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Autore: Lellaofgreengables    20/10/2014    0 recensioni
Benedetta e Bernardo, due ragazzi diversi e con diversi sogni ed aspirazioni, si incontrano a Torino nel 1967. Sono vicini di casa e il loro amore nasce in un cortile di un condominio torinese. I due giovani ci raccontano la loro storia d'amore ricca di colpi di scena ed ostacoli.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Benedetta.
 
Mi chiamo Benedetta Ferraris e il 15 gennaio 1967, una fredda domenica, a Monferrato, in casa c'era fermento fin dal primo mattino, nonostante fosse appunto un giorno di riposo, in cui ci era concesso dormire qualche ora in più.
Ma con mio padre, Vittorio Costa, io e le mie sorelle, Clara e Marina, avevamo architettato un piano: fare una festa a sorpresa per nostra madre, Anna, che quel giorno compiva gli anni.
Lei era ancora a letto mentre io, in compagnia di mia sorella Marina, guardavo la torta lievitare.
Mia sorella, di dieci anni, affermava che la cucina era una scienza esatta. Beh allora poteva pensarci lei a preparare quella torta.
Nostra sorella minore, la piccola Clara, sei anni, all'improvviso fece cadere a terra dei cucchiaini: aveva compromesso la sorpresa per la mamma?
Niente affatto. Si sveglio solo il papà che si precipitò in cucina per constatare che tutto procedesse secondo i piani.
Quando anche la mamma ci raggiunse eravamo tutti a tavola a fare colazione, avevamo nascosto la torta, finto di non ricordare la ricorrenza e non avevamo nemmeno apparecchiato per lei.
Quando finalmente la torta apparve la mamma  si illuminò di un sorriso così dolce che ci contagiò tutti.
Ma poi suonò il campanello e il padrone della casa in cui vivevamo, affrontò mio padre: aveva scoperto che lui e la mamma non erano sposati, che erano due concubini.
La mamma lo raggiunse ed insieme si sedettero su di una panchina di fronte la nostra casa. Da lì si poteva vedere il nostro bellissimo balcone pieno di fiori.
Mia madre si ripropose di scegliere , per l'ennesima fuga imposta da gente rispettabile che non voleva  quelli come noi nel suo quartiere,  un posto che ci facesse talmente schifo da impedirci di dolerci di lasciarlo.arina li vide seduti su quella panchina e capì subito la verità. Senza farsi scorgere da Clara mi chiamò alla finestra e all'improvviso ricordammo di aver già vissuto un momento del genere: eravamo stati scoperti e dovevamo andarcene di nuovo perché quella gente rispettabile non ci voleva più nella sua comunità.
Poco dopo andammo in giro per il paese e ci rendemmo conto che nessuno ci salutava più. Marina ed io sapevamo che era una normale reazione delle persone che venivano a conoscenza del segreto dei nostri genitori. Ma Clara ci rimase malissimo: perché le persone che incontrava non rispondevano al suo saluto, anche quelle che il giorno prima erano state così gentile con quella bimba così dolce?
Mi chinai accanto a lei e le spiegai la verità: i nostri genitori non erano sposati. L'innocenza della domanda che mi porse la mia dolce sorellina, mi disarmò e mi strappò anche un sorriso: “,ma se non sono sposati come abbiamo fatto a nascere noi?” mi domandò con il visino triste e perplesso.
Le spiegai che per quello bastava amarsi e che il papà e la mamma si amavano come nessuna altra coppia al mondo. La verità. Non erano legati da vincoli matrimoniali eppure si onoravano e rispettavano da venti anni.
Clara porse una domanda assai ovvia: ma perché non sono sposati?
Marina allora, beccandosi una mia occhiataccia, le rispose con la verità: il nostro papà era già sposato e all'epoca non esisteva il divorzio. Per questo erano anni che mio padre si batteva per avere l'annullamento delle nozze con Francesca, quella moglie che era sparita tre mesi dopo le nozze rivelandogli che erano state un errore.
Non sapevamo però che Francesca era tornata alla carica e voleva di nuovo nostro padre, dopo che aveva adempito ai suoi doveri verso una persona, a noi sconosciuta,   di cui proprio in quel momento, la moglie di mio padre stava spargendo le ceneri.
Mio padre e mia madre intanto avevano scelto la nostra nuova destinazione: Torino. La città dove era nata mia madre e che poi aveva lasciato per seguire mio padre, lasciandosi alle spalle un futuro da concertista e maestra elementare e anche la sua reputazione di ragazza di buona e agita famiglia, per diventare una concubina e madre di tre figlie illegittime, che potevano aspirare solamente al suo cognome e non a quello del loro padre.
Per papà non poter sposare la mamma e non poter dare il suo cognome alle sue figlie era fonte di dolore e anche di insicurezza.
E poi  giunse il giorno di lasciare Monferrato per trasferirci a Torino. Una nuova vita ci attendeva.
Tutti ci osservavano felici di vederci partire, senza nasconderci nemmeno il loro sdegno.
Mi avvicinai alla mamma prima di salire in macchina.
Non volevo più cambiare città: Torino doveva essere l'ultimo trasloco.
L'ultima volta... L'ultimo cambiamento. Un marinaio aveva più amici di me.
Mia madre mi rassicurò: in quel lontano 1967 avevo 18 anni e tutta la vita davanti.
Giunti a Torino entrammo nel mondo di Via Mazzini, il nostro nuovo indirizzo e quel cortile che ci accolse sarebbe stato il nostro mondo negli anni a venire.
C'erano dei bambini che giocavano a palla e mio padre ci disse che quel posto gli sembrava operoso ed accogliente.
Poi cercò di mandare di nuovo la palla in direzione dei bambini che gliela stavano richiedendo ma per sbaglio il suo lancio colpì Ugo Cerutti, un uomo burbero e solo, che non comprese che il mio papà aveva lanciato la palla e incolpò i bambini.
Con freddezza spietata Ugo tirò fuori un cortellino e bucò il loro pallone.
Quel condominio non sembrava poi così accogliente.
Ma quando salimmo nella nostra nuova casa e la visitammo, ci accorgemmo che era stupenda. E questa volta avevo una stanza tutta per me, Clara e Marina infatti condividevano una cameretta ed io invece...
Una stanza tutta mia... La sognavo da una vita. Entrai e mi inchinai come una regale principessa.
Mi sentivo un po' una Cenerentola in una nuova grande città, con una gonna lunga, la trecciona e il cerchietto e quell'aria da ragazza di paese che stonava con Torino.
La mamma ci chiamò in cucina per la merenda e papà ci fece ripassare tutta una serie di bugie che avrebbero impedito ai nostri nuovi vicini di scoprire la verità ma  Clara non riusciva ad evitare degli errori, che avrebbero potuto rivelarsi molto pericolosi.
Bernardo.
 
