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Autore: Lisaralin    20/10/2014    5 recensioni
"The core of all life is a limitless chest of tales."
(Storytime, Nightwish)
Raccolta di flashfic e one shot di genere vario su personaggi dell'universo di Kingdom Hearts scelti con la modalità random della wikia di KH. Nata da una sfida tra amici e dal divertimento di scrivere qualcosa insieme.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Salve a tutti! Questa raccolta nasce da un gioco insieme a whitemushroom e altri amici: da bravi appassionati di Kingdom Hearts che siamo, ci è presa la pazza e insensata idea di scrivere storie brevi su personaggi estratti rigorosamente a caso dalla wikia di KH. Ciascuno ha la propria lista e ciascuno dovrà scrivere one shot o flashfic sui personaggi che gli sono capitati, senza la possibilità di rifiutare o cambiare. E voi non avete idea dei personaggi dimenticati dagli dei e dal mondo che strisciano sui fondali oscuri e melmosi della maledetta wikia!

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180px-Kanga_KHII


Personaggio: Kanga
Genere: Introspettivo, Missing Moments
Rating: verde
Avvertimenti: ambientata in un momento qualsiasi durante 358/2 Days. Odio il Bosco dei Cento Acri con tutte le mie forze.


Istinto materno

Ho sempre pensato di essere fortunata a vivere nel Bosco dei Cento Acri.
È un posto sicuro per una madre che deve crescere il proprio cucciolo da sola: tranquillo, privo di pericoli, pieno di animali sempre disposti a darti una mano nel momento del bisogno. Per questo non ho mai proibito a Roo di andarsene in giro da solo, ben sapendo che anche quando io non vigilo c’è sempre un occhio benevolo pronto a vegliare su di lui.
Almeno fino a oggi.
Stamattina la quiete secolare del Bosco è stata infranta da un clamore nuovo per le nostre orecchie abituate alla pace. Scalpiccio di zampe e zoccoli in corsa, rami spezzati, arbusti calpestati, e sopra tutto un coro cacofonico di squittii, cinguettii, ragli, grugniti, nitriti, persino la voce del vento tra le foglie sembra unirsi al grido unanime che si innalza verso il cielo: “L’Uomo in Nero! L’Uomo in Nero!”
Sono una dei pochi a precipitarmi in direzione del tumulto, saltando con tutta la forza e la velocità che le zampe mi consentono. Frotte di animali corrono terrorizzati nella direzione opposta, alcuni mi urtano nella fretta, altri mi gridano di scappare. Intravedo De Castor tuffarsi a capofitto in uno dei suoi cunicoli e Pimpi rannicchiato tutto tremante in un cespuglio, ma nessuno sembra in grado di spiegarmi cosa sta succedendo. La mia voce diventa roca a furia di chiamare il nome di Roo, e si perde nel caos della follia collettiva.
Poi una radura si apre tra le file ininterrotte degli alberi, e finalmente lo vedo.
L’Uomo in Nero.
In piedi al centro dello spiazzo erboso, alto, circondato da creature evanescenti, che tremolano e rilucono al sole come se fossero fatte di…acqua, non saprei come altro definirla. I mostri tengono a bada gli animali che hanno avuto il coraggio di attaccarli, e vedo gli artigli di Uffa affondare più di una volta, invano, nel loro strano corpo inconsistente. Lo straniero stringe in mano un oggetto, forse un’arma, che non riesco a riconoscere. È di colore blu brillante e percorsa da corde sottili che le dita guantate di nero dell’uomo pizzicano con velocità incredibile, intrecciandosi in una danza che cattura i miei occhi malgrado lo spavento e il cuore che minaccia di esplodermi nel petto.
Solo in un secondo momento la mia attenzione si sposta sul suo viso, e lo stupore cancella per un attimo ogni traccia di paura. Non ho visto molti umani nella mia vita, ma credo di saper riconoscere con sicurezza un cucciolo da un adulto della loro specie; e tra questo “Uomo in Nero” e un umano cresciuto c’è la stessa differenza che passa tra l’Eroe del Keyblade e il mago buffo dalla lunga barba e il cappello blu.
Il temibile Uomo in Nero non è altro che un ragazzino. Questa consapevolezza, improvvisamente, mi dà coraggio. Saprò poco di umani, ma di cuccioli posso ritenermi una vera esperta.
Tra le fronde di un albero scorgo finalmente la sagoma di Roo, saldamente aggrappato a un ramo, e mi basta uno sguardo per sincerarmi che è sano e salvo, al sicuro da ogni possibile attacco delle creature d’acqua.
