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Autore: Afaneia    22/10/2014    1 recensioni
Il ragazzo che ha commesso l'errore di trascorrere una notte nella Torre Pokémon non esiste più. Da quella Torre è uscito un uomo adulto e privo di nome e di ricordi, cui non è rimasto che un obiettivo nella vita: vendicarsi degli Spettri che abitano il cimitero di Lavandonia. (Sequel de La Spettrosonda).
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Giovanni
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ultor'
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Capitolo IV – Gengar.


Dolcissimo, possente

dominator di mia profonda mente;

terribile, ma caro

dono del ciel; consorte

ai lùgubri miei giorni,

pensier che innanzi a me sì spesso torni.


Giacomo Leopardi, Il pensiero dominante.



La luce nel suo ufficio nella Palestra di Smeraldopoli che da poco si era conquistato era spenta. Sakaki sedeva immobile alla sua scrivania, mollemente adagiato sulla morbida poltrona di pelle.

Rifletteva.

Dopo quasi trent'anni di lavoro, aveva avuto la Spettrosonda tra le mani per pochissimo tempo, finché quel ragazzino taciturno non era venuto a impossessarsene. Eppure, per qualche motivo, questo non gli dispiaceva tanto come aveva pensato in un primo momento. La Spettrosonda era entrata in produzione, solo questo importava: entro pochi mesi sarebbe diventata uno strumento immancabile nell'armamento di qualsiasi allenatore e non vi sarebbe stato alcun luogo al mondo dove i suoi aguzzini avrebbero potuto trovare riparo, come egli stesso aveva profetizzato già da tempo. Che cosa importava se non aveva potuto trarne un profitto? Quello non sarebbe stato che un gradevole ornamento a una vendetta già di per sé perfettamente compiuta. Quel piccolo, ambizioso allenatore avrebbe aperto la strada a una innumerevole serie di profanatori dei misteri della Torre... ma non sarebbe di certo stato il primo in assoluto, pensò sorridendo.

La notte in cui aveva fatto ritorno al suo luogo natale era stata l'idilliaco coronamento della sua esistenza: egli non poteva ricordarla senza provare un senso di voluttà, di compiacimento che superava ogni altra sensazione mai provata. Era stata una gioia più profonda del guadagno, più totalizzante del potere, più inebriante del sesso. Socchiuse gli occhi per immergersi più profondamente nel ricordo di quella notte: gli sembrava di provare di nuovo ciascuna sensazione con tutto il proprio essere. Riviveva tutto con la medesima intensità: risentiva nelle narici l'odore della fredda pietra umida e della muffa, rivedeva la molle luce lunare che dalle alte finestre proiettava liquide pozze d'argento sul pavimento, riudiva l'echeggiare sonante dei suoi passi che rimbombavano tra le volte ricurve...

A Seel, amato compagno di avventure, fino all'ultima ora fedele. Aveva sostato a lungo di fronte alla lapide, percependola con tutti i propri sensi, come ritrovando un amore perduto, quasi a saziare una brama annosa. Per quanto tempo aveva desiderato trovarsi di nuovo lì, con una Spettrosonda tra le mani? Aveva assaporato quel momento voluttuosamente, senza fretta, per goderne ogni singolo istante, ogni minima sfumatura, dopo trent'anni che a quella notte erano stati interamente devoluti.

Solo dopo interminabili minuti, quasi a malincuore, se ne era strappato. Aveva salito le scale con passi lenti e misurati, gustando anche quel percorso con piacere inimmaginabile, ma non senza scopo: quel giorno c'era stato il funerale di un anziano Ninetales che era stato sepolto svariati piani più sopra. Egli si era diretto alla sua tomba, certo – per chissà quale interiore, forse insensata convinzione – che sarebbe stato proprio quello il luogo dove più facilmente avrebbe incontrato gli Spettri.

La lapide era nuova, lucida e bianca proprio come quella mattina di tanti anni addietro egli aveva visto quella di Seel. Anche su quella tomba Sakaki si era soffermato a lungo, pensierosamente: al funerale, cui aveva assistito dal fondo della sala affollata, aveva intravisto la famiglia a lutto. Eppure nessuno si era fermato a tenere compagnia a quel povero Ninetales, tutti insensibilmente l'avevano abbandonato subito dopo la cerimonia. Davvero quel povero ragazzo che egli stesso un tempo era stato e che in quello stesso luogo, pochi piani più sotto, aveva per sempre cessato di esistere trent'anni prima, davvero era stato lui l'unica persona in tutta la storia della Torre ad amare così tanto un Pokémon defunto da volerlo accompagnare fino alla fine nel suo ultimo viaggio? Eppure Sakaki non era riuscito a condannare la sua sciocchezza nel suo cuore, né vi riusciva suo malgrado ora, a distanza di mesi, mentre riviveva quell'avvenimento nella propria mente.

