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Autore: PoetryWillSaveUs    23/10/2014    2 recensioni
[Destiel!AU]
7 dicembre 1941, attacco a Pearl Harbor.
Dean Winchester è un medico dell'esercito americano.
Castiel J. Novak il Maggiore dell'Aeronautica Militare, rimasto gravemente ferito dopo l'attentato dei Giapponesi.
Castiel, dilaniato dal dolore sta per abbandonarsi al pacifico abbraccio della Morte, quando, nella disperazione, trova ancora qualcosa per cui vale la pena sopravvivere.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessuna stagione
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Ci insegnano a non avere paura. A camminare in un campo minato a testa alta. A disinnescare una bomba senza che ci tremino le mani. A premere un grilletto con distacco e freddezza. Ci insegnano ad essere responsabili di altre vite. Ci insegnano il sacrificio.
Ci insegnano a non sentire. Il freddo, la fame, il dolore.
Questo è quello che dovremmo essere: macchine programmate per uccidere, impassibili di fronte alla morte, pronte a tutto per la patria, per l’onore.
Cercano di strapparci via la più umana parte di noi, perché solo così potremmo essere bravi soldati: freddi, calcolatori, strateghi, vuoti.
Eppure, per assurdo, quando la vera guerra si scatena, si appropria delle nostre vite, e tutto quello che abbiamo intorno è distruzione, sangue, e dolore, è esattamente alla nostra umanità più profonda che ci aggrappiamo. Perché è questo quello di cui abbiamo bisogno per sopravvivere. Abbiamo bisogno di sentire. Di provare qualcosa. Disperazione. Dolore. Smarrimento. Shock. 
Abbiamo bisogno di trovare qualcosa a cui appigliarci, e quel salvavita non è mai la patria, non è mai l’onore.
E’ la speranza. La paura della perdita. I ricordi. L’amore.
 
Sembrava una mattina come tutte le altre: Pearl Harbor era un angolo di paradiso, sperduta nel pacifico, un’oasi di pace, lontana anni luce dalla guerra che stava devastando l’Europa.
Non era per questo che mi ero arruolato, non volevo starmene sulla spiaggia a vedere il sole sorgere e tramontare: io volevo combattere, servire il mio Paese, lottare per vincere e trionfare. Questo era quello che mi era stato insegnato, ciò per cui ero stato preparato.
Avrei dovuto essere trasferito come volontario in Inghilterra di lì a pochi giorni.
Quella mattina del 7 dicembre 1941 era cominciata con la solita alba pigra che illuminava la costa.
Ma in un battito di ciglia la tranquillità, il calore, la pace… Tutto era sparito. Regnava il caos, il fumo. Il cielo piangeva bombe, sangue e grida. Così tante grida.
Tutto bruciava, anch’io. Bruciavo. Non c’era più aria, solo fuoco. E dolore. Il dolore alla schiena era lancinante. Un dolore tremendo, da cui il mio corpo cercava in tutti i modi di estraniarsi.
E c’era il buio.
E il freddo.
Ero solo. Così solo. 
Non ero più un soldato, un servitore dell’America.
Ero solo umano. Tutto quello che volevo fare era sopravvivere. Sopravvivere al dolore, alla paura, al delirio.
Ho continuato ad urlare per ore. Pregando che qualcuno mi sentisse, mi portasse via di lì.
L’odore di corpi bruciati, di morte mi dava la nausea, ma era tutto quello che potevo respirare.
Ho continuato a gridare anche quando sono rimasto l’unico a farlo.
Ma il mio mondo sembrava essere sordo, annientato da quell’improvvisa ed inaspettata tempesta infernale che aveva spezzato quel paradiso perfetto.
Ho continuato per un tempo che mi è sembrato infinito.
Ma sono umano.
Ho perso il controllo su tutto.
E spaventato, terrorizzato, distrutto, ho accolto la fine.
 
