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Autore: Sakura Kurotsuki    19/10/2014    3 recensioni
Harry non ha niente da perdere.
Nella sua ultima notte, uno strano ragazzo si presenterà alla sua porta.
“Chi sei tu?”
“Io sono il Dottore”
Genere: Introspettivo, Sovrannaturale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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I don’t know who you are
but I'm, I'm with you
 
I’m Whit You, Avril Lavigne
 




 
 
 
 


 
 
 
Stava morendo.
No, non moriva. Cambiava. Ogni singola cellula del suo corpo stava cambiando.
Il momento della rigenerazione era sempre sconvolgente. Doloroso, eppure meraviglioso, percepire ogni singola cellula autodistruggersi, per essere sostituita da un’altra contenente un Dna completamente diverso.
Puntualmente sentiva delle urla, ed ogni volta ci metteva un po’ a capire che venivano da lui.
Puntualmente perdeva il senso del tempo, e dopo quelli che avrebbero potuto essere giorni, mesi o anni, sentì il pavimento sbattere violentemente contro la sua schiena e capì di essere caduto.
Perché doveva sempre cadere? Perché non poteva semplicemente sollevarsi, mutare, per poi ricadere con grazia – e in piedi – sul pavimento?
I vestiti troppo larghi furono la prima cosa che avvertì. Il suo nuovo corpo sembrava essere più piccolo del precedente. Molto più piccolo, come notò misurandosi la circonferenza dei polsi.
Per un attimo gli prese il panico: possibile che si fosse rigenerato in un bambino?
Anche il soffitto del Tardis gli parve leggermente più alto. Lo toccò, e quello vibrò tutto, illuminandosi come per dargli il benvenuto. Prima di partire alla velocità della luce.
 

 
 
 
Harry Styles non poteva dormire. Se ne stava disteso sul letto, vestito, a fissare il soffitto della sua camera da letto, nell’ultima notte che avrebbe passato in casa sua.
La sveglia sul comodino gli diceva che erano appena passate le tre, e la valigia che faceva capolino da dietro la porta aperta, sembrava fissarlo come per dirgli che avrebbe fatto bene a dormire, o l’indomani non si sarebbe svegliato in tempo per prendere l’aereo. 
Chissenefrega, pensò Harry rannicchiandosi da un lato, in posizione fetale, i ricci sparsi sul cuscino.
La verità era che aveva perso la guerra. Aveva difeso il territorio con le unghie e con i denti, ma non era bastato e ora avrebbe dovuto lasciare campo libero.
Sua madre gli sorrideva dal comodino, senza sapere che avrebbe sorriso per sempre, immobile, da quella fotografia. Harry serrò ermeticamente gli occhi per sfuggire a quell’immagine tanto bella, eppure così opprimente.
Li riaprì poco dopo, forse svegliandosi dal sonno in cui era finalmente riuscito a scivolare.
All’inizio non capì che cosa lo avesse svegliato. La casa era silenziosa come lo era un attimo prima che chiudesse gli occhi.
Poi un rumore riempì l’aria, prima piano, poi sempre più forte. Arrivava dalla strada ed entrava dalla finestra aperta. Harry non avrebbe saputo associarlo a niente che conosceva. Era un rumore ritmico, meccanico, la cui intensità andava in crescendo. Cessò così com’era arrivato.
Il ragazzo guardò la radiosveglia: era riuscito ad appisolarsi per una mezzora scarsa. Ora che il sonno aveva cominciato ad annebbiargli la mente, era quasi tentato dal rimettersi sul cuscino e dormire almeno per qualche ora, ma proprio in quel momento suonò il campanello dall’ingresso.
Imprecò contrò suo padre e le chiavi che aveva lasciato a casa, contro le donne che portava a casa e con le quali amava stare fuori la notte, per poi rientrare alle prime ore del mattino credendo di non essere udito.
Il nervosismo accumulato nel breve tragitto dalla sua camera all’entrata si dissolse in una nuvola di fumo nel momento in cui, invece di suo padre, si ritrovò davanti un ragazzo più o meno della sia età, ma visibilmente più basso.
Harry sbatté palpebre un paio di volte, di fronte a quella visione surreale; lo strano tipo se ne stava con assoluta naturalezza sulla porta si casa sua, come se non fossero le tre del mattino, per giunta guardandolo con tanto d’occhi, cosa che lo inquietò non poco.
La buona educazione avrebbe voluto che l’ospite facesse gli onori di casa, invitando calorosamente il visitatore ad entrare.
Buonasera, troppo formale.
Cosa posso fare per te?, articolato e professionale.
Ma prima che Harry avesse avuto anche solo il tempo di aprir bocca, vide il ragazzo piegarsi in due, il viso prima disteso ora contratto in una smorfia di dolore. Harry si protese istintivamente verso di lui nel tentativo di aiutarlo, ma fece un balzo indietro quando vide uno sbuffo di polvere dorata fuoriuscire dalla sua bocca. Subito dopo lo sconosciuto lanciò un urlo che squarciò la notte, prima di crollare a terra come una marionetta spezzata.
 
