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Autore: pierres    22/10/2014    1 recensioni
[Charles BaudelairexAltro personaggio] [unhappy!ending - siete stati avvertiti]
E poi si rende conto, alla fine, che neanche le farfalle posso trarti in salvo se non sollevi lo sguardo dalla polvere e ti affanni a seguirle - ma anche che, se gli tagli le ali, non ha bisogno di farlo per tenerle al tuo fianco.
{di margherite e vesititi -sudari- e fiori del male}
Vincitrice degli Oscar Efpiani come Miglior Regia.
Genere: Introspettivo, Poesia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
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Franciscæ Maæ Laudes
farfalle di fiammiferi


 La parola bella è nata insieme lei
Col suo corpo e con i piedi nudi, lei
è un volo che afferrerei e stringerei...

 
 
 
 
 
 
 
 
Novis te cantabo chordis,
o novelletum quod ludis
in solitudine cordis.
 
Non c'è stato un giorno, un momento, un istante in cui Charles può dire di aver conosciuto Francesca. In un certo senso è come se il posto che le spettava fosse sempre stato lì, e lei ci fosse arrivata danzando in punta di piedi con le margherite sfiorite tra i capelli e gli occhi grandi e pieni di fuoco, pronta a fare una giravolta e sfiorargli i ginocchi con le pieghe del vestito chiaro, e aveva riempito quello spazio in maniera così perfetta che non c'era stato modo di accorgersene.
E Charles non l'ha mai nemmeno amata davvero, o almeno non in quel modo malato che gli è rimasto addosso per tutta la vita - Charles non l'ha mai amata davvero perché non ha mai saputo cosa significa, amare davvero, e non è sicuro di esserne pentito.
Ha consumato la sua vita come si fa con una bottiglia di vino, all'inizio con foga e tutta insieme, e verso la fine con riserva, come si fosse accorto che il divertimento stava per terminare - e sono state esperienze assurde, pericolose, ai limiti del decente, ma poi una camera e un soffitto e una finestra senza tende.
Ha scritto e composto di odio e di mare e di cose proibite, del profumo della pelle di Jeanne e della sfumatura dei suoi capelli - ma se le sue donne l'hanno portato al divertimento e alla perdizione, se lui stesso ci si è lasciato condurre, Francesca bruciava via lo sporco e levigava il grezzo.[I] Francesca era stata la sua stella durante il naufragio - e poi alla fine si deve ancora rammaricare se l'ha trascinata nel fango, visto che in fondo è già fatto con le lacrime?[II]
Ogni tanto canticchiava un motivetto terribilmente stonato, e quando ballava suonava un tamburello scampanellante - per Charles era la sua Esmeralda, un triste giardino di delizie che era stato aperto dall'interno solo lui - e aveva questa insana, autodistruttiva abitudine di vedere il bello in qualsiasi cosa, anche in ciò che gli altri avrebbero riputato deplorevole, e rideva, rideva così bene - c'è chi è bravo a scrivere, chi a rubare, chi a fare l'amore, e Francesca no, Francesca sapeva ridere in una maniera che nessuno avrebbe mai potuto imitare, o solo ricordare rendendole giustizia. Francesca fioriva in ogni risata, con le mani irrequiete e i piedi che ogni tanto improvvisavano un ritmo sconosciuto.
Eppure, nonostante il parlare svelto di chi è giovane e non ha tempo da perdere, nonostante il vago lucore del suo incarnato macchiato dalla strada - qualcuno doveva aver già sfiorato di baci gli avambracci candidi e le dita sottili, e saperlo faceva quasi male, saperlo faceva rabbrividire, l'attrazione e la repulsione che suscita una vecchia discinta, o un fiore decomposto, o semplicemente la purezza perduta - Francesca, per Charles, era triste come solo i fiammiferi sanno esserlo: l'emblema di una gioventù destinata a consumarsi e di una vita che, come tutte le cose, se la mangia il tempo.[III]
~
5 Gennaio 1843
Esto sertis implicata,
o femina delicata
per quam solvuntur peccata!
 
