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Autore: nightmaresandstars    18/10/2014    0 recensioni
[SPOILER! Se non avete letto la trilogia, sbrigatevi e poi tornate qui!]
Helene Snow è la nipote dell'ormai ex Presidente di Panem. Questa è la storia degli ultimi Hunger Games.
Che i Settantaseiesimi Hunger Games abbiano inizio. E possa la fortuna essere sempre a vostro favore!
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Nuovi Tributi, Nuovo personaggio, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 21 – ANNE LEE WATERS
 
Il panico mi ha assalito.
Eta si era girata a guardarci, spaesata, come se non si fosse resa conto di quello che aveva fatto. Avevo lo sguardo fisso su Jale, una macchia rossa si stava allargando all’altezza dello stomaco.
Fannia e Volumnia, che fino a poco prima mi stavano tenendo stretta per evitare che corressi da lui, avevano allentato la presa.
«Hel...» ho iniziato White, ma non ho avuto modo di sentire altro, mi sono accasciata a terra, senza riuscire a pensare ad altro che non fosse Jale, steso, senza vita.

Tutto ciò che è successo dopo è confuso.
Ricordo delle luci, una voce, e le mani di White che mi aiutavano a camminare.
Ricordo una gran confusione, ricordo di essere stata pulita, sistemata e rivestita.
Ricordo vagamente una cerimonia, in cui mi veniva chiesto di sorridere.
Il primo ricordo chiaro che ho è stato l’abbraccio forte della mamma la prima volta che sono rientrata a casa.
Poi è iniziato il panico.
L’uscita dall’Arena è stata quasi peggiore dell’entrata.
Tutto intorno a me sembrava aver perso importanza. La gioia dei miei parenti giungeva ovattata alle mie orecchie. Non avevo voglia di fare niente, se non dormire. Ero stanca, stanca di tutto.
Non so perché abbiano deciso così all’improvviso di tirarci fuori, sicuramente, al momento avrei preferito perdere la vita, che continuarla senza di lui.
Le prime settimane sono state tremende. Non mi alzavo mai da letto. Non mangiavo. Non parlavo. Sentivo un gran via vai di gente che voleva vedermi, e puntuale sentivo la mamma cacciarli via. Di notte mi svegliavo urlando in preda agli incubi, con le mani tra i capelli, e la mamma e Scarlet arrivavano di corsa per consolarmi. Spesso Scarlet rimaneva da me, per tentare di calmarmi e farmi dormire. Ho pianto. Ho pianto tanto.
Poi, non so come, né perché, qualcosa è scattato in me, e, lentamente, ho ricominciato a mangiare, ho iniziato ad alzarmi per leggere, quando l’ho fatto la prima volta lo stupore sui volti dei miei familiari era a livelli allucinanti, sembravano aver visto un fantasma.
Purtroppo però, ogni cosa mi ricordava di lui. Ad iniziare dai capelli. Non volevo più avere il mare in testa, volevo vederlo di persona, ma non sopportavo più di vederlo tutte le volte che mi specchiavo, per questo ho fatto l’operazione inversa a quella fatta anni prima: i miei capelli erano tornati al loro colore naturale, erano di nuovo castano chiari.