Mi chiamo Bernardo Strano e sono nato a Gela in Sicilia. Lì ho trascorso i primi venti anni della mia vita. In quei primi mesi del 1967 mio padre, che viveva a Torino da 10 anni e lavorava come operaio in una fabbrica, finalmente vedeva il suo sogno avverarsi. Io, i miei tre fratelli e nostra madre stavamo per raggiungerlo.
Salvatore, mio padre, viveva in Via Mazzini, in una mansarda misera nel sottotetto che generalmente era o un magazzino o uno stenditoio per panni e che presto sarebbe stato anche un nido d'amore per me e per la ragazza di cui stavo per innamorarmi.
Papà aveva affittato per noi un nuovo appartamento, nello stesso stabile e proprio accanto ad una nuova famiglia: i Ferraris Costa.
Mio padre sentì attraverso le mura sottili le risate di Anna Ferraris e Vittorio Costa che  stavano insieme nella loro camera da letto.
La sua solitudine lo assalì e prese a picconate il muro, provocando una crepa in casa Costa. Ovviamente Vittorio si infuriò e cercò mio padre, che però riuscì a rendersi irreperibile.
Salvatore tornò nella sua soffitta ad osservare le nostre foto: mancava poco e poi avremmo avuto quel bellissimo appartamento e saremmo stati di nuovo tutti insieme a Torino, dove mi attendeva un lavoro in fabbrica e il grande amore della mia vita, un amore travagliato e sofferto che avrebbe resto meno grigia quella nuova vita piena di sacrifici.
 
Benedetta.
 