La prima volta che l'aveva vista ballava come una fiamma nei sobborghi parigini. Con quel tamburello in mano e un cappello sfilacciato per terra, luccicante di monete da poco, girava in tondo e scuoteva la testa, rideva in quel suo modo bellissimo - e Charles si è detto che sono state la mani svelte a rapirlo, le caviglie e i ginocchi che ogni tanto ammiccavano da sotto la gonna a balze, ma la verità è che quel sorriso non aveva misure o paragoni, e nessuno sembrava rendersene conto. La verità era che Francesca possedeva tutto ciò che gli era mancato: giovinezza, maliziosa innocenza e il bianco, il bianco del vestito che si muoveva velocemente guidato dalle dita agili.
E aveva gli occhi azzurri, ma non di un azzurro bello, di un azzurro vuoto - a Charles piacevano per questo, perché sono gli occhi di qualcuno che vive per strada, sono gli occhi di chi è stanco e lui gli ha visti fin troppe volte. Sono gli occhi di chi è giovane e prova ad accenderli, e Francesca ci riusciva, ogni volta, nonostante tutto - forse era quello che gli risultava così meraviglioso. Forse era quel fuoco appiccato a fatica dietro le iridi chiare, che lo chiamava come una fiamma con la falena - lui, in fondo, non era che un altro insetto vizioso che si trascinava su sentieri di fango, e chiedeva perdono a volti di pietra.[IV]
Ma nonostante lo sporco sotto le unghie, nonostante i piedi luridi e scalzi, Charles vedeva in Francesca ciò che si vede nell'acqua benedetta - il proprio riflesso distorto e pulito e santificato. Charles vedeva in Francesca una farfalla da inseguire per diventare il bambino felice che non era mai stato, e una consacrazione da accarezzare quando si sentiva troppo sporco per trarre davvero piacere da Jeanne - perché insieme erano due dannati che rotolano in un letto di chiodi, e non gli sarebbe importato di scaricare il suo fango su Francesca, purché lei lavasse via quelle colpe dalla pelle, anche solo per un po'.
Se avesse avuto soldi in tasca gliene avrebbe donati, e l'avrebbe adornata di fiori e ghirlande, rose e viole e margherite, come quelle stropicciate che aveva abilmente intrecciato tra i capelli, per chiederle perdono e assoluzione come si fa con una Madonna indulgente dall'alto delle nicchie nelle chiese, dove Charles si era sempre sentito fuori posto - i grezzi, immorali gargoyle si accovacciano sui grondoni e gli archi rampanti  e scacciano gli spiriti, ma non sarebbe bravo a fare nemmeno quello, lui che i demoni li alimenta di amabili rimorsi come i mendicanti nutrono i loro insetti.[V]
Quando Francesca smette di ballare qualcuno butta una monetina e passa oltre, e poi più nessuno la guarda, la gente procede per la propria strada - solo loro due, relitti abbandonati sui marciapiedi, e nessuno va a grufolare nella spazzatura, o almeno nessuno che non sappia riconoscere il fascino nelle cose ripugnanti.
«Fatelo ancora»
Sa perfettamente cosa l'ha spinto a dirlo - vuole vederla di nuovo guizzare come fuoco, ridere e ammaliare senza essere volgare, risplendere di quella sua luce bianca sotto allo sporco della stoffa e della pelle - e non ci crede neanche per un istante, che potrebbe dire di no. Come le farfalle non le importa di sprecare la sua bellezza, vorrebbe implorarla di non morire mai - la natura è egoista e le fa sfiorire dopo un giorno.
Non è che risponde, e non sembra nemmeno sorpresa, sorride a basta - non è vero che per dare solennità ad un istante deve mancare il sorriso, perché i suoi occhi sono pieni di qualcosa che Charles non riesce a definire - ma va bene così.
Francesca fa trillare il tamburello, scuote i capelli, muove gli avambracci di velluto e i piedi scalzi - l'amore per il bello lo sta consumando, pensa mentre ride solo per lui, perché la grazia ha sempre un prezzo e il suo è morire dietro al sorriso di Francesca, e non avrà l'onore di dare il suo nome all'abisso che gli servirà da tomba.[VI]
 
~
 
Piscina plena virtutis,
fons æternæ juventutis,
labris vocem redde mutis!
 
Un pomeriggio erano distesi accanto sull'erba, era primavera ed è stato un attimo solo - di certe cose ti convinci gradualmente ed altre ti appaiono all'improvviso, e sono sempre le più chiare e assolute verità.
Così Charles ricorda il preciso istante in cui ha realizzato quanto la sua luce lo riscaldi indirettamente - il calore passa sempre dal corpo più caldo a quello più freddo, questo l'ha studiato e l'ha sperimentato in così tanti modi, ma mai così intensamente -  ed erano i giardini dietro a Notre Dame, erano le campane suonavano la messa di mezzogiorno e tutto dannatamente intriso di colori così vividi da far male agli occhi.
Distesa supina sotto un albero, Francesca guarda il cielo che filtra da dietro la bucherellato coperta di foglie, pensando a chissà cosa, poi si gira e gli sorride. Solo un sorriso, ed è bello, ma nulla di particolare, nulla di più dei suoi normali sorrisi fioriti - eppure in quel preciso istante, con il verde dell'erba negli occhi e il suo profumo nelle narici e il suono quotidiano delle campane nelle orecchie, Charles aveva respirato, uno di quei singolari momenti in cui inspiri così tanta aria e così buona da farti credere che ti possa bastare per una vita, ed era stato solo quel gesto, quel riempirsi di cose belle e piene di luce, a restare nella sua memoria come impresso a fuoco più e più volte.
Francesca che sorrideva come se sapesse, se sapesse qualsiasi cosa avesse bisogno di sapere, e le andasse bene così - come se lui non fosse che un altro di quei fiori strani in cui nessuno vede la bellezza tranne lei, che sa amare anche quanto più c'è di sbagliato e ripugnante al mondo. Non si spiega perché continui a preferire la sua compagnia a quella di tanti altri - e non è modestia, perché Charles sa come sedurre una donna e sa che in molte non disprezzano affatto la sua vicinanza, ma quando si parla di insetti va bene, quando si grufola tutti nello stesso fango allora non ha più importanza ciò che succede. È questo il bello dell'essere un relitto, che puoi peccare così tante volte da perderne il conto e ci sarà sempre qualcuno pronto a farlo con te.
Ma Francesca, sebbene viva per strada, appartiene alla stessa casta delle margherite e le giornate di sole, e Charles ha imparato a guardarle solo da lontano certe cose, per non macchiare con le sue dita nere di vizi il bianco dei petali o la luce o anche solo il suo vestito pieno di risate e sospiri.
«Come pensi che sarebbe una casa nostra? Solo nostra, intendo» chiede, le sopracciglia corrucciate come davanti a un terribile dubbio - ed è triste quel solo nostra, quel fatto che si trovano immersi in una realtà così scadente, fatta di camere d'albergo o palazzi abbandonati condivisi con altri vagabondi, da dover specificare qualcosa di così apparentemente ovvio.
Forse la domanda lo spiazza o forse no, con Francesca non si può mai sapere. Non ha mai pensato di dividere la casa con qualcuno, di abbandonarsi a quel senso di quotidianità che caratterizza la vita vuota delle persone insulse - una moglie e così tanti obblighi, così tante regole da rispettare, e i soldi da portare a casa e la fedeltà coniugale e un sacco di altre cose che spengono la vera ragione di essere della gente. Esercito, matrimonio, chiesa e banca: i quattro cavalieri dell'apocalisse.[VII]
A Charles basta la compagnia di Jeanne, gli basta sapere che può averla quando vuole - non importa davvero che non sia solo sua, non è poi una persona così egoista - ma con Francesca, appunto, non si può mai sapere - non la biasima perché non potrebbe aspettarsi altro dai sogni di lei, le campane continuano a suonare e i suoi occhi riflettono l'azzurro del cielo, mentre attende una risposta che la faccia sorridere un po' di più.
Charles ha una vaga idea di un appartamento grigio nei sobborghi di Parigi e di Francesca che, piano piano, si spegne come qualsiasi cosa lui tocchi, e non è da lui riservarsi di dire ciò che pensa, ma l'unica cosa che può regalarle, misero e squattrinato, è una risata - e forse ciò che dice potrebbe anche essere la verità, se non fossero condannati alla nascita.
«Avremmo letti pieni di leggeri odori, divani profondi come tombe, e fiori strani sulle mensole, come quelli che adori, aperti per noi sotto i più bei cieli»[VIII] le mormora come si fa con una fiaba della buonanotte, e lei è felice, ce l'ha scritto in faccia.
«Fiori strani sulle mensole...» bisbiglia, più a se stessa che a qualcuno in particolare, e poi ride tra sé, forse perché ha capito quanto sia utopistica la versione che le ha dato - ma entrambi vogliono crederci così disperatamente che va bene lo stesso.
Quando si volta, nei suoi occhi Charles vede una malizia che non si addice alla sua aria da bambina e un qualcosa di più profondo e radicato al quale non sa dare un nome, forse malinconia profumata di estati di un'infanzia vissuta per strada.
«Dovremmo continuare a conservare i nostri sogni, Charles. I saggi non ne hanno di così belli come i pazzi.»[IX]
 
