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Autore: Lex    10/08/2003    0 recensioni
I nostri eroi crescono e sono chiamati, come tutti noi, a prendere decisioni importanti. Cosa succederà adesso?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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ADESSO LO SAI


MASAHIKO


Aprì la portafinestra ed uscì sul terrazzo. Subito si agganciò i bottoni dell’immancabile camicia a quadri e infilò le mani in tasca. In città l’aria della sera era ancora fresca.
Si sentiva stranamente stanco. La mente come vuota.
Si avvicinò al balcone, sfilò la mano sinistra dalla tasca dei jeans e la poggiò sul corrimano. Il contatto con il metallo fresco sembrò risvegliarlo dal torpore per un attimo. Fermò lo sguardo sull’ombra del suo busto proiettata sull’erba del giardino sottostante. I capelli mossi da una brezza leggera.
Rimase così qualche momento, immobile.
Un lieve sorriso piegò poi le sue labbra. Aveva fatto la scelta giusta. Lo sentiva. Si voltò, si appoggiò con la schiena al balcone e, intrecciando le braccia dietro di sé, posò entrambe le mani sul freddo corrimano. Guardò la finestra della camera di Shion.
I battenti chiusi, la luce accesa.
Stava sicuramente disfacendo i bagagli. E, a giudicare dal numero delle valige di Shion e Yukari, sarebbe stata un’operazione lunga. Istintivamente si chiese perché mai le donne avessero bisogno di portarsi dietro vestiario sufficiente per mesi di lontananza pur sapendo di tornare a casa soltanto dopo una settimana.
Un piccolo sorriso lo colse quasi di sorpresa e sembrò restituirgli una lieve sensazione di serenità e leggerezza.
Le donne?
Guardò l’interno della propria stanza, vi entrò per un momento e ne riuscì spegnendo la luce. Chiuse la finestra e, aiutandosi con le braccia, saltò sul tetto.
Seduto sul bordo osservò per un momento le luci della città e poi si stese incrociando le mani dietro la testa.
La piccola Haruka aveva già compiuto un anno. L’aveva trovata quasi commovente nel suo abitino da festa, davanti a quell’enorme torta di compleanno.
Un sorriso tinto di malinconia si fece faticosamente strada sul suo volto.
Era stato davvero facile abituarsi alle torte ed alle feste di compleanno, come alle vigilie di Natale o alle gite di famiglia. In casa Wakanae aveva trovato un calore che non avrebbe più dimenticato.
Già. Amava tutto di quella casa. Yukari, le sue attenzioni e la dolcezza del suo sorriso. Sora, la sua sicurezza, la sua gentilezza, perfino le sue scadenze. I battibecchi e le solite liti con Kaoru. Quelle insolenti delle Assi.
Amava sentirsi amato. E sentire di essere parte di qualcosa.
Chiuse gli occhi e vide ancora l’immagine della piccola Haruka nel suo abitino da festa ormai tutto imbrattato di torta. Sentì il suono delle voci di tutti che intonavano buon compleanno, le voci di Sora e del nonno che litigavano, le voci di Shion e Yukari che volevano prendere in braccio la bambina, la voce di Kaoru che insisteva per riprenderle con la telecamera.
Sorrise, con gli occhi chiusi. E rivide ancora Shion. Alla festa, con il viso sporco di panna e canditi. Nel fiume, con il cappello e le calosce da pescatore. In spiaggia, nel suo bikini rosso. A sera, nel suo elegante kimono tradizionale.
Il suo sorriso. Quanto amava il suo sorriso.
Una settimana a Kochi era davvero volata. Domani sarebbe tornato alla solita routine. L’università, gli imminenti esami finali, il club cinofilo.
E lei sarebbe stata di nuovo Shioya.
Aprì gli occhi e si sollevò mettendosi seduto. Appoggiò le mani sul bordo del tetto e lasciò che le gambe dondolassero nel vuoto. Rimase lì, immobile, gli occhi fissi sulla punta dei piedi.
Shioya. Shion e Shioya.
Anche Shioya faceva parte della sua vita ormai.
C’era stato un momento in cui Shioya era solo Shion travestito da maschio. Ma poi Shioya era cresciuto, maturato. Nella mente di Shion e anche nella sua. Era diventato una persona diversa da Shion. Con atteggiamenti diversi. Idee diverse. Gusti diversi. Amici diversi.
Si morse istintivamente il labbro inferiore. In fin dei conti, a niente era servito dichiararle i propri sentimenti. Shioya era sempre lì. E niente tra loro era cambiato.
Alzò lo sguardo e rise di sé. Stirò le braccia in aria prima di stendersi nuovamente sul tetto intrecciando le mani dietro la testa.
Non era vero. In realtà molto era cambiato.
