramente non ho colpe se tu e quell'uomo più spilorcio di un usuraio che hai per padre siete duri d'orecchi e in più passate la vita a covare neanche fosse il vello d'oro di Giasone quel mostro che produce quel liquame di fogna che avete la sfacciataggine di chiamare acquavite. Ora su, vieni qua e salutami, sii gentile col tuo caro R maiuscola. -

 

Julie, non senza sbuffare, andò ad abbracciarlo e Grantaire colse al volo l'occasione per stamparle un bacio sul deciso scollo dell'abito con uno schiocco esagerato che parve quello di una bottiglia da cui un vignaiolo, dopo aver lungamente lavorato di cavatappi, sia finalmente riuscito nell'intento di levare il sughero. La cameriera levò gli occhi al cielo e sospirò, non senza un certo divertimento: ormai la loro era una farsa provata e riprovata, una collaudata commedia andata in scena innumerevoli volte.

 

Grantaire se la mise seduta sulle ginocchia, sulle quali Julie si accomodò tra il rassegnato e il divertito, e le indicò con una certa istrionica teatralità Enjolras:- Julie ti presento Enjolras, il capo di quei miei amici rivoluzionari di cui sono certo di averti parlato quella sera...Non eri tu? Oh, poco male. Vuol dire che te ne parlerò ora...A proposito, non guardarlo troppo, il nostro marmoreo amante della libertà. E' come il sole: se ti avvicini eccessivamente fai la fine di Icaro. E poi è ufficialmente fidanzato con Patria, una signorina incantevole anche se a mio avviso un poco banderuola. Le nozze sono ormai cosa fatta. Con un po' di fortuna presenzierò anch'io al banchetto nuziale, le litanie del prete le lascio volentieri ad altri. Enjolras, questa è Julie, figlia del locandiere e unico conforto di chi mette piede in questo tugurio dimenticato da Dio che si ha la bontà di chiamare ristorante. -

 

Enjolras salutò con un cenno del capo, non mancando di fulminare con lo sguardo Grantaire per il mancato rispetto nei confronti della sacralità della Patria, e Julie accennò un mezzo inchino.

 

- Bene. Cosa vi porto? -.- Dipende da cosa passa il convento. Cosa prevede la casa, per cena? -.- Spezzatino di manzo al sugo di carote e sedano, fegato con contorno di patate e cipolle, del buon pane fresco e... -.- Ta, ta, ta, ta. Non un'altra parola. Spezzatino e pane e staremo da re, altro che Lucullo! Fai per due, porzioni belle piene, il qui presente Enjolras – lo indicò col pollice - non mangia decentemente da tempo immemorabile ed ha la pancia che ringhia peggio del leone di Nemea. Quindi, abbonda pure. Non lesinare! – aggiunse Grantaire alzando mano e tono per prevenire possibili proteste da parte di Enjolras, che infatti non mancarono di giungere. - E due bottiglie di rosso, ovviamente. E bada che sia rosso! - la redarguì agitando con severità l'indice - Col rosato che mi hai propinato la volta scorsa ci si poteva giusto passare lo straccio. Sarò anche un ubriacone ma ho pur sempre la mia dignità. Vino, perdiana! Non risciacquatura di fiaschi! -. Julie sospirò ancora, occhi nuovamnte al cielo, poi girò sui tacchi e sparì sul retro.

 

Rimasti soli Grantaire, per ingannare l'attesa dell'arrivo delle pietanze, riprese allegramente a dondolarsi, con un certo fastidio da parte di Enjolras, che ad un certo punto gli ordinò seccato di piantarla, e di comportarsi da adulto, una buona volta! L'altro ubbidì ma solo quando vide due invitanti piatti di spezzatino fumante veleggiare loro incontro tra le mani di Julie. - Un rosso d'annata! Ora sì che si ragiona! - esclamò quando sul tavolo comparvero anche due bottiglie di vino. Annusò il suo piatto con fare da intenditore:- Una leccornia degna di Luigi Filippo! E con la salsiccia, per giunta! Julie carissima questa è la volta che ti lascio una bella mancia, lo giuro su tutti gli dei! - Julie scosse il capo con scetticismo come a dire “Non succederà mai. Ti conosco troppo bene e so che quando si tratta di extra il tuo borsello è più stretto del nodo gordiano.” e se ne andò.