~
 
Quum vitiorurn tempestas
turbabat omnes semitas,
apparuisti, Deitas.
 
La prima volta che l'aveva abbracciato, abbracciato davvero - non quegli abbracci vuoti che riempiono i silenzi tra gli amici e gli amanti, quegli abbracci che sono abbracci e basta, che ti stringono forte per rimettere insieme i pezzi - era una mattina fredda all'insegna dei postumi di droghe e sbornie, quando lo sballo della serata inizia ad apparire esattamente per quello che è sempre stato: un modo per procurarsi estasi e piaceri effimeri, debiti su debiti e un mal di testa terribile come souvenir.
Era disteso sul letto a pancia in su, semiaddormentato tra vestiti non tutti suoi, e probabilmente Lisette - o era Reinette? - doveva già essersene andata, perché quando aveva aperto gli occhi ci aveva trovato solo Francesca, seduta sul pavimento a gambe incrociate. Strappava gli infiniti petali di una margherita sgualcita, assorta in chissà quali pensieri - c'è quel momento strano in cui la persona che hai davanti non si è resa conto che la stai guardando, e tu puoi farlo in tutta calma e si scoprono sempre cose nuove, come che i suoi capelli ai primi barlumi di sole riflettono l'oro dei raggi, e che le lentiggini che le ricoprono il naso quasi non si vedono, così in controluce come un'apparizione.
Quando si volta e lo vede non è felice - Charles lo sa, forse perché ha gli occhi chiari e non possono che essere trasparenti, forse perché a mentire non ci riesce proprio, per quanto ci provi - o forse non ci prova neanche.
«Ti hanno raccattato davanti all'Arco di Trionfo. Deliravi sull'inutilità del vino con una bottiglia sotto braccio - decisamente coerente da parte tua.»
Ciò che emette è a metà tra uno sbuffo e una risata, neanche lui sa bene quale dei due maggiormente, e rompe il silenzio di ghiaccio che si è formato poco dopo l'affermazione atona di Francesca. Le coperte del letto sono fredde, ormai, e la testa gli duole ma neanche tanto, perché in fondo è una cosa più o meno abituale.
Si alza, fingendo di notare il suo sguardo vuoto - se fosse arrabbiato sarebbe meglio. Deluso, amareggiato, divertito, andrebbe bene qualsiasi cosa, ma quando lo guarda così Charles sa che aspetta una spiegazione che lui non darà e delle giustificazioni che non verranno.
«Dovresti smetterla. Dico davvero, Charles-»
«Smetterla?» ride, quasi derisorio, e forse ne rimarrà ferita ma non importa, perché ogni tanto il suo essere così bambina lo irrita, ogni tanto vorrebbe solo vederla affondare nel fango e macchiarsi le mani, il volto, il vestito, avere l'onore di farle capire come vivere davvero la vita, e quali sono i veri divertimenti e la perdizione, che è il più grande tra tutti.
«Per annegare il rancore e cullare l'indolenza Dio ha creato il sonno, e gli uomini hanno aggiunto il vino.[X] Del primo già mi privano i debiti e il mio patrigno col suo dannato notaio, ed ora tu vorresti togliermi anche il secondo - e poi dimmi, cosa faresti di questo vecchio relitto? Quale dannato posto vuoi trovare per uno come me?»
Per un martire della cattiva strada,[XI] pensa, e le sue riflessioni hanno lo stesso tono iroso delle frasi che ha sputato tra i denti.
Francesca non risponde. Il suo sguardo non è mutato - sempre quegli occhi vuoti e quel sorriso che non vuol dire nulla, forse tristezza o sconforto o nera ironia. Quando si alza il vestito si muove appena attorno alle caviglie magre, va verso di lui e questo ondeggia ad ogni passo dal tonfo attutito, e quando lo abbraccia - lo abbraccia davvero - Charles riesce a sentirne la consistenza, il tessuto grezzo di bassa qualità che luccica e scivola come seta tra le sue dita indolenzite.
«Da dove nasce questa tua infinita tristezza, Charles?»[XII] sussurra con voce rotta.
E ottusamente si dice che non è triste, che è arrabbiato, che le ha appena urlato contro e lei è venuta ad abbracciarlo - non ha senso, Francesca profuma di buono e riscalda il cuore ma si sbaglia, e allora perché non ha il fiato per controbattere?
E allora perché affonda la testa nella sua spalla ossuta e la stringe più forte?
 
~
 
Quod erat sporcum, cremasti;
quod rufius, exæquasti;
Quod debile, confirmasti.
 