Dopo la breve vacanza a Kochi dell’anno precedente il loro rapporto era cambiato. Shion era cambiata. Era difficile esprimerlo a parole, ma sarebbe stato corretto dire che gli aveva aperto uno spiraglio, offrendogli una visuale di sé del tutto inedita. Certo, alla fine non gli aveva ancora rivelato quale fosse il suo vero sesso, ma la promessa che gli aveva fatto quel giorno sulla spiaggia l’aveva mantenuta ugualmente. Non c’era nessuno che conoscesse meglio di lui la sua vera natura.
Lo sapeva. Lo sentiva.
Le voci di Shion e Yukari lo riportarono improvvisamente alla realtà. Si sollevò e si girò su sé stesso. Le vide entrambe affacciate alla finestra e le sentì mentre lo prendevano in giro chiedendosi in che mondo di fantasia si fosse perso stavolta.
Yukari non rientrò senza prima averlo ammonito circa le insidie della stagione ed averlo quindi invitato a coprirsi meglio. Shion la seguì con la coda dell’occhio finché non fu sicura che si fosse allontanata dalla finestra e poi si voltò nuovamente verso di lui. Accomodò il viso nel palmo delle mani poggiando entrambi i gomiti sul davanzale. Rimase un attimo in silenzio, socchiudendo gli occhi nel sentire l’aria della sera accarezzarle il viso ed intrufolarsi tra i capelli.
Riaprì gli occhi su di lui. La guardava. Seduto sotto la sua finestra, i capelli scompigliati dal vento. Il corpo immobile, lo sguardo su di lei, fermo e caldo.
Le piaceva quello sguardo.
Era stato difficile ammetterlo, ma le piaceva.
E le piaceva anche che lui lo sapesse.
Spostò il peso della testa sul solo palmo destro e lasciò scivolare il braccio sinistro lungo il davanzale. Quando parlò le sue labbra si piegarono in un sorriso gentile.
"Ho quasi finito. Mi aspetti? ".
Non ci fu nemmeno bisogno di risponderle. Le sorrise e la vide scomparire di nuovo in casa.
Era lì per lei. E lo sapevano entrambi.
Si stese nuovamente sul tetto.
Il cambiamento di Shion era stato lento, graduale ed era iniziato proprio quel giorno sulla spiaggia. Il primo periodo non fu facile, in realtà. Sentiva di aver finalmente fatto chiarezza dentro di sé, si era fatto coraggio e le aveva parlato francamente, mettendo da parte timori più che comprensibili.
Ma la sua risposta era stata terribilmente contraddittoria. Aveva detto di considerarlo solo un amico, ma lo aveva invitato a farle vedere che era l’uomo giusto per lei. Avrebbe dovuto finalmente rivelargli quale fosse il suo vero sesso, ma poi aveva lasciato che la cosa scivolasse via senza un chiarimento definitivo. L’unica cosa certa era che Shion non lo avrebbe mai invitato a corteggiarla se non avesse avuto alcun interesse per lui. Ogni ragazzo o ragazza che l’avesse avvicinata fino a quel momento era stato gentilmente ma fermamente allontanato. Inoltre era stata lei a spingerlo a far chiarezza dentro di sé. E probabilmente già sapeva cosa lui provasse nei suoi confronti.
Ma Shioya era sempre lì. E questo gli creava grande confusione. E poi, in che modo poi doveva comportarsi un “amico con delle speranze”? Sempre che le avesse davvero, beninteso.
Incredibilmente fu proprio Shioya ad indicargli la strada, quando lui e Shion, ai suoi occhi, tornarono ad essere la stessa persona.
Già. Fu quando un paio di mesi dopo la vacanza a Kochi, camminando verso la Musashino, le mostrò il sorriso di Shion sul volto di Shioya. E inaspettatamente si accorse che nella sua mente, e forse non soltanto nella sua, Shioya era tornato ad essere solamente Shion vestita da maschio.
Fu in quel momento che percepì come lei fosse cambiata nei suoi confronti. Concesso che fosse sempre la solita impicciona, dispettosa, impertinente, saccente, prepotente, attaccabrighe e, soprattutto, la stessa incredibile testarda, gli apparve finalmente chiaro che la sua guardia era abbassata e la parte di lei che teneva ostinatamente in ombra era allo scoperto. Non davanti agli altri, certo. Ma con lui lo era.
E questo non soltanto per la sua doppia identità, ma anche e soprattutto per la sua natura segretamente gentile, dolce e generosa.
