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Autore: stillyna    18/10/2014    2 recensioni
|Vincitrice del "Premio Miglior Scena Sviluppata" al contest "La Coppa del Cinema" di Nede|
|Terza classificata al contest "Accadde di Notte" di 9dolina0|
"Per quanto Chichi cercasse sempre di rendere la mancanza di quel mito un fardello un po’ meno pesante da sopportare, finiva sempre col ricevere in cambio un finto sorriso, utile soltanto ad alimentare in lei la consapevolezza di quanto quel vuoto fosse incolmabile. Per entrambi."
[Chichi/Pre-saga di Majin Bu][Accenni Chichi/Goku]
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chichi | Coppie: Chichi/Goku
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nick EFP/Forum: stillyna
Titolo: Se continui a guardarti indietro, non vedrai mai ciò che hai davanti.
Personaggi: Chichi
Frase/Citazione scelta: Se continui a guardarti indietro, non vedrai mai ciò che hai davanti.
Rating: Verde
Genere: Malinconico, sentimentale
Note: Questa storia partecipa al contest La Coppa del Cinema di Nede e Accadde di notte di 9dolina0.
Una shot parecchio lunga su un personaggio che amo e su cui mi mancava scrivere da tempo. Buona lettura ^^



Se continui a guardarti indietro, non vedrai mai ciò che hai davanti.

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Tic, toc.
L’ennesimo rintocco d’orologio spezzò il silenzio che invadeva la stanza.
Tic, toc.
Ancora una volta le lancette scandirono il tempo, dapprima in secondi, poi in minuti tramutati in ore che parevano interminabili.
Chichi girò la testa di scatto, in un gesto automatico e secco che non tradiva affatto l’ansia che la percuoteva dall’interno.
Il luminoso apparecchio elettronico, ben in risalto sul comodino affianco a lei, segnava le tre e un quarto precise.
La ancora piuttosto giovane donna - o ragazzina cresciuta troppo in fretta, forse - interruppe l’indesiderata sinfonia creata dal ritmo costante e freddo delle lancette con un lungo sospiro, tristemente liberatorio.
Si rigirò nel letto, rassegnata. Non ricordava nemmeno l’ultima volta in cui Morfeo l’avesse rapita in un sonno completamente ristoratore.
Era bensì l’insonnia la regina indiscussa delle lunghe notti trascorse lontano dal marito, puntualmente accompagnata dai fedelissimi sudditi: i ricordi.
Due note dolenti per la povera Chichi, vittima inerme di quel concerto maledetto che assediava la sua mente, al quale si era già arresa da tempo, insofferente.
Le sembrò che perfino lo stesso letto, testimone chiave nel passato dell’amore che più volte l’aveva unita al suo Goku, al contempo la stesse opprimendo col ricordo di quando, prontamente, la abbandonava e il cuscino restava l’unico conforto in cui soffocare i propri pianti.
Guardò l’ora per l’ennesima volta. Le tre e venticinque.
Decise finalmente di alzarsi, dopo qualche attimo di esitazione, se non altro per porre fine a quell’odiosa nenia. Istintivamente si avvicinò alla porta della camera del figlio, come era solita fare ogni notte per assicurarsi che dormisse beato, ma le bastò qualche secondo per fare mente locale.
Gohan si era fermato a dormire dal nonno, il buon vecchio Giuma, che si era prontamente offerto di badare al nipotino; il minimo che potesse fare per sostenere la figlia, che amava moltissimo e non sopportava vedere giù di corda.
Inizialmente, Chichi non reagì con particolare entusiasmo alla proposta del padre: amava suo figlio esattamente quanto odiasse separarsene, come purtroppo era già accaduto in passato. Tuttavia alla fine si era lasciata trascinare, con la convinzione di entrambi che allontanarsi per qualche tempo da casa, quella casa sede di infiniti ricordi, avrebbe magari aiutato Gohan a frenare i pensieri. Aveva appena perso per sempre la figura più importante della sua vita: l’insostituibile papà.
Per quanto Chichi fosse sempre stata indipendente e capace di provvedere ogni bene al figlio praticamente da sola - nonostante un tempo potesse contare anche sul sostegno di un marito - fare sia da padre che da madre si stava rivelando più dura di quanto pensasse. Per quanto amasse suo figlio e a sua volta anch’egli provasse un affetto enorme per lei, si rese quasi immediatamente conto di quanto il suo compagno, sebbene non fosse proprio il marito modello che tutte le donne sognano, era d’altra parte un padre meraviglioso.
Goku era amorevole e generoso: anche se in alcune occasioni era riuscito a dimostrarsi addirittura severo nei confronti di Gohan, il piccolo riconosceva in lui grandi doti, sia di guerriero che di uomo. Riusciva ad esercitare su di lui un’ enorme influenza positiva. Gohan lo stimava moltissimo e non vi era stato giorno trascorso in sua compagnia in cui non avesse tentato di imparare dal suo esempio, sforzandosi di imitarlo. Non rappresentava soltanto una figura da seguire, ma una sorta di idolo, di eroe da incarnare.
Per quanto Chichi cercasse sempre di rendere la mancanza di quel mito un fardello un po’ meno pesante da sopportare, finiva sempre col ricevere in cambio un finto sorriso, utile soltanto ad alimentare in lei la consapevolezza di quanto quel vuoto fosse incolmabile. Per entrambi.