 
Quando gli mancò per la prima volta, invece, era quella strana ora di pomeriggio in cui non capisci se è ancora giorno o sera, e disteso a letto con Jeanne tra le braccia e guardava il soffitto macchiato d'umidità.
Non è esattamente un mancare, e nemmeno un pensarla - è, più specificatamente, la prima volta in cui si rende conto di quanto ricordarla gli scaldi il cuore. Ma non è neanche questo, no, non è uno scaldare il cuore - quello succede agli innamorati - e insomma, alla fine neanche Charles sa bene cosa sia, ma veloce come un lampo e altrettanto luminoso gli salta in mente il suo volto e il petto si riempie di qualcosa a cui non sa dare un nome - non è piacevole o spiacevole o chissà cosa, si riempie e basta, schiacciando e allontanando un sacco di altre cose inutili.
Quando ore dopo Jeanne copre la pelle calda e scura con veli quasi trasparenti e, conscia del fascino che esercita il suo incarnato esotico su di lui, se ne va lasciando scoperta una spalla in quella maniera dannata di cui è capace solo lei, Charles lancia un'occhiata distratta alla finestra e nota che è ancora notte.
Si siede alla scrivania - la candela è accesa e gocciola di cera bollente sul legno scheggiato - e rimane pensoso a fissare fuori dalla finestra senza motivi apparenti - Francesca è stata lì quel pomeriggio, c'è qualche petalo strappato in giro e le tende della stanza le ha sistemate in modo che coprano la Senna e gli mostrino solo il cielo, perché così si sarebbe ricordato sempre di quanto è bello l'azzurro e Charles ha pensato, scioccamente, che per quello bastavano i suoi occhi.
Quando Francesca lo prende per mano - succede ogni tanto, quando deve mostrargli qualcosa di emozionante o semplicemente quando camminano e lei intreccia le proprie dita alle sue e fa dondolare le braccia come una ragazzina - Charles avverte distintamente ogni cosa dentro di lui diventare fredda, ma quando lo fa Jeanne, il calore parte dalla punta delle dita, si irradia per tutto il corpo, lo rende estatico. Non riesce a comprendere perfettamente come mai con Francesca succeda l'opposto, ma pensa che forse è perché il freddo rende ogni cosa più limpida, chiara e azzurra - come fa lei.
Il freddo serve per congelare tutti quei mostri che si crogiolano nel calore dei rimorsi e dei vizi, stanziati nel suo petto e nutriti di lacrime e sogni impuri. Lei ogni tanto li allontana ballando, ogni tanto ridendo, o prendendolo per mano, ma tornano, tornano sempre e Charles non vuole mandarli via - Charles vede in Francesca la salvezza, è vero, ma questo non significa che voglia assecondarla - non è così semplice come sembrava, in fondo.
È in notti come queste che riflette su quanto sarebbe effettivamente meglio lasciarla andare - a lui le perversioni cadono addosso come il miglior vestito del sarto, ma non c'è motivo di immolare anche lei sull'altare delle debolezze che cerca ingenuamente di assiderare.
Ed è in giorni come quello che seguirà che corre di nuovo a respirare il suo profumo e ascoltare la sua risata - anche l'egoismo, ne è consapevole, gli è sempre calzato a pennello.
 
~
 
 
Adde nunc vires viribus,
dulce balneum suavibus
ungentatum odoribus!
 
Ogni tanto, apparentemente senza logica - o forse c'è ma Charles deve ancora trovarla - Francesca fischietta un motivetto stonato con lo sguardo rivolto verso l'alto, mentre scruta il sole verticale di mezzogiorno - non per forza a mezzogiorno, ma quando ha iniziato a notare il fatto che lei lo faceva spesso era effettivamente mezzogiorno, un mezzogiorno di primavera, per l'esattezza. Quando Charles prova ad alzare gli occhi la luce gli fa strettire le palpebre dal fastidio, ma per Francesca non sembra essere lo stesso - ha le pupille ridotte alla grandezza di spilli e gli occhi umidi di lacrime, ma continua a tenere lo sguardo fisso al cielo, forse senza nemmeno rendersi conto del disturbo.
Lui, abituato a vedere solo ricordi di soli[XIII], quando la stringe ha paura di scottarsi e quando la guarda di bruciarsi gli occhi, quando sente il suo profumo sa che è quello della primavera e delle cose buone e che come il sole aumenta le forze e fa tornare il sorriso - Francesca continua a guardare in alto e lui inizia a chiedersi se poi non sarà triste dell'immagine violacea della stella che le rimarrà impressa anche sulle palpebre chiuse, perché continuerà ad averla davanti agli occhi ma non sarà mai l'originale.
E poi si chiede anche se il problema non sia questo suo passatempo di vedere le cose sempre dal punto di vista peggiore.
Ma è consapevole che, se quel sole che adesso tanto ama prima o poi le volterà le spalle - perché così è successo con lui, perché adesso ha davanti agli occhi solo un ricordo sbiadito di ciò che era un tempo, perché la bellezza per la maggior parte delle volte è così meschina e cerca di non pensare mai a quanto potrà esserlo quella di Francesca - lui resterà ad aspettarla finché lei non avrà le braccia a pezzi a forza di abbracciare nuvole,[XIV] e allora insieme abbasseranno lo sguardo verso l'asfalto e cammineranno senza prendersi per mano.
E moriranno senza esser mangiati dai vermi.
 
~
 
In fame mea taberna
in nocte mea lucerna,
recte me semper guberna.
 