E così, quella sera di primo autunno l’aveva aspettata sotto la sua finestra passando in rassegna quegli ultimi mesi trascorsi insieme alla ricerca di una conferma di quell’idea tanto ambiziosa. E così si trovò a riflettere sul cortese ma fermo allontanamento di Asagi, sul moltiplicarsi delle occasioni in cui erano usciti insieme o avevano fatto le ore piccole sul tetto e soprattutto su quel sorriso gentile che le vedeva soltanto quando erano da soli. Ma fu soltanto quello con cui lo salutò a convincerlo che non fosse poi tanto negletta.
Un sorriso onesto, sincero, indifeso. E così capì. Capì che non c’era niente dietro quel sorriso, se non lei. Niente dietro il suo sguardo, se non il suo cuore. Niente dietro le sue parole, se non i suoi pensieri. Che gli stava offrendo di conoscere Shion Wakanae. Chiunque lei fosse.
Senza trucchi, né difese.
C’era sempre quel rischio, Masahiko lo sapeva. Ma stavolta non pensò nemmeno per un attimo di non correrlo e si butto a capofitto in quell’avventura. Giorno dopo giorno, il suo viaggio dentro Shion.
Lo divertiva vedere come cambiava il suo atteggiamento davanti agli altri. Era come vedere due, anzi, tre persone diverse nello stesso corpo. Tutti gli altri potevano vedere una o, al più, due Shion, ma era come se solo a lui venisse concesso il privilegio di vedere l’originale. All’università era Shioya. A casa era quasi sempre Shion. Con lui era entrambi e nessuno dei due. Lui poteva vedere una Shion che gli altri non conoscevano e questo lo faceva sentire bene.
In ogni caso, imparò presto che anche davanti agli altri ciò che cambiava era soltanto il vestiario, l’atteggiamento, la postura. Quando non potevano vedere, Shioya era capace di diventare in un attimo Shion e viceversa. Non cambiandosi i vestiti, ma cambiando pelle. Poteva saltare dall’uno all’altra senza alcuna difficoltà e per tutti gli altri, come per Masahiko stesso fino a poco prima, sembrava fare un’enorme differenza.
Ma alla fine, sottopelle, c’era sempre lei. E Masahiko lo capì quando si accorse di dover fare attenzione al genere degli aggettivi e dei sostantivi, perché aveva cominciato a guardare Shion e Shioya nello stesso modo. A parlarci nello stesso modo. Non c’era più niente da fare, ormai, ai suoi occhi era sempre lei, indipendentemente dal vestito che indossasse.
E così capì anche perché Shioya non poteva andarsene. Semplicemente perché parte di lei. Anche se adesso, stranamente, la cosa non sembrava più avere grande importanza.
"Hei! Stai dormendo? ".
Si voltò con un piccolo sussulto. Si sollevò e, guardandola accovacciarsi e sedersi alla sua destra, le rispose mettendo il broncio e passandosi istintivamente una mano sulla nuca. "Sempre silenziosa come un gatto, eh? Prima o poi mi farai venire un colpo se non la smetti di apparirmi alle spalle all’improvviso ".
Si era cambiata d’abito ed indossava jeans smacchiati, maglietta di cotone leggero e una giacca beige appoggiata sulle spalle. Un sorriso ironico stampato sul viso seguito da uno sguardo fintamente risentito. "Hei, non ti sono apparsa alle spalle all’improvviso! Sapevi che sarei scesa… o aspettavi forse qualcun altro? ". Poi, notando che indossava soltanto la camicia a quadri su una maglietta a maniche corte, "Non hai freddo? Forse non ti sei accorto che siamo tornati a Tokyo ".
Sviò lo sguardo e le rispose con tono polemico e volutamente forzato "Ah! Ah! Me ne sono accorto, ma non ho freddo stasera. E no, non aspettavo nessun altro. Contenta? ".
La spiò con la coda dell’occhio, vide un sorriso birichino tingerle il volto mentre si avvicinava le gambe al petto e appoggiava i gomiti sulle ginocchia sorreggendosi il viso tra le mani.
Restò per qualche attimo in silenzio, mentre il vento le entrava tra i capelli accarezzandoli delicatamente. Poi abbassò le mani sulle spalle si girò lievemente verso di lui, facendo scivolare la guancia destra sulle braccia incrociate tra il volto e le ginocchia. Mantenne lo sguardo dritto avanti a sé, socchiuse appena la labbra e infatti le parole ne uscirono un po’ impastate, "Questa settimana è volata, non è vero? ".
La sua versatilità lo stupiva sempre. Ma gli piaceva osservare quella luce che andava e veniva nei suoi occhi e scoprire sempre nuove espressioni del suo viso.
Le rispose con un sorriso e lei sembrò sentirlo sulla pelle, perché girò gli occhi verso di lui per vederlo. E ricambiarlo. Era così caldo quel suo sorriso.
