Serie TV > My Mad Fat Diary
Segui la storia  |       
Autore: Apricot93    21/10/2014    2 recensioni
Dal Cap. 9:
«... E voglio una persona che non si aspetti sempre il peggio da me, Rae, perché non me lo merito».
Non voglio stare con te. Avrebbe potuto dirmi questo e non avrebbe fatto differenza.
Non posso neanche controbattere. Con cosa poi? Ha ragione su tutta la linea, io lo so che Finn merita tutto questo «e pensi che lei sia questa persona?».
Sorride, un sorriso amaro che gli deforma le labbra in una risatina canzonatoria «è l'unica parte del discorso che hai ascoltato?».
Dal Cap.10: (Finn's POV)
«Sei peggio di una bambina dell'asilo, Rae» e mi sei mancata per tutto il tempo in cui sei stata via «ma sei adorabile...» le avevo sussurrato all'orecchio avvicinandomi di un passo.
Le sue guance erano avvampate all'istante, immediate come l'allegria che aveva spazzato via il mio nervosismo.
Che mi fossi imbarazzato anch'io, però, non l'avrei ammesso nemmeno sotto tortura.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Archie, Chloe Harris, Finn Nelson, Kester, Rae Earl
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


Capitolo 1: Bolla di Sapone

Sleaford - 12 Novembre


Fuori dalla finestra questo scorcio di vita sembra immobile oggi, è il 12 Novembre ed è insolito da queste parti poter abbinare all'autunno sole e cielo azzurro, ma le nuvole hanno deciso di disertare e il vento si è spostato sulla costa. Ironico, penso, è esattamente quello che succede dentro di me: un bel niente.
Sulle pareti azzurre tinteggiate di fresco sfilano le immagini di un test ripetuto già due volte da quando sono qui, la prima a destra ha tutta l'aria di essere una farfalla, sulla seconda ho qualche dubbio invece, un drago magari, o forse un passerotto, in ogni caso non un pipistrello come ho risposto quando me l'hanno chiesto. Che non fossi lucida in quel momento?
Mah, tanto non sarebbe la prima volta.
Sprofondato sulla poltroncina di pelle davanti a me il Dottor Milton, una spina nel fianco sulla quarantina carico di buone intenzioni e scarse capacità comunicative, sta portando avanti un monologo noiosissimo sulla responsabilità. Forse dovrei rendermene partecipe, o almeno fingere di sembrarlo, ma la mia attenzione non lo sfiora nemmeno per sbaglio e colgo solo piccoli frammenti di ramanzina, «Rae sei qui da tre settimane ormai ma non mi sembra tu abbia nessuna intenzione di fare un passo, non dico nella direzione giusta, ma in qualunque direzione. Sembra che........ e non credo sia quello che vuoi. Dovresti almeno provare a...... ti piace questa situazione?».
Poi silenzio...
Ahi, era una domanda quella di prima? Una domanda seguita da silenzio equivale a una risposta mancata, tradotto in parole povere: una futura scocciatura.
Magari sarebbe il momento di mettere in pratica qualche suggerimento elargitomi negli ultimi anni... «"Ci proverò", rispondi sempre così quando non sai cosa dire, non importa se non ha niente a che vedere con quello che ti stanno chiedendo, perlomeno sembrerai propositiva e, si sa, gli strizzacervelli adorano le persone propositive» la saggezza di una mia ex compagna di stanza. Non era particolarmente sveglia in realtà, se non ricordo male collezionava mele marce sotto al letto nella convinzione che presto o tardi sarebbero rinate. Beh, comunque in qualità di "ex" compagna di stanza, quindi "ex" paziente, forse certi trucchetti hanno sul serio una qualche validità...
Ma non ho nessuna voglia di sfidare la sorte oggi, non ne vale la pena, non sono abbastanza motivata. Non lo sono affatto, per dirla tutta.
Preferisco ignorare il mio interlocutore e rivolgere l'attenzione alle foglie rosse che fanno capolino dalla finestra, sono sicuramente più loquaci di lui.
Potrei essere davvero felice qui, sola, in quest'eremo sperso nel nulla. Se solo i ricordi mi dessero tregua...

