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Autore: ladysyria    19/10/2014    10 recensioni
[Partecipante al contest "Dal passato al presente" indetto da Shinkari sul forum di Efp]
Bocca d'oro è, a detta dell'opinione pubblica, una strega arrabbiata con gli uomini e per questo lancia loro le più crudeli maledizioni.
Ma è davvero questa la verità? O dietro la sua maschera di porcellana si nasconde solo un terribile dono?
Ispirata dal mito di Cassandra e dalla filosofia delle antiche tragedie greche, ho deciso di esprimermi scrivendo questa sorta di "fiaba".
Spero vi sia chiaro il messaggio, giunti alla fine, quindi non mi resta che augurarvi buona lettura! ^^
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nome Autrice: ladysyria
Titolo: Bocca d’oro
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Coppie: Nessuna

Le note dell’autrice sono sotto perché contengono spoiler, quindi vanno lette rigorosamente alla fine, ma ci tengo moltissimo che lo facciate: troverete tutta l’essenza di questa storia. Buona lettura! ^.^
                    
                                                 Bocca d’oro

                                      

                                                                          PRIMA PARTE – IL DONO DI BOCCA D’ORO


C’era una volta un regno…
Così di solito iniziano le fiabe e su questa non vi è alcuna eccezione.
Il regno in questione, però, aveva da poco pianto la morte del re ed il principe, suo figlio, avrebbe dovuto prendere il suo posto. Ma come avrebbe potuto competere con il buon nome che il padre si era guadagnato? Egli infatti, con coraggio e senso di giustizia, era emerso tra la gente e tutti lo avevano adorato ed acclamato.
Allora il principe decise un giorno di indossare abiti borghesi per mescolarsi tra i cittadini, così da poterne ascoltare le storie, dar voce ai bisognosi, o strappare un sorriso ad un bambino.
Insomma, prima di diventare un buon re come il suo amato padre, provava il bisogno di doversi sentire innanzitutto un abitante del suo stesso regno.
Era l’estate di San Martino quel dì che decise di scendere giù per la collina dov’era arroccato il vecchio castello e si incamminò per la strada che lo avrebbe portato dritto verso la piazza di un ridente paesello.
Si esaltò subito al suono della musica che quattro uomini travestiti da menestrelli realizzavano con le sapienti mani e sulle loro note delle fanciulle danzavano allegramente sognando di essere a corte.
E che meraviglia i sorrisi dei bambini che ascoltavano incantati le parole del vecchio cantastorie!
Non avrebbe potuto scegliere  un giorno migliore per visitare il paese; quel giorno infatti, come  da tradizione, ricorreva la festa medievale e per le strade sfilavano gli sbandieratori dei vari rioni.
Sembrava di fare un tuffo in quel lontano passato che il giovane aveva conosciuto solo attraverso i libri, ma che quella cittadina sapeva rendere immortale.
Il principe passeggiava sulla strada di pietra accompagnato ora dal profumo del pane appena sfornato, ora da quello dolciastro del mosto e di tanto in tanto tornava incuriosito ad osservare il fabbro alle prese con il ferro incandescente.
Poco dopo, però, una scena disturbò quell’atmosfera gioiosa: due ragazzini infatti stavano importunando una mendicante che a fatica agitava le braccia verso l’alto con l’intento di scacciarli, la donnina perse l’equilibrio e cadde con lo sguardo rivolto verso terra.
«Ehi, voi! Allontanatevi subito se non volete sentire il gelido ferro sui vostri polsi.»
Non appena si avvicinò per soccorrere la vittima, i due birbanti si allontanarono spaventati dalla voce grossa del giovane.
Poi il principe si chinò verso la figura vestita ed incappucciata di nero per offrirle la mano, ma notò un particolare non appena la mendicante si rimise in piedi: una maschera di porcellana copriva interamente il volto della donna. Solo le labbra spezzavano quel candore con l’essenza in oro zecchino.
«State bene, buona donna?»
«Ah, quelle canaglie! Tutti i giorni la stessa storia: vogliono prendersi la ricchezza sul mio volto, ma guai a loro se scoprissero il mio aspetto!»
«Perché, cos’ha il vostro aspetto?»
Gli occhietti dietro la maschera scrutarono il principe in un modo tale che egli si pentì subito di aver posto quella domanda.
«Non oserei chiederlo se fossi in voi, nessuno è mai stato degno di sopportare una tale visione. Tuttavia, oggi mi avete soccorsa, perciò voglio ricambiare il favore. Del resto so bene chi siete e cosa desidera il vostro cuore.»
Le labbra d’oro discorrevano pur restando perfettamente serrate, ma a chi apparteneva quella voce? C’era forse una strega dietro?
«Il compito di un re è arduo, ma se cercate l’approvazione del vostro popolo, amate tutti questi cittadini come figli vostri. Siate un padre amorevole e giusto; dimostrate che avreste il coraggio di sacrificare la vita per il bene dei vostri sudditi e non esisterà al mondo un re migliore di voi.»
«Chi siete?» domandò il futuro sovrano, incuriosito dalle parole di quella che sarebbe dovuta essere solo una mendicante.
«Tutti mi chiamano Bocca d’oro, perché il mio nome fa paura agli uomini.»
Lì per lì il principe pensò che quella mendicante stesse raccontando un mucchio di sciocchezze, così decise di allontanarsi. In fondo se l’aveva salvata da quei ragazzini non l’aveva fatto per un tornaconto personale. Così, inquietato forse dalle ultime parole di Bocca d’oro, le voltò le spalle e riprese il cammino, ma un attimo dopo il fornaio, che aveva assistito alla scena, fece in modo di attirare l’attenzione del giovane.
«Avete fatto bene ad allontanarvi subito, quella è una strega! Se ne va in giro a spaventare la gente dicendo che è in grado di predire catastrofi!»
«Ma se fa davvero questo, non ha un grande dono? È un bene, le catastrofi si potrebbero evitare.»
«No, non capite!» continuò il fornaio con voce soffocata, per paura che la strega potesse sentirlo. «Sono maledizioni! E ogni volta che si avvicina a qualcuno, tutto quello che lei dice si avvera. È una strega potente e terrificante.» Il fornaio se ne tornò al suo lavoro a testa bassa, mentre il giovane principe passò l’intera giornata ripensando a quel singolare incontro, fino a che non se lo tolse dalla testa.

