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Autore: Fragolina84    23/10/2014    1 recensioni
Sequel di "Legami di sangue"
Alexandra vive a New York con sua sorella Evelyn e ha completamente dimenticato la sua vita precedente e il suo grande amore, Damon Salvatore. Qualcuno sta cercando di allontanarli e di usare Alex per i propri scopi. Ma non si può chiudere la bocca ad un amore del genere e Damon smuoverà le montagne per ritrovare la sua donna.
Genere: Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Damon Salvatore, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ci eravamo lasciati, alla fine di "Legami di sangue",
con Alexandra completamente dimentica della sua vita precedente.
Ora la ritroviamo a New York, in compagnia di Evelyn,
intenta a vivere una vita diversa.
Cosa è successo?
Buona lettura...

 


C’erano infiniti motivi per amare New York. Io non avrei saputo dire una sola ragione per non adorare quella splendida metropoli.
Aprii gli occhi: doveva essere mattino inoltrato dal modo in cui il sole sbucava da dietro i grattacieli. La mia stanza affacciava ad est sicché era la prima ad essere baciata dal sole e poi rimaneva esposta al suo calore per quasi tutta la mattina. Amavo così tanto il sole che avrei potuto rimanere tutto il giorno a crogiolarmi al suo calore. Sfiorai l’anello che portavo all’anulare sinistro: era grazie ad esso che potevo permettermi di stare al sole che altrimenti mi avrebbe ustionato la pelle più velocemente di quanto il mio sangue avrebbe potuto curarmi.
Qualcuno sospirò al mio fianco, ma non mi voltai. Mi bastava l’udito, talmente sviluppato da percepire il pulsare del suo cuore e il suono liquido e viscoso del sangue che gli scorreva nelle vene, per stabilire con chiarezza la posizione del ragazzo al mio fianco. Mi bastava l’olfatto per assorbire il suo odore, come di caramello bollente mischiato al sentore di sesso che aleggiava nella stanza.
Quando, la sera prima, l’avevo rimorchiato, non pensavo che si sarebbe rivelato così interessante tra le lenzuola. Nonostante dovesse essere piuttosto giovane, aveva dimostrato la malizia e l’inventiva di un uomo più maturo, cosa che mi aveva lasciata piacevolmente stupita.
Mi girai lentamente, puntando il gomito sul materasso e appoggiando la testa sulla mano, restando immobile ad osservarlo. Era un bel ragazzo, con il corpo forte e muscoloso. I muscoli del torace erano netti e definiti ed era stato piacevole strusciarsi contro di lui prima sulla pista della discoteca e poi in camera da letto.
I capelli neri gli ricadevano sulla fronte e glieli scostai con delicatezza, sfiorandogli la linea decisa delle sopracciglia. Le labbra morbide e carnose si tesero in un sorriso.
«Ti ho svegliato» mormorai. «Scusa».
Aprì gli occhi e mi fissò con uno sguardo azzurro quanto l’oceano.
«Buongiorno» disse, con la voce ancora piena di residui di sonno.
Si stiracchiò, facendo guizzare bicipiti e pettorali, mettendosi spudoratamente in mostra.
«Ho fame» esclamai e lui fece per alzarsi.
«Vado a prenderti qualcosa» replicò con galanteria, ma lo bloccai afferrandogli il braccio.
«Tranquillo, faccio da me».
Guardò sorpreso la mano sul suo braccio: di certo doveva avvertire la mia forza in quella stretta. Ero stata attenta tutta la notte, evitando di spaventarlo con le mie capacità. Sorrisi e lo fissai negli occhi.
«Ora sta tranquillo e non urlare» dissi con voce tesa. Sentii il mio potere sprigionarsi dagli occhi. Lui non si mosse, immobilizzato e in attesa.
Lasciai allungare i canini nella bocca mentre i miei occhi si tramutavano in quelli di un vampiro. Lui aveva paura, lo leggevo nei suoi occhi e lo sentivo dal suo odore, ma come gli avevo intimato, non si mosse né emise un fiato.
