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Autore: Koa__    16/10/2014    11 recensioni
#Blackbeard, King of Pirate
#Me, you and nobody else
#The old story of "East wind coming..."
#Down in a dark well Terza classificata al contest 'Pensami' indetto da DonnieTZ
#Obsession
#Losing Control
#My brother is a murderer
#Upside down
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Altro personaggio, Lestrade, Mycroft Holmes, Redbeard, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Personaggi: Sherlock Holmes; Mycroft Holmes; Redbeard
Intro: Blackbeard il pirata, si faceva chiamare. Aveva cinque anni e combatteva con uno spadino di legno che agitava contro il vento. Portava un gran cappello che gli oscurava la vista e che di continuo ricacciava in su. Cavalcava Redbeard come fosse un baldo destriero. Saltava sui letti, andando all’arrembaggio. Era Sherlock Holmes, il piccolo filibustiere.
 
 



Blackbeard, King of Pirate
 

 
Mycroft, vuoi giocare con me ai pirati?


Sherlock ha cinque anni e tre mesi quando te lo chiede per la prima volta e non lo fa in maniera calma e posata, ma con foga e desiderio di coinvolgerti. Entra in camera tua senza aver nemmeno bussato e salta su sul letto, ridendo a crepapelle. Di certo non occorre un intelletto al pari del tuo per capire che cosa voglia da te, fargli quella domanda sarebbe banale visto che ha una benda nera che gli copre un occhio (fatto con un brandello di stoffa che ha certamente rubacchiato dal cesto del cucito di vostra madre), in mano invece tiene uno spadino di legno che brandisce a destra e a sinistra mentre dietro di lui, sonnacchioso ed annoiato, Redbeard se ne sta disteso a terra.
«Mycroft, vuoi giocare con me ai pirati?» chiede, e la sua voce è intrisa di speranza. È un sentimento evidente e su di lui adesso è ovunque. La vedi nei suoi occhi grandi e sgranati e c’è persino nel sorriso gioviale. Quello stesso sorriso che ti ricorda, ogni volta che lo guardi, che Sherlock è diverso da te. Lui è così tanto emotivo… Ovviamente ha soltanto cinque anni, tuttavia, quando che hai a che fare con quel bimbetto impertinente non puoi non domandarti come sarà in futuro; ti somiglierà? Avrà il tuo stesso carattere scontroso e schivo? Tua madre ti rimprovera spesso, ricordandoti che è piccolo, di non essere eccessivamente duro con lui e ti invita ad assecondarlo nei suoi fantasiosi viaggi mentali. Il fatto, però, è che tu non ce la fai davvero a stargli vicino perché tutto di lui ti confonde.
«No, ho di meglio da fare» gli rispondi, secco e duro rimettendo il naso nel libro di scuola che hai aperto sulle ginocchia. Sei severo con il piccolo Sherlock Holmes, ma non puoi fare altrimenti: è la tua natura che te lo impone, la tua maledetta indole che ti porta a non dare confidenza nemmeno a un individuo che ha il tuo medesimo sangue. Anche adesso sei fermo e deciso nelle tue posizioni, tanto che neanche lo guardi perché hai gli occhi fissi tra le pagine di quel testo di cui fatichi a proseguire la lettura; al solito infatti, Sherlock ti distrae. Eppure non lo affronti di nuovo, ma ti ostini ad evitarlo e proprio per questo non puoi vedere la sua espressione arrabbiata, le labbra serrate e le iridi sempre più liquide mentre fa di tutto pur di mascherare un pianto che già gli bagna gli angoli degli occhi. Non lo vedi tentare in tutti i modi di ricacciare indietro le lacrime, perché ti imponi di badare ad altro. E mentre lui freme di rabbia, tu ti ritrovi ad essere contento del fatto che il tuo emotivo fratellino sia ancora in grado di sorprenderti: non è scoppiato in una scenata disperata come pensavi facesse. Pare, in fondo, non cedere fino a quel punto e sei felice perché ha fatto il possibile pur di controllarsi; d'altra parte (ricordi a te stesso) è pur sempre un Holmes. E mentre lui se ne va gettandosi a capofitto tra il folto pelo di Redbeard, tu speri che non te lo chieda più.


Mycroft, vuoi giocare con me ai pirati?