«È tutta colpa mia, mamma, solo mia! Se solo avessi fatto fuori quel mostro quando papà me l’aveva chiest…» un singhiozzo strozzato non permise nemmeno al ragazzino di terminare la frase.
«Non pensarlo nemmeno, tesoro! Tu non hai colpa di niente, piccolo mio.»
Chichi abbracciava affranta il suo bambino, ancora incredula per l’accaduto.
Quel pensiero era diventato il suo unico chiodo fisso: come poteva quell’incosciente di suo marito aver permesso che quel macigno di responsabilità gravasse sul loro innocente bambino?


Erano trascorsi mesi, ma ancora non riusciva a venirne a capo.
Anche se avvolto da una tristezza infinita, Gohan aveva conservato il miglior ricordo possibile del padre e viveva con l’estrema fiducia che, presto o tardi, sarebbe tornato da loro. In quanto a lei, non si poteva certo dire lo stesso. La più provata da quella angosciante situazione era proprio Chichi.
Aveva pianto, digiunato, chiudendosi sempre più in se stessa e nella sua sofferenza. Non davanti a suo figlio, naturalmente.
Non era mai stata la classica donna debole pronta ad auto commiserarsi: al contrario, per tutti era forte e autoritaria. Una donna caparbia che sapeva sempre come comportarsi: questa sua capacità di affrontare ogni tipo di situazione con risolutezza non doveva assolutamente venire meno, soprattutto agli occhi del piccolo Gohan. Tuttavia era molto più fragile di quanto chiunque altro potesse credere.
Magari avrebbe fatto bene anche a lei staccare un po’ la spina, abbandonando quell’ amata casa che mai come allora la stava soffocando, comprimendola con i ricordi.
A piedi scalzi, uscì dalla cucina in cui si era precedentemente spostata con una tazza di tè fumante in mano e una candela profumata dall’altra.
Si sedette sull’erba, leggermente umida dopo qualche minuto di pioggia.
Chichi alzò lo sguardo al cielo. I Monti Paoz erano puro spettacolo, anche in una notte buia e cupa come quella regalavano grandi emozioni. Un’immensa luna a risaltare quei prati verdi, che parevano tuttavia così anonimi senza la luce del sole.
Una lieve brezza le sfiorò la guancia, come a salutarla. Decise di abbandonarsi completamente ai fili d’erba, che umidi le solleticavano il collo.
Era stanca, delusa, irritata, frustrata… e un’infinita sorta di altri aggettivi che al momento le sembravano parole così vuote e inutili.
Il punto era che gli mancava. Per quanto si ostinasse, non riusciva comunque ad odiarlo fino in fondo.
Perché lo amava. Restava suo marito, vivo o morto, ingiusto o stupido che fosse.
A volte si convinceva a preparare le valigie e alzare i tacchi, ma sapeva di non poter lasciare quei monti perché amava anche loro, implicitamente.
I cari monti Paoz, tanto amati dal suo Goku.