Un mese fa a quest'ora mi godevo la compagnia di Finn ignara di quello che sarebbe successo di lì a una manciata di giorni, ce ne stavamo seduti al parco per ore, uno accanto all'altra, sulla nostra panchina preferita vicino al campetto di calcio, l'altra passione di Finn. I nostri pomeriggi erano risate e coccole, e foglie rosse dell'esatta tonalità di quelle che sto osservando adesso.
Ma questo è l'unico piccolo, infinitesimale particolare che accomuna la persona che sono ora e quella che sono stata in passato, non c'è altro.
Tanto che a volte mi domando se non fosse tutto frutto della mia immaginazione, se sia successo davvero, sembrano i ricordi della vita di un'altra persona, qualcosa che ormai posso solo toccare nei sogni, forse, se sono fortunata a farne in quei rari momenti in cui la coscienza mi concede un po' di tregua consegnandomi al sonno.
Il Dottor Milton, spazientito e visibilmente frustrato dalla mia noncuranza, si schiarisce la voce nel vano tentativo di recuperare la mia attenzione «vai pure Rae, ho capito che non è la giornata ideale per le conversazioni. Comunque ti informo che ho contattato il Dottor Kester, tua madre mi ha detto che avete sempre avuto un rapporto privilegiato. Non so per quale motivo tu abbia deciso di non affidarti più a lui, in ogni caso dopodomani sarà qui, è stato molto sollevato dalla mia telefonata».
Ok, questo è un colpo basso, un atto di rivolta in grande stile.
C'era un patto tra me e l'inutile Dottor Milton, niente interferenze esterne, niente visite, niente Kester, sono tentata di alzarmi e dimostrargli di essere dotata di potenti corde vocali, ma all'ultimo momento desisto, non ne sono più in grado.
La mia vita adesso ruota intorna a costanti linee rette, non sono contemplati i crolli, gli eccessi, e in generale ogni tipo di variazione. Ho assoluto bisogno di una costanza di vuoto per tenere gli occhi aperti. Per non avere paura.
Sono prigioniera volontaria di una bolla di sapone e... mi va bene così.
Non voglio farla esplodere, non voglio che succeda, Kester c'è andato molto vicino già una volta ma ha fallito miseramente. Ha fatto sì che mi dotassi di desideri e aspettative per poi lasciarmele distruggere in mille pezzi con le mie stesse mani. Sono errori che non si ripetono due volte.
«Non voglio vedere Kester» rispondo, decisa, con un tono che non ammette repliche.
Il Dottore mi fissa con un sorrisetto trattenuto a fatica, lo stesso che ostenta chi sa di tenere il coltello dalla parte del manico «Rae mi dispiace ma non sei tu a decidere. Hai avuto molte possibilità di risolvere questa situazione ma ti ostini a mantenere il silenzio, sono certo che ricevere stimoli da una persona che ti conosce non potrà farti che bene».
Tutte stronzate... «Kester non mi conosce affatto» ribatto.
Risolvere la situazione poi... ma quale situazione? Io sto bene qui, papà silenzio e mamma indifferenza non mi fanno mancare nulla né mi illudono di qualcosa.
«Perché questo astio nei suoi confronti?» domanda sinceramente incuriosito.
«Perché mi ha mentito».