Il mattino dopo il nostro arrivo la famiglia fece i conti con la carenza dei nostri guardaroba.
Marina si impegnò a vestire lei Clara mentre la mamma si occupava del papà, che fingeva di avere un nuovo lavoro (era un abile venditore) ma che in realtà era ancora alla ricerca di un impiego.
Io dovetti scontrarmi con il fatto che non avevo nulla di adatto alla mia nuova vita in città.
Mia madre ci accompagnò a scuola visto che doveva segnarci lei.
Quella tappa per noi era piena di dolore perché per la segreteria e la legge noi eravamo figlie di madre nubile e di padre sconosciuto.
Fuori dal mio liceo, il ginnasio liceo classico  Massimo D’Azeglio mentre la mamma, le mie sorelle ed io, suonavamo alla porta per farci aprire dal custode, feci un incontro che mi avrebbe cambiato la vita. Giunse un ragazzo, che per la moda e dettami dell'epoca era un ricco capellone, a bordo di una vespa rossa.
Ci chiese di distrarre il portiere per permettergli di entrare in istituto, in ritardo come al solito.
Ed io guardandolo negli occhi, lo capii al volo e distrassi il portiere con l'orrida scusa di un topo fittizio sul marciapiede.
Una volta entrata in istituto, avrei iniziato le lezioni l'indomani ma comunque dovevo segnarmi, mi accorsi che le altre ragazze che parlottavano nel corridoio mi stavano guardando come una marziana, inorridite per il mio modo di vestire e per i miei capelli.
In quel momento decisi che prima o poi avrei fatto qualcosa per il mio look, ero stufa di essere emarginata... volevo essere come tutti gli altri.
I loro sguardi mi trapassavano insieme al loro sdegno... Mi sentivo come a Monferrato davanti allo sguardo crudele dei vicini che ci avevano scoperti... Volevo fare parte di un gruppo, avere degli amici e rimanere a Torino a lungo, senza dover scappare via.
Mentre pensavo a tutto questo incontrai lo sguardo di quel ragazzo che avevo aiutato e  che dalle scale mi ringraziò.
Intanto Marina e Clara vennero segnate dalla mamma alla scuola elementare, Marina in quinta e Clara in prima.
Fu straziante per mia madre sentirle definire figlie di padre sconosciuto e degne della commiserazione della segretaria scolastica, che le guardava con pena mista a pietà, che di certo non meritavano, incolpando la mamma per la loro triste situazione e non una stupida legge che impediva agli uomini non sposati di riconoscere i loro figli.
Mio padre intanto non riusciva a trovare lavoro e noi, non sapendolo lo assillavamo con le nostre richieste: io volevo dei vestiti nuovi, Marina una enciclopedia, Clara invece delle lezioni di danza.
Mio padre quella sera mentre noi eravamo nelle nostre stanze, spiegò alla mamma in cucina, che le aveva mentito e che non c'era nessun lavoro.
Le urla di lei,  che si spaventava per il nostro futuro, per l'affitto della casa e per tutto il resto, giungevano fino a noi e nel corridoio intercettai Marina, che voleva andare a dire a papà che avrebbe rinunciato alla sua enciclopedia. La rispedii a letto e augurai a lei e a Clara la buonanotte. L'indomani avremmo tutte comunicato a papà che non avevamo bisogno di vestiti, enciclopedie e lezioni di danza.
La mamma invece andò a trovare nonna Alberta, sua madre, che viveva in un bel palazzo di Torino.
Un palazzo che però sembrò a mia madre privo di quei mobili antichi e di quei dipinti che lo avevano sempre adornato e anche del bel pianoforte della mamma.
Nonna Alberta disse che erano a restaurare e fece intendere alla figlia Anna  di non stare troppo bene.
Così mia madre costrinse mio padre ad accettare che nonna Alberta, che non aveva mai accettato la storia della figlia con Coso, come chiamava mio padre, venisse a cena da noi.
Io, Marina e Clara fummo spedite dalla mamma a fare la spesa per la cena ma le mie attenzioni erano tutte per il negozio di parrucchiere ed acconciature che era davanti al mio condominio.
Con la scusa di comprare le uova spedii Marina e Clara a casa dalla mamma e attraversai la strada per poter spiare quel negozio.Mi sentivo come una scolaretta che guarda una caramella in vetrina, quando fui raggiunta da una giovane parrucchiera che lavorava in quel negozio.
Si chiamava Gisella e viveva nel mio stesso palazzo, nell'appartamento sopra al nostro.
Mi disse che si sarebbe volentieri sbizzarrita con i miei capelli. La ringraziai e mi allontanai. Lei mi sorrise dall'altro lato del marciapiede, mimandomi una bellissima acconciatura. Avevo incontrato la mia migliore amica.
La cena con la nonna fu un disastro. Lei e mio padre non facevano che beccarsi. Lui non le perdonava la cattiveria degli ultimi venti anni e lei il fatto di aver portato sulla cattiva strada la sua unica figlia, che aveva davanti un futuro radioso e che invece era diventata una concubina.
Mentre Marina si dimostrava il genio della scuola ed entrava nella banda dei ragazzini del cortile in qualità di capo, nel bagno della scuola io mi truccavo.
Entrai in classe e l'arcigna professoressa mi presentò ai compagni assegnandomi proprio il posto accanto al... ragazzo capellone che avevo aiutato qualche giorno prima. Contava su di me, la ragazza di paese con una buona media scolastica per riportarlo sulla buona strada. Ma come mi disse Maurizio Botti, quel giorno, mentre mi sedevo accanto a lui al banco, forse sarebbe stato più divertente se fosse stato lui a portarmi sulla cattiva. E per certi versi fu quello che fece. Ma per altri lui mi aiutò a scoprire un mondo... e anche me stessa. Eravamo molto simili, ci piaceva la stessa musica, gli stessi libri. Era un ragazzo pieno di ideali che mi prestava i dischi e le letture.  Per certi versi fu lui a plasmare la ragazza di paese che affrontava la grande città in cerca di una vita nuova e degli amici, finalmente. Fu così determinante per me che finii per fraintendere i sentimenti che provavo per lui.