Harry Styles non poteva dormire.
Uno strano ragazzo si era materializzato sulla porta di casa sua nel cuore della notte, lo stesso ragazzo che ora occupava il suo letto. Da quando gli era crollato davanti non si era mai mosso, tanto che Harry,  più di una volta, era andato a controllare se ancora respirasse.
Era vestito in modo strano, un particolare che prima Harry non aveva notato; portava una camicia bianca con pantaloni scuri, con tanto di bretelle e papillon. Una strana mise per un ragazzo così giovane, a meno che non venisse da una festa in maschera. O da un ospedale psichiatrico.
Harry si teneva a debita distanza, in prossimità della porta, tenuta aperta, anche se non c’era niente di minaccioso nella piccola figura dormiente dello sconosciuto.
Avrebbe potuto chiamare la polizia o un’ambulanza ma, chissà per quale motivo, non lo aveva fatto. Forse perché non aveva scordato il fumo dorato che era uscito dalla sua bocca.
Immerso com’era nelle sue riflessioni, non si accorse subito che gli occhi dello sconosciuto erano aperti sul soffitto.
Quando lo vide, si alzò lentamente dalla sedia che aveva relegato nell’angolo della stanza più lontano dal letto, evitando di fare movimenti bruschi, e lo guardò mentre anche lui si alzava, barcollando un po’ una volta in piedi.  
“Oh cielo, mi ero dimenticato di avere così poco corpo” lo sentì borbottare a se stesso.
“Del fumo dorato è uscito dalla tua bocca” esclamò Harry senza nessuna logica, prima di riuscire a trattenersi.
Il ragazzo alzò lo sguardo su di lui, accorgendosi solo in quel momento di non essere solo.
“Sei tu!” disse, inspiegabilmente contento di vederlo. Poi, alludendo al letto, “Grazie per questo”.
“Perché del fumo dorato è uscito dalla tua bocca?” chiese ancora Harry, ignorando la cortesia dello sconosciuto.
“Oh sì, sono ancora nelle prime ore della rigenerazione”
Rigenerazione?
“Adesso devi farmi un favore enorme” disse il ragazzo all’improvviso, avvicinandosi pericolosamente. Harry indietreggiò, per quanto glielo permettesse il muro dietro di lui.
“Devi dirmi…” disse, con fare cospiratorio, “se ho i capelli rossi”
Era decisamente matto. Ma siccome Harry sapeva che i matti bisogna sempre assecondarli, cercò di rispondergli seriamente.
“No” disse. I suoi capelli erano di un castano molto chiaro, leggermente più lunghi sulla fronte, in una specie di frangetta.
Ma evidentemente era la risposta sbagliata.
Il ragazzo si mise le mani tra i capelli con evidente frustrazione e cominciò ad urlare.
“Perché non sono mai rosso!? Non sono mai stato rosso, in anni e anni – secoli – di rigenerazione!”
Ma che cosa diavolo era la rigenerazione?
“Chi sei tu?” chiese Harry, non riuscendo più a trattenersi.
“Io sono il dottore”
“Il dottore chi?”
“Il dottore” ripeté l’altro, guardandolo come se avesse a che fare un bambino particolarmente tardo. “Certo, non mi conosco ancora bene, ho solo poche ore, ma.. Senti, non è che avresti uno specchio?”
“C-certo” balbettò Harry, indicandogli quello a figura intera di fianco all’armadio.
Lo guardò mentre scrutava la sua immagine riflessa. Solo in quel momento notò che gli strani vestiti che indossava gli andavano anche incredibilmente larghi. Una delle bretelle gli ricadeva giù da una spalla e il papillon gli penzolava dal collo. Il ragazzo che diceva di essere un dottore continuò a rimirarsi allo specchio, ora più da vicino, analizzando la forma e il colore dei suoi occhi, quella del naso, ripassando con le dita gli zigomi alti e pronunciati sul volto magro. Sembrava che non avesse mai visto la propria immagine riflessa in uno specchio, né da nessun’altra parte.