Mancavano pochi giorni all’incoronazione ed egli sentiva già il peso del titolo che suo padre gli stava tramandando. Preso da quell’ansia, si dimenticò di Bocca d’oro e pensava soltanto di non sentirsi all’altezza di portare la corona. Sarebbe riuscito a farsi amare dal suo popolo o sarebbe stato veramente indegno di essere figlio di suo padre?
Nel trambusto dei preparativi, una mattina qualcuno bussò alla porta per chiedere udienza. Il futuro re non si rifiutò di accogliere l’ospite, anzi, fu felice di poter dare ascolto a qualcuno. Ma quando si rese conto che chi era venuta a cercarlo era proprio quella mendicante, lì per lì rimase perplesso, soprattutto perché gli tornarono in mente le parole del fornaio.
«In cosa posso esservi d’aiuto?» chiese con garbo.
«Il vostro regno corre un grave pericolo, una terribile catastrofe sta per abbattersi su questo popolo! Fra tre notti esatte arriverà una tempesta violenta che farà straripare il fiume.»
Il principe rimase sconcertato da quella previsione, sempre ammesso che fosse tale. Fu assalito dai dubbi: possibile che fosse davvero capace di una cosa simile? E se avesse avuto ragione il fornaio nel dire che in realtà le sue erano solo delle maledizioni che faceva passare per altro?
Ma allora che interesse avrebbe avuto nel venirglielo a riferire?
«E cosa posso fare io di fronte ad una simile calamità? O forse voi avete i poteri per impedirla se solo vi offrissi qualcosa in cambio…» la provocò.
«La gente vi ha detto che sono una strega, immagino. Quella è l’idea che tutti si sono fatti di me e che si sono tramandati di persona in persona. Sta a voi decidere se dar ragione all’opinione pubblica o provare a fidarvi di me. Vi devo un favore e vi sto offrendo l’opportunità di mostrare chi siete: cosa avete da perdere? Mandate qualcuno ad avvertire che bisogna evacuare la zona.»
Quella conversazione finì lì, perché Bocca d’oro se ne andò dopo aver insinuato quel dubbio nel principe che rimase profondamente turbato pensando a cosa sarebbe potuto accadere davvero.
Lasciò però correre i primi due giorni, convincendosi che quelle erano solo delle assurdità, ma al terzo giorno rifletté che sarebbe stato grave tralasciare quell’episodio se solo Bocca d’oro avesse avuto ragione e quindi bisognava prendere una decisione. Purtroppo si rese conto che di lì alla notte il tempo era veramente breve per potersi preparare ad una simile catastrofe qualora si fosse avverata e che era già fin troppo tardi. Così decise che la cosa migliore da fare, fosse anche in via preventiva, era seguire il consiglio di Bocca d’oro e nel primo pomeriggio inviò un ufficiale che si preoccupò di diffondere la notizia affinché i cittadini si allontanassero dal fiume, nella speranza che l’inondazione non recasse troppi danni.
Tuttavia a quell’annuncio qualcuno alzò la voce contro il messaggero.
«Osservate bene il cielo: sembra ancora estate. Vi pare che possa arrivare una tempesta catastrofica da un momento all’altro? E anche se fosse tempo di piena, il nostro fiume è stato reso innocuo dagli argini che il precedente re ha fatto costruire. Tornatevene pure a casa dal vostro principe, ditegli che il vecchio re ha già pensato a tutto e lui non deve preoccuparsi di nulla. Non riuscirà ad eguagliarlo con questi bassi trabocchetti.»
«Vi sbagliate!» esordì qualcuno alle spalle della gente che celava un certo allarmismo nei confronti di quella notizia. Ma quando tutti si voltarono e videro la maschera di Bocca d’oro, qualcuno mostrò turbamento, altri scetticismo. «Il vostro futuro re è un uomo di buon cuore. Sono stata io stessa ad avvisarlo di ciò che accadrà stanotte.»
L’uomo che aveva preso la parola prima si mostrò ancora più indispettito e scoppiò in una risata quando realizzò che ciò non faceva altro che confermare o peggiorare la sua tesi.
«Avete sentito? Il nostro futuro re si è fidato di questa vecchia strega. Qui lo sanno tutti che siete un diavolo che augura il male alla gente e il principe è vostro complice. Siamo nelle mani di nessuno!» urlò infine e fra gli abitanti scoppiò un malcontento sottoforma di grida e proteste.
Bocca d’oro era certamente un ospite indesiderato e si allontanò da lì in preda alla preoccupazione di poter subire qualche affronto da parte di quella gente ai suoi occhi ignorante e, subito dopo, il portavoce del popolo fece chiamare un prete per scongiurare il malocchio lanciato dalla strega, facendogli benedire i cittadini e le acque placide del fiume.
Il resto del pomeriggio trascorse tranquillo fino all’alba di Venere nel cielo sfumato di un sereno rosa.
Quando fu giunta l’ora di abbandonarsi a Morfeo, una fresca brezza salutò ogni casa; le madri chiusero le finestre e rimboccarono le coperte ai propri figli, baciando la fronte di nascosto a chi dormiva già. Nella notte poi quella semplice brezza si trasformò in violente folate di vento che picchiavano duramente sui vetri e a qualcuno venne il dubbio che forse avrebbero dovuto dar retta alle parole del principe e della strega, ma il pensiero che Dio li aveva benedetti attraverso le mani di un suo servitore rassicurò gli animi e, senza badare più al vento, tutti presero sonno.
Non passarono molte ore però che lampi e tuoni anticiparono quella catastrofe che non era stata affatto scongiurata. Il principe si svegliò in preda al rumore potente della natura con il pensiero rivolto ai cittadini che aveva saputo ribelli al suo volere, mentre su Bocca d’oro non c’erano più dubbi che dicesse la verità guidata dal suo spaventoso dono.
Era ormai troppo tardi per poter fare qualcosa, avrebbe dovuto insistere quasi senza pietà sui cittadini che adesso stavano rischiando la vita, inondati dal fiume in piena. Il cuore salì fino alla gola per la preoccupazione e le mani strinsero fitti i capelli dalla paura.
Che cosa sarebbe accaduto? Che cosa avrebbe pensato la gente? E cosa avrebbe detto suo padre di lui?
Aveva fallito prima ancora di iniziare la sua carriera. Sconvolto da quella vicenda, rimase a pregare tutta la notte e a sperare che fosse solo un incubo.
Invece avrebbe dovuto fronteggiare la realtà.
Non dormì tutta la notte, passeggiò avanti e indietro per il castello, preparato per uscire e rimediare ai suoi sensi di colpa, se non fosse stato che qualcuno era sempre pronto ad intervenire per rasserenarlo. Ma il suo animo era implacabile e lo dimostravano i lividi nelle mani addentate più volte.
Fu una notte molto lunga, ma come ogni cosa, vide la sua fine quando, alle prime luci dell’alba, la furia del cielo si placò. Allo scemare della pioggia, il principe spalancò le porte e si precipitò fuori per vedere coi suoi occhi quanto si fosse aggravata la situazione nel cuore della notte e purtroppo quello che vide non fu affatto piacevole. Il livello dell’acqua era talmente alto che arrivava fin sopra le ginocchia, molte case completamente allagate e le più povere furono in parte distrutte.
Molti piansero: il fiume aveva superato gli argini costruiti che non erano riusciti a contenerlo.
Ma ad attirare in particolare l’attenzione del principe fu una donna che cercava disperatamente il suo bambino.
«Ah, maledizione a quella strega e a quel principe! Non rivedrò mai più il mio piccolo!»
Furono una pugnalata al cuore quelle crude parole, soprattutto perché nulla era vero. Bocca d’oro era venuta da lui con tutte le buone intenzioni per offrirgli il suo dono ed egli aveva fatto la sua parte per salvaguardare quel paese; la sua colpa fu quella di non essersi convinto subito abbastanza e di non essere stato convincente a sua volta, giovane ed inesperto com’era. Avrebbe dovuto piangere e sopportare il peso di quella calamità insieme ai suoi coabitanti, perché faceva parte di loro. E gli fosse costata la vita, avrebbe trovato quel bambino o lo avrebbe pianto per sempre come se fosse stato figlio suo.
Si guardò attorno a lungo, passò delle ore in mezzo al fango inzuppato dalla testa ai piedi, in una mise senz’altro poco nobile, ma in quel momento non era nulla di più che un semplice uomo e figlio della terra.
Più tardi alzò gli occhi al cielo e su un ramo di un albero semi-spezzato proprio sopra il fiume ancora veemente, vide un bambino tenersi saldamente aggrappato. Tremava, chissà se dal freddo o dalla paura e non aveva affatto una buona cera. Il piccolo si mise ad urlare aiuto con tutte le forze per attirare l’attenzione e il volto dei genitori fu attraversato per un istante da un barlume di gioia nel saperlo ancora vivo, ma in un secondo momento la paura di perderlo davanti ai propri occhi prese il sopravvento.
Prima che fosse tutto perduto, il principe tentò di recuperare il bambino: doveva salvarlo e quella sarebbe stata l’occasione di dimostrare chi era. Perciò si arrampicò all’albero e con cautela raggiunse il bambino impaurito che aveva persino il timore di mollare la presa. Ma quando si convinse a lasciarsi andare, sul toccarsi delle loro mani, il ramo si spezzò e sia il principe che il bambino caddero in acqua.
Furono attimi di panico in cui il principe si diede per spacciato, e quel lato oscuro insito nell’animo di ogni essere umano, anche se solo per un attimo, prevalse, facendolo pentire del gesto altruista che aveva compiuto. Tuttavia, spinto da un istinto di autoconservazione, si cercò un qualsiasi appiglio per sopravvivere e fortunatamente beccò al volo un ramo basso che afferrò in una maniera qualsiasi, sopportando a stento alcuni sottorami che si infilzarono come spine nella mano.
Il dolore era lancinante, non avrebbe resistito molto contro corrente e con il peso del bambino, ma per fortuna qualcuno li trasse in salvo verso la riva.
La madre del bambino corse a recuperarlo e, tra le lacrime, lo strinse forte al suo cuore. Poi si rivolse al giovane, ignara della sua identità.
«Ah, grazie infinite! Voi siete nobile nell’animo!»
Sembrava che fosse tutto finito, ma c’era tanto lavoro da fare.
«Ascoltatemi tutti.» urlò per richiamare l’attenzione su di sé fra la folla ancora stravolta. «Stanotte è accaduto un fatto molto spiacevole, ma qualcuno era venuto da me ad anticiparlo. Ho creduto a Bocca d’oro quando era già troppo tardi, perciò mi prenderò carico di questa responsabilità: farò ricostruire gli argini e le case distrutte, e i feriti verranno curati a mie spese.»
«Ma allora voi siete il principe!» Si levarono delle voci.
«In carne ed ossa.»
«Non vogliamo un sovrano che fa accordi con una strega. Andatevene!»
Il solito portavoce si tirò dietro gran parte della popolazione alle sue spalle e si udirono urla nei confronti del giovane che non sapeva più cosa dire per convincerli a fidarsi di lui, finché non intervennero i genitori del figlio appena salvato.
«Aspettate tutti un momento! Non siate così crudeli con lui, dice la verità. L’abbiamo visto tutti con i nostri occhi rischiare la vita per il nostro bambino: è così che vogliamo ringraziarlo? Diamogli un’opportunità per mantenere le sue promesse.»
I cittadini si guardarono tra loro come a suggerirsi il da farsi e dopo qualche minuto arrivò il responso.
«E sia! Gli daremo una possibilità, ma se non riuscirà ad eguagliare il vecchio re, saremo noi a spodestarlo, e con la forza!»

