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Autore: HildaGreen    22/10/2014    0 recensioni
Branwen è figlia e apprendista di una strega e, per tale motivo, viene odiata e disprezzata dagli altri. Ma qualcosa inizierà a mutare dentro di lei dopo l'assassinio di sua madre e deciderà di vendicarsi, anche se questo significa affrontare la sola persona che le abbia mai voluto bene oltre a sua madre.
Genere: Dark, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C'era una volta un villaggio su cui discese la morte in una sola notte.
Alcuni affermano di aver visto da lontano migliaia di ali oscurare il cielo
Si pensa fosse una punizione per i peccati commessi dalla gente del villaggio ma, d'altronde, non esiste uomo privo di peccato...

La regina del villaggio morto era una donna sterile, quel guscio vuoto con cui si mostrava, non era altro che lei. Guardare più in profondità era impossibile, poiché non vi era niente. 
Era nata con la corona in testa, non aveva mai combattuto per nulla, non aveva alcuno scopo, se non mantenere la sua posizione. 
Era una solida pietra, grigia e levigata ma che, se veniva rotta, era ruvida e frammentata, ma sempre del medesimo colore, esattamente uguale.
Il principio di tutto, fu proprio l'inizio dello sgretolamento di quella pietra.
L'unico essere umano a cui teneva, poteva essere paragonato alla calda sabbia di una spiaggia, su cui la pietra era distesa adagio e mutava con essa.
Quell'uomo era il re, ed era ancora nel fiore dell'età, quando la sua malattia lo colse e lo costrinse a letto per lunghi anni.
Lui e la regina si erano uniti in un matrimonio combinato, ma non ne soffrirono, si conoscevano fin da bambini, quando giocavano insieme, per cui la donna non aveva mai accettato il malessere del marito.
Aveva convocato a corte tutti i medici dei regni vicini, ma nessuno era riuscito anche solo a trovare una spiegazione al male che affliggeva il re ed ogni volta la pietra si sgretolava poco a poco e questo la portò ad una decisione sofferta.
Dopo l'ultima delusione, si accasciò accanto al letto su cui giaceva il re, e gli afferrò la mano fredda con le sue, lunghe ed esili e se la portò alla guancia, su cui scendevano rivoli di lacrime.
-Mio signore, il medico che vi ha visitato oggi era il trecentunesimo, neanche egli è riuscito a curare la vostra malattia, che posso fare?
L'uomo ricambiò con un debole sorriso sulle labbra e la guardava con occhi stanchi e languidi.
-Chiama... lei- disse con voce roca e il respirò affaticato accelerò.
Gli occhi della donna si spalancarono. -Intendete proprio... lei? La... la...
La presa sulla mano dell'uomo divenne più fiacca ma poi la strinse con ancor più vigore. -La strega?
-Non credo di avere molte alternative a questo punto- il suo sguardo si spostò verso la finestra, sul plumbeo cielo autunnale. -Sento la vita affievolirsi in me. Lo farai?