Quella notte aveva atteso come supponeva di aver fatto in quella che l'aveva preceduta di tanti anni, seduto sulla tomba con la schiena appoggiata alla lapide; ma quella volta – e il suo cuore tutt'ora si riempiva di eccitazione e soddisfazione al solo ricordo – egli teneva stretta in mano, appoggiata contro il ginocchio reclinato, una lunga Spettrosonda grigia...

Aveva atteso attraverso la notte senza fretta, coll'animo tutto pervaso da una straordinaria, ineffabile pace. Non nutriva alcun dubbio che gli Spettri sarebbero venuti: egli lo percepiva con sconcertante certezza nel proprio animo.

E in effetti, erano arrivati.

Sakaki li aveva percepiti nel buio prima ancora di vederli o sentirli. Era rimasto immobile, col respiro trattenuto, il cuore che palpitava nel petto e il sangue che gli scorreva fremendo nei polsi, quasi appiattito contro la dura lapide bianca di un defunto a lui sconosciuto; e poi, quando a quelle presenza ch'egli soltanto avvertiva nel buio si erano assommate le risate (ah!, quelle stridule risate sguaiate, agghiaccianti! Quale ricordo fortissimo del primo suo minuto di vita! Egli era rabbrividito e rabbrividiva tuttora al solo pensiero di quelle risate che avevano echeggiato per anni lungo i suoi incubi) ecco, allora egli era balzato in piedi e con calma voce profonda aveva parlato rivolto all'oscurità.

«Eccomi, sono tornato.»

Tutto era divenuto silenzio, un silenzio nel quale le sue parole avevano cessato di ripetersi nello spegnersi lento della propria eco. Allora, prima che le presenze avessero avuto modo di fare alcunché, con un unico gesto egli aveva alzato la Spettrosonda e l'aveva avviata: un fiotto di luce aveva folgorato la sala e Sakaki aveva visto di nuovo, ma da vincitore!, quegli Spettri neri dalle orbite vuote che avevano avuto ragione della sua mente.

«Qual è il vostro nome?»

Non aveva saputo trattenersi dal chiederlo, con foga selvaggia e un senso di onnipotenza, con una risata forse più agghiacciante delle loro, mentre con un flebile ronzio la Spettrosonda terminava l'identificazione e disperdeva l'energia usata dagli Spettri: e allora, e allora... egli finalmente aveva visto, dopo una vita spesa per quel solo attimo, i loro corpi!

E in un solo, cruciale istante egli aveva compreso a chi apparteneva la voce. I loro occhi si erano incontrati per un istante, ma non occorreva di più. Era un Pokémon unico, diverso dagli altri: il suo corpo appariva più solido, di un viola scuro che era come fumo divenuto carne, i suoi occhi erano malvage pozze rosse, e il suo ghigno bianco che si allargava sulla sua faccia deforme...

No, non era davvero occorso di più. Sebbene questo non fosse stato previsto nel suo piano originale, egli aveva saputo all'istante cosa fare, e senza soffermarsi a riflettere, senza rischiare di perdere quell'occasione irripetibile, aveva afferrato una Ultraball e l'aveva gettata.

Forse era stata una follia, eppure ora, seduto di fronte alla Ultraball poggiata sulla sua scrivania, Sakaki era certo di non aver vissuto per nient'altro che per catturare quella creatura. Che curiosa fatalità: se Jonathan Silph non l'avesse tradito e non avesse fondato una sua propria azienda con cui brevettare le sue ball...

La sua mano accarezzò la prigione del suo persecutore con un gesto che tradiva una sorprendente dolcezza. Quando la Ultraball si era richiusa e aveva smesso di vibrare, quella notte, tutti gli altri Spettri si erano defilati tra alte strida di terrore, ma questo non aveva importanza: Sakaki aveva catturato quella voce che era stata la prima che avesse udito nella sua vita, l'entità che, con ogni probabilità, gli aveva sottratto la memoria...