Qualche giorno dopo il principe fu incoronato e divenne re. Da quel momento fece avviare i lavori necessari per riedificare gli argini e le case degli sfollati che aveva provvisoriamente ospitato in alcune strutture. Parve che gli animi si calmarono un poco; persino quel burbero che gli diede contro sembrò dargli una silenziosa fiducia.
Ma era rimasta un’ultima cosa da fare.
Era il primo giorno di dicembre e l’aria si era notevolmente raffreddata, ma il re se ne andò a spasso nella speranza di ritrovare Bocca d’oro.
La trovò intenta a chiedere l’elemosina esattamente nello stesso punto in cui l’aveva conosciuta dopo averla messa in salvo dall’aggressione.
«Potrò mai scusarmi per non aver creduto alle vostre parole, buona donna?»
«L’avete già fatto venendomi a cercare.»
Il re meditò un attimo prima di dar voce a quelle parole che volevano sfuggirgli dalle labbra, ma poi si decise.
«Mi domandavo se non fosse troppo chiedervi di venire a vivere a corte con me. Trovo che la gente sbagli a darvi della strega. Il vostro è un dono; pauroso, certo, ma pur sempre un dono. Sarei onorato di offrirvi un tetto e di usufruire delle vostre buone parole.»
«Sarà mio l’onore di diventare il braccio destro di un uomo dal cuore puro. Ebbene, accetterò, ma ad una condizione: non provate a toccare questa maschera, né a chiedermi di mostrarvi il mio volto, o la vostra anima sarà vittima di una tempesta che non conoscerà mai più quiete.»