Sul sentiero che conduceva alla solitaria casa nel bosco, vi erano delle donne, due semplici e bisbetiche donne di villaggio, accasate molto tempo prima con uomini che lavorano dall'alba al tramonto nei campi.
-Non mandare me avanti!- sbottò una inchiodando le punte dei piedi a terra. -Sei tu che devi chiederle un rimedio per la febbre di tuo figlio.
-Stammi vicina...- mormorò l'altra che le stava dietro e la teneva per la manica dell'abito.
La prima sbuffò.
-Non devi mai guardarla negli occhi! Dicono che potrebbe risucchiare la tua giovinezza!- la ammonì la seconda. -Per questo appare come una donna giovane, ma in realtà ha più di cent'anni!
In risposta, l'altra tirò il braccio, togliendole dalle dita la manica del suo vestito con lo sguardo di traverso.
Qualche passo ancora e giunsero alla piccola casa dalle pareti costituite da pietre di varia dimensione, dall'aspetto molto grazioso. Era circondata da una staccionata di legno, che delimitava un giardino ben curato e sempre fiorito, anche nei giorni più freddi dell'anno, con varie specie di piante, in particolare spiccavano degli alti girasoli, che si ergevano su dei folti cespugli.
Già a qualche passo di distanza si sentiva quel profumo intenso di basilico, rosmarino e rose.
Superato il cancelletto di legno, si avvicinarono alla porta e, fatto ciò che dovevano, uscirono dall'abitazione molto velocemente.
-G...grazie- biascicò la donna col figlio malato. -Però... devo aver perso le monete che avevo portato mentre giungevo qui.
-Ho capito- disse la giovane donna sull'uscio della porta. -Potete portarli la prossima volta.
La donna annuì e senza salutare, andarono verso il cancelletto.
-Avevi ragione, nasconde sicuramente la sua vera estetica!- bisbigliò una. -Com'è falsa! Io non nasconderei mai il mio vero aspetto.
-Buona giornata.
Si girarono e videro una giovane ragazza che stava annaffiando delle umili violette ai suoi piedi.
Le due si ammutolirono per un momento. -B...buongiorno.
E si affrettarono a lasciare quel posto, ma, dopo qualche passo, si voltarono ancora a guardare la ragazza che le osservò sparire tra gli alberi.
Una mano si posò sulla sua spalla. -Non far caso alle loro parole, Branwen.
-Quelle due non torneranno mai più- affermò lei con sguardo assente e poi si voltò a guardare la madre. -Perché lasci che ti trattino così?
-Scagliare una maledizione su di loro non cambierebbe la situazione, darei loro solo un reale motivo per ricevere le loro cattiverie. Anche fossi un contadino che lavora i campi, o la regina del mondo o, la strega quale sono, le persone parlerebbero sempre male di me. Tu sii sempre cordiale e rispettosa e non potrai che raccoglierne i frutti, la gratitudine di persone oneste ha sempre un buon profumo, non farti influenzare dagli altri.
-Ma non è affatto vero! Tu sei stata gentile con quelle donne, ma non cambierà nulla, ti tratteranno sempre male!
-Quelle persone, hanno solamente paura di ciò che non conoscono e non sono io a doverle giudicare. Prima o poi le loro azioni avranno una reazione, ma non sarà per mano mia.
Branwen distolse lo sguardo, non aveva nulla con cui controbattere ed il fragore improvviso di zoccoli irruppe fra i suoi pensieri e la terra tremò sotto i suoi piedi.
Passando dal cancelletto lasciato aperto dalle due signore, un uomo a cavallo entrò con impeto nella loro proprietà.
-Oh, un cavaliere della regina!- esclamò la donna.
Era un uomo robusto, dal portamento rigido, in sella ad un purosangue e portava con sé anche un vecchio mulo dagli occhi velati.
Branwen, invece, era intenta a guardare le sue povere viole calpestate dagli zoccoli del cavallo.
L'uomo, nella sua lucente armatura, iniziò a parlare con tono di superiorità. -Per ordine di sua maestà siete convocata al castello immediatamente, vi scorterò io stesso, in caso si opponga, ho l'ordine di attaccarvi.
-Buon uomo, prima di fare una qualsiasi richiesta, anche se della regina, sarebbero gradite delle  scuse per aver distrutto le viole che mia figlia ha piantato, ed in seguito risarcire il danno.
-Una donna del vostro calibro non dovrebbe avere alcuna pretesa. E ora mi segua.
-Vengo solo perché ho anche io delle scuse lasciate in sospeso.
La strega si volse verso sua figlia e le prese il viso tra le mani per baciarne la fronte.
-Bada alla casa finché non torno.
Branwen annuì, passando le dita il punto in cui l'avevano toccata le labbra della madre che salì in groppa al mulo e quello sembrò rinvigorire d'improvviso ed il suo manto divenne di un candido bianco.

Due guardie portarono la strega al cospetto della regina, seduta sul suo trono di morbido velluto a guardare gli altri dall'alto.
-Salve maestà!- la strega prese per prima la parola, sollevando in alto i polsi legati. -Siete così gentile da spiegarmi il motivo di queste corde? Mi avete fatta venire qui per arrestarmi? E' forse la mia arte un reato? 
Una guardia la spinse da dietro, costringendola a mettersi in ginocchio e, con una mano le premette la testa contro il pavimento gelido. 
La regina si alzò in piedi con un movimento solenne e scese i gradini, fino ad arrivare quasi a sfiorare con la punta delle scarpe il volto della strega.
-Avrei evitato volentieri di rivederti, ti ho fatta portare qui per una volontà superiore alla mia, il re desidera averti al suo capezzale.
La regina, seguita dalla strega e le due guardie, percorse gli eleganti corridoi del castello fino a giungere alla stanza del re.
Davanti alla sontuosa porta, vi era un'altra guardia che, al cenno della regina, aprì la porta.
-Mio signore, come richiesto, la strega è qui- disse con tono di sdegno, come provasse avversione per quella stessa parola, "strega".
-Falla entrare.
Con uno sguardo truce, la regina fece segno alla strega di andare e le guardie la spinsero all'interno.
La donna raddrizzò la schiena, cercando di essere disinvolta anche con le corde che le segavano i polsi. La regina era appena dietro di me.
-Per favore, lasciateci soli- affermò il re.
-Ma...
Il re sollevò la mano e la regina non poté che accettare sconcertata la sua volontà, ed uscì dalla stanza.
Appena il rumore di passi si allontanò, sul viso della strega apparve un sorriso e sembrò più rilassata di quanto non fosse in precedenza.
-Cosa vi è successo? Stento a riconoscervi.
-Ricorda a chi ti stai rivolgendo, potrei farti tagliare la gola per questo.
Lei sollevò le spalle con i palmi rivolti verso l'alto e le corde si ridussero in polvere.  -Sempre che tu ci riesca.
L'uomo sospirò. -Sono passati sedici anni, eppure non ti trovo affatto cambiata.
La donna si mise seduta sul bordo del letto, vicino a lui e gli mise una mano sul petto.
-Voi siete già a conoscenza che il vostro male è incurabile?- domandò lei. -Quale pena vi ha ridotto in queste condizioni?
-Io non vi ho mai dimenticata, neanche per un solo giorno e questo ha fatto si che un demone attecchisse al mio fragile cuore d'essere umano.  
-Neanche l'avervi reso incapace di procreare vi è stato di lezione?- sospirò la strega. -Mi avete fatta venire qui solo per vedermi?
-Adesso potreste rivelare l'esistenza di mia figlia, Branwen. Potrebbe succedermi e vivrete entrambe una vita migliore.
-Per vivere rinchiusa in questa prigione? Se avessi aspirato al potere, avrei usato i miei incantesimi su di voi molto tempo fa. Né la vostra infatuazione verso di me, né la mia verso di voi è mai stata opera di magia, ma di una forza più grande che è l'amore.
L'uomo sorrise e portò la mano tremante sulla sua guancia. -Portate con voi il mio ultimo respiro.