È un’estate calda quella del Sussex. Un’estate che tu e lui state trascorrendo a casa di vostra nonna, nel sud. Ed è lì, tra il frinire assordante delle cicale e lo sciabordio delle onde del mare che sbattono contro la riva rocciosa, che Sherlock te lo domanda per la seconda volta. Non c’è Redbeard, il cane è rimasto a casa, ma tuo fratello ugualmente non demorde e indossando un grande cappello che nonna gli ha prestato e che gli cade di continuo sugli occhi perché troppo largo, salta a destra e a sinistra brandendo un grande sasso a mo’ di arma.
«Vi ucciderò tutti! Io sono Blackbeard, il re dei pirati» grida, festoso, zampettando da una parte all'altra. A te, naturalmente, è stato affidato il compito di tenerlo d’occhio. Devi assicurarti che non si faccia male o che non si lasci portar via dalle correnti della Manica. Non è necessario ribadire che detesti anche solo l’idea, ti annoia da morire stare dietro a quel piccoletto, specie perché tutti quanti pare abbiano dimenticato il fatto che tu odi giocare. A mamma non interessa di ciò che vuoi e nemmeno a nonna, quindi ti tocca sopportare l'iperattivo Sherly che ti vortica attorno come un grillo impazzito. Adesso, per esempio, ti sta minacciando con una pietra oblunga che ha raccattato chissà dove e che tiene premuta contro la tua tempia come fosse una pistola. Già per il fatto che ti stia toccando, la cosa ti urta immensamente.
«Dammi la mappa del tesoro, vigliacco di un corsaro» sibila, imitando le voci degli attori di quel film che ormai avrà visto un migliaio di volte mentre si tira su il cappello che, di nuovo, gli è scivolato sulla fronte precludendogli una visuale nitida.
«Non annoiarmi, Sherlock» gli rispondi, scacciandolo con un gesto della mano «sono troppo intelligente per queste sciocchezze.» Lui ferma il suo divertimento, lo fa d’improvviso e sorprendendoti per la capacità di reazione, che è a dir poco notevole per un bambino di quell’età. Non è contrariato, non solo. In una frazione di secondo riesci a scorgere così tante emozioni sul suo viso, che ti ritrovi stordito e confuso. Sherlock è arrabbiato, tanto che getta il cappello a terra con forza battendo i piedi sulle rocce, ma ben presto la sua ira diventa dolore e quegli occhi così tanto azzurri e che fino a poco fa erano impregnati di innocente svago, si bagnano di delusione. Non ti piace quando tuo fratello ti sta troppo attorno, la sua emotività ti dà fastidio e per questo hai sempre fatto di tutto pur di allontanarlo, ma allo stesso tempo non ami vederlo piangere. E mentre fai caso alle lacrime che gli rigano le guance piene ed arrossate, percepisci un qualcosa a cui prima non avevi fatto caso: un nodo alla bocca dello stomaco. Solo fra tanti anni capirai che il tuo è senso di colpa che sta nascendo.


Mycroft, vuoi giocare con me ai pirati?