                                                                                 SECONDA PARTE – LA MENZOGNA

Erano già passati tre anni da quando il re aveva incontrato Bocca d’oro e ormai era diventata il suo braccio destro. Laddove egli si poneva questioni, la donnina mascherata era sempre pronta ad intervenire per consigliargli bene. Grazie a lei, era diventato un re buono e giusto, acclamato dal popolo per le virtù che Bocca d’oro gli aveva insegnato a padroneggiare e, dal canto suo, il sovrano aveva mantenuto il patto che mai avrebbe cercato di toglierle la maschera. Dunque il suo aspetto doveva rimanere rigorosamente un mistero, ma la curiosità chiedeva a gran voce di essere soddisfatta.
Un giorno però il re venne invitato ad una battuta di caccia, ma quando Bocca d’oro lo supplicò di non andare, lui gli chiese perché.
«Vi metto in guardia! Non andate a caccia, perché la Menzogna è a caccia di voi.»
Il re quella volta non intese il significato di quelle parole e pensò che Bocca d’oro stesse solo farneticando.
«Se non è la morte a trovarmi, non temo nulla. Orsù, Bocca d’oro, non preoccupatevi: stasera tutta la corte degusterà un buon cinghiale.»
E, dette queste parole, il re montò sul suo cavallo per addentrarsi nel bosco dove altri nobili come lui lo attendevano.
Dopo essersi tutti radunati, finalmente gli uomini iniziarono a cacciare muovendosi furtivamente tra gli alberi, ma ogni tanto qualche ramoscello scricchiolava sotto i loro piedi e alcune lepri sbucavano dal nulla per correre velocemente ad un riparo.
Ad un certo punto il re scorse in lontananza una figura avvolta in un manto nero che andava in direzione di un ruscelletto ed, incuriosito, decise di seguirla da solo.
«Chissà che non si tratti della mia prossima preda, farò morire tutti di invidia!»
Muovendosi con lunghe falcate, evitò accuratamente di calpestare le foglie secche e ad ogni passo si nascondeva dietro i tronchi degli alberi secolari di quella rigogliosa foresta. Sperava di cogliere la preda mentre si abbeverava nello scorrere placido delle acque, ma quando finalmente raggiunse l’obiettivo, il re capì di essersi clamorosamente sbagliato.
La figura che aveva seguito altri non era che una graziosa fanciulla che era andata a dissetarsi alla fonte.
Notò i lineamenti delicati che caratterizzavano il suo bel viso. I capelli corvini ricadevano sulle spalle come fili di seta che incorniciavano la pelle lunare e risaltavano le labbra vermiglie.
Egli si avvicinò lentamente a lei che, avvertita la presenza del giovane re, si ritrasse timidamente indietro.
«Non abbiate paura di me, bella fanciulla, sono il vostro sovrano.»
«Per servirvi» rispose lei, con l’accenno di un inchino.
«Dite al vostro re come vi chiamate.»
«Marianna.»
«Marianna, che nome celestiale! Ma cosa fate tutta da sola in un posto pericoloso come questo?»
La ragazza mise le mani davanti agli occhi e si lasciò cadere in ginocchio, curva verso terra.
«Ah, se solo sapeste! Sono stata prigioniera di un gruppo di banditi per giorni interi.»
«Via, non sciupate i vostri begli occhi con queste lacrime.» La esortò mentre le offriva la mano per aiutarla a rialzarsi.
Le iridi della fanciulla brillavano come due smeraldi incastonati fra lunghe ciglia nere e il re rimase talmente ammaliato dalla sua bellezza che gli parve quasi di perdere la ragione.
«Oh, mio sovrano, la vostra fama vi precede. Siete un re generoso sulla bocca di tutti! Ve lo chiedo con tutto il cuore: aiutatemi ad uscire da qui; datemi un pezzo di pane e un riparo per stanotte, e domani, quando riprenderò il mio cammino, tutti sapranno quanto è fortunato questo popolo ad avervi affidato la corona.»
Com’era angelica, la sua voce!
Lo era così tanto che avrebbe fatto sprofondare nell’oblio chiunque, anche il più saggio degli uomini, forse.
Ogni parola pronunciata con melodia serafica colava come oro da quelle labbra che avevano l’innocenza di una bambina.
«Sarete mia ospite per tutto il tempo che desiderate» disse con lo sguardo rivolto a lei, ma con gli occhi che parevano quasi perduti nel vuoto.