Al termine di quella lunga analisi, Harry lo sentì sbuffare.
“I capelli rossi mi sarebbero stati benissimo, con questi occhi”. Poi, voltandosi verso di lui con una mezza giravolta, “Anche tu hai dei begli occhi”.
Harry arrossì leggermente.
“Devo fare qualcosa per questi vestiti” continuò.
“In quello non credo di poterti aiutare” disse Harry, dal momento che lo superava di almeno una spanna, per non parlare delle spalle larghe, confrontate all’esile struttura ossea del ragazzo misterioso.  
“Già” concordò lui. “Come ti chiami?”
Quel tipo proprio non riusciva a smettere di parlare, con la voce straordinariamente sottile che si ritrovava. Harry aveva sperato, una volta rimesso in piedi, di vederlo sparire così com’era arrivato.
“Harry” rispose, arrendendosi all’idea di star intrattenendo una conversazione con quella che molto probabilmente non era altro che una proiezione di tutti i suoi casini, creata accuratamente dal suo cervello. Oppure si era addormentato davvero, e si trattava semplicemente di un sogno.
“Harry” ripeté l’altro, annuendo. “Harry, Harry, Harry… E’ la tua casa, questa?”
Harry annuì.
“E questa è la tua camera da letto?”
Annuì di nuovo.
“Non è molto personalizzata” commentò il ragazzo, girando su se stesso, e aveva ragione. “Dovrebbero esserci più colori, non sei d’accordo?”
“Se lo dici tu…” borbottò Harry.
“Ma certo” ribadì lo strambo annuendo energicamente.
Ci fu una pausa, alla fine della quale Harry tornò all’attacco.
“Ma tu chi sei?”
“Te l’ho detto, sono il dottore” rispose lo strambo, con il tono esasperato di chi deve ripetere la stessa cosa per la millesima volta.
“Da dove vieni?” insisté, ignorando le risposte prive di senso che il ragazzo gli rifilava.
“Dalle stelle”
Quando è troppo, è troppo.
“Va bene” sbuffò Harry, stufo della situazione. “Senti… Ti serve aiuto? Sei scappato da… Non so… Un centro di recupero? Dal reparto di psichiatria dell’ospedale? Dal carcere? Ti servono soldi?”
“Ma Harry, qui non sono io ad aver bisogno di aiuto” ribatté l’altro, con una calma disarmante, per uno che si è appena sentito dare del pazzo o del delinquente.
“Cosa vuoi dire?” fece Harry, sulla difensiva.
“Cosa ci fai sveglio a quest’ora della notte?”
“Mi hai svegliato tu!”
“Sai che non è vero” disse il ragazzo. Aveva abbandonato un po’ della sua aria zelante.
“Come fai a dirlo?”
“Sei vestito e il letto è ancora fatto”
“Ah”
Un punto per lo strambo.  
“E poi c’è quella” riprese, dopo una breve pausa, indicando la valigia seminascosta dietro la porta. “Vai da qualche parte?”
“Sì” sospirò Harry. “È la mia ultima notte qui”
“Dove vai?”
Dove l’ultima troia di mio padre è riuscita a spedirmi.
“Al college. Molto lontano da qui”
Harry si accorse di essersi abbandonato sul letto, mentre il ragazzo aveva ripreso a girare per la sua stanza.
“È tua madre?” chiese, indicando l’unica cornice presente nella stanza, dove la bellissima donna sorrideva, raggiante. Era l’unica foto di lei che Harry era riuscito a salvare, quando suo padre aveva preso tutto ciò che avrebbe potuto ricordargliela e lo aveva relegato in soffitta.
“Sì”
“Ha un bel sorriso”
“È morta” si costrinse a dire Harry, perché il tempo al presente usato dal ragazzo gli aveva fatto girare la testa.
“Mi dispiace” fece l’altro, e guardandolo dritto negli occhi per una frazione di secondo, Harry vide che gli dispiaceva davvero.
“Non fa niente” tagliò corto.
“Dov’è tuo padre?”
“Non lo so, probabilmente in giro con la sua nuova fidanzata”. L’ultima di una lunga serie. “Non mi importa” aggiunse, cercando di mantenere un tono neutro.