Spalancai la bocca e gliela posai sul collo. La vena venne spinta verso la superficie dalla mia suzione e i miei canini la bucarono, permettendo al sangue di riversarsi fra le mie labbra. Il suo cuore accelerò i battiti finché quell’assordante galoppata divenne il suo urlo di paura. Quei palpiti frenetici spinsero ancora più sangue nella mia gola, strappandomi un gemito di piacere.
Il sangue fluiva e dovetti faticare per mantenere il controllo, sforzandomi di allontanarmi prima di prosciugarlo del tutto. Sollevai la testa, leccando golosamente le gocce che stillavano ancora dai fori gemelli nel suo collo. Lo guardai negli occhi, scatenando ancora il mio potere su di lui.
«Non ricorderai nulla di ciò che è appena accaduto, e ora hai molto sonno e hai voglia di dormire».
Il ragazzo chiuse gli occhi e si assopì. Prima che perdesse del tutto conoscenza, mi incisi appena una vena del polso e gli feci colare fra le labbra qualche goccia del mio sangue, giusto per far richiudere la ferita sul collo.Mi stiracchiai e gettai le gambe giù dal letto. Infilai una vestaglia e uscii. Mi diedi un’occhiata nello specchio del corridoio: un piccolo rivolo di sangue aveva formato una linea cremisi all’angolo della bocca. Raccolsi quella gocciolina con il dito e la succhiai via.
Sentii una presenza dietro di me prima ancora di sentirne la voce.
«La tua colazione era buona quanto la mia?»
«Molto aromatica» replicai con un sorriso.
Mi voltai e incrociai uno sguardo corvino esattamente uguale al mio.
«Ciao, sorellina» dissi.
«Ciao tesoro» replicò lei.
Io e Evelyn eravamo gemelle. Il nostro aspetto era perfettamente identico, stessi occhi neri, stessi capelli corvini ondulati, stesso fisico atletico. Un solo particolare ci distingueva: Evelyn aveva una piccola cicatrice sul sopracciglio destro, l’unica imperfezione su un viso altrimenti perfetto.
Indossava un completo da jogging grigio e fucsia e aveva i capelli raccolti e trattenuti da un fermaglio.
«Mattiniera, eh?» constatai.
«Non tutti possono permettersi di poltrire a letto fino a tardi» mi rispose. «Dì la verità che dormi in una bara, nella più spiccata tradizione vampiresca!»
Ridacchiai. «Di quella parte della leggenda posso farne a meno. Ma nonostante io ami il sole, non posso negare che la notte sia il nostro regno». Strinsi le falde della vestaglia e sedetti sul divano di pelle nera. «In fondo anche tu dai il meglio di te quando calano le tenebre, o sbaglio?»
Evelyn non rispose, aprendo il frigo e scegliendo una bevanda energetica.
«Sei sparita molto prima di me ieri sera» insistetti.
«Sì, ma io sono già andata a correre, il che dovrebbe darti un’idea di quanto poco ne valesse la pena».
«Signorine, un po’ di contegno».
La voce profonda e graffiante di Kevin ci interruppe.
«Kevin, sei il nostro creatore, non nostro padre» esclamò Evelyn un po’ piccata.
Alzai lo sguardo: Kevin, il vampiro che aveva creato me e mia sorella, era sul pianerottolo del piano di sopra, dove lui e Malia avevano la loro stanza.
«Hai ragione. Ma sono anche il proprietario di questa casa e dei letti che entrambe avete quasi sfasciato stanotte».
«Davvero non avevi niente di meglio da fare che stare ad ascoltarci?» domandò Evelyn, il cui rapporto con Kevin era sempre stato piuttosto conflittuale.
«Buoni, ragazzi!»
Malia comparve dietro di lui, posandogli una mano sulla spalla. Aveva mantenuto nella sua seconda vita da vampira tutte le tinte e i toni della sua terra natale. Malia era colombiana sicché aveva la carnagione olivastra e gli occhi neri come pozze di petrolio, cosparsi di delicate pagliuzze dorate.