Mio padre grazie alle sue abili doti di venditore riuscì a trovare un impiego alla Italvox, una azienda di elettronica, nell'ufficio vendite.
Mia madre poi riuscì anche a convincerlo ad accogliere nonna Alberta in casa nostra per un periodo, così la stanza tutta per me che ero finalmente riuscita ad ottenere, divenne la nuova camera della nonna ed io tornai a dividere i miei spazi con Marina e Clara.
Papà Vittorio si lamentò con il portiere di Salvatore Strano, ma finì solamente per attirare l'attenzione di quel 'impiccione su di noi. Sospettava della mamma e del papà ed iniziava ad intuire la verità.
Intanto la ditta dove lavorava mio padre organizzava una festa aziendale e una mattina a colazione papà ci mostrò il suo nuovo abito. La mamma lo pregò di andarsi a cambiare, visto che rischiava di macchiarsi. Ma lui non le diede retta.
Ma quando entrai in cucina con la mia prima minigonna il contenuto della tazzina di caffé che il papà teneva tra le mani, finì sul suo abito elegante. Non riusciva a credere che la sua adorata bambina potesse uscire conciata in quel modo e pensava che le novità di Torino e della città sarebbero state deleterie per me. Si confidava con mia madre, che cercava di pulire il vestito, che sarebbe servito per la festa dell'indomani. Il papà le disse che avrebbe desiderato essere accompagnato da lei e che per prudenza era meglio che indossasse una fede.
Ma la mamma non voleva portare un simile anello senza essere realmente sposata, anche se questa sua decisione poteva essere assai pericolosa per noi.
Infatti il portiere impiccione aveva notato che solo il papà portava la fede al dito mentre la mamma no.
Intanto io avevo di nuovo legato i capelli in una orribile treccia, avevo di nuovo indossato il cerchietto e una gonna grigia e lunga.
Mi stavo sfogando con Gisella prima di andare a scuola.
Lei mi disse che con mio padre avevo due opportunità: o mi facevo furba oppure mi davo allo scontro frontale. Per me quel mondo era ancora incomprensibile ma pian piano Gisella e Maurizio mi stavano aiutando a scoprirlo. Mio padre quella mattina mia accompagnò a scuola, mi mise in guardia da Gisella e mi disse che ero la sua bambina.
Ma tra i corridoi della nostra scuola Maurizio mi invitò ad una festa in uno scantinato... Lo guardai stupita: a Torino i giovani davano feste in scantinati? Ero proprio lontana anni luce da quel mondo.
Scantinati che poi venivano chiusi da retate della polizia. Maurizio si era addirittura costruito uno scantinato a casa sua, un suo posto dove non esistevano né convenzioni, né conformismo, solo noi e quello che amiamo.
Lo guardavo affascinata.
Mia madre intanto si era recata in chiesa. Si stava confessando quando si accorse che il prete non era altri che Don Mario, il sacerdote della sua giovinezza. L'unico che ancora oggi comprendeva la sua scelta, convinto che il destino di mia madre fossimo mio padre, io e le mie due sorelle. Non solo ma Don Mario la spinse a non rinunciare nemmeno agli altri suoi sogni: il pianoforte e  il desiderio di diventare una maestra.
Fuori dalla scuola intanto Maurizio mi stava dando le prime lezioni sulle rivoluzioni che in quel finire di decennio stavano agitando la vita di noi giovani, che volevamo e sognavamo un mondo più giusto e migliore. Maurizio era un tipo che non si tirava mai indietro e voleva stare dentro le cose.
Perfino nei gusti musicali era un rivoluzionario...
Mi guardava come non ero mai stata guardata da un ragazzo e mi fece anche un complimento: quando sorridevo mi illuminavo tutta.
Sarà stato anche un capellone figlio di un notaio ma era una persona intelligente e giusta.
La prima cosa che feci fu di recarmi da Gisella, nel negozio dove lavorava come parrucchiera: avevo deciso: scontro frontale... Nuovo Look per i miei capelli. La mia amica inserì nel mangianastri il disco dei Rokes e Che colpa abbiamo noi si diffuse nel salone. E poco dopo io ero diventata un'altra.
Anche la mamma stava provando un nuovo vestito per la festa di quella sera. Si sentiva ancora giovane e con tutta la vita davanti. Pronta a non rinunciare alle cose che amava: la musica e l'insegnamento.
Ancora non sapeva che avrebbe dovuto presentarsi alla festa come Francesca Costa e non come Anna.
Quando giunsi a casa mia madre restò a bocca aperta, immaginando la reazione del marito... Mia sorella Marina invece mi scrutò e disse: “Oh, povero papà”.
La mamma ci prese per un braccio e ci condusse nella sua stanza da letto.
Ci mostrò il bando per un concorso magistrale a cui voleva partecipare.
Mio padre ancora non ne sapeva nulla e anche lì si temeva la sua reazione.
Quando Vittorio Costa tornò a casa e vide i miei capelli pensò che fosse uno scherzo e che per carnevale io avessi deciso di vestirmi da Re Sole. Ma quando capii che facevo sul serio per poco non gli prese un colpo e nessuno ebbe la forza di comunicargli la decisione presa dalla mamma.
 