Ebbene, quella volta il re si dimenticò della sua battuta di caccia e della cena che avrebbe dovuto offrire con soddisfazione alla sua corte, ma non tornò a mani vuote, anzi: qualche tempo dopo vennero celebrate le nozze e Marianna divenne regina.
Tutti erano incantati dalla sua bellezza che irradiava luce come una stella. Ogni uomo se ne innamorava, ogni donna la invidiava e in breve venne definita la regina più bella di tutti i tempi.
Tuttavia Bocca d’oro non aveva mai ben visto il suo avvento nel regno, ma ogni volta che si avvicinava al re per aprirgli gli occhi sulla vera essenza della sua sposa, questi la scansava con una scusa qualsiasi rifiutandosi di crederle, talmente ne era innamorato.
Quella donna gli aveva fatto perdere la testa a tal punto da fargli dimenticare tutti i pericoli che Bocca d’oro gli aveva fatto scampare da quando era entrata a far parte della corte.
Eppure era difficile fargli apprendere che era poco consono il modo in cui la regina discuteva con il re del regno dell’Est.
L’astio tra i due regni infatti era storico, ma Marianna osava prendersi il merito di aver fatto riconciliare i re che da quel momento in poi si comportavano come amici di vecchia data.
Quanto meno in apparenza.
Così da un giorno all’altro ogni rivalità era stata superata grazie alle sue qualità e all’influenza che la regina aveva sugli uomini.
Marianna, però, sapeva anche che Bocca d’oro rappresentava un pericolo per i suoi piani perché, nonostante tutta la buona volontà di confondere il marito con le sue menzogne al fine di rimanere attaccata alla corona, il re era affezionato a quella vecchia saggia, perciò il problema andava sradicato alla base e la regina inventò uno stratagemma per cacciarla una volta per sempre dal suo regno.