Con il passare dei giorni stavo meglio. Io e White abbiamo ricominciato a passare del tempo insieme, e ho scoperto che aiutava molto, parlare con qualcuno che sapeva cosa avevi passato.
È stato quando le cose cominciavano lentamente ad aggiustarsi che il fato ha deciso di sorprendermi.
Ero incinta. Non potevo crederci. All’inizio ero preoccupata, spaventata, e poi sono diventata felice, gioiosa, piena di vita.
La prima a saperlo è stata White. Non sapevo che altro fare, mamma è sempre stata una persona aperta, ma sarebbe stato comunque un grande shock... potevo dirglielo? Non sapevo neanche dove sarei potuta andare, sarei potuta rimanere a casa? Alla fine, pensandoci bene, era solo questo che mi metteva paura.
Poi un giorno, chiacchierando con White, ci è venuta un’idea pazza: di restare a Capitol City non ne avevamo né voglia, né intenzione, stavamo male entrambe in quella non-normalità che una volta era stata anche la nostra, e allora, perché non andare via? In più, il mio segreto non sarebbe potuto rimanere segreto ancora per molto, prima o poi se ne sarebbero accorti.
Abbiamo organizzato tutto con calma, i soldi non ci erano mai mancati e con la vincita ricevuta per gli Hunger Games (che era stata equamente divisa in quattordici) stavamo ancora meglio.
Da poco avevamo ripreso ad uscire, andavamo al parco, facevamo delle passeggiate all’aria aperta, tutto pur di fuggire dall’ipocrisia dei nostri concittadini.
Una di quelle volte abbiamo comprato dei biglietti di sola andata per il treno che si dirigeva in periferia, poi saremmo dovute andare a piedi, avevamo scelto il Quattro come destinazione, avevo fatto una ricerca e scoperto che il borgo dove una volta abitava Jale si trovava sulla costa. Stava diventando tutto così reale.
Abbiamo preparato dei borsoni e White è venuta da me con la scusa di rimanere a dormire. Alla fine, però, non ho resistito. Quella sera, prima di scappare sono andata dalla mia mamma, forse non l’avrebbe accettato, o forse, sarebbe addirittura stata contenta per me, perché ricercavo la felicità e la inseguivo con tutta me stessa.
«Mami...» ho iniziato. «Devo dirti una cosa importante...»
«Te ne stai andando, vero? Sapevo che sarebbe successo, prima o poi...»
«Co-come facevi a saperlo?»
«Una mamma queste cose le sa... le intuisce...» ha detto accarezzandomi la guancia.
«Sì... io e White stiamo andando via... lei ha lasciato un biglietto ai suoi... lo scopriranno domani mattina...»
«Io non ne so niente, vero?»
«Già, in teoria dovevi scoprirlo domani mattina anche tu...» ho iniziato. «Comunque non è questo che dovevo dirti... ce ne andiamo principalmente perché non ce la facciamo più a stare qui, e poi perché... beh... io sono incinta... la sera in cui ci siamo... sposati» stavo continuando con la testa bassa. «ecco... noi...»
Mi ha abbracciato forte.
«Tesoro, sai che vorrei starti vicina, ma se è questo quello che vuoi, fai pure, sai benissimo che le porte di casa resteranno aperte per sempre.»
«Ti manderò delle lettere, delle foto... forse un giorno, vi farò venire nella mia casa al mare, oppure porterò mio figlio a vedere la casa dei suoi nonni!» le stavo sorridendo, nonostante le lacrime stessero iniziando a solcare entrambi i nostri volti.
«Non preoccuparti, staremo bene...» l’ho rassicurata. «Salutami papi, e Scarlet, e Albert! Dobbiamo andare...»
E così ho salutato la mia famiglia e la casa dove ero cresciuta, per andare in contro all’ignoto.
Avevamo in programma poco più due settimane di cammino, avevamo dei rifornimenti, ma tentavamo il più possibile di adattarci con ciò che trovavamo in natura, cacciando soprattutto di sera. Dovevamo attraversare un pezzo della periferia del territorio di Capitol City, parte del distretto Dieci e poi saremmo arrivate nel Quattro.
Una volta lì, avremo cercato una piccola casetta sulla spiaggia, la mia pancia era appena accennata.