 

Grantaire si sfregò le mani soddisfatto:- Buon appetito! - e impugnata che ebbe la forchetta attaccò a divorare il suo spezzatino con una voracità tale che pareva non incamerasse una briciola da giorni. Enjolras disapprovò indignato scuotendo il capo. Quindi, dopo essersi diligentemente disteso sulle ginocchia il tovagliolo, prese a mangiare lentamente, a piccoli bocconi tagliati con la massima cura, masticando ed assaporando a fondo la carne, quasi intendesse studiarla. Grantaire inorridì:- Cosa fai?! -. Enjolras si fermò, la forchetta a mezz'aria, e lo fissò inarcando un sopracciglio:- Prego? -.- Ho chiesto cosa stai facendo. -.- Si direbbe che io stia mangiando. A te cosa pare? -.- Quello non è mangiare! E' spilluzzicare! Sperperare! Sacrilegio! - strillò Grantaire in uno scandalizzato crescendo – Non è così che si mangia! -.- E come si mangerebbe dunque, di grazia? - s'informò Enjolras nel tono pericolosamente calmo di chi è prossimo alla collera. - Così! - e finito che ebbe di parlare Grantaire infilzò un grosso, sugoso boccone di manzo e salsiccia e glielo spinse in bocca senza troppe cerimonie.

 

Qualunque protesta Enjolras avesse in mente carne ed intingolo provvidero a tacitarla.

 

Annaspò, mugolò, sputacchiò ma infine si riprese e non senza fatica si ricompose. Grantaire versò il vino:- Un brindisi! -. Enjolras, sempre rosso in volto come e più del vino, levò fiero il bicchiere, tentando di ridarsi contegno:- Alla Francia e alla libertà! -.- Al vino e alle belle donne! - replicò quella canaglia irrispettosa di Grantaire. E si scolò il vino in un sol sorso da spugna qual era. Enjolras si bagnò appena le labbra. Ed anche questa volta Grantaire ebbe da fare rimostranze:- Beh? Cos'era quel misero sorso? Così bevono le signorine! Avanti, su! Tutto d'un fiato, giù! In un colpo! Perdio, è vino, mica rosolio! -. E gli vuotò in gola il bicchiere accompagnandolo con la mano.

 

Ma la bevanda evidentemente dovette sbagliare percorso perché finì per andargli di traverso. E per la seconda volta da quando la serata era iniziata Enjolras si ritrovò ad annaspare sputacchiando, disperatamente alla ricerca di aria.

 

- Ohibò! Qui Apollo rischia il soffocamento per la troppa ambrosia! - esclamò Grantaire e rapido corse a dargli decise e vigorose pacche sulla schiena come stesse battendo un polveroso tappeto. - Stai bene? Come va? Meglio? - lo assediò poi quando il respiro di Enjolras fu tornato – o quasi – alla normalità. L'altro gli rivolse un'occhiata glaciale e sputacchiò un qualcosa di disarticolato che non poteva assolutamente essere un ringraziamento. - Ma certo, è ovvio che stai bene. - sancì Grantaire sorridendo con la massima flemma. - A memoria d'uomo un bicchiere di vino non ha mai ucciso nessuno. E' decisamente più pericolosa l'acqua. Credi a me, l'acqua è infida e traditrice: sempre diffidarne. Confidiamo nel vino! -.

 

Tuttavia, siccome l'espressione furibonda di Enjolras non accennava a scomparire, Grantaire, sinceramente dispiaciuto nonostante la sua ilarità, decise di riparare.

 

Alla sua maniera.

 

- Julie! - si mise due dita in bocca e fischiò. – Julie! Vieni qui! -. Dal corridoio spuntò nuovamente la giovane. - E adesso che altro c'è? Sappi Grantaire che se intendi sfinirmi con le tue suppliche per avere dell'altro vino sprechi il tuo tempo. Non ne avrai una goccia di più! -.- Ma che vino e vino, donna! - tuonò in risposta Grantaire – Ti sembra l'ora di bere vino? Portaci dell'assenzio e due bicchierini. Il mio amico necessita di un tonico che lo rimetta in sesto, ha rischiato il soffocamento a causa mia. Il minimo che posso fare è offrirgli da bere! -. Julie obbedì e tornò con quanto richiesto, alquanto dubbiosa. - Sei certo che sia una buona idea? Se il tuo amico non ci è avvezzo... -. Grantaire si produsse in un gesto di noncuranza. - Avvezzo? Lui? Ah! Lui è della pasta degli eroi! Cosa potrà mai fargli, un goccio di assenzio? -. Julie annuì, poco convinta, e se ne tornò da dov'era venuta. Grantaire non perse tempo e versò da bere ad entrambi. Enjolras, fino a quel momento impegnato a mangiare quel che aveva rimasto nel piatto per meglio riprendersi, se ne accorse solo quando il proprio bicchiere fu colmo. - Che cos'è? - domandò squadrandolo con aperto sospetto. Grantaire declinò qualunque spiegazione teorica e, per dargliene invece una pratica, lo buttò giù in un solo sorso come fosse stata pura acqua di sorgente. Si asciugò le labbra, schioccando la lingua con soddisfazione. - Bevi. Ti piacerà. -.