Un giorno - era un martedì, se lo ricorda bene perché aveva giocato sul tempo e perso, come d'abitudine - sui gradini di Notre Dame una vecchia lanciava briciole di pane ai piccioni, con un fazzoletto consunto a coprirle i pochi capelli e la fronte macchiata. Poco più in là, diversa quanto più possibile, Francesca sedeva sul pavé e guardava in alto - più una cosa è alta e apparentemente pericolante e più la affascina, Charles l'ha scoperto già da un po', precisamente quando l'ha vista costruire un castello di carte solo per osservare il modo in cui poi cade.
Con un giornale in mano e un caffè nell'altra, immobile al centro della grande piazza, sotto una facciata di volti mostruosi e santi esigenti, guarda Francesca e appare così piccola - così giovane, le caviglie che ruotano, le mani tra i capelli e gli occhi che riflettono il cielo. Quando si alza, avanza quasi timidamente e si siede accanto alla vecchia per lanciare pane raffermo ai piccioni, e in pochi istanti già ridono entrambe - Francesca dice sempre la cosa giusta al momento giusto, è un qualcosa con cui ci nasci, non certo una prerogativa dei dannati - una con le gengive grigie e senza denti, l'altra che semplicemente fiorisce e fiorisce sempre di più, finché non gli sembra che tutta quella luce sia davvero intollerabile - nessuno ce la fa, a vedere sul serio Francesca. Solo Charles sa di riuscirci, perché altrimenti la gente non potrebbe osservarla ballare e poi andarsene senza nemmeno lasciare una moneta, non potrebbe guardarla raccogliere le sue cose e andar via senza inseguirla - come fanno a non capire quanto sia unica e lucente, come fanno ad avere qualcosa che valga più della dignità che si perde ad inseguire una mendicante, come - forse lui l'ha cercata, quel pomeriggio di Gennaio, perché non aveva da rimetterci, forse è vero, ma se avesse avuto qualcosa oltre a soldi vacui e valori morali traballanti, l'avrebbe gettata nella Senna come si fa con l'immondizia.
Quando alza lo sguardo lo vede - non sa come faccia a vederlo sempre, nel mezzo ad una folla di gente col cappello e la barba e il caffè in mano, magari anche lui brilla in un certo particolar modo ai suoi occhi, ma non vuole davvero sapere di che colore è la sua luce - ed è una frazione di secondo prima che sorrida ancora - Dio, non si stanca mai?
«Sto solo cercando di portarti a fare la cosa giusta.»
Charles sente la sua voce e quella frase ancora e ancora, ogni volta che un disgraziato chiede le elemosina e una prostituta alza la gonna e anche quando le vecchie sole danno da mangiare ai piccioni - a Francesca non frega niente dei piccioni, ma la solitudine sa fin troppo bene come curarla. Ma nonostante tutto, ogni volta, continua a perdersi e voltarle le spalle, forse perché sa che qualsiasi cosa faccia lei sarà sempre lì e non riuscirà mai davvero a lasciarlo - se c'è un'altra cosa che Charles ha capito, è che anche lei, alla fine, di notte torna a rannicchiarsi al freddo sulle panchine che costeggiano il fiume, da sola.
Se sapesse che ha davvero l'intenzione di andarsene, magari qualcosa cambierebbe - o magari sarebbe solo un'altro fiore appassito tra le pagine di un libro. E un altro impuro e malefico, nato dalla maligna terra, rappresenterebbe il frutto di tutte quelle giornate passate a respirarsi tra i capelli - anche il male ha i suoi fiori, in fondo, e forse sono persino più affascinanti di quelli del bene.[XV]
Le fa cenno di venire e se ha capito non lo lascia intendere, ma poi si alza e lascia sola la vecchia - non sa cosa avrebbe fatto se fosse stato qualcun'altro a chiederlo, se sarebbe rimasta seduta a far compagnia ad un'altro relitto con pane secco e niente dèi, o se si sarebbe incamminata verso di lui come sta facendo adesso, lasciandosi alle spalle gli sguardi di rimprovero delle statue dei santi.
E non sa se sia solo una coincidenza, non sa se abbia una sua qualche importanza, ma è certo che ogni volta che si affaccia nella sua mente l'idea di rinunciare a questo ingenuo tentativo di ottenere la felicità stroncando quella di qualcun'altro, Francesca da prova di non essere più così cristallina come la prima volta che l'ha incontrata - se si è spinto fino a questo punto, allora tanto vale arrivare fino in fondo.
 
~
 
Sicut beneficum Lethe
Hauriam oscula de te,
quæ imbuta es magnete.
 
La prima volta che l'aveva baciata era autunno e probabilmente voleva sentire di nuovo il sapore della primavera. Le sue labbra non sapevano di niente e le mani erano fredde e tremanti - a Charles di nuovo andava bene così, perché lei è acqua e non può avere un sapore, perché nonostante il gelo incombente indossava sempre il solito vestito bianco e la sentiva rabbrividire mentre la stringeva tra le braccia, forse di freddo o forse anche no.
Baciare Francesca non aveva prettamente un inizio o una fine - come tutto con lei, era sembrata la cosa più naturale del mondo, quasi avesse vissuto per l'esatto momento in cui le sue dita passano tra i capelli di lei - e per un istante, solo per un istante, aveva perso il conto del tempo - era stata una cosa strana.
Aveva baciato tante donne, tra amanti occasionali, prostitute e compagne abituali, e si ricordava dell'impazienza, delle mani che frugano, dei gesti esigenti, del sapore della pelle e delle labbra di tutte, ma non come bacia chi è innamorato - quasi innamorato, più o meno, forse. Probabilmente era un dettaglio nella catena dei ricordi della sua giovinezza, dei tempi di un liceo dal quale era stato sbattuto fuori, quando ancora poteva definirsi più sciocco - quando pensava di essere un uomo vissuto e scriveva poesie di delusioni e non aveva idea di ciò che lo aspettava più avanti.
Sentiva che a quel bacio mancava qualcosa, o forse, meglio ancora, che aveva qualcosa in più: loro due sotto la pioggia, immobili come statue annerite dal tempo, che si sfioravano lentamente incuranti delle toppe sui vestiti e lo sporco tra i capelli.
L'amore dei miserabili, in fondo, non ha niente di diverso da quello dei ricchi.
Mentre la stringe più forte e si perde nel suo respiro bollente, non vuole baciarla con più foga né slacciarle abilmente il corsetto né portarla all'Hotel de Pimodan, semplicemente va bene così - restare lì con l'acqua nei vestiti e le labbra di Francesca un po' sulle proprie, un po' sul cuore. Sente il suo respiro ed è caldo, nonostante il gelo - chi vive per strada ha imparato ad accendere fuochi e non tutti su un marciapiede pieno di immondizia. Ma sopratutto, baciare Francesca, sporcarla più di quanto abbiano già fatto le sue mani indiscrete e i suoi fiori rubati sulle rive della Senna, ha quel senso di profondo egoismo di cui non può fare a meno - ogni tanto ci pensa, che sconsacrare qualcosa di puro non farà altro che far diventare lui stesso ancora più sporco, ma la tentazione è così irresistibile - forse è un po' un suo dovere, farle conoscere il mondo reale. Forse sentirsi dispiaciuto fa parte del programma.
«Non riesco a capire se mi porterai in alto o ancora più in basso di quanto sia già» sussurra, ancora non perfettamente lucido - il vago odore delle margherite tra i suoi capelli continua ad inebriarlo un po'.
Lei sorride e il leggero spazio tra gli incisivi sembra rendere il tutto più consapevole e familiare, perché ha visto tante volte quel sorriso e tutte le volte lei ha detto qualcosa di rassicurante - Francesca dice sempre cose rassicuranti perché l'ha mandata Dio o forse il Diavolo, che per Charles sono la stessa cosa, e magari la salvezza non è sempre dove ce l'aspettiamo, magari è più in basso di quel che crede la gente.
«Chi davanti all'amore osa parlare dell'inferno?»[XVI] canticchia lei - sarebbe una bella frase per una poesia, se non fosse troppo impegnato a riempire i suoi occhi del peccato che languisce nei propri.
Sono io che ti sto portando in basso, e le tue spade sono a pezzi come la mia gioventù, cara.[XVII]
 