A differenza di Kevin, era molto dolce nei nostri confronti. Non che potessimo lamentarci del nostro creatore che ci aveva tenute con sé dopo averci trasformate. Ma lui era sempre severo e inflessibile, sin da quando eravamo neonate e ci aveva insegnato a nutrirci e a mantenere segreta la nostra vera identità.
Eravamo state fortunate, in effetti. Evelyn ed io eravamo orfane e una sera, mentre rientravamo da un giro di shopping, eravamo state aggredite da due vampiri in cerca di cibo. Non avevamo potuto nemmeno provare a difenderci, la loro forza era spaventosa.
Kevin e Malia ci avevano trovate per caso, attratti dalle nostre grida. Si erano sbarazzati dei due vampiri che stavano banchettando con il nostro sangue, ma le nostre ferite erano troppo profonde e l’unico modo per salvarci era stato trasformare entrambe. Ci avevano dato il loro sangue pochi istanti prima che il nostro cuore smettesse di battere e quando la morte ci aveva accolte fra le sue braccia, la trasformazione era cominciata.
Nessun vampiro dimentica il momento della sua rinascita, indelebilmente legato al dolore bruciante del sangue di vampiro che modifica e risana il suo corpo. Ciò che provai è ancora oggi il dolore più intenso che abbia mai sperimentato. Nemmeno un paletto di legno conficcato a fondo nella carne era minimamente paragonabile.
Tuttavia, dopo quelle ore di tormento agghiacciante, avevo ereditato una quasi immortalità – pur se difficili da uccidere, avevamo comunque qualche punto debole – e una giovinezza praticamente infinita, oltre a forza e velocità straordinarie e alla capacità di soggiogare gli umani con un solo sguardo. E non un solo bisogno fisico, eccettuata la fame.
«Evelyn, dovresti essere un po’ più rispettosa e tu, Kevin, non puoi lamentarti se le ragazze si portano a casa la cena. In fondo la loro discrezione è ampiamente dimostrata».
Le maniere pacate e tranquille di Malia stemperarono l’atmosfera e mentre la donna scendeva le scale con grazia, Evelyn parve rilassarsi e sedette accanto a me. Mentre la osservavo, i suoi contorni sfumarono, tremolando come fiamme davanti ai miei occhi. La sua aura cremisi ondeggiò come fumo mosso dalla brezza.
Oltre a tutte le capacità di un vampiro, il fato aveva dato a me un dono supplementare: ero in grado di percepire i vampiri e le altre creature magiche. I vampiri, come era appena accaduto con Evelyn, mi apparivano con un’aura rossa, dello stesso colore del sangue di cui avevano bisogno di nutrirsi. Per alcuni di loro, quelli più malvagi, l’aura era sfumata di nero ai bordi e maggiore era la quantità di nero, più cattivo era il vampiro in questione.
Le streghe avevano un’aura diversa, più soffusa e di colore azzurro ed erano molto più diffuse di quanto uno potesse immaginare. Anche per loro valeva lo stesso principio: se l’aura era sfumata di nero, era meglio stare alla larga.
C’erano poi altre creature: i licantropi, ad esempio. La loro aura era color ambra, così come si diceva che diventassero i loro occhi dopo la trasformazione. Da loro sì era necessario stare alla larga: il loro morso era letale per noi. Non ne avevo mai visto uno trasformato ma il solo percepire la loro aura (capitava raramente, si diceva che fossero quasi estinti) mi spaventava a morte, facendomi rizzare i capelli sulla testa.
Scrutando l’aura delle creature magiche potevo capire molte cose, come il loro umore o la loro età in anni immortali. Malia aveva circa centocinquant’anni, Kevin poco più di duecento. Io ed Evelyn, trasformate nello stesso momento, appena cinquanta.
«Quando hai intenzione di liberarti del cadavere nella tua camera da letto?» sbottò Kevin.