Il nanetto con gli occhi cielo annuì, incredibilmente serio. Harry sospirò, un po’ stanco da tutto quel parlare e dalla strana piega che avevano preso gli eventi.
“Allora, vuoi dirmi come ti chiami?”
“Ho un nome, ma non lo dico a nessuno”
“Lo sai che avrei già potuto chiamare la polizia, vero? Forse l’unico motivo per cui non l’ho ancora fatto è che devo ancora decidere se tu sei o no un prodotto della mia mente. In questo caso sarebbe alquanto imbarazzante doverli chiamare. In effetti potrebbero rinchiudere me in psichiatria”
Il ragazzo lo guardò come se non avesse capito una parola di ciò che aveva appena detto, poi sorrise.
“E non lo farai”
“Come sarebbe, non lo farò? Tu che ne sai?”
“Sai, Harry” disse lo strambo, ricominciando a muoversi per la stanza. “C’è sempre un motivo per cui incontro le persone. Dopotutto, è stato il Tardis a portarmi da te”
Eccolo che ricomincia a delirare.
Harry notò che stava indietreggiando verso la finestra aperta; l’arietta serale estiva faceva ondeggiare le tende.
Si vuole buttare.
Non aveva fatto in tempo a formulare questo pensiero nella sua mente, che il pazzo aveva aperto le braccia e si era lasciato cadere all’indietro come un angelo, in caduta libera.
Harry si precipitò alla finestra, il grido bloccato in gola che non uscì mai.
Ma al piano di sotto non c’era nessun corpo spezzato.
Poi di nuovo quel rumore, ritmico, come un respiro meccanico…
“Qui, Harry”
Harry alzò lo sguardo, seguendo la voce ormai familiare.
E ciò che vide spazzò via ogni suo dubbio. Non era lo strano ragazzo, il problema: era lui, Harry, ad essere pazzo. Perché quello che vedeva semplicemente non poteva essere reale.  
Una cabina blu che galleggiava a mezz’aria. Proprio così, galleggiava.
E il nanetto petulante se ne stava appoggiato con nonchalance alle porte spalancate di quella strana cabina blu, a circa un metro dalla finestra di Harry.
“Tu sei… La proiezione del mio dolore per la perdita di mia madre e della rabbia verso un padre che si è lasciato andare quando avrebbe dovuto essere forte per suo figlio” ansimò Harry. “Ma se adesso chiudo gli occhi, tu sparirai, sparirai, sparirai…”
Una risatina risuonò nella notte.
“Apri gli occhi, Harry” disse la voce sottile del ragazzo, troppo vicina a lui, così vicina che Harry sentì il suo fiato solleticargli le labbra.
Obbedì e si ritrovò a nuotare nelle iridi color del mare del ragazzo. Inginocchiato sul pavimento della sua cabina, si sporgeva verso di lui in modo che i loro nasi quasi si sfioravano. Gli prese una mano e la portò a toccarne le pareti blu, per fargli sentire che era reale.
“Se tu vuoi” sussurrò sulle sue labbra. “Io posso portarti via con me. Devi solo volerlo”
Harry chiuse di nuovo gli occhi. Si sentiva ubriaco dalla presenza di quello strano sconosciuto, dal suo odore, dagli svariati metri che separavano la fottuta cabina blu dal piano di sotto.
Perché no?
Che fosse la realtà o solo un sogno… Cosa importava ormai?
Tutto aveva smesso di avere senso dal momento in cui aveva seppellito sua madre. Da quando suo padre aveva cominciato ad andare con la prima donna che gli capitava a tiro.
Aveva reso asettica la sua camera, così come la sua vita, ormai un inutile susseguirsi di giornate passate ad aspettare che tramontasse il sole.
Al massimo si sarebbe risvegliato nel suo letto, con la sveglia a ricordargli di avere un aereo da prendere. Sarebbe uscito silenziosamente dalla porta d’ingresso, senza salutare suo padre.
Aveva finito inconsapevolmente per appoggiare la fronte contro quella del ragazzo senza nome, ancora inginocchiato davanti a lui.
“Sì, ti prego”
 