E quel calore le entrava dentro attraverso la pelle, lo sguardo, il respiro. E non aveva alcuna intenzione di impedirlo. Aveva imparato ad abbassare difese e ponte levatoio con Masahiko. E incredibilmente le piaceva. Non lo avrebbe mai creduto possibile, ma le piaceva lasciare il forte sguarnito, permettergli di entrare e di vedere attraverso le solide mura il re buono e il re cattivo.
Volse gli occhi al cielo e stese le braccia dietro la schiena per sostenersi. "Si, lo è. E domani tutto daccapo ". Voltò appena la testa verso di lei e le parlò con tono volutamente ironico in un sorriso appena accennato. "Hai già preparato i vestiti di Shioya? ".
"Certo. Perché, vuoi che ti presti qualcosa? ".
"No, grazie. Non mi piace il tuo look. Troppo appariscente per i miei gusti ".
"Appariscente? E sentiamo, quale sarebbe il tuo look? Quello delle camice a quadri? ".
Si sentì colto in fragrante e si voltò di nuovo verso di lei pronto ad incassare il suo solito sorriso strafottente. E infatti lei sorrideva, ma in tutt’altro modo. Era un sorriso intrigante ma non malizioso. Se fosse stato completamente lucido lo avrebbe definito intimo, forse complice. Ma non era del tutto lucido. Non lo era quasi mai di fronte a lei.
E quindi rimase in silenzio, tentando inutilmente di togliersi quell’espressione idiota dal viso. Non c’era niente da fare, in un modo o nell’altro, Shion aveva sempre la meglio. Ma fu proprio lei stavolta a sviare lo sguardo e, dopo un attimo, gli parlò senza guardarlo in viso. "Non dirmi che non ne hai sentito la mancanza ".
"Di cosa? ".
"Di Shioya, no? ".
Rimase un attimo interdetto. Studiò l’espressione del suo viso sperando di scoprirvi il tono di quella domanda a bruciapelo. Poi distese la fronte, incrociò le dita sotto il mento, poggiando i gomiti sulle ginocchia e le rispose in tono dubbioso, "E’ una domanda strana, sai? ".
Shion si voltò per vedere l’espressione del suo viso. Ma appena e lentamente, in attesa che continuasse.
"Non posso dire che Shioya mi sia mancato. In fin dei conti siamo pur sempre stati insieme tutta la settimana, non è così? ". Sul suo viso apparve un piccolo sorriso dolce amaro. "E so bene che dei semplici vestiti e un elastico per capelli non possono certo cambiare quello che sei, quello che fai o che pensi. E tantomeno il tempo che passiamo insieme. ". Abbassò lo sguardo e continuò, "Ma se tu fossi Shioya per una settimana intera … non lo so…, non sarei onesto dicendoti che non mi mancheresti ". Rimase un attimo in silenzio, poi continuò, quasi con vergogna. "Non lo so. Forse sono ancora troppo legato al tuo aspetto esteriore. Forse più di quanto penso ". Riuscì finalmente a voltarsi verso di lei, con occhi incerti, quasi lucidi, "Anche se .. in realtà, non è sempre così ".
Sembrò sul punto di continuare, ma rimase in silenzio, come se i suoi pensieri non riuscissero ad articolarsi in parole.
La guardava. E come la guardava. Diamine, ma quando aveva cominciato a guardarla così? Uno sguardo così diretto ed intenso. Non era da lui, o almeno non lo sarebbe stato fino a poco tempo prima. Il Masahiko che aveva conosciuto il giorno del suo sedicesimo compleanno avrebbe abbassato gli occhi e avrebbe cambiato discorso. Ma ora era lì, davanti a lei, con occhi da bambino. Un bambino incapace di spiegarle fino in fondo ciò che sentiva, ma che sosteneva comunque il suo sguardo.
V Era cresciuto, il suo Masahiko.
E se ne sentì felice.
Le sorrise, e per un attimo sembrò aver rinunciato all’idea di tradurre quei pensieri in parole. Se ne sentì dispiaciuta, ma apprezzò comunque quel suo sorriso sincero e caldo come sempre. E improvvisamente ricordò il momento in cui aveva cominciato a guardarla in quel modo.
Era Gennaio e all’uscita della rassegna cinematografica erano stati sorpresi da una pioggia fitta e gelida. Avevano deciso di aspettare che spiovesse sotto la tettoia del cinema, ma dopo venti minuti di pioggia inesorabile, furono costretti a tentare l’avventura. Si era ben imbacuccata in guanti e sciarpa ed aveva chiuso i capelli nel cappotto. Fatto un passo verso il marciapiedi si era sentita prendere un braccio da lui, che nel frattempo aveva tolto il giubbotto impermeabile. Un attimo dopo le aveva passato il braccio dietro la spalla ed erano entrambi avvolti, alla meglio, nel suo giaccone.