Redbeard è morto. I veterinari hanno detto che non c’era più nulla da fare e i tuoi genitori hanno preferito sopprimerlo per non farlo soffrire ulteriormente. Trovi saggia la loro decisione, ma allo stesso tempo fatichi a comprendere il loro dolore. Il fatto che si stiano struggendo per la vita di un animale, ti è incomprensibile. Ci pensi a lungo, ma ti decidi ad esporre i tuoi dubbi soltanto quando li senti discutere animatamente. A quel punto fai loro notare che la vita di quel cane conta relativamente nel vostro tran-tran familiare ed è allora che tua madre ti fulmina con lo sguardo, facendoti capire che hai detto quello che non avresti mai dovuto azzardarti neanche a pensare.
«Di tuo fratello non ti importa?» tuona lei, arrabbiata. «Quel cane, come lo definisci tu, era il suo unico amico e da oggi sarà solo. Solo!» ti rimprovera di nuovo, con sguardo severo e voce dura. Tu non rispondi e la tua non è maleducazione, è che non riesci a capire e quindi ti limiti ad andare nella tua stanza. Ti devi preparare, e dato che mamma pretende che Sherlock venga accontentato in tutto, sei costretto ad assecondare la sua follia e a partecipare al funerale di quel sacco di pulci. L'amichetto di Sherlock verrà seppellito nel giardino sul retro e gli verranno tributati tutti gli onori degni di cotanto pirata. È per questo che poco più tardi ti ritrovi vestito di tutto punto, in piedi, in mezzo al prato. In quel giardino autunnale e spoglio, riparato sotto lo stesso ombrello di mamma alla quale stai attaccato più che puoi perché, tra le cose che odi, c’è anche il brutto tempo. Piove a dirotto come è solito fare in questa stagione, eppure lui non ha voluto rinunciare ai suoi abiti da battaglia e se ne sta davanti alla tomba che papà ha appena finito di ricoprire di terra, vestito di una sola camicia bianca rappezzata con delle toppe cucite a mano da vostra nonna e per la quale tua madre ha litigato con lui per quasi un'ora. Lei non voleva che si vestisse tanto leggero dato il brutto tempo, ma alla fine il piccolo si è imposto e lei ha ceduto, forse eccessivamente intenerita dai suoi occhioni lucidi. Già proprio mamma, sempre dura e severa e ora così troppo diversa da come ti si mostra tutti i giorni, che sei impressionato e stordito dalla sua evidente emotività. Come mai la morte di Redbeard l'ha cambiata tanto? Perché? Sollevi il volto su di lei in cerca di una risposta, fino a che non ti paralizzi appena incroci il suo sguardo. Quegli occhi azzurri così tanto simili a quelli di Sherlock, sono carichi di una pena leggera che risulta quasi sfacciata su di lei, è un dolore nuovo e mai visto prima. Ha un'espressione dura stampata in volto, le labbra sono contratte e la mano è stretta con forza attorno al manico dell'ombrello che regge saldamente. A una deduzione superficiale si potrebbe trovarla normale, ma tu non sei uno qualunque. Sei Mycroft Holmes e sei intelligente, brillante e svelto e, soprattutto, conosci tua madre come te stesso ed è proprio da quel suo sguardo così troppo diverso, che riesci ad afferrare tutto il suo turbamento. La sua è una sofferenza evidente ed è lì ed è palese, eppure ancora fatichi a carpirne i motivi; perché? Sta facendo di tutto pur di trattenersi, però è preoccupata. Per quale motivo? Ti domandi proprio mentre Sherlock afferra con forza lo spadino di legno e lo conficca nel terreno zuppo di pioggia. Non fa nient’altro, non spiccica neanche una parola e non piange, semplicemente ritorna verso casa correndo alla più non posso.

Mamma ha dato a te il compito di tenerlo su di morale, come se tu potessi riuscire in un’impresa del genere. Hai protestato, ti pare ovvio, ma è bastato un suo sguardo ammonitore per farti cedere a quelle assurde richieste. Per questa ragione lo raggiungi nella sua stanza e, sempre per lo stesso motivo, apri piano la porta spiando all’interno. Lo trovi rannicchiato in un angolo con la testa infilata tra le ginocchia, si tiene saldamente le caviglie e dondola appena, in un gesto di rassicurazione che sai essere istintivo specie nei bambini. Gli dai una rapida occhiata mentre ti fai più vicino e non è necessario avere un buon orecchio, o le tue abilità deduttive, per udire dei singhiozzi disperati. Sei in grande imbarazzo perché ritrovarti di fronte ad un dolore così profondo e lampante, sconvolge te per primo. Non hai idea di come approcciarti ad un sentimento tanto dirompente; che dovresti fare? Cosa potresti mai dire per farlo smettere? Ci pensi sopra a lungo e d’un tratto ti salta in mente quel che ritieni potrebbe andare bene, quindi ti azzardi a proporre un’attività che sai potrebbe piacergli. Qualcosa che lo distragga insomma.
«Vuoi giocare ai pirati?» gli domandi, prima di inginocchiarti di fronte a lui. Sherlock smette di piangere e rimane in silenzio, pensi proprio d’aver colto nel segno e che ora si calmerà, ma ti sorprende e scuote il capo negando vigorosamente.
«Niente più pirati» sentenzia, con uno sguardo eccessivamente severo e che risulta quasi drammatico sul volto di un bambino che ha pianto così tanto. «Va’ via, Mycroft, non ti voglio.» Sai di non poter ubbidire alla sua richiesta perché tua madre in proposito è stata categorica: non devi lasciare il bambino da solo, dovrai essere tu ad occuparti di lui. Il problema è che entrambi non avete fatto i conti con la volontà del piccolo Sherlock che, alla fine e nonostante l’emotività, è pur sempre un Holmes. È comunque sangue del tuo sangue e, per questo, totalitarista: o si fa come dice lui, o si fa come dice lui.
«Via» grida, furioso. Nonostante tu sappia perfettamente che non è quel che dovresti fare, ti ritrovi ad obbedire. Mentre lasci la stanza, però, ecco che quella sensazione ritorna. Il senso di colpa ora è molto più che un vago nodo alla bocca dello stomaco, adesso è un qualcosa che ha attecchito e che sta già iniziando a ramificare dentro di te. La sensazione che tu non sia stato sufficientemente vicino a tuo fratello, che tu non lo abbia protetto a dovere, ti entra nel cervello e scava come un tarlo. Forse è per questa sensazione disgustosamente nuova che non ritorni in camera tua e che, una volta fuori, ti lasci andare contro la parete del corridoio. Dietro la porta, Sherlock piange disperato e tu lo senti e il fastidio allo stomaco si accentua e divampa come un incendio. Devi trovare una soluzione al più presto per sedare il tuo senso di colpa e per tranquillizzare tuo fratello, solo così sarai in pace (finalmente). Ripensi a quello che ti ha appena detto e al modo in cui lo ha fatto: lui ti odia, lo sai perfettamente. Eppure è proprio il percepire il suo sentimento tanto nitidamente, che ti fa comprendere per la prima volta che il piccolo non sarà mai come te. Non sarà in grado di controllarsi perché è debole e lo sarà finché avrà vita. Per questo spetterà a te che sei il più grande e il più forte, il compito di proteggerlo da qualunque minaccia.