Malia gli lanciò un’occhiataccia, ma non disse nulla.
«Non è un cadavere, Kevin. Sta solo dormendo dopo avermi fatto da colazione» replicai. Era strano che si rivolgesse a me in quel modo. «Sei nervoso?» chiesi e “attivai” il mio potere, posando il mio sguardo su di lui.
La sua aura scoppiettava di energia nervosa, ondeggiando come una bandiera nel vento. Era decisamente teso, ma non poteva essere soltanto per i ragazzi che avevamo portato a casa. Non era la prima volta, non sarebbe stata l’ultima, e non c’erano mai stati problemi: ci aveva insegnato bene.
«Non usare i tuoi poteri su di me» ordinò e io distolsi l’attenzione dal turbinio della sua aura. Ma di fronte al suo tono arrabbiato avevo sussultato e lui se n’era accorto. Chiuse gli occhi e scosse la testa.
«Scusami» mormorò. «Hai ragione, sono nervoso. La Madre sta arrivando».
Schizzai in piedi. «Dio del cielo, cosa aspettavi a dirmelo?»
Sfrecciai in camera e svegliai il ragazzo. Era confuso e intontito dal sonno, dal precedente soggiogamento e dalla perdita di sangue. Feci lampeggiare di nuovo il mio sguardo nel suo.
«Ora vestiti e vattene» ordinai. «Non ricorderai di avermi conosciuta, né di essere stato a letto con me. Non mi hai mai vista».
Lui si mosse come un automa, si rivestì in fretta e uscì senza dire una parola né lanciarmi un’altra occhiata. Io non avevo tempo di accompagnarlo: mi infilai sotto la doccia e mi preparai in fretta ma con estrema cura. Un incontro con la Madre era cosa da non sottovalutare.
Quando uscii dal bagno, Evelyn sedeva sul mio letto, sempre sorseggiando al bevanda energetica direttamente dalla bottiglia.
«Non so come fai a bere quella roba» borbottai.
«Mi piace il sapore» rispose lei, facendo spallucce.
«Più del sangue?» chiesi, lanciandole uno sguardo allo specchio mentre mi infilavo gli orecchini. Lei non rispose, ma sogghignò e mi mostrò i canini.
«Credi che la Madre venga per te?» mi chiese, facendosi seria.
«No, direi per il criceto dei vicini» scherzai.
Evelyn sbuffò. «Credi che sarà come l’ultima volta?»
Rabbrividii istintivamente. L’ultima volta mi aveva obbligata ad usare i miei poteri magici finché ero svenuta ed ero rimasta priva di sensi per un giorno e mezzo.
«Non credo» risposi. «Non si sarebbe fatta annunciare con così poco preavviso».
Il campanello squillò e io non potei impedirmi di rabbrividire di nuovo.
«Va’ a vestirti» dissi a mia sorella, che indossava ancora il completo da jogging. «Sai che ci tiene alla forma».
Uscii dalla mia stanza e scesi velocemente al piano di sotto, proprio mentre Kevin apriva la porta. Era vestita di bianco, come sempre. I capelli erano sottili e lunghi fino a metà schiena, dritti e di un colore troppo chiaro per essere definito biondo. Gli occhi erano sempre la parte più inquietante di lei, talmente azzurri da apparire quasi bianchi. Kevin e Malia si inchinarono e lei sorrise.
«È un onore incontrarti di nuovo» disse Kevin, facendole segno di entrare. Lei non rispose se non con un lieve cenno del capo.
Si fece avanti, dominando istantaneamente l’intera stanza. La sua aura azzurra era la più potente che avessi mai visto. Sembrava quasi crepitare di energia e mentre mi si avvicinava ne sentii la terribile forza come una costrizione al petto che se fossi stata umana mi avrebbe impedito di respirare.
Chinai il capo. «Buongiorno, Madre» mormorai.
La sua vicinanza era sufficiente a farmi formicolare ogni terminazione nervosa, ma quando tese la mano e mi sfiorò il mento per farmi alzare la testa, quasi sussultai per la scarica di energia che ricevetti.