Avevano camminato così fino alla stazione, in silenzio e nemmeno troppo di fretta. Avevano preso un treno affollato e si erano guadagnati un posto in piedi all’estremità del vagone. Lui l’aveva messa nell’angolo proteggendola dalle spinte degli altri passeggeri con le braccia puntellate alle pareti.
Rivolta al finestrino sentiva di tanto in tanto il contatto contro il corpo di lui per gli scossoni del treno. Non riusciva a fare a meno di spiare la sua immagine riflessa nel vetro. Di sentire la sua presenza intorno a sé.
Si scoprì a pensare di spingersi indietro e rendere reale quel contatto casuale. Poggiare la testa sulla sua spalla. Forse addirittura voltarsi. Per cosa? Si era chiesta più tardi. Non lo sapeva, ma le era piaciuta quella sensazione di calore.
In prossimità della loro fermata le aveva inaspettatamente preso la mano e si era fatto strada tra i passeggeri fino all’uscita. Le sembrò di sentire ancora la sua stretta forte ma gentile. L’immagine delle sue spalle tra la folla dei viaggiatori si stagliava ancora nei suoi ricordi.
Una volta giù dal treno l’aveva stupita ancor di più non lasciandole la mano. Camminava un passo aventi a lei, sfuggendone lo sguardo. La mano stretta intorno alla sua, mentre con pochi rapidi passi avevano raggiunto i cancelletti di uscita. Si era fermato sotto la soglia della tettoia, per gettare una rapida occhiata al cielo scuro, e lì aveva finalmente potuto vederlo in viso. La sua espressione era forzatamente indifferente, palesemente imbarazzata, quasi corrucciata. Aveva i capelli completamente bagnati per averle prestato la parte di giubbotto dotata di cappuccio durante il tragitto dal cinema alla stazione.
Ricordò di aver avuto voglia di sorridere, di aver stretto le dita della mano intorno alla sua e di averlo visto ricominciare a respirare. Cosa che smise di fare di nuovo quando lei allentò un momento la stretta per poter intrecciare le dita intorno alle sue. E in quel momento non era riuscita ad impedirsi di sorridere davvero.
Si. Quello era il giorno in cui il suo sguardo era cambiato.
Avevano camminato così fin quasi sotto casa, quando aveva scorto Kaoru dietro un angolo di strada e non era riuscita ad impedirsi di lasciargli la mano. Aveva avuto paura. Lui lo sapeva, ma non le aveva chiesto alcuna spiegazione. Né allora, né in altre occasioni. E questa era la cosa che amava di più. Non aver paura di mostrargli le proprie debolezze e non essere obbligata a dare spiegazioni. Ma soprattutto non aver paura di fargli capire che nemmeno lei sapeva chi era e quello che voleva. E che, nonostante questo, desiderava che lui continuasse ad amarla.
Si stupì di aver formulato, anche solo mentalmente, quell’ultimo pensiero. Era una cosa che trovava difficile ammettere, anche solo con sé stessa.
Doveva essere rimasta a lungo a guardarlo in silenzio, perché le sembrò che un’ombra fosse scomparsa dal suo viso. Ma quando lui parlò la voce uscì chiara e decisa, senza necessità di schiarimenti.
"Devo dirti una cosa ". Voltò lentamente gli occhi avanti a sé e posò di nuovo i gomiti sulle ginocchia. "Ho preso una decisione importante ". Il suo sguardo era sereno, tranquillo, ma parlò con tono forzatamente indifferente, mentre il vento aveva ripreso a muovergli i capelli. "Dopo gli esami finali andrò via da casa ".
Quelle parole aprirono una voragine nel suo petto, il sangue le salì alle guance e mosse istintivamente le braccia sciogliendo le gambe dalla loro presa. Articolò a fatica pochi suoni.
"..via .. da casa? ".
La guardò per un istante con la coda dell’occhio e tornò rapidamente a controllare la volta celeste. "Ho intenzione di trovarmi un appartamento, o una stanza, ancora non lo so. Molto dipenderà dal lavoro che riuscirò a trovare ".
Il tono sereno e lo sguardo rilassato contrastavano vivamente con la gravità delle sue parole. Sentì che la voce le sarebbe tremata e che la sua domanda sarebbe stata sciocca, ma parlò ugualmente poggiandogli istintivamente una mano sul braccio. "Ehi, ma cosa stai dicendo, è uno scherzo, non è vero? ".
Si voltò lentamente reagendo al contatto della sua mano. Incontrò il suo sguardo e ne osservò per un lungo momento luce ed ombra, quasi lusingato dell’ansia che vi leggeva. Si girò del tutto verso di lei e poggiò la mano destra sul tetto per sorreggersi. Le sorrise e fece cenno di no con la testa.