Bernardo.
 
Entrai per la prima volta in quel cortile che tanto avrebbe contato per me, mentre il freddo di quell'inverno mi faceva gelare le ossa. Venivo dal mare e dalla Sicilia e non ero abituato. Non riuscivo a condividere l'entusiasmo di Ciccio, di Domenico e Fortunato mentre trasportavo con loro e mio padre, i nostri miseri averi nella nostra nuova casa, dopo due giorni di viaggio.
Mi guardavo intorno smarrito rimpiangendo la mia vecchia casa, a Gela, dove dalle finestre si poteva vedere il mare.
Mi attendeva un duro lavoro in fabbrica insieme a mio padre e anche una serie di umiliazioni, perché i “terroni, nella Torino di quegli anni, erano degli esclusi, come  i concubini e i figli illegittimi.
Il nostro arrivo venne osservato con attenzione dal portiere e da Vittorio Costa, il vicino tanto odiato da mio padre.
Il portiere disse a quel signore distinto che non c'era nulla  di peggio che avere tre figlie femmine che condividevano il pianerottolo con quattro giovani meridionali.
Beh il portiere impiccione non aveva tutti i torti perché in casa Costa, abitava la persona che mi avrebbe rubato il cuore.
Giunti in casa iniziammo a sistemarci. Io mi occupai insieme a mio padre, di sistemare il divano dove avrei dormito con Ciccio tra le braccia.
I gemelli e Ciccio facevano un grande baccano. Erano eccitati per la nuova casa e felici di essere in una nuova città con il papà.
Anche i miei genitori erano felici e si abbracciavano. Papà ci osservava quasi commosso: aveva atteso quel momento per dieci lunghissimi anni.
Il rumore da noi prodotto era così intenso che nell'appartamento accanto Vittorio Costa e sua suocera Alberta stavano per esplodere, visto che non riuscivano a sentire nemmeno la televisione.
Vittorio e mio padre non si sopportavano e il Costa iniziò a sbraitare...
Ma fu Anna Ferraris a precederlo e a venire a suonare alla nostra porta.
Fu mia madre Teresa ad aprire e tra le donne nacque subito una complicità. Mia madre si scusò con Anna e lei di risposta le spiegò che tra i loro mariti non correva buon sangue ma che tra loro, due donne, si sarebbero capite.
Mia madre allora entrò in casa e diede ad Anna parecchi alimenti sani e genuini della nostra terra. Erano diventate amiche.
Ciccio, il mio fratello minore, aveva 5 anni ed era balbuziente. Da quando a due anni aveva preso una scossa elettrica.
Era il mio preferito e trascorrevo sempre il mio tempo libero con lui.
Ora stava mostrando a nostro padre i suoi miglioramenti nella parola: aveva imparato un nuovo vocabolo: scacciapensieri.
I gemelli invece avevano scoperto che dal muro di casa si poteva origliare quanto avveniva in casa Costa e si misero quindi ad ascoltare il Festival di San Remo, che i vicini stavano vedendo in tv, attraverso la parete.
Mio padre però li richiamò subito all'ordine.
Tutti erano contenti e felici per quella nuova vita ma io no. Torino era grigia e fredda. Mi mancavano i colori e il calore della mia Sicilia.
Sarei mai riuscito ad abituarmi a questa nuova città?
Benedetta.
 