 
Ospedale militare di Pearl Harbor, 
8 dicembre 1941, 00:57

Anna sentiva la sua compostezza venire sempre meno. I capelli corvini le sfuggivano dalla cuffietta, gli occhi continuavano a inumidirsi. Si era comportata egregiamente tutto il giorno, stringendo la mano ai feriti, rassicurando i moribondi, pregando con loro. Aveva mantenuto la calma.
Ma come ci si può dimostrare impassibili di fronte a una strage simile?
Fino a dove può spingersi la cattiveria umano, la sete di potere?
Quante famiglie erano state distrutte, solo quel giorno? Quante vite non sarebbero mai state le stesse?
Quanti orfani, quante vedove?
Ogni vita salvata era stata una vittoria, ma le sconfitte non si potevano contare, e le sentiva pesare sulle sue spalle, sul suo cuore.
Lei era solo un’infermiera, aveva fatto tutto quello che era in suo potere per salvare più vite possibili. Ma i feriti erano troppi, troppo gravi, l’ospedale non era pronto ad affrontare un attacco di tali proporzioni, non era pronto per la guerra.

“Anna.”
La ragazza trasalì, voltandosi verso la porta della stanza.
“Capitano.” sussurrò.
Il Capitano Medico Winchester le si avvicinò.
“Sei mia cognata.” disse “Per te sono solo Dean.” continuò, provando ad accennare un sorriso.
Anna lo guardò. L‘empatia che lo caratterizzava, dote autentica in una professione come la sua, quel giorno aveva rischiato più e più volte di ritorcersigli contro. Era distrutto, provato Si domandò che aspetto potesse avere lei. Dal modo in quegli occhi verdi la stavano guardando, dedusse che non doveva essere molto diverso.
Traballò, raggiungendolo, le sue mani forti la afferrarono immediatamente, tenendola in piedi.
“Anna.”
“Sto bene. Davvero.”
“No, non stai bene. Nessuno di noi potrebbe star bene. Hai fatto un ottimo lavoro oggi, adesso vai a casa.”
La ragazza scosse la testa.
“No, io…”
“Anna, ho promesso a mio fratello che ti avrei tenuta d’occhio, che non avrei permesso ti accadesse niente. Per una volta, per favore, per una volta dammi ascolto. Vai a casa.”
“No!” esclamò “So cos’hai promesso a Sam, ma questa è la guerra Dean, e io ho fatto un giuramento. Ho promesso che mi sarei presa cura delle persone che la nostra nazione ci ha affidato quando ha intrapreso questa stupidissima, inutile guerra, solo per egoismo! Non posso comportarmi come si è comportato il nostro Paese, che ci ha lasciati qui a morire! Non posso stare seduta nel mio appartamento a riposare finchè la gente muore, non posso essere altrettanto egoista.”
La voce le si spezzava sillaba dopo sillaba, Anna sentiva la propria gola chiudersi, strinse i pugni tentando di imporsi di non crollare.
Tenne alto lo sguardo, fissando il  suo superiore.
“Capitano Winchester, chiedo di restare ancora al suo servizio, grazie.”
Dean sospirò. Anna era testarda, coraggiosa, tremendamente ostinata. In questo si somigliavano moltissimo, e lei, scherzando, diceva spesso che era quello il motivo per cui Sammy si era innamorato di lei.
 Non sarebbe mai riuscito a farla desistere.
“Accordato, sottotenente Cohen.” cedette “Vieni con me alla spiaggia. Dobbiamo… Ci sono ancora dei corpi laggiù. Potrebbero… Potrebbero esserci dei superstiti. Solo… Stai attenta.”
 