~
 
Meos circa lumbos mica,
o castitatis lorica,
acqua tincta seraphica;
 
La prima volta che l'ha infangata e usata nella maniera più vile possibile, era pomeriggio ed era Dicembre e pioveva, pioveva così tanto che, Charles lo sperava, magari il rumore della pioggia avrebbe attutito le grida del senso di colpa.
Lei brillava di quegli ultimi istanti di luce di una candela, quando la fiamma diventa alta e virulenta, riluceva di castità e gocce di acqua serafica, mentre la sua carnagione diventava nera - ad ogni tocco della sua mano sulla pelle nuda, Charles la vedeva marcire e macchiarsi sempre di più, diventare livida da far paura.
E sembrava di fare la danza dei fiammiferi, quel passatempo triste e vecchio quanto il mondo che i bambini giocano nelle sere di noia davanti al caminetto. Un fiammifero fermo, infilato nell'angolo della scatola di cartone così spiegazzato da non reggere più nemmeno la forma, e un altro con la capocchia appoggiata su quella del primo, il gambo aperto come un ventaglio a formare una gonna fiabesca - quando la bacia di nuovo lei non trema più, quando la stringe tra le braccia intreccia le dita attorno al suo collo ed è ancora bella ma decadente come un'ala a pezzi, una chiesa sconsacrata, ma non è poi così bambina e magari non è la prima volta, magari non lo farà sentire così in colpa, o magari sarà il suo passo definitivo verso un inferno di piaceri e rimorsi.
Poi, con un terzo fiammifero, si accendono le capocchie dei primi due e la fiamma si innalza pungente all'inizio - le acconciature che cadono in fretta e i vestiti e le margherite sul pavimento - e poi basta, poi brucia e distrugge e la danzatrice gira intorno al ballerino, immobile dell'angolo della scatola, con la gonna in fiamme che sembra la coda di fuoco di un pavone e si attorciglia attorno al corpo dell'altro come un velo o un sudario - non l'ha mai vista brillare così tanto né danzare così bene, e Charles pensa che forse potrebbe anche valerne la pena, che per Francesca, in ogni modo, è sempre valsa la pena di tutto, e che è così dipendente da ogni suo sospiro e bacio, in un modo in cui Jeanne non potrebbe eguagliarla, in un modo in cui nessuno potrebbe capire, forse se sono tutti e due vittime la colpa non è di nessuno o magari di entrambi - e alla fine non c'è più nulla da consumare, le fiamme si estinguono e restano solo due fiammiferi carbonizzati ancora stolidamente uniti per la capocchia e non si staccheranno se non li trascini l'uno lontana dall'altra, uniti in quella danza triste che è la morte o probabilmente l'amore - Charles vorrebbe urlare e tagliarsi le mani e scorticarle la pelle finché non torna a brillare come ha sempre fatto, perché adesso è così fioca che sembrano gli ultimi respiri di una brace morente, e i suoi occhi sono pieni di una consapevolezza che non dovrebbero avere, le margherite languiscono sul pavimento e ogni petalo sembra accusarlo e chiedergli perché, Francesca continua a guardarlo e non vuole spiegazioni perché entrambi sanno cosa hanno fatto, non vuole altri baci perché ha le labbra già così rosse eppure lui le vede nere, non vuole niente e anche 'sta volta capisce che resta in silenzio perché non è stato lui a sbagliare, l'hanno fatto entrambi, eppure si sente così responsabile perché alla fine non ce l'ha fatta perché lei continua ad essere così bella anche distrutta perché era così perfetta e perché proprio lui da salvare, perché non qualcuno che avrebbe avuto un minimo di possibilità?
E come con la danza dei fiammiferi, alla fine se ne esce sempre distrutti.
 
~
 
Velut stella salutaris,
in naufragiis amaris...
Suspendam cor tuis aris.
 