Come aveva previsto Maurizio al Festival di San Remo ad avere la meglio erano i cantati tradizionali come la Vanoni o la Berti. Mio padre non faceva eccezione in quanto a gusti musicali. Non sopportava i nuovi cantanti emergenti con quei capelli lunghi.
Io invece ero stregata da Tenco.
Mi faceva sognare il suo Ciao, amore ciao.
Il mattino dopo quando mi svegliai ci fu la notizia: Tenco era morto. Forse si era tolto la vita per la stroncatura avuta durante il festival di San Remo.
Nessuno di noi poteva sapere con certezza cosa fosse successo ma quella mattina incolpai mio padre dell’accaduto. Era colpa sua e di tutti coloro che ancora erano ancorati alle vecchie tradizioni, incuranti di noi giovani e delle nostre aspirazioni.
In classe Maurizio, io e altri decidemmo di dire addio al cantante, ascoltando la sua canzone Ciao, amore ciao durante la ricreazione e in assoluto silenzio.
 
Bernardo.
 
Mia madre aveva incontrato la signora Anna al mercato e le aveva consigliato, grazie alla sua esperienza, quali ortaggi erano freschi.
Inoltre le aveva confessato di non saper leggere e scrivere ma di saper parlare correttamente l’inglese, che aveva imparato dagli Americani durante la guerra.
Anna si confidò e le rivelò che stava studiando per un concorso magistrale.
Mio padre e il signor Vittorio invece avevano rapporti decisamente meno amichevoli.  Papà ed io eravamo in balcone a fumare quando giunse il signor Costa che tirò fuori dal suo portabagagli un televisore di seconda mano per noi. Voleva regalarcelo per ricambiare le melanzane sottolio e il formaggio che la mamma aveva regalato ad Anna.
Mi chiese di scendere per portarlo in casa. Ma mio padre si infuriò,  non poteva accettare un simile regalo che metteva in discussione il suo orgoglio  e lo faceva sentire un poveraccio.
Io ero meno rigido e forse avrei accettato quel dono.
Vittorio Costa ci faceva quel regalo  per scongiurare un pericolo: visto che non avevamo un televisore in casa, Anna ci avrebbe spesso invitati da loro per guardare la tv tutti insieme e questo per Vittorio era un pericolo da evitare.
Papà e Vittorio finirono per salutarsi a suon di insulti.
Non ero felice, credevo che a Torino non avrei mai potuto trovare la felicità ma stavo per fare un incontro inaspettato e meraviglioso.
 
Benedetta.
 