Sono passati ormai quattro anni qua quando io e White ce ne siamo andate da Capitol City. Qui siamo conosciute come le “due sorelle che vengono da lontano”, Helene e WhiteRose Waters, ci sembrava un cognome appropriato per il Distretto in cui saremo andate a vivere. La casa dove ormai abitiamo solo io e Anne Lee, la mia bambina, è proprio in riva al mare, White abita poco distante da me, con il suo nuovo compagno.
Ci è voluto un po’ ad abituarsi al clima, al sole cocente, al cibo, alla gente. All’inizio ci hanno guardato con diffidenza, non si fidavano molto di due ragazze così poco abbronzate, e quando hanno scoperto la mia gravidanza la situazione non è migliorata, ci è voluto molto anche per loro, per abituarsi a noi.
Anne Lee è nata dopo poco più di cinque mesi dal nostro arrivo, e se non fosse stato per l’anziana del villaggio e per i medici, probabilmente non sarebbe neanche qui, sarò loro grata per sempre, lei è la mia ragione di vita.
È stato allora che tutto è cambiato, che si sono resi conto che eravamo solo due ragazze scappate da una realtà difficile, non ci hanno chiesto del nostro passato, ma scommetto che in fondo, qualcuno sappia la realtà, semplicemente non vuole ammetterlo.
Le nostre vite procedevano al meglio, anche se gli incubi continuavano a fare capolino nei nostri sogni.
Sognavo spesso di lui.
Una notte, Anne Lee aveva da poco compiuto tre anni e aveva iniziato a chiedere del perché lei non avesse un papà, uno dei miei incubi è venuto a farmi visita, mi sono svegliata gridando il suo nome, e l’ho svegliata, all’inizio si è spaventata, non ha pianto, ma quando si è accorta che, invece, io stavo piangendo, è salita sul mio letto, e mi ha abbracciato.
«Mamma, chi è Jale?» ha chiesto con la sua vocina dolce.
A fatica ho ricacciato indietro le lacrime.
«Jale era il tuo papà, solo che adesso non c’è più, e la mamma lo sogna, e diventa tanto triste quando succede...» le ho risposto.
«Ma mamma! Non devi essere triste! Quando sei triste puoi venire da me! Prometto di darti un abbraccio grande così!» ha detto mimando l’ampiezza con le braccia.
«Grazie tesoro.» le ho risposto stampandole un bacio sulla guancia. «Torniamo a dormire, adesso...»
«Aspetta, mamma!» mi ha fermato. «Mi racconti qualcosa di papà?» ha aggiunto sussurrando.
«Okay.» le ho risposto mettendomi seduta sul letto. «Cosa vuoi sapere?»
Gli occhi hanno iniziato a brillarle, aveva suoi stessi occhi, quegli occhi che tendevano all’ambrato-dorato.
«Com’era fatto?»
«Era bello, era tanto bello. Era alto, con le braccia muscolose, aveva i tuoi stessi occhi, e i suoi capelli erano un po’ più scuri dei tuoi, li portava corti... mi voleva tanto bene, mi ha difeso da gente che voleva farmi del male come fanno i principi delle favole, anzi, anche di più, finché quelle persone cattive non l’hanno preso, l’hanno ucciso, e mamma si è ritrovata da sola con zia White.» era molto interessata, mi guardava attenta.
«Quando mi ha chiesto di sposarlo, mi ha regalato questa.» le ho detto mostrando la collana a forma di stellina che non toglievo mai. «È per questo che mamma si è fatta quel tatuaggio, quello dietro al collo, ci sono dodici stelline, che rappresentano i dodici amici che mamma ha perso, ma la stella più grande, quella è la stella di papà! Così mamma può portarlo sempre con se, nel cuore, nel pensiero e sulla pelle.»
Era entusiasta.
«Ora andiamo a dormire, però, domani mamma ti finirà di raccontare di papà, e ti racconterò anche dei tuoi nonni, e ti farò vedere le loro foto! Ti va di rimanere a dormire nel lettone con me?» le ho chiesto alla fine.
Ha annuito accoccolandosi accanto a me.
È una bambina forte.
Successivamente le ho raccontato della nostra storia d’amore, le ho raccontato dei miei genitori, le ho fatto vedere delle foto, e le ho chiesto se avesse voluto abbracciarli, quando mi ha risposto di sì, in una delle tante lettere che mandavo a mia madre ho scritto che sarebbero potuti venire, così finalmente li ho potuti riabbracciare.
Anne Lee all’inizio è stata molto timida, ma non è durata molto, le piace fare amicizia con gente nuova.
La mia famiglia, alla fine, era fiera di me, e questo basta.