 

Enjolras bevve. E gli parve di avere ingerito un sorso di lava rovente.

 

Strabuzzò gli occhi e annaspò in preda ai colpi di tosse, lingua, bocca e gola in fiamme.

 

A onor del vero va detto che Grantaire si spaventò per davvero e corse (o meglio, tentò di correre) ai ripari:- Per la miseria! Che razza di dannato intruglio ci hanno mai rifilato? E si permettono anche di chiamarlo assenzio? - esclamava concitato, alternando proteste scandalizzate e pacche sulla schiena che avrebbero stroncato un elefante - Ah! L'assenzio vero è altra cosa, una cosa che canta in gola, una gioia per il palato! Questo lo avranno distillato dai cenci dello straccivendolo. L'ho sempre detto: mai fidarsi degli osti! Tutti ladri, dal primo all'ultimo! E le loro figlie? Alla larga dalle ostesse! Ti seducono ancheggiando un po' e poi ti ammanniscono le peggiori porcherie! Ah, se non fossero così belle...Le donne, le donne! Nostra croce e delizia, le donne! -.

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

- Permetti una domanda, Enjolras? -.

 

Enjolras, le braccia conserte sul petto, il capo arrovesciato sullo schienale, smise di fissare un punto imprecisato sul soffitto e spostò gli occhi su Grantaire. Aveva sulle labbra un lieve sorriso, il volto disteso in un'espressione quieta e rilassata, quella del manovale che si riposa dopo una lunga giornata di lavoro, del facchino che ha finalmente terminato il suo turno di lavoro e può fare ritorno a casa.

 

- Certamente. - replicò, e Grantaire sorrise.

 

Fossero stati al Musain, Enjolras non lo avrebbe degnato di uno sguardo se non per dirgli di smetterla di rompergli la testa con le sue domande che gli facevano solo perdere tempo, distraendolo dai suoi progetti.

 

Fossero stati con gli altri dell'ABC lui, Grantaire, sarebbe stato appollaiato sulla sua sedia, nel suo angolo, in preda alla consueta sbronza e con in mano una bottiglia, a dissertare sul tutto e sul niente parlando a tutti e a nessuno in uno sconclusionato monologo, come un Amleto ubriaco.

 

Sarebbero stati Enjolras, il coraggioso, l'eroico, il bellissimo Enjolras, e Grantaire, l'infantile, grottesco e patetico ubriacone Grantaire.

 

Ora, invece, erano lì, alla stessa tavola, a condividere pane e companatico come Oreste e Pilade, le guance rubizze per il vino, sorridenti, felici della reciproca compagnia.

 

Lì, tra quelle quattro scalcinate mura smangiate dall'umidità e dall'intonaco scrostato, non esistevano rivoluzioni, non c'erano battaglie da combattere. Il mondo era un bel posto in cui vivere assieme.

 

Lì, in quel luogo solitario e dimenticato, non c'erano barriere a frapporsi tra loro, non c'erano ideali a dividerli. Il mondo iniziava e finiva con loro.

 

Cibo caldo, buon vino ed Enjolras, il suo Apollo.

 

Era più di quanto Grantaire avesse mai osato sperare.