«Eccoci arrivati, Chichi!» l’urlo gioioso dell’ultimo vincitore del Torneo Tenkaichi riecheggiò per tutta la valle, stordendo per un secondo anche la giovane ragazza che lo stava inconsapevolmente accompagnando in quella nostalgica immersione nel suo passato.
«E così sarebbe questo il misterioso scenario del nostro primo…ehm… ufficioso appuntamento?» domandò la bella corvina, anche se non era completamente sicura di quanto il termine “appuntamento” fosse appropriato o meno per descrivere quello strano incontro.
«A-appuntamento? Non so nemmeno di cosa tu stia parlando…» pronunciò il ragazzo senza pensarci su, suscitando un sospiro nella sua accompagnatrice che non ebbe nemmeno il tempo di pensare a come ribattere. «Ebbene, Chichi, ti presento i miei Monti Paoz! Questo è il posto in cui sono nato, credo… perlomeno quello in cui sono cresciuto assieme al mio caro nonnino.» chinò per un istante il capo mentre il più spontaneo dei sorrisi, rievocato probabilmente dai tanti bei momenti trascorsi insieme al simpatico vecchietto, che lo aveva allevato come un figlio, si insinuò svelto sul suo viso per poi essere sostituito un attimo dopo da uno sguardo triste e vuoto.
«Ogni volta che mi sento un po’ solo…» proseguì, senza nemmeno ben capire perché stesse raccontando il tutto alla giovane che, silenziosamente assorta, ascoltava seduta accanto a lui. «Quando sento che manca qualcosa e non capisco… beh, se posso vengo subito qui e non so come, ma mi sento subito meglio.»
A quelle parole, Chichi non poté fare a meno che intristirsi, per poi sorridere un secondo dopo, intenerita. Fra i due si era creato un silenzio imbarazzante, quando all’improvviso la dolce ragazza esordì con una nuova idea che le era balenata proprio in quella circostanza.
«Senti, Goku… non è per cambiare argomento, ma era da qualche giorno che mi chiedevo in quale posto saremmo andati ad abitare e… qui mi sembra davvero perfetto. Magari così non ti sentirai più solo.»
A quella proposta, gli occhi del giovane si illuminarono.
«Allora, che ne dici?»
«Penso che sia un’idea magnifica! Ci sto!» esclamò con rinnovato entusiasmo, mentre l’intrepida Chichi si fece avanti improvvisando un breve, ma dolce abbraccio.


Una timida lacrima le rigò una guancia.
«Come ho potuto essere così ingenua?»
Parole che esplosero dalla sua bocca inavvertitamente, in un grido disperato e carico di rancore che si librava al cielo inascoltato.

«Sai Chichina, non mi sono mai sentito così. Forse prima non sapevo dare un nome a ciò che provo, ma sono quasi certo che sia… sì, insomma… amore.» le più belle parole che la giovane neo-sposina avesse mai udito in vita sua, poco prima che la sua dolce metà si addormentasse beata sul suo petto ancora nudo.

Bugia. La più grande di tutte.

«Tesoro, so che ti sembrerà assurdo, ma ti prometto che qualunque cosa accada Gohan ed io ne usciremo vivi.»

Altra bugia. Forse ancora più grande.
Ogni flashback la tormentava. Si rigirò nell’erba, al limite dello sfinimento.
I più profondi tormenti dell’anima non si possono risolvere in una sola, stupida notte. Se solo fosse riuscita a prendere sonno.
Si dice che la notte porti consiglio. A volte basterebbe un pizzico di lucidità in più.

***

Nei mesi successivi passarono molte altre nottate e con esse crescevano in Chichi insoliti fastidi.
Quella sera aveva deciso di non riposare da sola.
Gohan continuava a rigirarsi nel lettone matrimoniale, che durante gli anni lo aveva ospitato spesso e volentieri. La sua mamma, invece, non riusciva a chiudere occhio, preda di una nausea continua. I suoi sospetti, col tempo, si erano fatti molto concreti.
Chiuse gli occhi, affaticata, mentre la sua mano accarezzava con dolcezza il ventre tondo che lievitava ogni giorno sempre di più.
Probabilmente non avrebbe trovato le risposte ai grandi dubbi che la assillavano per molte lune successive. Tuttavia esisteva un aspetto di cui era completamente certa.
La creatura dentro di lei, lo scricciolo con cui condivideva il proprio sangue, era la svolta che le serviva. Un’ulteriore ragione per guardare sempre avanti, tagliando finalmente i ponti col passato.

Il dono più bello che il cielo potesse farle, un lucente barlume di speranza nell’oscurità.

  
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