Più grande all’interno che all’esterno. Più grande all’interno che all’esterno… Forse, se avesse continuato a ripeterselo, il suo cervello ce l’avrebbe fatta ad accettarlo. Accettare il fatto che quella cabina blu fosse semplicemente enorme al suo interno, quando da fuori appariva come una cabina telefonica qualunque.
E’ una cabina telefonica” gli aveva detto il Dottore. “C’è anche il telefono, guarda”
In effetti, un telefono c’era.
Ma c’erano anche un sacco di pulsanti, comandi, leve, interruttori – “Amo la parola interruttore!” -, il tutto agglomerato su una console, al centro della quale torreggiava un cilindro trasparente alto fino al soffitto, contenente quelle che sembravano lampade a Led.
“Oh, così va meglio”
Harry si voltò. Il Dottore era appena ricomparso dopo essere sparito per qualche minuto.
Camicia, bretelle e papillon erano spariti. Indossava una semplice maglietta nera a maniche corte, pantaloni aderenti dello stesso colore e… “Sono Vans, quelle?” chiese Harry.
“Bellissime, vero?” fece l’altro, facendo una giravolta.
Harry scrollò le spalle.
“E visto che sei qui, ti dirò chi sono”
Harry si immobilizzò come un segugio che fiuta la preda.
“Io sono il Dottore. Chiamami Dottore. Sono un Signore del Tempo e lei è il Tardis” disse, accompagnandosi con un inchino appariscente.
“Questa cosa ha un nome? Ed è una lei?”
“Sì, ed è anche permalosa, quindi non offenderla”
Harry si fece scappare un mezzo sorrisetto.
“Lo sai che una parte di me è ancora convinta che tutto questo sia solo un sogno, vero?” precisò Harry.
“E precisamente, quanto sarebbe grande, questa parte?” chiese il Dottore. “Abbastanza da impedirti di venire con me negli anni ottanta a vedere un concerto dei Guns n' Roses?”
Harry si immobilizzò come un segugio che fiuta la preda, ma evitò di rispondere. Si guardò intorno, alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarlo a rinviare la domanda.
“Se andassi da quella parte, cosa troverei?” chiese, indicando una delle scalinate che partivano dal centro di controllo.
“Non lo so, probabilmente quello che il Tardis ti farebbe trovare al momento”
“Sarebbe a dire?”
“Be’, il Tardis è infinito. Potrebbe creare infiniti corridoi tutti uguali. Lo fa quando si arrabbia”
Harry annuì, perché non sapeva cos’altro fare. A quanto pareva, la macchina era senziente. Il college e suo padre sembravano lontani anni luce.
“Guns n' Roses, hai detto?”
“Biglietti gratis tutte le volte che voglio, più un tour nel backstage con il mio grande amico Slash“ ammiccò il Dottore. “Quello che vuoi, quando vuoi. Solo abbassando questa leva”
Harry gli si avvicinò.
“Cosa mi dici dei dinosauri?”
“Be’, ti dirò” fece lui, “erano dei grandi incompresi. Soprattutto il T-Rex: non diresti mai che ama le coccole, vero? E invece sì! Adora le grattatine. E gli piacciono le favole, gliene ho lette un sacco. Sai chi sono i veri cattivi? Quelli piccoli, quelle lucertole fastidiose. Piccoli diavoli! Pensa che una volta…”