«Scusami, mia cara» rispose con una voce sottile quanto la sua figura, accorgendosi di quanto percepissi il suo potere e affrettandosi a mascherarlo con la magia. La sua aura si ridimensionò, restando a fluttuare attorno al suo corpo con la delicatezza di una piuma.
«Dov’è Evelyn, tesoro?» chiese, guardandosi intorno.
«Sono qui, Madre» rispose lei, spostando l’attenzione di tutti su di sé.
Con mio grande disappunto, mi accorsi che indossava ancora il completo da ginnastica. Il disappunto non fu comunque solo mio: percepivo le emozioni di tutti nella stanza e l’aura della strega frustò l’aria come la coda di un leone arrabbiato.
«Scendi, piccola». La voce della Madre sembrava non essere cambiata, ma io conoscevo bene quel tono e c’era veleno mascherato sotto il miele. «Così posso darti un’occhiata» aggiunse. Evelyn sfrecciò di sotto e la fronteggiò.
Per noi era la Madre, ma è chiaro che non era un genitore biologico, né tantomeno la nostra creatrice, dato che non era neanche un vampiro. Ma era una strega potentissima che ci aveva prese sotto la sua ala – me soprattutto – sin da quando eravamo neonate nella nostra seconda vita. Non ricordo se fosse stata lei a volere che la chiamassimo Madre – i primi giorni da vampiro erano confusi in un interminabile desiderio di sangue – o se l’avessimo fatto d’istinto, ma l’appellativo era rimasto.
A ben vedere, non conoscevo nemmeno il suo vero nome. Ciò che invece sapevo era che quella strega mi aveva insegnato a controllare i miei poteri e a far sì che potessi usarli per proteggermi, insegnandomi a riconoscere l’età e la forza dei vampiri con cui entravo in contatto. A suo dire, io ero l’unica vampira che avesse mai incontrato che fosse in grado di usare la magia e mi aveva insegnato diversi incantesimi.
Quando mia sorella aprì la bocca per parlare, lessi nel suo sguardo che le sue parole avrebbero fatto infuriare la Madre e pronunciai dentro di me un incantesimo che le tappò la bocca. Nessun suono uscì dalle sue labbra e mi lanciò un’occhiata più rovente del sole. Sei una guastafeste, mi stava dicendo con quello sguardo, ma mi affrettai a riportare l’attenzione sulla strega.
«Molto bene, Alexandra» mi complimentò. «Molto ben fatto, mia cara».
«Grazie, Madre» mormorai, guardando di sottecchi la mia gemella, ancora muta.
La Madre si rivolse ad Evelyn: «Puoi andare, piccola. Con te farò due chiacchiere più tardi».
Evelyn parve volersi ribellare a quel congedo, ma il mio incantesimo la zittiva ancora perciò girò sui tacchi e tornò nella sua stanza. La strega mi sfiorò la spalla e il contatto mi trasmise un fremito: nonostante stesse schermando il proprio potere, la sua aura era potentissima, talmente estesa da sfiorare la mia, ben più contenuta.
«Vieni, tesoro. Sediamoci». Poi si rivolse a Malia. «Puoi portarmi qualcosa da bere, per favore?»
Malia chinò il capo con eleganza e si diresse in cucina. Io sedetti accanto a lei, mentre Kevin si accomodò sulla poltrona di fronte a noi.
«A che dobbiamo questa visita?» domandò lui, quasi con cautela.
«Sono qui per Alexandra». Quelle quattro parole, pronunciate con calma e tranquillità, mi spaventarono più degli assassini che cinquant’anni prima avevano aggredito me e mia sorella.
«Ci sono vampiri che ti stanno cercando» disse la strega senza preamboli. «Sono potenti e ti vogliono per lo stesso motivo per cui chiunque ti cerca: i tuoi poteri e la tua capacità di usare la magia».