* * * * * * *



Qualche minuto dopo nonostante le proteste vengo congedata con un "premio", la prossima seduta che farò sarà davanti a una persona che conosco, a quanto pare. Il mio entusiasmo per la notizia è pari solo alla mia gioia di vivere attuale, ma almeno finalmente posso tornarmene in camera a fare quello che mi riesce meglio: aspettare che il tempo passi senza muovere un dito.
Ripercorro i corridoi gemelli che vedo ormai da tre settimane a questa parte ma faccio fatica ad orientarmi, non li distinguo, li conosco ma non mi sono familiari. È come se fossi arrivata solo ieri, quindi giro a vuoto un paio di volte, prima a destra e poi a sinistra, e alla fine mi fermo davanti all'immensa porta a vetri che affaccia sul parco in attesa di un'illuminazione.
Fuori il tempo sta cambiando, il grigio delle nuvole ha rubato tutto il posto all'azzurro, il sole è sparito e il vento dev'essersi stancato del mare.
Da quando sono qui ho sviluppato uno strano tipo di relazione con le condizioni metereologiche, di diffidenza mista a un leggero fastidio, perché si prendono continuamente gioco di me. Anche adesso.
Perché il tempo è cambiato? Perché deve cambiare? Dentro di me è rimasto tutto esattamente com'era prima quindi perché dovrei subire passivamente le variazioni esterne? Non le cerco, non le voglio, non hanno senso.
Anche quando sono arrivata in questa specie di bolla, la Clinica per i Disturbi Comportamentali di Sleaford, a 300km da casa, ricordo di aver avuto pensieri simili. Ero distrutta quel giorni, annientata, persa, impaurita, avrebbe dovuto piovere, tirare vento, avrei dovuto godere del sacrosanto diritto di alzare gli occhi al cielo e specchiarmi nel nero, nel grigio, sarebbe stato giusto. Appropriato.
Invece no. Arrivata qui ho trovato il sole, il verde rigoglioso dei giardini, cielo azzurro e una leggera brezza a scuotere appena le prime foglie secche. Mi sono sentita immediatamente fuoriluogo, un piccolo carboncino al centro di una tavolozza di colori. Era tutto sbagliato, tutto, e per assurdo questo era l'unico pensiero tranquillizzante perché, diamine, ero tutta sbagliata anch'io... come ora.

Non dovrei ripensare al passato, è una di quelle cose che ho capito appena sono scesa dalla macchina, perché pensarci equivale automaticamente a rivedere Finn nella mia testa. Ancora, ancora e ancora, in un circolo vizioso di un ricordo senza fine che mi scava nel cervello lasciandomi sfinita.
L'avevo pregato di non venire a salutarmi, di risparmiarmi almeno lo strazio di un addio ma non ha voluto sentire ragioni. Si è presentato davanti casa mia bello come sempre, con quei meravigliosi occhi nocciola in grado di leggermi dentro e il suo profumo... Dio, come mi manca il suo profumo, quella perfetta combinazione di fresco, di casa, di cose belle. Non sono più riuscita a indossare il maglione che avevo quella mattina, è sciocco lo so, ma sembra ancora impregnato di lui, dell'abbraccio che mi ha dato prima di diventare nient'altro che un minuscolo puntino all'orizzonte.
Mi manca, mi manca da morire, mi manca sempre...

Fortunatamente un tuono mi riporta alla realtà.
Mi guardo intorno scossa dai ricordi e improvvisamente ritrovo la strada di "casa", non sono mai stata tanto felice di rivedere quattro mura bianche in vita mia. Mi butto sul letto sprofondando il viso nelle lenzuola pulite e inspiro a fondo, rilassata, questo è l'unico posto in cui non devo preoccuparmi del tempo perché con le tende tirate e le tapparelle abbassate c'è sempre la stessa tonalità di grigio chiaro. Dentro, fuori, e tutto intorno.