È per questo che non te ne vai come invece lui ti ha ordinato di fare. Ci pensi su per una frazione di secondo e quindi opti per la scelta più saggia e non entri immediatamente, ma attendi che il suo pianto fragoroso smetta di inondare la camera da letto. Ti apposti lì di fuori, seduto sul legno duro e aspetti, con pazienza, che si sfoghi. Soltanto quando il silenzio prende ad imperare, apri la porta. Lo fai con fredda determinazione facendo quindi vagare lo sguardo fino a che non trovi Sherlock steso a pancia in giù sulla moquette, addormentato. Veloce lo prendi tra le braccia adagiandolo con attenzione sul letto. Ha le guance rigate e rosse, gli abiti sono sgualciti e bagnati e le mani ancora strette a pugno. Fa freddo in quella stanza e lui è fradicio e vestito fin troppo leggero, quindi lo spogli rapidamente e lo infili sotto le coperte. Spegni la luce accesa sul comodino e poi chiudi la porta sedendoti sulla moquette, al suo fianco. E mentre la consapevolezza di essere già radicalmente cambiato e di averlo fatto per lui, prende corpo dentro di te, ti rendi conto che dovrà essere per sempre così fra voi. Dovrai occuparti di lui senza che Sherlock lo sappia. Perché sai perfettamente che arriverà un momento in cui dovrà essere difeso, e tu sarai lì quando ciò avverrà. Ci sarà un giorno in cui dovrai proteggerlo (magari anche da sé stesso) e non ti tirerai indietro. Arriverà il pericolo e tu farai ogni cosa pur di tenerlo al sicuro, mentirai e manipolerai tutto e tutti (non t’importerà neanche di infrangere la legge) pur di tenerlo al sicuro. La tua è una promessa. Un giuramento che fai a tua madre e al tuo senso di colpa e che sigilli lì in quella camera buia, affondando la mano tra i suoi capelli ricci e scompigliandoli appena, in un gesto d’affetto che non ti sei azzardato a fare fino ad ora e che, ma questo non lo sai, mai più farai.


Mycroft, vuoi giocare con me ai pirati?