La prima volta in cui, infine, ha visto la sua luce che si stava lentamente spegnendo, come una lucciola stanca che intuisce solo ora di quanto sia densa e illuminabile la notte, era un pomeriggio di sole e Francesca lasciava penzolare le gambe pallide e impataccate pochi purpurei ematomi sui bordi della Senna.
Lui, seduto accanto a lei, contemplava in silenzio quello scuro fiume di escrementi, rifiuti e vite tristi troncate di netto da un salto avventato e qualche lacrima di troppo. Mentre qualche corvo becca irrequieto le briciole di pane incastrate tra le fughe delle pietre della strada, Francesca tace e non ticchetta con le unghie un ritmo scoordinato, né rassetta le pieghe del corsetto, né strappa i petali di una margherita come l'ha vista fare tante volte. Per una volta anche lei guarda giù - per una volta ha smesso di sorridere al sole e fissa in basso, sotto i suoi piedi, come Charles fa da una vita a questa parte. Lui non sa cosa le metta addosso quella strana tristezza - probabilmente, come accade in maniera preoccupante sempre più frequentemente, è un giorno di quelli in cui non riesce ad accendere la fiamma dietro alle iridi, e queste rimangono vitree e slavate.
Charles non lo sa il motivo, no, ma è pienamente conscio di quanto le doni quell'aria distrutta, di quanto sia intimamente estasiato dalla sua figura ingobbita e mesta - le lacrime aggiungono un tale fascino al suo viso, come un fiume al paesaggio, e tutti lo sanno che i temporali ringiovaniscono i fiori.[XVIII]
Ha paura che prendendola per mano alzerà lo sguardo, ha paura che gli regalerà uno dei suoi stentati sorrisi - Charles ama vederla ridere, ma non deve farlo, non adesso che brilla di vita come sa fare solo una cosa morente, non adesso che lui vede tutta quella profonda tristezza che Francesca tiene nascosta dentro, che soffoca con balli e risate e brucia per andare avanti. Sa che ad ogni bacio, ad ogni carezza, ad ogni sguardo la consuma e la fa appassire sempre più, sa che ha già spento quella stella che avrebbe dovuto seguire, e che se immolerà il suo cuore sui suoi altari, lei sarà comunque ormai troppo carica di peccati e lacrime per essere una dea.
E a bruciapelo pensa anche che la ama adesso più di qualsiasi altra volta, la ama quando la gioia fugge dalla sua fronte e il suo cuore annega nell'orrore, la ama quando sul suo presente si dispiega la tristezza che le ha messo addosso e la nuvola spaventosa del passato[XIX] - un passato di cui Charles non conosce i tratti e il profumo, ma che sa per certo essere intriso di misere monete in un cappello sgualcito e fredde nottate passate a pregare un Dio sconosciuto sotto un lampione spento.
Lei si volta e, sorprendentemente, sembra comprendere ciò che gli passa per la testa. Sul suo volto si posa un velo increspato e c'è un secondo in cui Charles non riesce a prevedere se sorriderà o si metterà a piangere. E poi, senza dire una parola, abbassa di nuovo lo sguardo e torna a fissare le onde marroni che si schiantano, impietose, sulle rocce della riva più in basso, mentre lui riesce quasi a vedere l'abisso dove sta lentamente sprofondando, un gabbiano al quale si sono impiastrate le ali di petrolio.
Ed è anche la prima volta in cui si rende conto che, alla fine, neanche le farfalle posso trarti in salvo se non sollevi lo sguardo dalla polvere e ti affanni a seguirle - ma anche che, se gli tagli le ali, non ha bisogno di farlo per tenerle al tuo fianco.
 
~
 
28 Agosto 1867
Patera gemmis corusca,
Panis salsus, mollis esca,
Divinum vinum, Francisca!

 
Il fatto che alla fine tutto bruci è un po' triste per lui - perché poi è vero che tutto brucia, certo, ma allora perché non arriva anche il suo rogo?
Disteso sotto coperte sudice e fredde, rimpiange Jeanne che è morta da tempo e i baci che non ha rubato e le partite che non ha giocato - rimangono ancora una manciata di ghiacci spiccioli nascosti chissà dove nella tasca del suo cappotto sdrucito, memorie di un passato di lussi che non aveva mai potuto concedersi, e sa con rassicurante certezza che non vivrà abbastanza per spenderli.
Disteso sotto un soffitto umido e grigio, pensa alle giornate di sole e alle campane di Notre Dame e alle margherite - pensa a lei, vino divino e pane sapido, che ha mutilato e disonorato e che alla fine avrebbe dovuto saperlo che se chiudi in gabbia un canarino l'unica morte possibile è quella di tristezza.
Che se hanno ritrovato sulla Senna un corpo ancora così giovane e avvolto nel bianco sudario di un vestito bagnato, che se l'hanno sepolto nella fossa dei senza-nome e le margherite non c'erano - quale dolorosa, terribile mancanza - non è che colpa sua.
Che un giorno, disteso in un letto che sa di morte nella sua vecchia camera in casa della madre, avrebbe bramato visceralmente soltanto la sua stanza all'Hotel de Pimodan, con le tende che lei gli aveva sistemato con cura, in modo che coprissero la Senna e lasciassero entrare solo l'azzurro del cielo.
 
 
 