 

Rimpinzò la propria pipa col tabacco che portava abitualmente nel taschino e l'accese, tirandone una lunga boccata. La offrì ad Enjolras ma questo rifiutò cortesemente. Delle bottiglie sul tavolo l'unica ancora piena era quella di assenzio, da cui Grantaire aveva bevuto solo piccoli sorsi con l'intenzione di tenerlo per dolce. Le altre due, quelle del vino, erano state svuotate bicchiere dopo bicchiere. Quanto ai piatti di spezzatino erano stati accuratamente svuotati, prima, e ripuliti da Grantaire, poi, utilizzando un pezzetto di mollica di pane per raccoglierne accuratamente il sugo rimasto. Enjolras sulle prime si era mostrato restio a quell'assoluta mancanza di buona creanza ma poi si era lasciato corrompere ed aveva finito per imitarlo, facendo lo stesso nel proprio piatto. Anche lui, alla fine, nonostante le proteste, aveva acconsentito ad aiutarlo a finire il vino, contagiato dall'irrefrenabile, esuberante vivacità di Grantaire. E così, un sorso dopo l'altro, tra scherzi e allegre battute di spirito, aveva perdonato all'amico la disastrosa trovata dell'assenzio e ne avevano riso, assieme.

 

Aveva lasciato che la propria maschera glaciale si sciogliesse al calore del vino e delle risate, lasciato che le catene attorno al proprio cuore allentassero la loro morsa e lo lasciassero battere ad un ritmo nuovo, un ritmo per una volta non imposto dal suo freddo raziocinio. Un lieve rossore gli colorava le gote, ciocche bionde di capelli sudati gli ricadevano scomposte sulla fronte accaldata. I suoi occhi, resi lucidi dall'alcool, scintillavano.

 

Grantaire non lo aveva mai trovato più bello.

 

Lì, lontano da tutto e tutti, il divino Enjolras aveva perso l'aureola, smarrito ciò che lo ammantava di invincibilità come un eroe greco rendendolo meraviglioso quanto distante, inarrivabile come un astro incastonato nell'empireo che l'uomo, dalla Terra, può solo contentarsi di rimirare.

 

E Grantaire non poteva che esserne felice.

 

Enjolras aveva tolto l'armatura, abbassato le difese, lasciato i panni del dio per vestire quelli di un semplice uomo.

 

Lì, con lui, non era più Enjolras, il capo degli Amici dell'ABC, l'eroico rivoluzionario, ma soltanto Enjolras, il ragazzo.

 

- E' una domanda che mi frulla per il capo da quando abbiamo lasciato il Musain. - disse infine - Che avevi quando ti ho trovato lì fuori? E' possibile che mi sbagli, per carità, errare humanum est, ma mi sei parso preoccupato. E' forse successo qualcosa? -.

 

Il sorriso di Enjolras svanì, come inghiottito da un baratro, e Grantaire temette di aver osato troppo; ma prima che potesse aprire la bocca per domandargli scusa fu Enjolras a parlare:- Hai mai avuto paura di sbagliare, Grantaire? -. Quella domanda lo spiazzò. - Perché me lo chiedi? - ribatté esterrefatto. - Proprio tu? Tu che non hai paura di niente? Che saresti pronto a rovesciare un trono armato solo delle tue mani? Che sfideresti la Morte in persona senza batter ciglio? -. Scosse il capo, incredulo.

 

La paura era per quelli come lui, individui incapaci che si cullavano nella loro meschina mediocrità, ignari del mondo e di ciò che accadeva fuori dalla loro torre d'avorio fatta di piaceri e divertimenti.

 

I piccoli uomini come Grantaire trovavano un senso solo accanto agli eroi come Enjolras, belli e splendenti come una stella che non ha motivo d'esistere se nessun occhio si sofferma ad ammirarla brillare.

 

Grantaire trovava se stesso, la sua ragione di vita, in Enjolras e nel suo coraggio.

 

Che ne era di lui se il suo pilastro portante cedeva? Se la sua stella si spegneva ? Se il suo dio lo abbandonava?

 

Enjolras gli regalò un sorriso carico di mestizia. - Mi domandi di cosa ho paura, Grantaire? Di tante cose. Ho paura che la gente non ci seguirà. Paura che tutto finirà con qualche piccola riforma da nulla, contentini per placare il popolaccio ma che in sostanza non cambieranno nulla. Paura di commettere errori e deludere tutti quelli che credono in me. - sospirò, e i suoi magnifici occhi blu si persero in quelli azzurri dell'amico nella confessione più segreta, più intima che avesse mai fatto ad anima viva. - Paura che li condurrò tutti alla morte. E che il nostro sacrificio non servirà a niente. -.

 

Grantaire lo fissava, incapace di parlare.

 

Era come scoprire che il sole non sarebbe più sorto. Come vedersi abbattere le colonne che avevano sempre sorretto tutto ciò in cui si aveva creduto sino a quel momento. Come scoprire che il cielo a cui hai sempre rivolto le tue preghiere è vuoto.