Sentì un’ombra fuggevole passarle negli occhi e strinse inconsapevolmente le mani sulle gambe. Le parole le uscirono da sole. "Masahiko... perché? ".
Schiuse le labbra per risponderle, ma d’improvviso sentì la bocca asciutta. Lesse nei suoi occhi che l’atteggiamento distaccato che gli era costato tanta fatica si era d’un tratto volatilizzato. Ma non riusciva a distogliere lo sguardo da lei. Dal suo viso, dalla sua bocca, dal suo collo. Resistette eroicamente all’istinto di passarle un braccio dietro le spalle e stringerla a sé. Anche se in quel momento gli sembrava di non aver mai desiderato altro in vita sua. Riuscì a muovere le labbra, impercettibilmente, con fatica, ma finì col rimanere in silenzio, come se avesse dimenticato cosa dire.
Lo vide strapparsi quasi con violenza da quei pensieri e riuscire a distogliere finalmente lo sguardo. Quello stesso sguardo che fino ad un attimo prima sembrava voler entrare dentro di lei. Quello sguardo che l’aveva inconsciamente rassicurata.
Si passò una mano tra i capelli e cercò di ritrovare un atteggiamento più maturo, "Beh, è normale che sia così, no? Dopo l’università i piccoli si avventurano nella grande, cinica città, si trovano un lavoro e lasciano il nido ".
Reagì con stupore quasi indignato a quella ridicola spiegazione e le sue parole assunsero un tono paternalistico "Ma non hai bisogno di andartene da casa. Puoi comunque cercarti un lavoro e rimanere qui fino a che non avrai la possibilità di mantenerti da solo ".
Rimase in silenzio, per niente stupito dal tono della sua risposta. Sfuggì il suo sguardo e intrecciò le mani davanti alle ginocchia su cui poggiava ancora i gomiti. Le rispose con tono calmo ma fermo.
"No. E’ arrivato il momento che tolga il disturbo. Non posso permettere che i tuoi continuino a prendersi cura di me per sempre. Non sono più un bambino ".
Si fece in avanti per cercare il suo sguardo senza tuttavia riuscirvi e gli rispose in tono concitato "Continuo a non capire. Sai bene che non è un obbligo per loro. Non sei mai stato un ospite in questa casa ".
Attese un attimo in silenzio, poi un piccolo, lieve sorriso piegò le sue labbra senza apparentemente incontrare resistenza. Respirò più profondamente e stese le braccia in aria stirandole, "Lo so ". Poi si spinse indietro e si stese sul tetto sorreggendosi sulle braccia ripiegate dietro la schiena. "A te proprio non posso farla, eh? ".
La guardò di sfuggita e cercò nuovamente con gli occhi le luci della città in lontananza.
Le sembrò intento a raccogliere le idee ma quando parlò la sua voce si fece d’improvviso inaspettatamente profonda e sicura. "La verità è che adesso so cosa voglio. Cosa voglio davvero, voglio dire. E per ottenerlo ho bisogno di trovare la mia strada. Ho bisogno di imparare a prendere le mie decisioni. Grandi e piccole che siano ".
Anche i suoi occhi si fecero seri e profondi, creando uno strano contrasto con il sorriso leggero e sereno che gli illuminava il viso. Lo disse con sicurezza, quasi con rassegnazione.
"Voglio te, Shion. E non posso rimanere rintanato per sempre in casa Wakanae se voglio sperare di averti davvero ". Percepì il suo cuore perdere un battito, per riprendere poi il suo ritmo di soppiatto, quasi avesse timore di farsi sentire da lui. E infatti Masahiko parve non accorgersene. Lo vide socchiudere gli occhi, come se cercasse di concentrarsi, forse per trovare il coraggio di voltarsi e guardarla per pronunciare quelle ultime parole. E così fece. La guardò e dopo un attimo di smarrimento le sorrise.
"Voglio diventare un uomo in grado di offrirti qualcosa, Shion ".
Rimase lì, immobile. Gli occhi, immobili. Il cuore, immobile. Desiderò parlare, ma la sua mente era a zero giri.
Lui si voltò nuovamente, smarrendo ancora lo sguardo tra i tetti della città. Parlò a voce bassa, più a sé stesso che a lei "E non posso farlo restando qui ". Poi parve risvegliarsi da quello strano torpore e si voltò di nuovo, mostrandole un sorriso sorprendentemente energico. "E poi, pensaci bene, così avrò la possibilità di chiederti di uscire ".
Stavolta non riuscì ad impedirsi di guardarlo stupita "Ma, Masahiko, noi usciamo sempre insieme… ".
"Si, è vero. Ma non ti ho mai chiesto un vero appuntamento. Sarebbe sembrato sciocco, non credi? ". Rise e alzò il dito indice davanti al suo viso "Dove sarei venuto a prenderti e, più che altro, dove ti avrei riaccompagnata, davanti alla porta di camera tua? ".