Da quel giorno non te lo ha più chiesto, ha mantenuto la promessa solenne fatta a Redbeard di ammainare le vele. Il suo spadino è finito tra la spazzatura, anni più tardi papà lo ha gettato via perché era troppo consunto e usurato dalle intemperie. Anche la benda è sepolta chissà dove, così come il cappello che sarà tra gli oggetti dei nonni, su in soffitta. Dei giochi di quello Sherlock Holmes fanciullo non ne è rimasto che il ricordo, il tuo ricordo che ancora, dopo tanti anni, non ti ha abbandonato. Proprio come il senso di colpa. Sherlock non ti ha mai più parlato della vostra infanzia, solo di tanto in tanto si prende la briga di rinfacciarti i tuoi modi di fare freddi e tu abbozzi sempre; non sei mai serio. Mai completamente, perché se lo fossi gli diresti che ti dispiace per la tua supponenza, gli diresti… oh, cielo, così tante cose! E invece non lo fai perché no, non sarebbe da te il lasciarsi andare fino al punto di dirgli che lo adori e che ti preoccupi per lui costantemente. Non gli confesseresti mai che non hai provato un affetto tanto profondo, quel senso di protezione totale e incondizionato, per nessun altro. Nemmeno per i tuoi tanti amanti occasionali. Ti preoccupi per lui, da sempre, ma Sherlock non lo deve sapere. Lo hai detto però a tutti gli altri: ad Anthea naturalmente, al dottor Watson e al medico che lo aveva preso in cura durante la riabilitazione dopo l'overdose, lo hai detto persino a Lestrade! Tutti coloro che vi conoscono sanno quanto ne sei affezionato, ognuna di quelle persone lo ha ben presente e anche se ti trovano odioso e insopportabile, non mettono mai in discussione il tuo attaccamento per il celebre consulente investigativo. È così evidente? Ti chiedi certe volte nella solitudine del tuo appartamento, mentre te ne stai rintanato di fronte al camino in compagnia del tuo costosissimo brandy. Forse sì.


Mycroft, vuoi giocare con me ai pirati?


Ha trentacinque anni quando te lo chiede per la terza volta. Erano secoli che non riesumavate quel discorso, eppure non sembra che sia trascorso un singolo giorno, dato che i suoi occhi sono ancora i medesimi di un tempo. Quelle iridi grandi, sgranate e speranzose, ma cariche di un fondo di tristezza e malinconia che non puoi non notare e che lo rendono così drasticamente diverso da come era da bambino. Ancora quello sguardo ti colpisce, pur facendolo in modi differenti, resti intrappolato e confuso dalla sua straripante emotività. Ricordi nitidamente quando ti domandava di partecipare ai suoi giochi, eravate bambini e tu eri già troppo Mycroft per potergli dire di sì. È passato tanto tempo da allora e siete cresciuti (tu sei invecchiato), ma tutte le volte che lo guardi rivedi quel piccoletto saccente. È più forte e di te e forse sei uno sciocco sentimentale. Eppure, quel che ti trovi di fronte è sempre quel bambino là, quello che giocava sugli scogli in riva al mare minacciando tutti di essere il pirata più terribile mai esistito. Sei un vecchio stupido, dici a te stesso mentre Sherlock se ne sta in piedi di fronte a te e, sfidandoti, ti invita a dire di sì. Ora però c’è ben altro in ballo e nonostante i suoi occhi scintillino di puro divertimento, tu sai perfettamente che il vostro sarà un arrembaggio pericoloso.

In quel frangente, mentre ti prendi il tempo di rispondere, ricordi tutto quanto: tu, lui, Redbeard, lo spadino, i suoi occhi bagnati di lacrime… e più di tutto rammenti il tuo senso di colpa, quello che ti spinge ancora oggi a proteggerlo a tutti i costi. Forse è a causa del tuo strano modo di essere o della promessa fatta a mamma, che gli dici di sì. Più probabilmente, però, è per via del fatto che non riesci a saperlo in pericolo. Non hai di fatto la minima idea di che cosa ti spinga ad aiutarlo, sai solo che le parole che ti escono dalla bocca sono le più sincere che tu gli abbia mai detto.
«Certo che sì.» E a lui sembra bastare. Dovete ancora discutere dei dettagli, ma se c’entra Moriarty sai che non sarà semplice e che la vita di Sherlock sarà davvero in pericolo. Ciononostante lì e in quegli attimi ogni cosa diventa evanescente e lontana, Moriarty e il piano di Sherlock per distruggere l’organizzazione… non vedi niente di tutto questo. La sola cosa che ti si dipana in maniera nitida di fronte agli occhi è l’immagine di quel bambino con lo spadino e la benda sull’occhio, quel bambino che piange perché ha perso il suo amico Redbeard, quel bambino che hai giurato di proteggere a costo della tua stessa vita. Sherlock il pirata, si faceva chiamare. E tu? Tu che cos’eri? Mycroft, il fratellone cattivo, ecco come ti definiva. Ecco quello che sei sempre stato per Sherlock Holmes. Ma ora no, non più. Mai più.



Fine
 

-Alla fine c’è un piccolo riferimento a Reichenbach e al piano di Sherlock.
   
 
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