I battiti del mio cuore si calmano del tutto.
Avanzo di un paio di salti, incurante dei mostri, scrutando il ragazzo umano con occhi che nessuno dei miei compagni possiede, oltre l’atteggiamento aggressivo e la sicurezza spavalda dei suoi gesti.
Sono certa che se fossi una madre umana disapproverei con cipiglio critico l’abito nero, gli stivaloni e i capelli dritti da bullo; ma è anche vero che troppo spesso i comportamenti deviati dei figli nascondono errori o negligenza da parte dei genitori. O semplice bisogno di attenzione.
“Cosa vuoi da noi?” grido, sforzandomi di superare il clamore della lotta e il suono della musica.
La musica.
Ci faccio caso solo adesso. L’oggetto blu non è un’arma, è uno strumento musicale. Le dita agili del ragazzo intessono un arazzo di note e accordi, una melodia vivace, frizzante, spigliata.
Piacevole.
Più che piacevole. Bella. Davvero bella.
“Perché ci attacchi con i tuoi mostri? Non ti abbiamo fatto nulla!”
Per tutta risposta il ragazzo interrompe la melodia e fruga in una tasca del cappotto, vi estrae un foglietto di carta spiegazzato che porta davanti al viso, e recita: “Se si viene scoperti dagli autoctoni durante una missione di ricognizione in un nuovo mondo, la procedura consiste nell’eliminare tutti i testimoni!” I suoi occhi, verdi come le acque dei ruscelli che scorrono tra le fronde del Bosco, sono attraversati da un’ombra di rimpianto e, forse, qualcosa di più profondo e senza nome. La sua voce tradisce un tremito nel pronunciare la frase successiva, che non ha nulla da spartire con le istruzioni sul pezzo di carta: “Saïx mi trasforma in un Simile se non faccio tutto bene stavolta!”
Fa per riportare le dita sulle corde del suo strumento, e mi accorgo che nel breve attimo in cui la musica si è interrotta le creature hanno iniziato a perdere consistenza, oscillando e sfaldandosi in tante piccole pozze d’acqua.
“Aspetta!” grido. “Questo Saïx non deve saperlo per forza, no?”
Il ragazzo esita per un attimo, e io approfitto del varco che mi concede: “Noi faremmo tutti finta di non averti visto. È più semplice, no?”
Dopo tanto caos, il silenzio scende sulla radura come una benedizione. Gli occhi di tutti gli animali sono fissi su di noi, mentre i mostri sono ormai ridotti a innocenti pozzanghere in cui si specchiano la luce del sole e il placido fluttuare delle nubi. La mano del ragazzo accarezza le corde con un movimento automatico, assente, ma senza produrre alcun suono. Tiene lo sguardo basso, e io faccio cenno agli altri di non muoversi, di non compiere atti avventati.
“Sei bravo a suonare” continuo, con un sorriso incoraggiante. “Perché non resti un po’ a riposare e a suonare qualcosa per noi? Poi ognuno per la propria strada, e sarà come se non ci fossimo mai incontrati.”
Per la prima volta il viso del ragazzo si schiude in un sorriso incredulo, e io capisco di averlo in pugno.
“Davvero vi piace la mia musica?”
Gli animali reagiscono prontamente alle mie occhiate più che eloquenti.
“Assolutamente” esordisce Uffa, come sempre il primo ad afferrare “Oserei dire invero di non aver mai sentito una ballata di simile purezza e maestria.”
Il ragazzo non crede alle proprie orecchie: “Saïx dice sempre che sembra una serie di artigli che sfregano contro una lavagna… “
“Questo Saïx è palesemente uno zotico ignorante che non capisce nulla di arte.”
Un altro paio di complimenti di questo tipo e il ragazzo è conquistato definitivamente dalla nostra parte.
Per un’intera giornata il Bosco dei Cento Acri si illumina di musica e canzoni, di risate, dell’allegria leggera di una festa inaspettata. Non ho paura di permettere a Roo di avvicinarsi allo straniero e posare le manine sulle corde del sitar, come lui lo chiama. Non ho paura di unire la mia voce al coro spensierato che si innalza volteggiando tra le fronde, guidato dalle sue note. Non conosco la storia dell’Uomo in Nero, e non la domando, ma mi fido del sentimento vivo e sincero che palpita dalla sua melodia.
Al calare della sera io e Roo siamo gli ultimi a salutarlo. So che non lo rivedremo più, ma non potrò mai dimenticare il suo sguardo esausto e felice mentre, con le labbra ancora macchiate di miele, ci fa l’occhiolino e sparisce come d’incanto tra le tenebre di un varco oscuro.
  
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