Era giunta la sera della festa aziendale e di quella dello scantinato.
La mamma e il papà erano pronti e sul corridoio quando li salutai.
Mio padre mi ispezionò e la gonna gli sembrò abbastanza lunga.
Ma in verità stavo attuando la tattica numero due, il fatti furba.
Mi precipitai al piano di sopra da Gisella e lei mi prestò una maglietta e una minigonna da lei create: il suo sogno infatti era quello di diventare una stilista.
Anche lei aveva un appuntamento con un giovanotto di nome Carlo, che si fingeva ricco per conquistarla ma che in realtà era uno studente universitario senza una lira in tasca.
Furono Carlo e Gisella ad accompagnarmi alla festa.
Giunta dentro lo scantinato rimasi sconvolta dalla musica alta e moderna, dal modo di ballare dei miei coetanei, dalle coppiette che si baciavano lungo il corridoio. Il fumo e le luci soffuse mi stordivano ma tutto questo mi piaceva. Maurizio fu il primo volto amico che incontrai e i suoi occhi mi seguivano ovunque.
Non ero abituata a quell’ambiente chiuso e rumoroso e nemmeno agli alcolici, quindi ad un certo punto caddi svenuta al suolo.
Maurizio mi scortò fuori ed io gli rivelai che mi sentivo in imbarazzo a rimettere piede a scuola il giorno dopo.
Ma lui mi rassicurò: era normale, era successo un po’ a tutti. Si offrì di riaccompagnarmi a casa con la sua vespa rossa.
Anche per mamma la serata era stata un vero disastro perché non riusciva a tollerare di essere chiamata Francesca, quindi abbandonò i festeggiamenti inseguita da mio padre.
La mamma era in macchina con papà quando mi vide sfrecciare sulla vespa di Maurizio, stretta a lui. Decise di non dire nulla a mio padre e forse pensò che ero io quella che aveva tutta la vita davanti, mentre lei ancora pagava la colpa di essersi innamorata di un uomo sposato e abbandonato dalla moglie.
Maurizio ed io giungemmo prima di mio padre e di mia madre a casa. Gli spiegai che dovevo sbrigarmi perché mio padre non poteva scoprirmi con i vestiti di Gisella addosso.
Maurizio mi disse che avrei dovuto trovare il coraggio per affrontarlo direttamente.
Lo salutai con un bacio sulla guancia e mi avviai nel cortile verso il portone di ingresso e fu allora che mi accorsi di una presenza.
Un giovane ragazzo, probabilmente uno dei nuovi arrivati siciliani, stava armeggiando con le ruote di una vecchia bicicletta. Questa non ci voleva. Anche lui mi aveva vista. Avrebbe fatto la spia? Era un ragazzo molto bello e alto. Lo fissavo impaurita? Il mio segreto era al sicuro?
Stavo per varcare il portone quando mi voltai verso di lui che ancora mi osservava e avvicinai il mio dito indice alla bocca, pregandolo in quel modo di tenere per sé quello che aveva visto.
Mi rispose con un sorriso bellissimo. Mi voltai e mi allontanai di corsa, senza dare troppa importanza a quell’incontro, che invece mi avrebbe cambiato la vita.
I miei problemi erano altri: Francesca la prima moglie di papà, era sulle tracce del marito dopo venti anni di assenza. Ed era giunta a Monferrato. Proprio quando l’annullamento delle prime nozze di papà era sempre più vicino.
 
Bernardo.
 
L’indomani avrei iniziato a lavorare in fabbrica e dovevo sistemare la mia bicicletta. Torino non mi piaceva per nulla e Gela e il mare mi mancavano così tanto, anche se amavo la montagna e vicino a Torino i monti erano stupendi.
Mentre armeggiavo con le ruote di questo rottame mi accorsi della presenza di una ragazza dai lunghi capelli, che si stava togliendo le scarpe per non essere scoperta e non fare rumore. Una figlia ribelle e viziata uscita di casa di nascosto dal padre, diversa dalle ragazze della mia terra, questo fu il mio primo pensiero. Ma poi quando si voltò e vidi i suoi occhi fissarsi nei miei rimasi incantato e girai intorno alla bicicletta come rapito.
Lei mi fissava e camminava verso il portone. Temeva che io rivelassi a qualcuno di averla incontrata. Invece quello era l’ultimo dei miei pensieri perché mi ero perdutamente innamorato di quella sconosciuta che abitava in quel grigio palazzo di Via Mazzini.
Era quasi giunta all’interno del portone quando si voltò verso di me e avvicinò l’indice alle labbra.
Annuii e lei scomparve. Ma quando tornai alla mia bicicletta, qualcosa era irrimediabilmente cambiato. Non ero più lo stesso ragazzo di prima e Torino poi non mi sembrava più una città così brutta.
 
Fine prima puntata.
   
 
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