Il Natale era alle porte e la tormenta picchiava duramente contro i vetri della finestra. Era una serata tutt’altro che serena, ma al calduccio, e di fronte ad un crepitante caminetto, la quiete cancellava il pensiero di quella tremenda bufera di neve.
Il re se ne stava comodamente seduto con un buon libro tra le mani e Bocca d’oro gli sedeva accanto pensierosa per osservare il fuoco, probabilmente dedita alla lettura delle fiamme.
Marianna entrò spalancando le porte della sala con irruenza e la preoccupazione le si leggeva nonostante la bellezza eterea che l’accompagnava dalla nascita.
«Santo cielo, sono giorni che non vedo la mia adorata gatta! Temo le sia accaduto qualcosa di male. Ma forse Bocca d’oro, che sa sempre tutto, può aiutarmi!»
Bocca d’oro rimase in silenzio a fissare il fuoco imperterrita, ignorando totalmente la richiesta della sovrana la quale si indispettì non poco. Così il re si mise in piedi di fronte a Bocca d’oro e si intromise nel tentativo di alleviare il dispiacere della sua amata.
«Via, rispondete se sapete qualcosa.»
Bocca d’oro si alzò lentamente e si mise a scrutare il re da cima a fondo dal retro della maschera inespressiva.
«Questa è la fine: avete sposato un demonio che presto vi darà un figlio della sua stessa natura e la sventura colpirà voi e il vostro regno. Non avrà pietà per nessun essere vivente, né per la vostra figura di sovrano e padre. Ma voi, sire, potete fare qualcosa per il vostro popolo: salvatelo dall’inferno con la prova di coraggio più grande che possiate intraprendere: quel figlio non deve vivere. Stroncate il male prima che possa nuocere a tutti i cittadini che hanno creduto in voi. Fidatevi di Bocca d’oro che vi ha sempre detto il giusto.»
Il re si ritrasse, scosso dalle crude parole appena ascoltate. Lo colpirono come una lama che trapassa il fegato, tanto che la mano strinse quel punto sul ventre.
Mai la voce di Bocca d’oro gli era sembrata così gracchiante e fastidiosa e strano gli parve come fosse riuscito ad ascoltarla per tutto quel tempo.
Continuava a riecheggiargli nelle orecchie sempre più stridula, metallica, cattiva.
Perché mai avrebbe dovuto crederle? Come aveva potuto chiedergli di sacrificare il sangue del suo sangue?
Non poteva essere vero quanto diceva Bocca d’oro. Non poteva essere così crudele la realtà che stava per bussare in punta di piedi alle porte di quel regno felice.
No, quelle erano solo menzogne. E anche se Bocca d’oro aveva dimostrato di aver ragione in passato, certamente quella volta si stava sbagliando, per cattiveria, per invidia nei confronti della bella Marianna.
«Per quanto riguarda la vostra gatta, è stata seviziata e maltrattata ferocemente da mani che non sono certo le mie. La sua carcassa è stata riposta nella mia umile stanza e sapete bene che io sono innocente, a dispetto di quanto avreste voluto far credere con questo volgare tranello. La vostra faccia è falsa quanto le vostre buone intenzioni; le vostre parole ipocrite soggiogano l’uomo e lo rendono ubriaco. Non avete rispetto per nessuna anima e nemmeno per le bestie.»
Marianna si inginocchiò ai piedi del marito e, scoppiata in lacrime, si nascose il volto con le mani.
«Oh, povera me! Quante parole spietate nei miei confronti. Mi state forse accusando di essere un mostro, un’assassina? Ma cosa vi ho fatto di male per meritarmi questo? Oh, mio re! Mio amato marito! Voi credete alla vostra sposa devota che vi adora con tutto il suo cuore, non è vero? Colei che alla sera vi culla sul suo petto mentre vi sussurra all’orecchio parole che vi riempiono il cuore. Sono io! Io che vi ho fatto riconciliare con il re del regno dell’Est prima che queste terre si trasformassero in una valle di sangue, perché amo voi e come voi amo il mio popolo. Questa donna cos’ha fatto, invece? Non vi ha mai dato alcuna soluzione nemmeno con il suo potere. Fidatevi di me che sono vostra moglie, e non di una strega che non ha mai avuto il coraggio di mostrare il proprio volto, né rivelare il suo nome. È lei il mostro! Altrimenti che ragione avrebbe di nascondersi dietro quella maschera? Cacciatela via prima che rovini la quiete di questa casa!»
La voce cherubica di Marianna rassicurò il re che rinsavì immediatamente dopo il torto subìto da parte di Bocca d’oro.
Ma certo che la sua sposa era innocente: non avrebbe potuto essere altrimenti. Del resto si era ammogliato con un angelo.
«E sia!» irruppe con determinazione «Non mi resta che credere alle parole della mia regina, Bocca d’oro. Andatevene via, non c’è posto in questa casa per gli invidiosi e i bugiardi.»
«Sire, vi ho servito anch’io con tutte le buone intenzioni e lo farò fino all’ultimo respiro per ringraziarvi della vostra ospitalità. Guardatevi allo specchio e riconoscete chi siete. Vi prego, non merito questo castigo!»
Con lentezza e quasi di nascosto, il sovrano alzò lo sguardo poco sopra la testa incappucciata di Bocca d’oro, scoprendo la sua immagine riflessa.
Quel tale che stava osservando era un re; ma quanta fatica aveva fatto quell’uomo per diventarlo? Quante volte Bocca d’oro l’aveva aiutato a sopportare il peso della corona?
Una parte del suo cuore lo spingeva a credere alla crudeltà di quella profezia, poiché mai lei lo aveva ingannato.
Eppure era difficile sollevare quel velo per scoprire la vera natura della realtà.
«Se cercate il perdono, incoraggiatemi a fidarmi di voi. Toglietevi quella maschera e mostratemi il vostro aspetto che mi avete celato troppo a lungo. Ditemi chi siete dandomi la possibilità di guardarvi in faccia.»
Sarà stata la voce tremante del giovane, ma Bocca d’oro manifestò una certa esitazione.
«Ve lo dissi tempo fa: non sapreste apprezzarlo e me lo avete dimostrato poc’anzi.»
Non poté rispondere con una frase peggiore, la povera Bocca d’oro, perché il re, furibondo, cacciò un urlo e fece un balzo in avanti per strapparle via brutalmente la maschera.
Il volto di Bocca d’oro era un’offesa alla perfezione dell’essere umano, una faccia su cui era stampato il dolore sottoforma di ustioni.
Deturpato, sfregiato, osceno: un mostro al quale erano state cancellate le labbra e le ciglia. Denti gialli, occhi iniettati di sangue e un naso privo di gran parte della sua cartilagine.
Il re rimase agghiacciato, incapace di batter ciglio e col fiato spezzato in gola davanti a quell’immagine demonica.
Eppure quel mostro di Bocca d’oro ebbe la facoltà di versare qualche lacrima non appena venne denudata in quella brusca maniera.
«Vedete cosa mi hanno fatto gli uomini? Come hanno deturpato la mia bellezza a causa del mio dono?»
Il re strinse le palpebre per negarsi quell’orripilante visione e dopo alcuni minuti di silenzio, ritrovò il coraggio per guardarla un’ultima volta.
Ora sapeva che Marianna aveva ragione. Che tutti avevano ragione, che Bocca d’oro era una strega.
O peggio: una strega nel corpo di un demone.
«Andatevene da questa casa.»
«Vi prego, sire…»
«Sparite immediatamente dalla mia vista!» urlò, e lo fece così forte che si sarebbe spaventato persino un leone.
Senza nemmeno preoccuparsi di recuperare la maschera, Bocca d’oro si incamminò più in fretta che poteva verso l’uscita, in mezzo alla bufera.
Coperta solo dalla sua veste nera, avvertì il freddo penetrarle come un mucchio di lame attraverso la pelle lesa.
Il vento era troppo forte perché la sua figura gracile potesse resistergli e cadde più volte sprofondando nella neve, finché, all’ennesima caduta, non fu più capace di muovere nemmeno un dito per il freddo e fu costretta ad abbandonarsi lì su quella bianca coperta che rivestiva la terra.
La neve lenì per sempre il volto sfigurato dalle fiamme e dall’ignoranza degli uomini.
Il re osservò dalla finestra la fine di Bocca d’oro con il dispiacere nel cuore di aver subìto un torto tanto grave, ma non avrebbe mai potuto pensare di uccidere il proprio figlio.
«Che animo nobile che ha il mio re: al vostro posto chiunque avrebbe ucciso quel demone seduta stante. Eppure, l’avete lasciata libera di andare e, come vedete, la giustizia divina ha fatto il suo corso. Orsù, non rammaricatevi, marito mio: tutto è bene quel che finisce bene.»
L’uomo annuì e, prima di ritirarsi, diede un ultimo sguardo all’oggetto che aveva ancora tra le mani per poi carezzare con le dita le labbra dorate.
Bocca d’oro era solo una maschera; il vero nome del mostro un mistero che non si sarebbe mai più risolto.