Era sempre la solita vecchia storia. Io e la mia “famiglia” di vampiri ci eravamo trasferiti spesso per lo stesso motivo: io ero una novità nel mondo delle creature magiche e ogni tanto qualcuno veniva a cercarmi, desideroso di mettere le mani su un tale trofeo.
La Madre proseguì: «Devo essere certa che tu sia al sicuro, tesoro. E tu sai bene che l’anonimato è tutto per te».
Sapevo bene, purtroppo, cosa significavano quelle parole: la Madre avrebbe testato la mia magia e il processo sarebbe stato tutt’altro che piacevole.
«Quando ti sei nutrita?» chiese.
«Stamattina».
«Molto bene» replicò. «Allora direi che potremmo metterci subito al lavoro, che ne dici?»
Annuii, anche se dentro di me il desiderio era quello di fuggire il più lontano possibile da quella prova.
 
Eravamo in una diramazione abbandonata della metropolitana. Non c’era corrente elettrica lì: il buio non era un problema per me, ma la Madre non era un vampiro e aveva acceso alcune fiaccole con il suo potere, fiammelle azzurre che fluttuavano ad una certa altezza da terra.
Eravamo scese in profondità perché lei potesse usare i suoi poteri senza attirare l’attenzione delle altre creature magiche. Lì avrebbe potuto scatenare la sua potenza senza correre rischi.
Ero vestita di scuro, con jeans neri e una pesante giacca di pelle: non che avessi bisogno di difendermi dal freddo, ma indossare quegli abiti mi faceva sentire a mio agio, in quel sotterraneo. La Madre indossava il solito fluttuante abito diafano.
Ci fronteggiavamo, a circa cinque metri di distanza l’una dall’altra.
«Sei pronta?» mi chiese, la voce che echeggiava stranamente nel cunicolo in penombra. «Ora, nascondi la tua aura».
Mi concentrai, facendo scemare la mia aura finché sentii che non emanava più le sue caratteristiche vibrazioni. Fu come se una barriera invisibile fosse sorta a proteggermi, rendendomi anonima. Quell’esercizio, ripetuto all’infinito, mi era diventato ormai familiare e non occupava che una minima parte della mia mente.
«Molto bene» approvò la strega. A quel punto nessuno avrebbe capito che io ero un vampiro. Nessuno poteva capirlo, se non ero io a volerlo, cosa che mi aveva salvato la vita più volte.
Improvvisamente, la Madre liberò il suo potere. La sua aura fiammeggiò verso l’alto, impressionante come mai ne avevo viste. Lei non muoveva un muscolo, ma io tenevo d’occhio quel muro magico e lo vidi mentre si curvava verso di me. Con una velocità che ingannò anche i miei riflessi vampiri, la strega scagliò il suo potere verso di me. Sebbene fossi pronta ad affrontarla, barcollai e feci un passo indietro: era come essere stata investita da un treno ad alta velocità. Mi raddrizzai velocemente, ben sapendo che l’attacco non sarebbe terminato per mano sua: ero io che dovevo respingerla.
Usai la magia per ispessire la barriera di cui mi ero circondata, cercando di renderla immune al suo attacco. L’aura della Madre sfiorò lo sbarramento che avevo creato. Sapevo che non riusciva a percepirmi come vampira: per difendere il mio anonimato (e la mia vita) era importante che chiunque avessi incontrato fosse convinto che io fossi umana e non una creatura magica.
Un formicolio mi percorse il corpo quando la strega cercò un varco nella barriera. Non lo trovò, ma la magica esplorazione durò un bel po’. Quando si ritrasse, mi sentivo spossata come non mi accadeva da quando ero umana.
«Eccellente, Alexandra» lodò e io sorrisi, rilassandomi leggermente.
Non la vidi nemmeno arrivare. La scarica di energia con cui mi colpì mi fece volare indietro e sbattei violentemente contro la parete di cemento armato del tunnel. L’osso della spalla destra uscì dalla sua sede e il dolore mi trafisse. Riuscii comunque a non perdere il controllo della magia, ma mentre mi rialzavo il suo attacco continuò, in rapide stoccate violente.