* * * * * * *



«Rae, c'è una visita per te» trilla una voce materializzatasi sulla porta.
È Agnes, l'infermiera che finora si è sempre presa cura di me, l'unica persona cui di tanto in tanto dedico un briciolo di attenzione. Ha 34 anni, lunghi capelli castani sempre accuratamente legati in una treccia studiata, occhi verdi limpidi e un sorriso dolcissimo, la prima settimana che ho trascorso qui ha passato moltissimo tempo con me. Me ne stavo sempre chiusa in camera, in silenzio, rannicchiata sul mio letto ad occhi chiusi come un animaletto spaventato, lei veniva a sedersi accanto a me senza pretendere di intavolare una conversazione e mi raccontava aneddoti divertenti sugli altri pazienti. A un certo punto ha cominciato anche con stralci della sua vita privata sperando, forse, che le avrei aperto una finestrella sulla mia. Non l'ho mai ascoltata con grande attenzione a dire la verità, ma è l'unico essere veramente umano qui. E mi piace, mi piace la sua compagnia.
Realizzo quello che mi ha appena detto e il cuore comincia a battermi forte... una visita? Non aspettavo nessuno oggi.
«Chi è?» le domando in un misto di insofferenza e agitazione.
«Un tuo amico, un ragazzo molto carino. Lo stesso che ti ha chiamato la settimana scorsa, credo».
Comincio a rilassarmi un po' «Archie?».
«Proprio lui» conferma sfoderando uno dei suoi sorrisi rassicuranti.
Archie è qui... perché è qui? Non sono pronta per un contatto con l'esterno adesso.
«Non so se ho voglia di vederlo, Agnes» nella mia voce un timore che decisamente non si addice alla possibilità di quattro chiacchiere scambiate con il mio migliore amico .
Lei si avvicina con cautela posandomi una mano sulla spalla «oh, non essere sciocca, ha fatto un bel po' di strada per venire qui, significa che ti vuole molto bene».
«Lo so» mormoro, scoraggiata, «dammi qualche minuto però».
Ne avrò bisogno. Sono tesa, nervosa, ma come posso dire di no a del tempo con Archie? Come se mi fosse possibile dire di no a qualcunque cosa lo coinvolga poi. Gli voglio troppo bene e, cielo, mi è mancato da morire anche lui.
«Ok, allora lo porto nella sala gialla così intanto può mangiare qualcosa, la cuoca ha appena sfornato i muffin ai mirtilli, senti che profumino» inspira una boccata di celestiale aroma zuccheroso «però non farlo aspettare troppo» mi ammonisce mentre esce dalla stanza richiudendosi la porta alle spalle.
Va bene, posso farcela, respira Rae, respira... mi ripeto come un mantra pregando di convincermene davvero.
Le visite di cortesia stonano terribilmente con la mia vita qui, esattamente come il sole e il cielo azzurro. Finora le ho sempre evitate come la peste, le uniche eccezioni alla regola sono state un paio di telefonate di Archie e Chloe, ma anche in quelle occasioni ho sempre mantenuto il ruolo passivo di interlocutore limitandomi a grugniti e sussurri occasionali.
Adesso invece si tratta di ritrovarmelo davanti in carne ed ossa, di guardarlo e farmi guardare, sentire il calore del suo abbraccio e la sua risatina contagiosa. Sbagliato, è tutto sbagliato e inevitabilmente spaventoso.
Metto un golfino pulito che l'umidità appena trascinata dalla pioggia impone, lego i capelli come posso e infilo le scarpe che non indosso da tre settimane. Del resto le pantofole sono più adatte qui, più appropriate. In fine mi affaccio allo specchio, il quale non può che confermare il mio pallido colorito funereo e l'espressione preoccupata.
Esco dalla stanza e percorro lentamente i pochi metri che mi separano dalla mia vecchia vita... sulla pelle un brivido
Il primo di molti.

Eccomi di nuovo qui :)
Ho pensato molto se scrivere o meno una nuova storia su Rae & Company, e alla fine la nostalgia ha preso il sopravvento.
Lo scenario stavolta è cambiato completamente, l'avevamo lasciata alla fine di "To be continued.... ?" finalmente allegra e spendierata, circondata dall'amore di Finn e dall'affetto dei suoi amici, ma evidentemente qualcosa è andato storto.
Come è finita Rae ancora una volta in una clinica psichiatrica? La ragazza come ricorderete è un'adolescente, ma un'adolescente alle prese con problemi piuttosto seri. Quindi mi sono chiesta: come potrebbero mai convivere questi problemi con il desiderio di essere semplicemente un'adolescente, ora che Rae ha una vita piena di affetti? Una vita che vuole vivere intensamente, bruciando le tappe e rispettando le aspettative delle persone che la circondano.
Ciò che leggerete è il risultato di questa domanda, e presto seguirà un nuovo capitolo in cui verrà spiegato come Rae sia finita così lontana da casa e perché sia così abbattuta.
La storia ha già un capo e una coda, ma non ho ancora idea di quanti capitoli si comporrà, ho in programma di dargli una cadenza settimanale se ci riesco.
E niente, questo è tutto, al solito ogni commento sarà ampiamente gradito!
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > My Mad Fat Diary / Vai alla pagina dell'autore: Apricot93