Lo guardò con fare malizioso. "Beh, mi sembra che tu lo abbia sempre fatto ".
Cercò di non fare troppo caso a quello sguardo per non imbambolarsi ancora. Le rispose abbassando istintivamente gli occhi e portandosi una mano sulla nuca. "Lo so, ma non sarebbe la stessa cosa… A dire la verità, ecco … alcune volte mi sono chiesto se saresti uscita così spesso con me se non abitassimo insieme. Se non ci fossero legami di famiglia tra noi, voglio dire ". Riuscì a rialzare gli occhi, ma non poté guardarla in viso "Ti sembrerà sciocco, davvero molto sciocco, da parte mia. E forse anche immaturo. Ma vorrei sapere che non è un caso se passiamo tanto tempo insieme ". Attese un momento e poi alzò lo sguardo dandole l’impressione di aver chiamato a raccolta tutto il suo coraggio "Io non mi stancherò di venire da te. E credo che tu adesso non abbia ancora le idee chiare in merito, ma vorrei … si, vorrei che un giorno tu capissi che cosa vuoi davvero da me ".
Sorrise. Un sorriso sereno, pulito. Il vento spazzò i suoi capelli.
"E penso che per me sia arrivato il momento di correre il rischio. E di lottare per averti ".
Si cullò per un attimo nel calore delle sue parole, nella bellezza di quel sorriso, prima di aprire bocca per rispondere, senza sapere ancora cosa. Ma lui la precedette stupendola ancora una volta.
"E poi c’è un’altra cosa ". La guardò e pronunciò quelle parole come se fosse la cosa più semplice del mondo. "Voglio stare con te. Voglio fare l’amore con te, Shion ". Guardò il suo viso, cercando inutilmente di interpretarne l’espressione. "Ma non qui. Non in casa dei tuoi genitori, non nella casa in cui sono stato accolto come un figlio ".
Le sorrise e continuò, "E poi voglio un posto in cui non doversi preoccupare che qualcuno apra improvvisamente una porta o si affacci ad una finestra ". Si voltò piano come se avesse sentito per la prima volta il peso delle sue parole. Sentì una corrente d’aria più fresca sulla pelle e continuò con voce più lieve, "Non è molto, ma penso sia la minima cosa che un uomo abbia il dovere di offrire alla sua donna ".
Dopo un attimo di silenzio la spiò con la coda dell’occhio. Lo guardava. Si girò del tutto e lei sostenne il suo sguardo, ma i suoi occhi svelavano la confusione che quelle parole avevano creato in lei.
Poi parve risvegliarsi improvvisamente. I suoi occhi riacquistarono luminosità e subito dopo furbizia. Parlò con tono allegro, canzonatorio. "Sempre che io sia una donna, giusto? ".
La sua prima reazione fu di sgomento e subito dopo di grave indignazione. Riuscì però a contenere il tono della risposta che risultò comunque fortemente polemico. "Okay, okay, ho capito. Scacco matto ". Le voltò le spalle, si spinse in avanti e fece scivolare le gambe giù dal tetto. Si puntellò con le braccia e rimase in silenzio.
Sorrise, anche se lui non poteva vederla. "Ehi! Non te la sarai presa, vero? ". Lui grugnì qualcosa e rimase di schiena. Si avvicinò, gli poggiò una mano su di una spalla e continuò con tono confidenziale, "Avanti Masahiko, perdonami, non sapevo cosa risponderti ". Fece scivolare la mano lungo il braccio e abbassando lo sguardo lo tirò leggermente verso di sé. "Ti prego, girati, non essere arrabbiato con me ".
Quella tiepida, complice pressione sul braccio gli scaldò il cuore in un momento. Non c’era niente da fare. Non riusciva, non riusciva proprio a dirle di no. E si sentì anche un po’ stupido, perché in cuor suo dovette ammettere di essersi sentito vagamente felice del fatto che non avesse avuto timore di confessargli di essere confusa.
E così lo fece. Si arrese, sollevò di nuovo le gambe sul tetto e si voltò avvicinandosi a lei. Il suo sorriso era così bello. Lei lo era.
Così vicino. Forse troppo. Gli sembrava di sentire il calore della sua pelle. Il suo odore. Desiderò tirarla a sé e affondare il viso nei suoi capelli, sentire il suo profumo fino a consumarlo tutto. Ma si limitò ad avvicinare il viso al suo e a risponderle sottovoce in tono complice, "Strega ".
Con le dita le spostò una ciocca di capelli dietro la schiena sfiorandole il collo e la nuca. Un piccolo brivido gli passò lungo il braccio e lei parve essersene accorta, perché gli sorrise, quasi divertita.