Conducevamo una vita tranquilla, i risparmi della nostra vita precedente bastavano a non farci sgobbare.
Un giorno, però, tornando dal lavoro, avevo lasciato Anne Lee, con White, che per quel giorno non lavorava, ho trovato la porta di casa aperta. Mi sono preoccupata, che motivo aveva di essere aperta?
«White! Annie! Sono tornata! Tutto bene?» ho chiesto.
«Hel... puoi, puoi venire?» ha chiesto White, la sua voce veniva dalla camera da pranzo.
«Subito.» ho risposto precipitandomi lì.
Quando sono arrivata, mi sono trovata davanti la persona meno aspettata di questo mondo.
Gale.
«Che... che cosa ci fai qui?»
Sembrava nervoso.
«Helene.» ha detto incredulo, si è avvicinato e mi ha abbracciato.
Sono rimasta bloccata. Non sapevo come reagire.
«Perché non hai risposto alle mie lettere?» ha chiesto.
«Io... io... non lo so.» ho detto correndo via di casa. Dopo tutto quello che era successo, dopo quel periodo di tranquillità, vedere Gale, è stato come sentire il passato afferrarmi per il collo e trascinarmi indietro.
Sono corsa via, sono andata nell’unico posto che aveva il potere di tranquillizzarmi in quel periodo: la spiaggia.
Volevo stare sola, con me stessa e i miei pensieri.
«Io... scusami... non volevo turbarti, volevo solo raccontarti ciò che è successo realmente...»
«Fai pure.» gli ho risposto rimanendo con la testa ben piantata tra le mie ginocchia.
Si è seduto accanto a me.
Ha riportato alla memoria ciò che era successo in quei giorni. Ha detto che poco prima dell'imboscata, era passato da Katniss per chiedergli di chiudere, e origliando una conversazione che lei aveva avuto con Peeta si era rassicurato, perché aveva le sue stesse intenzioni. Mi ha detto che poi, quando si é reso conto che non avrebbero chiuso prima che la questione tra noi fosse risolta é andato nel panico, sapeva come sarebbe andata a finire...
Quando é successo quello che é successo ha detto di essere sceso come una furia, con l’intenzione di riversare la sua rabbia su di lei, ma entrando nello studio l’ha trovata in lacrime, mentre Peeta Mellark dava l’annuncio della fine dei Giochi.
«... io... io ho provato a cercarti, sono anche venuto a casa tua, ma i tuoi mi hanno cacciato, così ho iniziato a scriverti delle lettere, ma tu non hai mai risposto...»
Delle calde lacrime hanno iniziato a scendere.
«Puoi... ti prego, dimmi qualcosa...»
Ho tirato su la faccia.
«Cosa dovrei dirti? Sono passati quattro anni e ancora ho gli incubi per quello che è successo! Mia figlia si sveglia, quando la notte urlo in preda al panico, e ha solo quattro anni!»
Stavo finendo di parlare, quando mi ha abbracciata.
«Sta calma... se mi vorrai, io starò con te...»
Mi sono calmata, ormai era tardo pomeriggio, e io non avevo mangiato niente, quindi abbiamo deciso di tornare a casa.
«Annie!» ho detto entrando. «Annie! Vieni da mamma!»
«Mamma!» ha iniziato saltandomi in braccio. Mi ha dato un bacio sulla guancia. «Chi è questo signore, mamma?» ha aggiunto poi sussurrando.
«Ahahahahah! Questo signore è un amico di mamma. White, grazie per aver tenuto Annie.»
«Ah, figurati, è stato un piacere, vero Annie?»
«Sì, sì!» ha risposto con la sua vocina.
Ci siamo messi seduti al tavolo, ed io ho preparato qualcosa da mangiare e da bere.
«Anne Lee, fai la brava, e presentati.» le ho detto.
Lei, con la più grande serietà, ha allungato la mano.
«Ciao, io sono Anne Lee Waters.»
«Ciao, Anne Lee Waters.» ha risposto Gale, assecondandola, e stringendole la mano. «Io sono Gale Hawthorne, e sono un amico della tua mamma.»
«Bravissima, tesoro.» le ho detto dandole un bacio sulla guancia.
Abbiamo mangiato, e poi ho proposto una passeggiata sulla spiaggia, io e Anne Lee adoravamo fare le passeggiate in riva al mare.
Annie adorava camminare sul bagnasciuga, raccogliere le conchiglie e bagnarsi i piedini.
Camminavamo già da un po’, quando ha incontrato degli amichetti.
«Mamma possiamo fermarci a giocare?» ha chiesto con un sorrisone.
«Certo, io e Gale rimaniamo qui a guardarti.»
Ci siamo seduti, mancava poco al tramonto, il cielo si stava già tingendo di rosso.
«Alla fine...» ho cominciato avvicinandomi a lui. «Mi sei mancato...»


 
*Angolino autrice*
E quindi siamo arrivati alla fine!
Ringrazio tutti quelli che sono arrivati fin qui,
che mi hanno letto fino infondo.
Spero di non avervi deluso con il finale.
Ho intenzione di pubblicare altro,
forse non sugli Hunger Games,
ma spero continuerete a leggermi.
Grazie ancora,
Lady_Periwinkle.
  
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