 

Eppure non era forse vero che solo chi non teneva alla vita, chi non amava nulla, non temeva niente, poiché niente aveva da perdere?

 

Solo la pietra, la fredda, dura, insensibile pietra non vacilla mai. Ed Enjolras non era fatto di pietra, ma di carne ed ossa, come chiunque altro. Non era una macchina infallibile ed esatta. Sotto la sua corazza c'era un grande cuore che batteva. Un cuore che, come tutti, conosceva la paura.

 

Sorrise e gli mise una mano sul braccio.

 

- E' naturale, Enjolras. E' naturale avere paura. Saresti una macchina senza emozioni se così non fosse. -.

 

Lo strinse più forte, a rassicurarlo. Quanto era strano, per lui, per Grantaire, fare forza ad Enjolras, al coraggioso, imbattibile Enjolras!

 

- Non devi avere vergogna di darlo a vedere. Quando reggi il mondo sulle spalle è logico sentirsi deboli, a volte. Perfino Atlante doveva avere momenti in cui la forza nelle braccia gli veniva meno. Courfeyrac, Combeferre, Laigle e gli altri, tutti loro hanno riposto la loro fiducia in te perché sanno che non potrai mai deluderli, che farai di tutto perché i vostri sogni non rimangano solo dei sogni. Loro si fidano di te e sanno che se anche moriranno non sarà a causa tua, che altri dopo di voi raccoglieranno quanto avete seminato e riprenderanno là dove avete lasciato incompiuto. Loro hanno fiducia in te. Dovresti fare lo stesso. -.

 

Enjolras lo fissò, e dopo un po' il suo volto si aprì in un sorriso. - E' strano sentirti parlare così, Grantaire. Ero convinto tu fossi saldo nel tuo inamovibile principio di non credere testardamente in nulla. -. Grantaire, contento di vederlo sorridere di nuovo, scoppiò a ridere di gusto. - E' vero, mi conosci bene: non c'è nulla o quasi là fuori in cui confidare, per me. Però una certezza ce l'ho: io credo in te. E non smetterò mai di farlo. -.

 

A quelle parole Enjolras non seppe cosa rispondere. Poté solo ringraziarlo con un sorriso, la tristezza che svaniva come la brina dalle foglie quando viene mattina, il cuore alleggerito.

 

Sorrise. E basta.

 

Grantaire sorrise in risposta, felice di vederlo rasserenato, ma ancora più felice perché era stato lui, proprio lui, Grantaire, a restituirgli il sorriso.

 

- Brindiamo! - propose, e posò la pipa stappando la bottiglia di assenzio; poi, rammentandosi della pessima riuscita che aveva sortito il brindisi precedente, parve ripensarci. Ma Enjolras lo stupì e tese il proprio bicchiere, lo sguardo animato dal luccichio battagliero di chi accetta di raccogliere il guanto della sfida. E davanti all'espressione sbalordita di Grantaire che lo guardava con tanto d'occhi replicò:- Non vorrai certo che ti lasci bere in solitudine. Bere da soli, lo hai sempre detto, è spia di problemi profondi. Non ti dispiacerà, spero. - Grantaire sogghignò divertito:- Dispiacermi? Faccio i salti di gioia! Ah! Domani ne parlerà tutta Parigi! Dovremo riattaccare la mandibola agli altri quando gli cadrà dallo stupore! Che storia, che evento, signori! - E versò da bere. - Al futuro. - disse Enjolras. - E alla speranza che un giorno non lontano anche tu ti unisca alla nostra causa. - Grantaire scosse la testa ridacchiando. - Ah! Chi può dirlo? Chi può dire se le due rette parallele troveranno mai un punto d'incontro? E' probabile che continueranno a percorrere ciascuna la propria strada, imperterrite, ma nessuno nega che possa anche accadere il contrario. Si potrebbe dire che io e te, Enjolras, siamo come Voltaire e Rousseau. Ricordi cosa diceva, il buon Voltaire? -. Il sorriso di Enjolras si allargò. - Certo che lo ricordo. “Posso non condividere la tua opinione...” -.- “...Ma darei la vita per darti il diritto di esprimerla.”- terminò Grantaire per lui, e sollevò il bicchiere:- Alla nostra. -.- Alla nostra. -

 