Proprio quell'entità era ora dinnanzi a lui, prigioniera per sempre della sua volontà. Non c'erano parole umane che potessero descrivere l'universo di sensazioni che quella consapevolezza cagionava in lui. Le sue dita continuavano a percorrere senza sosta un loro enigmatico percorso sulla superficie liscia di quella gabbia sferica, quasi con amore, come a volerla baciare con la sola pelle dei polpastrelli. Chissà quante ore aveva già trascorso ripetendo quel gesto, che era possesso e passione e mille altre emozioni...

«Signore, il ragazzo si sta avvicinando alle porte della Palestra. Che facciamo?»

Le sue dita si soffermarono sulla sfera lucida, ma egli non ne distolse lo sguardo. Con un lento, riflessivo movimento, dopo svariati secondi, premette il pulsante dell'interfono.

«Lasciatelo entrare.»

Gettò un rapido sguardo al vecchio Persian, che dormiva sul tappeto ai suoi piedi, e gli accarezzò il capo con un gesto consumato e fiacco, quasi meccanico, ma ancora affettuoso, come in quelle vecchie coppie che hanno trascorso assieme tutta la vita, e per cui ogni carezza non è che un riassunto di anni e anni di parole e di promesse e di esperienze, che non vale la pena ripetere, ma che ogni tanto fa piacere ricordarsi a vicenda.

Quel ragazzino che gli aveva strappato la Spettrosonda dalle mani aveva affrontato le sue reclute all'ultimo piano della Torre Pokémon e aveva liberato il signor Fuji. Questo non gli dispiaceva: non aveva mai voluto ucciderlo. Un bello spavento era tutto quanto egli meritasse, per la sua vigliaccheria, nell'economia della sua vendetta.

Il ragazzino gli aveva strappato anche il controllo della Silph Spa. Questo gli dispiaceva di più: quale magnifica occasione di guadagno, peraltro legale, sarebbe stata quell'azienda che aveva acquistato assai rapidamente un incredibile monopolio economico sulla regione di Kanto e sulla limitrofa Johto! Quella era l'unica vendetta che non era riuscito a condurre fino in fondo, considerò oziosamente, abbandonandosi contro lo schienale della poltrona di pelle e congiungendo pensierosamente la punta delle dita sotto il mento. Ma pazienza: non poteva davvero ottenere tutto, sarebbe stato pretendere troppo per chiunque. Si sarebbe accontentato del ricordo del piacere violento che aveva provato nel prendere possesso con la forza della titanica, pretenziosa sede di Zafferanopoli. Decisamente sarebbe stato un piacevole ricordo da portare con sé quello del terrore che aveva visto radicarsi negli occhi di Jonathan Silph quando aveva fatto irruzione, circondato da soldati armati, all'ultimo piano dell'edificio dove il suo presidente si era rifugiato e, cedendo a un certo gusto per la teatralità, gli aveva detto sorridendo: «Grazie per la Spettrosonda, Jonathan.»

Com'era cambiato Jonathan in quegli anni! Aveva stentato a riconoscere, in quell'uomo di mezza età con gli occhiali di corno e gli ordinati capelli già brizzolati, il composto completo blu in tre pezzi, quel ragazzo sciatto e spettinato con cui aveva trascorso tante sere fumando in giardino... Eppure l'aveva ritrovato egualmente, da qualche parte in fondo ai suoi occhi, e l'angoscia tremante della sua voce quando gli aveva chiesto piangendo di non fare follie, di limitarsi a prendere l'azienda (che sciocco! Davvero aveva pensato che si sarebbe macchiato le mani col suo miserabile sangue di traditore?), l'aveva ripagato di ciò che gli aveva fatto quel giorno a Lavandonia. Certo, sarebbe rimasto volentieri assai più a lungo a torturarlo sadicamente nel suo ufficio, velatamente minacciandolo di morte e strappandogli con perverso piacere suppliche e concessioni, preghiere e proposte di riscatto... Ma tutte le cose belle devono finire, dopotutto, e a quella aveva posto termine il ragazzino taciturno dagli occhi scuri, che con pochissime vittorie su di lui aveva mandato in fumo la sua vendetta su Jonathan Silph e, con la prossima che era certo non essere lontana, il suo impero criminale.