Ma il Dottore non gli raccontò mai cosa successe quella volta, perché proprio allora il Tardis sussultò bruscamente e cominciò a muoversi.
Harry cadde a terra, non aspettandosi uno scossone così violento, e così il Dottore.
Harry lo vide rialzarsi e guardarsi intorno con aria confusa, prima di incrociare il suo sguardo e capire che era stato lui a spingere la leva.
Allora gli sorrise – e solo allora Harry notò che aveva il sorriso più bello che avesse mai visto -, e gli tese la mano per aiutarlo ad alzarsi. Harry guardò quella mano e la strinse; era piccola come tutto il resto e stava perfettamente contenuta nella sua, più grande.
Rimasero così mentre il Tardis rallentava, finché non si fermò del tutto.
Harry guardò il Dottore.
“Guns n' Roses?”
“Guns n' Roses” confermò lui, mentre lo tirava su.
“Dimmi di Slash” disse Harry, una volta usciti.
“E’ un matto! Sarà per questo che andiamo d’accordo… Lo conosco perché una volta sono capitato con il Tardis nella sua camera d’albergo. Lui era un po’ ubriaco e quindi credeva che io non fossi reale, sai. Stava per dare fuoco ad una tenda”
“E tu gliel’hai impedito?”
“Oh no, le abbiamo dato fuoco insieme! Ma la situazione stava degenerando e nella stanza non c’era niente per spegnere le fiamme, allora io ho tirato fuori dal Tardis una pompa ad acqua e abbiamo risolto il problema. Lui mi ha ringraziato e mi ha detto che l’aveva fatto perché si annoiava e voleva “dare del filo da torcere” alla guardia che aveva il compito di sorvegliarlo. Da allora siamo amici. Ogni tanto vado da lui, ci divertiamo a scappare dai bodyguard, e cose del genere. Una volta abbiamo staccato una porta e l’abbiamo usata come slitta per scendere le scale…
 
 









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Non ho molto da dire.
Da poco mi sono avvicinata all'universo di Doctor Who, da questa estate per la precisione, ed essendo già Larry dall'anno scorso, ho messo insieme le due cose ed è venuto fuori questo. Tra l'altro non avevo mai mischiato due Fandom, ma devo dire che è bellissimo. 
La storia è semplice: Harry è un ragazzo che ha perso tutto e ce l'ha con un padre che non ha saputo essere forte. Deve lasciare casa sua, che ormai non sente più tale, quando arriva questo ragazzo che gli offre un'altra possibilitò, gli dice di andare con lui. Ed Harry accetta perchè non gli importa più, perchè non ha niente da perdere.
Nella realtà, è davvero improbabile che qualcuno con un Tardis si presenti alla nostra porta, quando anche noi non sappiamo più dove scappare. 
Ma forse è questo il motivo per cui scrivo, per far sì che questo accada in un altro mondo, che è quello della fantasia. Chissà perchè tutti preferiscono il mondo reale...
Detto ciò, vi ringrazio per aver letto la mia storia e per esservi sorbiti questo angolo autrice così depressivo. Se avete voglia di lasciarmi una recensione, vi ringrazio doppiamente! 



Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere dei personaggi, nè offenderli in alcun modo


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