Grantaire si scolò l'assenzio in una singola sorsata e rovesciò il bicchierino vuoto sbattendolo con teatralità sul tavolo; Enjolras, più cauto, finì il proprio in due sorsi, interrompendosi a metà per prendere il fiato necessario. Infine posò il bicchiere e guardò l'altro sorridendo, come a dire: “Soddisfatto?”. Grantaire approvò con un fischio d'ammirazione e, essendo quello che si dice un pozzo privo di fondo, ghermì nuovamente la bottiglia. - Alla salute! - gridò e rovesciata indietro la testa trangugiò con foga il contenuto, la metà del quale finì ad infradiciargli il panciotto. Enjolras non poté trattenere un sorriso divertito:- Grantaire, sei davvero irrecuperabile. - Grantaire rise gorgogliando e prese un secondo sorso. Posò la bottiglia e si asciugò le labbra con la manica della giacca:- Ah, l'assenzio! Che sublime invenzione, l'assenzio! - esclamò, la voce impastata dall'alcool. – Puro nettare dell'Olimpo, l'ambrosia donata a noi poveri mortali dagli dei! Dovremmo ringraziarli ogni giorno per questo magnifico dono che ci hanno elargito! Quale fortuna ci è stata accordata! Cosa sarebbe la vita senza? Niente, il deserto, il vuoto, il nulla. Che invenzione, che meravigliosa invenzione! Una liquida manna dal cielo! Che ne pensi, Julie? Vieni qui, avanti, riempimi il bicchiere, mia Ebe! La mia coppa è vuota! Devo forse attendere che l'assenzio venga giù dal cielo in una pioggia dorata, come Zeus con Danae? Sbrigati! Sono arso dalla sete! Muoio! Soccorrimi, dunque! - Julie, che nel frattempo aveva fatto ritorno e si era messa a lucidare il bancone armata di strofinaccio, ormai abituata alle deliranti pantomime che Grantaire inscenava da sbronzo, sollevò appena il capo dal proprio lavoro. - Sei ubriaco, Grantaire. - Grantaire insorse:- Ubriaco?! Io? Cominci anche tu? Ma è una congiura, perdio! Non sono ubriaco! Sono sobrio! Sobrio ti dico! -.- Sicuro. – ribatté sarcastica la ragazza – Ed io sono la regina. - Enjolras soffocò una risata. - Non sono ubriaco! - strepitò urlando Grantaire – E te lo dimostrerò! -.

 

E buttò indietro la sedia, alzandosi in piedi di scatto, quindi porse con galanteria la mano a Enjolras:- Permetti? - Enjolras non fece in tempo ad aprir bocca per domandare cosa dovesse permettere che venne trascinato in uno scoordinatissimo, assurdo valzer, improvvisato sulle stonate note che Grantaire cantava a gola spiegata.

 

Volteggiarono per un po', rischiando di cadere sgambettandosi a vicenda ad ogni piroetta, quindi Grantaire fletté all'indietro la schiena, obbligando Enjolras ad un repentino casqué, e rivolse un'occhiata di sfida a Julie, guardandola di sotto in su:- Allora? Cosa ne dici, Julie? Mi riuscirebbe di ballare, se fossi ubriaco? Ho ragione o no a dire di essere sobrio? - Julie scoppiò a ridere, tributando loro un applauso. - Grantaire, sei veramente pazzo! -.- Lo prenderò per un sì, mia cara. - E rise sguaiato, staccandosi dal suo compagno di ballo e precipitandosi nuovamente sulla bottiglia di assenzio, che provvide a svuotare una volta per tutte.

 