"Sempre che tu sia una donna? Già, chissà cosa succederebbe se tu non lo fossi ".
Lo guardò stupita. Quasi più di prima. E anche lui si stupì di aver pronunciato quelle parole. Ebbe l’istinto di tirarsi indietro, ma poi i suoi occhi si fecero di nuovo profondi e scuri. Esitò a lungo prima di rispondersi e infine lo fece con voce incolore, "Non lo so ".
Rimase in silenzio per un lungo attimo e poi le sorrise. "Davvero. Non lo so ".
Si allontanò da lei con fatica e si sdraiò nuovamente sul tetto concedendosi un profondo respiro liberatorio. Rivolse lo sguardo al cielo e continuò. "Sarebbe dura per me, suppongo. Per un motivo molto semplice ". Si girò su di un lato e le dette le spalle, ma il suo tono di voce rimase comunque udibile. "Perché non potrei mai averti ".
Attese ancora a lungo prima di proseguire, "Devo confessarti di aver pensato spesso a questa possibilità, ma vedi, non credo che potrei mai … si, insomma, stare con un uomo ".
Stava per rispondergli ma lui la precedette ancora, rivolgendole parole miste ad una leggera risata, "E sarebbe davvero difficile per me, perché vedi… ho paura che questi sentimenti non se andrebbero via comunque ".
Quelle parole riempirono la sua mente. E sembrarono scaldarle l’anima.
Allungò un braccio, gli posò la mano sulla sua spalla e si piegò leggermente su di lui. Ma Masahiko si girò velocemente e si sollevò andando ad incontrare di nuovo i suoi occhi. Quanto erano belli. Avrebbe potuto perdersi in quegli occhi. Avrebbe voluto farlo. Ma si limitò a parlarle ancora, piano, con voce un pò impastata.
"No. Non devi dirmi niente. Non stasera. Oggi era il mio turno di parlare ".
Le prese una mano e se la portò al petto. Non riuscì ad impedirsi di passarle un braccio dietro la schiena e avvicinarla a sé. Era così vicina. Così calda.
"Dio … ", la sua bocca si mosse ma non ne uscirono suoni. Le sorrise e riprovò. "Adesso… me ne vado a letto ".
Le dispiacque. La sua espressione la tradì e lui ne fu felice.
Si allontanò piano da lei, facendo scivolare la mano lungo la schiena e la vita, senza lasciarle la mano finché non fu inevitabile. Calò le gambe giù dal tetto e fece forza sulle braccia per scendere.
Guardò il profilo della sua schiena, le sue spalle. Si stupì per come si fossero fatte grandi. Lo richiamò appena prima che si desse lo slancio.
"Masahiko, quando intendi dirlo a mamma e papà? ".
La guardò da sopra la spalla e rispose con tono fresco. "L’ho già fatto ".
Se ne sentì davvero sorpresa, inaspettatamente gelosa. Continuò con voce incerta, "E quando.. ? E cosa hai detto loro di preciso? ".
Masahiko rivolse lo sguardo al cielo, fingendo di forzarsi di ricordare. "Beh, la verità ".
Rimase sgomenta. "Ma… la verità in che senso? ".
Rise divertito della sua reazione e riprese con tono più sicuro "Ho parlato con loro oggi pomeriggio, mentre eravamo ancora a casa dei nonni ". Le sorrise, "E ho detto loro le stesse cose che ho detto a te ".
"Le stesse? ".
"Si. Le stesse ".
Si concesse di rimanere ancora un attimo a godersi quell’espressione di stupore sul suo viso, poi si dette lo slancio e atterrò sul terrazzo. Fece fatica a mantenere l’equilibrio e non cadde solo perché riuscì ad aggrapparsi alla balaustra. Tirò un sospiro di sollievo e si girò pronto alla frecciatina. Ma lei non lo aveva neppure visto. O meglio, l’aveva visto ma sembrava non averlo mentalmente registrato, perché continuava a guardarlo con aria stupefatta. La fissò ancora per un attimo e poi si incamminò verso la finestra augurandole la buonanotte.
La sentì pronunciare il suo nome con voce calda e complice. Alzò gli occhi e la vide sporgersi oltre il tetto. Gli regalò un sorriso straordinario, un sorriso che poche altre volte le aveva visto. "Mi mancherà non averti tutte le sere sotto la mia finestra ". Socchiuse gli occhi e continuò, "Grazie, per le cose che hai detto stasera ".
Poi rialzò la testa e sfoderò un sorriso strafottente. "Ah, Masahiko, a proposito… davvero un bell’atterraggio! ". Gli fece l’occhiolino e si allontanò ridacchiando.
"Strega! ".
Sorrise e chiuse la portafinestra dietro di sé.

  
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