Branwen, con le mani nel terriccio umido, cercava di sistemare le viole che si erano salvate e riappianò la terra.
Quando ebbe finito, si alzò, si spostò il ciuffo dal viso e nel farlo si sporcò la guancia.
-Tua madre non è in casa?
La ragazza s'irrigidì al suono di quella voce e, voltandosi di scatto, trovò dietro di sé un ragazzo che doveva avere all'incirca uno o due anni più di lei. Era alto e aveva capelli dorati come spighe di grano al tramonto, era snello e le sue spalle non erano ancora molto ampie mentre la sua pelle aveva una tonalità scura e ambrata.
-Allora? Hai capito o no?
Branwen annuì con la testa ma la scosse subito dopo, con il viso in fiamme. -Mia madre non c'è. Però ci sono io...
Il ragazzo la fissava senza dirle nulla e lei abbassò lo sguardo di scatto. -Vado a...
Non fece neanche un passo che inciampò nel secchio con cui aveva annaffiato le piante. Si alzò subito dopo, ma aveva il vestito bagnato e sporco di terra.
-Non è nulla, davvero- affermò con un sorriso nervoso. -Torno subito.
Qualche minuto dopo si presentò di nuovo di fronte a lui, porgendogli la pomata per il mal di schiena di suo padre.
Senza una parola di ringraziamento, il ragazzo s'infilò la boccetta nel sacchetto di tela che portava al fianco.
Branwen deglutì. -Non è che...
Sussurrò e con le dita strinse il pesante tessuto della gonna. -Ti andrebbe di andare alla cascata qui vicino... insieme. Io ci vado tutti i giorni è davvero un bel posto e...
-Finché non mi fai pagare, posso accettare di essere amato dalla figlia una strega che non sa neanche chi sia suo padre, ma non farti strane idee, ti ridicolizzi solo ancor di più.
E con quelle parole di sprezzo se ne andò.

La regina, nonostante le fosse stato proibito, si trovava ancora dietro la porta della camera del re, ma non riusciva a capire nulla della conversazione che stava avvenendo all'interno.
Poi, all'improvviso, il silenzio assoluto.
Si accorse che stava battendo il piede a terra e si fermò all'istante per non essere sentita. Voleva sapere cosa stava accadendo oltre quella porta e non averebbe resistito ancora.
Appoggiò la mano esile sulla maniglia, l'abbassò piano per non farsi sentire e sbirciò all'interno.
Spalancò la porta, irrompendo all'interno della stanza. -Cosa gli stai facendo?
La strega staccò delicatamente le sue labbra da quelle immobili dell'uomo e si alzò in piedi.
La regina si lanciò verso il suo amato e gli prese il viso tra le mani.
-Non c'è stato nulla che abbia potuto fare per salvarlo, ma ora la sua anima è serena- dichiarò la strega voltando le spalle. -Il mio compito si è esaurito. Col vostro permesso, torno ai miei doveri.
-Non fare un altro passo!- gridò la regina.
La sua voce era rotta e le lacrime avevano inondato il suo viso come un fiume in piena. Con la mano tremante, teneva uno stiletto puntato alle spalle della donna.
-Tu... tu strega! Lo hai ucciso tu! Perché sedici anni fa non sei riuscita a farlo diventare tuo! E ora vuoi far soffrire anche me!
Il pugnale si ruppe in frantumi prima che riuscisse anche solo a sfiorarla.
-Per quanto ci provi, una pietra non può scalfire una montagna. Vi chiedo scusa.
Con quelle parole, la strega se ne andò e la regina scivolò in ginocchio tra le schegge del suo pugnale, continuando a versar lacrime amare.