Sì, ora che la maggior parte del suoi piani era stata sventata, Sakaki sapeva che era solo questione di tempo prima che le prove a suo carico lo inchiodassero definitivamente alle attività criminose di Team Rocket. Anche questo era accaduto a causa di quel piccolo allenatore, certo, eppure verso di lui Sakaki non provava sentimenti di rancore o di rivalsa: nel profondo del suo cuore, egli sentiva già da tempo che, ora che la Spettrosonda era stata creata e l'obiettivo della sua vita realizzato, Team Rocket aveva esaurito tutta la sua funzione e la sua ragion d'essere e che non c'era più alcun vero motivo di proseguirne l'attività. Non aveva fondato Team Rocket che in nome della sua vendetta e anche se, doveva riconoscerlo, vi erano state occasioni in cui la brama di guadagno aveva preso il sopravvento su altri istinti ed egli se ne era lasciato trascinare, l'arricchimento e la criminalità non erano mai stati nella sua mente fini a se stessi.

Guardò l'orologio: secondo i suoi calcoli, quel piccolo ragazzo taciturno non avrebbe dovuto impiegare più di un'ora a percorrere la Palestra e sconfiggere gli altri allenatori. Allora avrebbe finalmente scoperto che era lui, Sakaki, a essere contemporaneamente il Capopalestra di Smeraldopoli e il supremo boss del Team Rocket, tutti i pezzi del puzzle sarebbero stati al loro posto... non aveva tempo da perdere, decise prima di allungare la mano a premere il pulsante dell'interfono.

«Sì, signore?»

«Chiama il Primo Ministro. Ho un affare urgente da discutere con lui.»

«Subito, signore.»

Molto presto, presumibilmente subito dopo la sfida che lo attendeva di lì a pochi minuti, sarebbe stato costretto a lasciare Kanto, se non voleva restare ad assistere al crollo del Team Rocket e sprofondare assieme a esso. Non che un'eventualità del genere lo cogliesse impreparato, ovviamente: aveva deciso già da tempo che se ne sarebbe andato presto, ma di certo non da solo.

Accarezzò un'ultima volta l'Ultraball sul tavolo e se la fece scivolare in tasca: a nessun costo l'avrebbe abbandonata, non dopo tutto ciò che aveva fatto per ottenerla. Le sue dita vi indugiarono a lungo prima di lasciarla, quasi a volerle ricordare l'eternità che ora li aspettava e che avrebbero affrontata insieme, in quanto mai più lo Spettro sarebbe stato libero e lontano da lui: i loro destini erano sempre stati indissolubilmente legati, dopotutto.

La sua segretaria gli passò la videochiamata del Primo Ministro direttamente sullo schermo principale: Sakaki vi si rivolse sorridendo. Era l'ultimo tratto ascendente della sua gloriosa parabola, l'ultimo atto del dramma della sua vita. «Buonasera, Ministro. Come sta?»

Ascoltò educatamente, per svariati minuti, le sue lamentele sui vari membri del Governo e sulle prossime elezioni, annuendo di tanto in tanto, aspettando con consumata strategia politica il momento migliore per venire al punto, sempre conservando un'espressione assorta e partecipe, pensierosa. Finalmente, quando il Primo Ministro parve disposto ad ascoltarlo a sua volta, congiunse nuovamente le punte delle dita sotto al mento, come se avesse appena concluso una profonda riflessione, e cercando di reprimere nella propria voce una vibrazione di compiacimento, domandò: «Ha più ripensato a quella mia proposta di costruire una Torre Radio a Lavandonia, Ministro?»


Fine.



Questo ultimo capitolo ha avuto una genesi un po' particolare. L'avevo già completato insieme a tutto il resto della storia durante la stesura principale, ma era essenzialmente brevissimo, più un vero e proprio epilogo, e già così mi soddisfaceva molto; ma durante una lezione, mentre stavo pensando a come migliorarlo, si è quasi riscritto da solo: non era previsto che Sakaki tornasse nella Torre Pokémon, né che catturasse Gengar (perché è appunto lui lo Spettro che cattura, se non fosse chiaro, e che si trattasse di un Gengar era chiaro nella mia mente già dalla stesura de La Spettrosonda). Insomma, Sakaki in questo capitolo ha fatto praticamente tutto da solo.

Che dire? Sono davvero grata a tutti anche solo per aver aperto le mie storie e non posso che augurarmi, dal profondo del mio cuore, che possano esservi piaciute anche solo un decimo di quanto a me è piaciuto scriverle.

Devo ringraziare con tutto il mio affetto crystal_93, Mad_Dragon e Sky98 per aver recensito; in particolar modo, rinnovo il mio ringraziamento a quest'ultimo per avermi suggerito la trama.

Un abbraccio e un bacio a tutti!

Afaneia


   
 
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