Percepii chiaramente una crepa nel mio bozzolo protettivo e seppi che non sarei durata a lungo. Mi rialzai, cercando di concentrare le energie sui punti vulnerabili. Ma come lo feci, lei seppe che stavo giocando in difesa e attaccò con più veemenza proprio nei punti che cercavo di difendere.
Mi afferrai il polso e tirai lentamente ma con forza. Strinsi i denti per non gridare, mentre la lussazione si sistemava. Quando l’osso fu al suo posto, sentii che il mio sangue iniziava a curare muscoli e tendini lesionati.
Con orrore mi resi conto di essere stremata. La Madre non si era mossa e non c’era segno evidente della quantità di energia che mi stava riversando addosso. Per lei quella era una bazzecola.
«Avanti, Alexandra. Respingimi» mormorò, mentre una nuova ondata di energia mi colpiva. La crepa sul muro magico che mi proteggeva si fece più estesa. Non avevo più forza per mantenerlo intatto, figurarsi per rispondere all’attacco.
«Non ci riesco, Madre» dissi con voce spezzata.
«Sì, che ce la fai. Devi farcela» replicò lei, continuando a martellarmi.
All’ennesimo attacco, la strega fece breccia e sentii un forte dolore alla testa: gridai e caddi in ginocchio.
«Respingimi, Alexandra» ripeté. «Alzati e combatti».
«Non ce la faccio» rantolai, mentre il dolore mi perforava il cervello come una lama incandescente.
«E allora muori» disse con severità. «Ma sai bene che se muori, non ci sarà più nessuno a proteggere Evelyn».
Ormai aveva sfondato la mia guardia e mi riempì il cervello di immagini. Sapeva quanto ero legata alla mia gemella e usò il nostro legame contro di me.
Vidi Evelyn in un vicolo mentre veniva attaccata da diversi vampiri. Si difese strenuamente, ma l’assediarono con rabbia finché uno di loro le infilò la mano nel petto, deciso a strapparle in cuore.
Mi raggomitolai su me stessa, artigliandomi la testa con le mani, cercando di fuggire a quelle visioni.
«Ti prego, Madre» supplicai.
L’immagine cambiò, ma non il soggetto. Sapevo che quelle che stava creando nella mia testa erano niente più che illusioni, eppure mi ferivano nel profondo. Mentre osservavo esterrefatta, Evelyn fu trafitta da un paletto e il suo corpo iniziò a raggrinzire.
«Evelyn, no!» gridai, ma l’immagine svanì, lasciandomi con un gelido senso di vuoto.
«È questo che succederà se lascerai che i tuoi avversari vincano» sibilò la Madre, con spietata onestà.
Un’altra tremenda fitta alla testa mi fece gemere e digrignare i denti, mentre osservavo me stessa piangere disperata davanti ad un rogo su cui Evelyn si contorceva freneticamente, cercando di sfuggire alle fiamme che la stavano uccidendo.
«La colpa della sua morte ricadrà interamente su di te» inveì, mentre le cruente allucinazioni si susseguivano, finendo per mostrare le mie mani lorde di sangue, il sangue di mia sorella.
«No!»
Quell’unica parola sgorgò dal nucleo stesso in cui nasceva la mia magia, ma non fu l’unica cosa che uscì da me. Un’esplosione di luce bianchissima scaturì dal mio petto, diretta a velocità folle verso la Madre. Fendette la sua aura e lei ebbe un istante soltanto per alzare la mano con il palmo aperto e bloccarla. Il braccio le tremò di fronte a quell’assalto, cosa che non era mai accaduta con i miei attacchi, che lei aveva sempre respinto senza nemmeno muoversi.
Così com’era comparsa, la luce si spense all’improvviso e io mi ritrovai svuotata di ogni energia. La mia vista si tinse di nero e si restrinse finché crollai a terra e mi abbandonai alle tenebre.
  
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