La baia era fredda e buia.
Anna procedeva piano, attenta a non inciampare sui cadaveri che giacevano ovunque.
L’odore era terribile, il silenzio inquietante.
Tremava, e pregava che Dean continuasse a procedere abbastanza lontano da lei da non notarlo, o stavolta se la sarebbe caricata in spalla e l’avrebbe portata di peso al suo appartamento.
Era sempre convinto di doverla proteggere quando si trovava lontana da Sam. Anna aveva capito che era un modo di proteggere il fratello: se le fosse successo qualcosa, Sam non avrebbe potuto sopportarlo, e Dean non se lo sarebbe mai perdonato. Lui non si perdonava mai niente.
La ragazza continuava a camminare tra i corpi, speranzosa di cogliere anche il più piccolo frammento di vita, ma non era rimasto niente.
Era tutto così silenzioso. Così calmo. Non aveva mai pensato che l’epilogo di una catastrofe potesse essere così tranquillo.
Era arrivata fino al molo ormai, la stanchezza, la frustrazione, l’impotenza e la rabbia, l’assurdità di quel silenzio si erano fatte insopportabili. Anna stava per voltarsi e tornare verso Dean, quando qualcosa si chiuse attorno alla sua caviglia.
Raggelò e le mancò la forza per urlare.
Abbassò lo sguardo, e si rese conto che si trattava di una mano.
“Ti… prego.” una flebile supplica la fece scattare.
Puntò la propria torcia verso l’uomo che la tratteneva.
Il volto era devastato dalle ustioni, ma gli occhi erano quanto di più vivo Anna avesse mai visto, in quel giorno di vacuità.
Perle d’oceano che illuminavano quel viso dilaniato, quella spiaggia buia.
Anna si inginocchiò accanto a lui, e gli prese una mano.
“Ehi.” gli disse “Va tutto bene. Va tutto bene, sono qui.”
L’uomo le si aggrappò con una forza tale che l’infermiera ne rimase sorpresa. Aveva le mani gelide, il corpo scosso da violenti spasmi, le labbra violacee.
“Dean!” gridò Anna, con tutto il fiato che aveva in gola “Corri!”
Il cuore del Capitano ebbe un sussulto al grido della ragazza, e subito si precipitò verso di lei.
La ragazza tastò il petto dell’uomo che le giaceva ai piedi, trovando la sua targhetta.
“C.J. Novak, Maggiore dell’Aeronautica” lesse. “Okay, Maggiore Novak, la prego, la prego, qualsiasi cosa succeda non lasci la mia mano.”
Quegli occhi blu la fissavano, terrorizzati, smarriti, ma vivi.
“Sono Anna. Andrà tutto bene, okay? Andrà tutto bene.”
“Anna!” Dean era al suo fianco. “Stai bene?”
“Sì, Sì. Quest’uomo. E’ vivo, dobbiamo portarlo all’ospedale, c’è qualcosa… Non riesco a vedere, è troppo buio.”
“Okay, okay, ci penso io. Comunica la nostra posizione Anna, e poi parlagli, fallo rimanere cosciente, okay?”
La ragazza annuì, afferrò la propria ricetrasmittente e comunicò all’ospedale dove si trovassero e che avevano bisogno di rinforzi immediati.
Dean imprecò, quando voltò l’uomo sulla schiena
“Porca puttana!”
“Dean?”
“Sono… Lamiere… Si sono conficcate in profondità, non posso estrarle qui, rischierei di perforargli un polmone…”
Il maggiore Novak gemette e prese a tremare ancora più forte.
“Shhh, Shhh, è tutto okay, è tutto okay.” lo rassicurò Anna. “Va tutto bene, mi parli C.J?”
“Cas..tiel.” soffiò l’uomo “J..ames.”
“Castiel James.” ripetè Anna “Posso chiamarti Cas?”
Castiel annuì a fatica.
“Mia… madre mi chiamava… così.” balbettò.
Anna sorrise.
“Com’era lei?”
“Era… Gentile. Come… Come te.”
Ogni parola gli costava uno sforzo disumano, Castiel veniva sommerso da ondate di dolore così forti che temette di essere morto e finito all’Inferno.