                                                                                                  EPILOGO – VERITÀ

Erano passati sedici anni da quell’episodio e il re non faceva altro che sognare il viso sfregiato di Bocca d’oro. Era responsabile della sua morte, ma il male più grande era quello di non essersi comportato diversamente da quegli uomini che l’avevano sfigurata.
Non solo si portava dietro quel rimorso somatizzato nelle profondità delle viscere, ma il tempo diede tristemente ragione all’ultima profezia enunciata da Bocca d’oro.
Il frutto di quel matrimonio basato sull’amore per la falsità infatti fu il dolore. Il figlio che nacque era un essere spietato: derideva chiunque, non aveva rispetto per il lavoro altrui, uccideva sadicamente qualsiasi genere di animale per il puro piacere di soddisfare la propria perversione e non aveva mai dimostrato né amore, né rispetto verso la figura paterna.
Un essere incapace di provare compassione, un’indole dispotica che trovava il suo breve appagamento nell’assoggettare il prossimo e nessuno era capace di domarlo, nemmeno la madre, nonostante avesse rivelato nel tempo di avere intrinseca quella natura che aveva tramandato al figlio.
Furono sedici anni di sofferenze, di amarezze, di delusioni, ma dopo Bocca d’oro il re non trovò mai più un amico sincero e disinteressato alla sua corona.
Inoltre tutti si allontanarono quando il principino manifestò la sua cattiveria nei confronti di chiunque si trovasse davanti, rovinando persino il buon nome del padre che invece era profondamente addolorato per quel figlio degenere.
Per non parlare del fatto che con quell’atteggiamento di superiorità, il futuro erede al trono offese i re dei regni circostanti, risvegliando l’antico astio che sembrava ormai sopito. Il re del regno dell’Est, infatti, realizzò che sarebbe stato meglio sottomettere gli avversari prima che questi l’avessero fatto con lui in un momento di debolezza; perciò, mosso da un desiderio atavico, decise di dichiarare guerra e di conquistare quel territorio a cui ambiva da sempre.
Distrutto dalla disperazione e da se stesso per aver capito troppo tardi da che lato stesse la ragione, un giorno il re pensò di compiere un gesto estremo, nel tentativo di rimediare al male che aveva recato al suo regno. Così nascose un pugnale all’altezza della vita e uscì fuori in giardino dove trovò il figlio accovacciato mente seviziava una povera lucertola.
La visione di un futuro sovrano che si divertiva a massacrare con un legno appuntito una creatura indifesa era a dir poco raccapricciante, troppo da sopportare per un re dal cuore buono, ma soprattutto per un padre.
Il re prese il pugnale e sollevò il braccio tremante al di sopra del proprio figlio, la sua stessa carne.
Esitò come non mai prima di affondare la lama su quel corpo che aveva visto crescere forte e sano, ma Bocca d’oro gli aveva insegnato che anche tutto il popolo era sua figlio e doveva liberarlo sacrificando il gemello malvagio, prima che questi lo avesse calpestato sotto ai piedi.
Purtroppo non fu abbastanza deciso e il principe, accortosi della sua presenza, si sollevò da terra con uno scatto e lasciò sprofondare il bastoncino appuntito nel ventre del padre perforandogli l’addome.
Il pugnale sfuggì dalla mano del re e questi cadde sulle ginocchia per la sofferenza atroce. Il principe lo guardò dapprima impassibile, poi le sue labbra si curvarono in un ghigno di malefica soddisfazione: la corona era ormai sua e, realizzato ciò, se ne tornò negli interni del castello per sfiorare il velluto del trono.
Intanto il re spodestato era già solo e soltanto un uomo e salutava la morte che stava venendo a prenderlo.
Si accasciò completamente sulla terra che presto lo avrebbe assorbito come una parte di sé, ma gli occhi si sollevarono verso il cielo nel tentativo di indirizzarvi l’anima una volta esalata.
Dal manto rosso porpora, che ancora lo avvolgeva regalmente, comparve un oggetto di porcellana, ma si era spezzato in due per via della caduta.
Con le ultime forze prese la maschera di Bocca d’oro tra le mani e tentò di ricongiungere le due metà. Fu allora che una lieve brezza si avvicinò a lui come uno spirito e ne inspirò a fondo il profumo coi suoi ultimi respiri, fino a che non si condensò in una figura.
Era Bocca d’oro, così come l’aveva vista priva della sua maschera sedici anni prima, così come l’aveva sognata ogni notte dopo averla cacciata.
Ma tutto ad un tratto sulla testa comparvero lunghi boccoli dorati, le labbra si disegnarono sorridenti sul volto, gli occhi si colorarono come il cielo e le ustioni si cancellarono per lasciar posto alla pelle lievemente ambrata dal sole.
Se fosse un angelo, una dea, una ninfa o chissà quale altra creatura meravigliosa non sapeva dirlo; certo era che quella creatura gli era stata sinceramente amica in un passato ormai lontano ed ora rivelava il suo vero aspetto.
«Bocca d’oro…» sussurrò l’uomo e la fanciulla annuì sorridente.
Era innocentemente nuda, coperta dai soli capelli e bella come non mai. Era quanto di più incantevole avessero mai contemplato i suoi occhi.
«Che uomo stupido sono stato a non credere alle tue parole.»
La ragazza posò le dita sul volto del suo re: sapeva del suo rimorso, del suo pentimento e soprattutto che la regina lo aveva accecato con le sue menzogne. In quanto umano aveva riconosciuto la sua debolezza, ma non gliene fece una colpa e lo perdonò. Da quando Bocca d’oro se n’era andata, il re imparò ad apprezzare col tempo il significato delle sue ultime e dure parole e questo gli consentì di potersi beare della sua bellezza. Aveva preso coscienza che se solo avesse dato retta alla profezia, avrebbe provato una sofferenza decisamente minore rispetto a quella che stava provando nel pensare il suo popolo dato in pasto ad una bestia feroce.
«So cosa volete sapere, mio re.» pronunciò la ragazza con voce soave e si abbassò per sussurrargli sulle labbra il suo nome.
«Verità. Il mio nome è Verità.»
Sul punto di morte il suo cuore batté più forte che mai, capace di provare un amore immenso e vero. Fu come vivere davvero per pochi istanti, finché l’ultimo battito non lo abbandonò costringendolo a spirare prima di poterle dire che l’amava.
Ma Verità poggiò le labbra su quelle ancora calde del re e inghiottì il suo ultimo respiro inglobandolo nel sue essere.
Ed insieme scomparvero per sempre da quel regno che, a causa della Menzogna, mai più conobbe splendore.