Enjolras, dal canto suo, aveva il capo che gli girava come una trottola e la cena in procinto di risalirgli l'esofago. Si appoggiò alla parete, tentando di mantenere l'equilibrio, pallido come un lenzuolo fresco di bucato. Fu solo per il tempestivo intervento di Grantaire che non si afflosciò esanime sul pavimento. - Che fai? Mi crolli? Enjolras! -. Lo scosse, aiutandolo a rimettersi sulle sue gambe. - Sto bene, sto bene. - mormorò debolmente Enjolras, ma l'altro fece segno di no con il capo. - Bene? Direi proprio di no. Non ti reggi neppure in piedi! -.- Davvero, Grantaire. Non c'è ragione di preoccuparsi. - Ma questi non volle sentir ragioni; gli passò un braccio dietro le spalle, mettendosi al collo quello dell'amico, a sostenerlo. - No, no, no, no. Sei più ubriaco di me, pur avendo bevuto la metà. Normale, considerando che non ci sei abituato. Ed è perfettamente inutile da parte tua atteggiarti ad eroe stoico, conosco fin troppo bene i sintomi di una sbronza. Adesso andiamo a casa e dormiamo un po', vedrai che domattina starai meglio. -. Quindi si frugò nelle tasche, alla ricerca del portafogli, tentando nel contempo di reggere in piedi l'amico, il cui peso non proprio leggero, intontito dall'alcool com'era, gli gravava addosso a corpo morto. Quando finalmente gli riuscì di trovarlo ne trasse fuori alcuni franchi e li gettò sul tavolo; Julie tossicchiò con eloquenza e Grantaire, bofonchiando qualcosa a proposito della pignoleria delle ostesse, vi aggiunse anche una manciata di spiccioli. Quindi si mise meglio in spalla il braccio di Enjolras ed uscì sulla via, subito accolto dall'aria fresca della notte. Ne prese una boccata e si avviò, più trascinandolo che conducendolo. - Siete uno più sbronzo dell'altro! Finirete per rovesciarvi in un fosso come una carrozza a tre ruote! - li avvertì Julie dalla porta. - Ah Julie, Julie, mia cara, dolce Julie. – rise Grantaire senza voltarsi – Quanto mi conosci male! Ci vuole ben altro per mettermi fuori combattimento! -. E se ne andò, un po' malfermo sui piedi nonostante le spacconate, con Enjolras appeso al braccio, più storti che diritti nel loro incedere, in quello che si dice essere guerci e far da guida ai ciechi.

 

 

 

 

 

 

*

 

 

 

 

 

 

- Dove siamo? - domandò Enjolras, tentando di distinguere nell'oscurità il posto in cui si erano fermati. Del tragitto fatto per arrivarvi non aveva alcuna idea, ma ricordava di aver salito diverse rampe di scale. - Siamo a casa mia. - spiegò Grantaire, smettendo per un attimo di armeggiare con chiave e serratura, che non sembrava volerne sapere di aprirsi. - La tua era troppo lontana e non ce l'avrei mai fatta a reggerti sin laggiù. Non sei precisamente una piuma, sai? Mentre camminavamo mi pareva quasi di trascinarmi dietro un'incudine. - scherzò. Infine la serratura scattò e Grantaire riuscì ad aprire la porta del proprio appartamento. Dall'ingresso lo illustrò all'amico con un ampio gesto della mano:- Enjolras, benvenuto nel mio modesto alloggio. Certo, è un po' spoglio, non esattamente la reggia di Versailles, ma c'è una buona stufa, un letto abbastanza comodo e qualcosa da mangiare per domattina. Allora? Si entra o ci accampiamo qua fuori? -. E senza attendere varcò la soglia. Condusse Enjolras verso il proprio letto e lo aiutò a sdraiarsi; sulla parete di fronte vi era un piccolo tavolo corredato di sedia, a fianco una cassapanca ed una piccola stufa all'angolo, che Grantaire si affrettò ad accendere introducendovi qualche ciocco di legna cui diede fuoco per riscaldare l'ambiente. Enjolras, disteso supino sulla brandina, provò a mettersi seduto per sfilarsi gli stivali ma non appena alzò il busto un capogiro lo fece ricadere sul materasso. - Ti aiuto io. - si propose Grantaire, e andò a dargli una mano. - Era la prima volta? Che ti ubriacavi, intendo. -. Le gote di Enjolras arrossirono lievemente. - Era così palese? -. Grantaire ridacchiò:- Palese? Cristallino. Immagino dovrò prendermi la mia parte di responsabilità se domani ti sveglierai con un gran cerchio alla testa e la sensazione di essere stato travolto da una mandria di cavalli imbizzarriti. Ma sai - e sfilò via anche il secondo stivale - Chi va con lo zoppo...Tuttavia non hai da preoccuparti: una notte di buon sonno e tornerai come nuovo. Fidati, te lo dice un ubriacone di mestiere! -.- Grantaire. -.

 

Grantaire si interruppe e si accorse che Enjolras sorrideva.

 

- Grazie. -.