Il tragitto verso l’ospedale fu dilaniante, cercava in tutti i modi di concentrarsi sulla voce di Anna, su quello che gli diceva.
“Cas, devi rimanere con me, okay? Non ti addormentare. Non cedere, rimani con me.”
“Morfina! Mi serve della morfina, subito!” gridò Dean.
“Capitano, abbiamo somministrato l’ultima dose disponibile ore fa, non… Non ne abbiamo più.”
“Dannazione!” imprecò “Come può un ospedale aver finito la morfina? Quest’uomo sta soffrendo, Cristo, portatemi qualcosa!”
Castiel gemeva, tremava sempre più forte
“Tienilo fermo Anna, devo estrarre questi aggeggi infernali dalla sua schiena Si sono conficcati proprio sotto le scapole, dannazione, quelle maledette bombe!”
“Cas… Cas, guardami. Guardami”
Gli occhi blu dell’uomo fissarono confusi quelli della ragazza.
“Anna.” gemette.
“Sì, sono qui. Non ti lascerò, ma tu non devi lasciare me, okay? Puoi farlo Cas? Puoi farlo per me?”
Lui annuì.
“Ne ero sicura. Ascoltami bene. Farà male, Cas, ma tu devi resistere. Andrà meglio poi, te lo prometto. Te lo prometto.”
“Ho…” Catiel deglutì “Ho molta… paura Anna.”
La ragazza sentì il proprio cuore spezzarsi, la sofferenza di quell’uomo le affliggeva l’anima.
“Lo so. Lo so. Ma andrà tutto bene. Il dottor Winchester si occuperà di te.”
Un nuovo barlume di vitalità si accese negli occhi dell’uomo.
“Dean… Dean Winchester?”
L’infermiera annuì.
“Ne… Ne ho… Sentito… par..lare.” ansimò “Lo… chiamano… Il… Il Giusto.”
Dean trasalì.
Anna lo guardò, i suoi occhi tornarono a Castiel.
“Sì.” bisibigliò, rinunciando a trattenere le lacrime che da troppo tempo premevano per uscire. “E sai perché lo chiamano così, Cas? Perché lui non abbandona mai nessuno. Lui vuole sempre salvare tutti. E non abbandonerà te, Cas. Noi siamo qui con te.” spiegò, stringendogli le mani ancora più forte.
Le dita del Maggiore trovarono la fede all’anulare della ragazza.
“Spo…sata?” tossì.
Lei assentì, accennando un sorriso.
“Si chiama Sam. E’ un avvocato… Lui è a casa, in Texas.”
“E… Ti… Ha… lasciata venire.. Qui.”
“Non mi ha lasciata.” sussurrò Anna “Ci sono venuta perché sentivo che dovevo farlo. Che era la cosa giusta.”
“Sei… Coraggiosa, Anna. E..”
Castiel si interruppe bruscamente, sussultò e poi gridò.
Anna sentì il proprio stomaco attorcigliarsi, ed un conato la scosse.
Cercò lo sguardo di Dean, e vi lesse lo stesso terrore che le stava trapassando.
Quell’urlo era disumano Il dolore che Castiel era costretto a sopportare era disumano.
“Cas, Cas.” lo chiamò “Forza. Ce l’hai promesso. Forza.”
Tremava, era impossibile tenerlo fermo al lettino.
Le mani di Dean si sostituirono a quelle fragili di Anna.
“Cas.” lo chiamò “Cas… Cas! Guardami. Guardami, Castiel.”
Novak sbattè le palpebre più volte, augurandosi di morire, di precipitare di nuov nell’oblio.
Quel dolore sovrastava tutto.
L’istinto di sopravvivenza, la speranza, persino la paura.
Sovrastava ogni genere di sentimento.
Superava di gran lunga la sua umanità. La divorava. Se ne cibava.
E senza umanità, non poteva sopravvivere.
Non c’erano appigli, ganci di sicurezza.
Era una caduta libera verso le braccia della morte.
“Respira Cas, andiamo. Andiamo Cas.”
Castiel si sforzò di aprire le palpebre ancora una volta.
“Cas.”
 
“Dean.”





A/N: okaaaaaay, cos'ho cominciato? Probabilmente una catastrofe. Ma ieri ho visto la puntata, e i feels, il dolore, insomma SUPERNATURAL, e mi è venuta in mente 'sta cosa (che non c'entra niente) però insomma, portate pazienza e sopportate, okay?
Tanto angst più, angst meno.
Ho già più o meno in mente dove voglio andare a parlare con questa... ehm, cosa, ma non posso assicurarvi degli aggiornamenti regolari, perchè in questo faccio piuttosto schifo.
Fatemi sapere cosa ne pensate e vi manderò il Dr.Winchester a visitarvi, aaaahn? It sounds good, doesn't it?
Lo so che siete li che lo volete, birichine, non fatemi vendere per dei feedback, sù, comportatevi beeene :)
(la semtto.)
Un abbraccio, cari lettori belli.

Allie.
   
 
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