NOTE DELL’AUTRICE:
Eccomi qua, pronta a debuttare per la seconda volta su questo profilo ormai vuoto da troppo tempo.
Questa storia è un’idea che ho partorito – non so nemmeno io come – per il mio primo contest dove si chiedeva di far rivivere uno degli antichi miti greci in tempi contemporanei. Ho scelto effettivamente di non specificare il periodo in cui ho pensato questa fiaba perché ciò su cui ho maggiormente voluto concentrarmi è stato trasmettere un messaggio ispirandomi al mito di Cassandra.
La figura di questa tragica eroina, per come la vedo io, – e potete non essere d’accordo – è quella di una profetessa la cui voce è stata a lungo disprezzata, poiché Apollo decise che meritava di esser maledetta in quanto non ricambiava il suo amore.
Le sue predizioni catastrofiche spaventavano chi l’ascoltava, perché forse troppo difficili da accettare. E allora mi son chiesta: “sarà forse che questo mito voglia insegnarci che la verità è sofferenza?” Ebbene, seguendo la linea di fondo che attraversa gran parte delle tragedie greche a noi pervenute, ho steso questo racconto basandomi proprio sul concetto del“pathei mathos”, “il sapere è soffrire” che ormai è anche un mio motto.
Se dovessi analizzare i miei personaggi direi che non ho volutamente descritto né dato un nome al protagonista, perché questi rappresenta l’essere umano – come ho espressamente sottolineato nell’epilogo – che non può sottrarsi alla condizione di sofferenza, anche se questa è l’unica via che conduce alla contemplazione della verità e quindi successivamente all’appagamento. Il dolore e il sacrificio si traducono quindi in una catarsi che permette di raggiungere il benessere.
Le figure di Bocca d’oro e Marianna hanno invece meritato maggiore attenzione, poiché personificano rispettivamente la verità e la menzogna. L’una si presenta con le sembianze di un mostro persino troppo orrendo da guardare, l’altra sembra un angelo caduto dal cielo e che con la sua bellezza inebria l’uomo a tal punto da occultargli la vera natura delle cose laddove diventa difficile accettarle.
Mi sono poi divertita molto a giocare sulla modulazione delle loro voci descrivendone la maniera in cui giungevano all’orecchio del protagonista: se la voce di Marianna è “cherubica”, quella di Bocca d’oro è “gracchiante” e solo alla fine si conquista un “soave”, quando il re realizza, troppo tardi, che arrivato a quel bivio anni addietro, avrebbe dovuto scegliere la strada più ardua da percorrere per il raggiungimento di un bene superiore.
Vi chiedo, infine, di non vederci del “romantico” in questo brano, perché non è mai stata mia intenzione creare delle coppie. Laddove si parla di amore sappiatelo cogliere nel più nobile dei sensi, nella sua massima espressione: l’amore per la verità è amore per la saggezza, è filosofia.
Personalmente trovo che avrei potuto fare di più con la trama, approfondire meglio alcuni particolari che a mio gusto sono rimasti un po’ vuoti e che questo può farla apparire come una storia banale, ma i miei tempi di riflessione e di studio sulle mie stesse “opere”, ahimè, sono parecchio lunghi. Vuoi perché dovevo consegnare entro una certa data e mi sono dovuta affrettare, vuoi perché desideravo che al lettore arrivasse un messaggio specifico, il risultato è stato questo e non sono riuscita a far meglio di così, al momento, ma vi ringrazio comunque per aver letto fin qua e spero di non aver scritto un’eccessiva quantità di baggianate.
Detto ciò, mi piacerebbe conoscere le vostre opinioni: voi cosa scegliereste tra una dolce bugia e un’amara verità? Io la mia l’ho detta, adesso lascio a voi la parola.

Lady Syria


   
 
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