Branwen, presa una manciata di mangime dal sacco, lo lanciò a terra e le galline si accalcarono per beccarlo e, dietro di lei, comparve sua madre.
-Oggi sei silenziosa- affermò la donna. -è forse successo qualcosa?
-No, nulla.
Rimasero qualche istante in silenzio e poi la madre parlò ancora.
-Lascia fare a me qui, vai in camera tua.
La ragazza si voltò a guardarla con espressione interrogativa. -Non è successo davvero nulla.
-Non discutere. Vai a studiare.
Branwen lasciò il sacco a terra e rientrò in casa, nella sua piccola stanza, anch'essa intrisa dal profumo di erbe, tanto forte da far girare la testa a chiunque non vi fosse abituato.
C'era un letto imbottito di paglia con sopra una leggera coperta e una piccola scrivania che seguiva l'andamento del tronco da cui era stata intagliata. 
Lì sopra vi erano vari fogli, penne d'oca ed un grosso e polveroso libro con la copertina rilegata in pelle grezza, che era appartenuto a sua madre, quando a sua volta era apprendista di sua madre.
Nonostante Branwen avesse superato la metà della pagine, non si ricordava che qualche incantesimo, come ravvivare il fuoco, far crescere una pianta rigogliosa ed impedire che la pioggia cadesse su di sé, erano i più semplici e di uso quotidiano.
Sua madre le ripeteva sempre: "utilizza la magia nel rispetto degli altri e della natura e mai per fini personali. Come la pioggia, così com'è necessaria, quand'è troppa causa danni, sia a chi l'ha subita, sia chi a l'ha utilizzata. La magia è come una qualsiasi altra arte, chi ne fa un uso improprio la infanga."
Aprì il libro su pagine causali e tolse i fiori che vi aveva lasciato a seccare per poi sparpagliarli sulla scrivania.
Passò lo sguardo su qualche riga del libro ma non era concentrata a sufficienza e si sporse dalla finestra, attraverso la quale non si vedevano che alberi a perdita d'occhio.
In giardino vi era sua madre con una delle tante signore del villaggio, venuta a chiedere qualcosa in cambio di un misero pagamento.
Stette un po' a guardarle e, quando sua madre voltò leggermente la testa, ebbe l'impressione che sapesse che lei la stava osservando anziché studiare, così si ritrasse nuovamente nella solitudine della sua stanza sopra il libro di magia e passò così il pomeriggio.
Sua madre non l'aveva mai forzata a studiare, trovava degli stratagemmi per cui avesse bisogno di farlo e ora non capiva perchè le aveva addirittura detto di non uscire da quella stanza.
Quando iniziarono a calare le tenebre della notte, Branwen era già distesa sul suo letto a fissare il soffitto e ripensava al modo in cui era stata respinta ieri dal ragazzo che le piaceva da quasi due anni. 
Non era un caso raro che le rispondesse in quel modo, tutti lo facevano, ma credeva che col tempo sarebbe riuscita a modificare il suo atteggiamento.
Non era affatto vero quel che diceva sua madre, che bisogna sempre essere gentili e rispettosi, le persone ignoranti persevereranno nel loro stato di chiusura come serrature senza apertura di scrigni vuoti.
Aveva sempre vissuto sola con sua madre in quella casa nel bosco, senza mai conoscere l'identità di suo padre e avendo solo contatti con le persone che andavano fin là a chiedere incantesimi, ma non aveva alcun rapporto con loro.
Conosceva il canto dell'usignolo, dell'assiuolo e della civetta, distingueva le orme di volpe da quelle di faina e, senza alzare gli occhi al cielo, sapeva sempre dire in che fase si trovasse la luna.
Quella notte, la luna si era tolta quasi completamente il suo velo da vedova per mostrare la sua pelle candida come una giovane fanciulla.
Nella gelida luce argentea, un corvo compì il suo volo e si andò a posare proprio sul davanzale della finestra aperta di Branwen.
La ragazza era scivolata in un sonno quieto in apparenza, ma i pensieri di poco prima erano filtrati nei suoi sogni e continuavano a tormentarla, mentre il corvo la fissava con i suoi piccoli occhi lucidi che possedevano tetro un riflesso sanguigno.

 

  
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