 

Non seppe cosa dire. Tutto ciò che gli uscì di bocca fu:- Di cosa? -. Enjolras gli mise una mano sul braccio. - Della serata. Dell'ospitalità. - Lo strinse con forza, come Grantaire aveva fatto con lui. - Di tutto. -. Grantaire rispose al sorriso e gli strinse a sua volta la mano. - E' stato un piacere. - Si guardarono negli occhi, senza aggiungere altro, quindi si alzò e andò a rovistare nella cassapanca. - Ci serviranno delle coperte o domani ci sveglieremo con mani e piedi ridotti a pezzi di ghiaccio. Ed io alle mie estremità corporee sono molto affezionato. -. Ne prese un paio, una per Enjolras ed una per sé, calcolando di cedergli il letto e sdraiarsi per terra. Fece per voltarsi ma si bloccò. Esitava.

 

Come? Come dirglielo?

 

Come dirgli quanto aveva atteso, sognato, desiderato una serata come quella? Di poter stare con lui, lontani da tutto ciò che li divideva?

 

Quanto avrebbe voluto passare ogni giorno della sua vita al suo fianco, scherzando e ridendo con lui senza pensieri come avevano fatto quella sera?

 

Sino a quel momento non gli erano mai mancate le parole. Eppure proprio ora non aveva idea di cosa dire.

 

Si decise.

 

- Enjolras... -. si voltò. E le parole che aveva trovato con così tanta difficoltà gli si dissolsero sulle labbra.

 

Il capo reclinato su una spalla, un braccio adagiato sul petto e l'altro abbandonato lungo il fianco, Enjolras dormiva.

 

Grantaire sorrise tristemente. L'indomani tutto sarebbe tornato come prima: Enjolras sarebbe tornato ad essere l'eroico capo degli Amici dell'ABC e lui, Grantaire, sarebbe tornato nel suo angolo, con una bottiglia in mano, a guardarlo da lontano, di nuovo ignorato. Di nuovo invisibile ai suoi occhi.

 

Gli tornò in mente il mito di Selene, dea della luna, e di come avesse fatto sprofondare in un sonno eterno l'amato Endimione, perché la Morte non lo strappasse mai al suo abbraccio. Cosa non avrebbe dato per poter fare lo stesso!

 

Se il mattino fosse stato una chiave, l'avrebbe gettata in un pozzo. Ma non poteva.

 

Il domani sarebbe giunto ugualmente, che lui avesse voluto oppure no.

 

Poteva solo sperare. Sperare che quella sera non fosse stata solo una come tante.

 

Sperare che Enjolras si accorgesse di lui.

 

Si tolse giacca e gilet, scalciò via le scarpe e si sdraiò accanto ad Enjolras, coprendo entrambi. Lo guardò dormire, il suo Apollo, il suo Endimione, e si sporse per dargli un bacio sulla fronte. - Buonanotte, Enjolras. -. Gli prese una mano e la strinse. Si riempì gli occhi di lui un'ultima volta quindi posò la testa sul guanciale, e si assopì.

 

Nell'oscurità, la mano in quella di Grantaire, Enjolras sorrideva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice: Ciao a tutti! Sono tornata (ahivoi) con un'altra OS su Les Mis, ovviamente E/R. Stavolta però, come mi ha chiesto annaregotti in una sua gentilissima recensione (grazie ;D) ho deciso di metterci un pizzico di humor, tanta tenerezza e meno angoscia. Tutto nasce da una mia disavventura alcolica in compagnia. Per farvela breve: cinque ragazze, un barile da 5 litri di Heineken, due bottiglie di vodka alla pesca e un mazzo di carte di Uno (che c'entra Uno? C'entra, c'entra...XD). Una di noi ha avuto la brillante idea di star male durante la notte ed essendo la padrona di casa l' ”onore” di fare assistenza post-sbornia è toccato a me. Com'è, come non è ha cominciato a ronzarmi in testa questa storia, basata principalmente sulla mia voglia di vedere Enjolras e Grantaire interagire lontani dagli altri e con molto vino di contorno! E mi è uscita questa (lunghissima) cosa. Spero via sia piaciuta e mi lascerete anche due righe per farmi sapere che ne pensate :)!

 

#Raky

 

PS: Il titolo è tratto da “Il cacciatore di aquiloni”, di Khaled Hosseini.

 

PPS: Perché il valzer? Perché volevo utilizzare in un frangente meno drammatico quel “permetti”. Immaginateli sulla musica del ballo de “Sul bel Danubio Blu” o in alternativa di “Cenerentola” LOL....E lo so che nel valzer non c'è il casqué, ma morivo dalla voglia di inserircelo u.u.

  
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