 
...ma sale su l'inferno a stringere me.[XX]
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note (che sono più lunghe della storia stessa btw): queste note, visto che saranno lunghissime, si divideranno in crediti, spiegazioni e ringraziamenti. La parte più importante mi sembrano i ringraziamenti, in maniera quasi ovvia, quindi grazie, grazie se siete arrivati fino a qui, se vi è piaciuta la storia, se lascerete un commento e grazie anche soltanto per aver dedicato qualche minuto alla lettura di questo piccolo sclero che personalmente mi sono divertita tantissimo a scrivere!
Poi, le spiegazioni:
-la storia è strutturata sulla poesia di Baudelaire Franciscæ mæ laudes, contenuta ne  les Fleurs du Mal. La poesia mi ha sempre colpito perché Baudelaire è un poeta che amo e la donna a cui è dedicata, di cui peraltro non si sa nulla, porta il mio stesso nome. Da ciò che ho letto, questa poesia viene considerata di solito come un "tentativo", per così dire, di Baudelaire di produrre qualcosa in latino, una sorta di esercizio insomma, ma mi sono divertita ad attribuirle un significato diverso.
-non ho idea di come dovesse essere caratterizzato Charles, davvero sono terrorizzata da come potrebbe esser venuto fuori, per tutto il tempo mi sono chiesta "ma sto andando troppo fuori dal personaggio?". Se pensate che sia così, l'unica cosa che mi sento di fare è scusarmi e dirvi che ce l'ho messa tutta per farlo più IC possibile, sorry.
-ho tentato di non mettere quelle "e" dopo le virgole e i punti(?) se capite cosa intendo, ma fanno parte del mio stile e ancora non riesco a capire se vanno bene - alle elementari la maestra me le segnava sempre sbagliate, lo ricordo ancora, credo di esserne rimasta traumatizzata.
-la storia che ho scritto è ambientata nel corso del 1873, e spero di non aver fatto nessuna gaffe storica e/o biografica - ho cercato di mantenermi molto sul vago, ma non si sa mai, quindi la seconda "storiella" si svolge, come scritto, a gennaio, e la penultima di nuovo a gennaio, ma dell'anno dopo. L'ultima, come segnato, pochi giorni prima della morte di Baudelaire - che, a quanto ho letto su wikipedia, nei suoi ultimi giorni soggiornava a casa della madre.
-le strofe della poesia non sono in ordine perché ho preferito seguire l'ordine cronologico della vicenda, e ho scritto le diverse parti in base a cosa mi ispiravano i versi, quindi non sempre secondo l'ordine che gli ho dato dopo.
-Molti versi che ho citato sono dedicati, secondo il parere comune, ad altre donne (Jeanne, Madame Sabatier etc.) ma ho preferito considerarli come una sorta di riferimento che nessuno avrebbe potuto capire, un rimorso nascosto nella dedica ad un'altra donna, e tutto ovviamente ai fini della storia, ci mancherebbe XD
- Quando ho scritto questa storia (circa due settimane fa) ancora non avevo iniziato il libro e avevo visto solo l'adorabile film disney e spezzoni di un musical, quindi mi ero sì ispirata vagamente al Gobbo di Notre Dame, ma leggendo il libro ho notato molte somiglianze che non avevo intenzione di mettere. Nulla, mi sembrava giusto dirlo *se ne va sbaciucchiando il suo pupazzetto di Clopin*
E ora i crediti (e speriamo di ricordarsi tutto XDD):
Nella storia ci sono tantissime citazioni delle diverse poesie di Baudelaire - ovviamente modificate e contestualizzate - e, nonostante molte siano state scritte dopo il 1843 - tra cui anche Franciscæ mæ laudes, purtroppo - le ho inserite lo stesso un po' perché mi piacevano troppo, un po' perché comunque ciò che viene scritto in una poesia sono pensieri sviluppati nel corso di una vita intera e non di un secondo(??). Cioè, spiegandomi meglio (spero lol), anche se non erano ancora state scritte le rispettive poesie, alcuni versi giacevano già nell'inconscio della persona attendendo solo di essere riadattati e buttati giù. Spero che questa spiegazione sconclusionata sia bastata a farvi abbassare i forconi XD Anyway, sono segnate di seguito, con i riferimenti in numeri romani perché sks ma fa più figoh.
Grazie ancora per essere arrivati fin qui, tanti cuori a tutti voi <3
whammy.

 

 

[I] «tu che bruciasti lo sporco e levigasti il grezzo» [Franciscae Mae Laudes]
[II] «il fango è fatto con le lacrime» [Moesta et Errabunda]
[III] «Dolore del mio dolore! la vita se la mangia il tempo» [Il Nemico]
[IV] «e su sentieri di fango ritorniamo lieti, credendo che vili lacrime lavino ogni colpa.» [Al Lettore]
[V] «La stoltezza, l'errore, il peccato e l'avarizia / occupano gli spiriti e tormentano i corpi / e noi li alimentiamo di amabili rimorsi / come mendicanti che nutrono i loro insetti» [Al Lettore]
[VI] «Arso dall'amore per il bello / non avrò il supremo onore / di dare il mio nome / all'abisso che mi servirà da tomba» [I Lamenti di un Icaro]
[VII] L'ombra del Vento, Fermìn.
[VIII] «avremmo letti ricolmi di leggeri odori / divani profondi come tombe / e fiori strani sulle mensole / aperti per noi sotto i più bei cieli» [La Morte degli Amanti]
[IX] «conserva i tuoi sogni: / i saggi non ne hanno di così belli come i pazzi» [la Voce]
[X] «Per annegare il rancore e cullare l'indolenza di tutti i vecchi / maledetti che muoiono in silenzio Dio, nel rimorso, aveva creato / il sonno; l'Uomo vi aggiunse il Vino, sacro figlio del Sole!» [Il Vino degli Straccioni]
[XI] «Senza luna e senza raggi / quale posto vuoi trovare per un martire della cattiva strada?» [non ricordo dove l'ho presa, sorry ç_ç]
[XII] «da dove nasce, dicevi, / questa tua infinita tristezza / che sale come mare sulla nera e nuda roccia?» [Semper Eadem]
[XIII] «Quanto a me / ho le braccia a pezzi a forza di abbracciare nuvole / e i miei occhi consunti vedono solo ricordi di soli» [I Lamenti di un Icaro]
[XIV] vedi sopra.
[XV] chiarissimo riferimento al significato del titolo "i fiori del male".
[XVI] «chi davanti all'amore osa parlare dell'inferno?» [Donne Dannate]
[XVII] «le spade sono a pezzi come la nostra gioventù, mia cara» [Duellum]
[XVIII] «Le lacrime / aggiungono un fascino al viso / come il fiume al paesaggio; / il temporale ringiovanisce i fiori. / T'amo soprattutto quando la gioia / fugge dalla tua fronte atterrita, / quando il tuo cuore annega nell'orrore, / quando sul tuo presente si dispiega / la nube spaventosa del passato.» [Madrigale Triste]
[XIX] vedi sopra.
[XX] Bella [Cocciante]
 
 
  
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