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Autore: earlgreytea68    24/10/2014    9 recensioni
Sherlock Holmes, studente.
Sì, in pratica è tutto.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Saving Sherlock Holmes

 

 

 

 

autrice: earlgreytea68
traduzione di miseichan

 

 

Riassunto: Sherlock Holmes, studente. Sì, in pratica è tutto. 

 

 

Note autrice: Okay. Allora. Questo in origine doveva essere una specie di prologo dello show di tre o quattro capitoli. Qualcosa come “cosa è accaduto durante l’infanzia degli Holmes per farli diventare quello che sono oggi”. Ecco perché la storia è ambientata in questo periodo, così da lasciarli poi al punto in cui inizia lo show. E poi... mi sono lasciata un po’ trasportare e ho pensato, Ecco qui i due giovani ragazzi Holmes. Ora cosa accadrebbe se, invece di farli aspettare per vent’anni, gli dessi ciò di cui hanno bisogno per aggiustarsi proprio ora?
Quarantatré capitoli dopo, ecco a voi questa storia. 

 

Note traduttrice: Conoscete tutti Earlgreytea68. E se non è così, caspita, rimediate al più presto. Le sue storie sono il meglio (a mio avviso, ovviamente). Ne ha scritte tante, così tante da farti pensare Ancora Sherlock e John? No, basta, ormai non ci sarà niente di nuovo, niente di bello, niente che valga la pena... Ma no, gente. Non è mai così. Possono ritrovarsi alle prese con un piccolo clone, nella stessa squadra di baseball, costretti a passare assieme il Natale, incontrarsi alle olimpiadi invernali, tutto insomma. In tutti gli universi possibili e immaginabili. E lei riuscirà comunque a creare la magia. 
Li amerete, li odierete, li odierete sapendo di amarli. Riderete. 
Earlgreytea68 non delude mai, fidatevi. 
Della mia traduzione, invece, non posso dire altrettanto. Sono alle prime armi perciò per qualsiasi nota, consiglio, correzione o lavata di capo, non stateci neanche a pensare: scrivetemelo. Del tipo: prima sparate, poi fate domande.
E, sempre ovviamente, se ve la cavate con l’inglese la storia originale resterà sempre e comunque migliore: ci sono giochi di parole, frasi e concetti a cui l’italiano, purtroppo, non può rendere giustizia. 


 


 

 

 

Ottobre 1987

 

Ciò che Mycroft Holmes non dimenticherà mai del funerale di sua madre è che quel giorno pioveva e lui non aveva un ombrello. 
Era una costante, inesorabile pioggia, che aveva appiattito i riccioli ribelli di Sherlock formando piccoli ruscelli, cascate improvvisate sulla topografia dei suoi capelli. Erano entrambi fradici quando corsero dalla porta della casa di Londra fino alla macchina che li stava aspettando, ed erano zuppi fino al midollo quando si precipitarono in chiesa. 
L’acqua sgocciolava dai capelli troppo lunghi di Sherlock fin nel suo colletto; Mycroft si chiese perché non aveva avuto il buon senso di portare un ombrello e promise che mai una cosa del genere sarebbe accaduta di nuovo. Consapevole delle persone in attesa all’interno della chiesa, più grandi, convinte di essere più sagge e pronte a dire cose come Oh, cielo, non si è nemmeno ricordato di portare un ombrello per coprire la testa del povero Sherlock, Mycroft trascinò Sherlock in un angolo buio e cercò un fazzoletto. Pensò che sicuramente doveva avere uno di quelli su cui la madre aveva fatto cucire il monogramma per lui. 
Sherlock restò fermo e in silenzio, gli occhi fissi su un punto del muro alla sua sinistra dove delle targhe commemorative ornavano la chiesa. Era silenzioso e remissivo da giorni e Mycroft era in parte sollevato per la tregua concessagli mentre cercava di riassestarsi, in parte terrorizzato dalla prospettiva che non avrebbe parlato mai più.
Trovò il fazzoletto, lo tirò fuori e mentre lo passava velocemente sui capelli grondanti acqua di Sherlock, si chiese perché non aveva insisto affinché Sherlock li tagliasse prima del funerale. Quando pensi che il ragazzo abbia avuto il suo ultimo taglio di capelli? A cosa sta pensando Mycroft? Poteva sentire la disapprovazione sollevarsi dalla congregazione fino alle volte del soffitto. 
Sherlock non si mosse, nemmeno quando Mycroft strofinò il fazzoletto con un po’ di forza in più nei suoi capelli, e Mycroft si corrucciò pensando a quanto lo rallegrasse che Sherlock non stesse mettendo il broncio e a quanto lo rattristasse che Sherlock non stesse mettendo il broncio. 
“Non posso permettere che tu prenda un raffreddore,” disse a mo’ di spiegazione e passò il fazzoletto ormai bagnato sul retro del collo di Sherlock. 
Sherlock rabbrividì un po’,  quasi a confermare i timori di Mycroft, e poi fece qualcosa che non aveva fatto per giorni. Parlò. “Il Latino è sbagliato,” disse. 
“Cosa?” disse Mycroft, sorpreso dal sentire la sua voce dopo tutto questo tempo. 
“Il Latino su quella lastra è sbagliato. Penseresti che qualcuno sarebbe stato abbastanza intelligente da controllare cosa sta per far incidere nella pietra. Come possono le persone essere così stupide?”
Mycroft guardò la lastra che Sherlock stava guardando. Il Latino era sbagliato. 
“Sherlock,” disse con un sospiro. “Temo che questo sia solo un piccolo esempio di quanto stupida la gente in realtà sia.” 
Sherlock prese un respiro profondo e strattonò la cravatta che portava al collo. 
“Per favore, smettila,” gli disse Mycroft, rimettendola al suo posto. 
Sherlock lo guardò. Da qualche parte, giù in quegli occhi senza fondo e senza colore che aveva, Mycroft riuscì a vedere che lo sguardo puntato su di lui era malevolo, ma era davvero davvero in profondità, lontanissimo dalla superficie. La superficie dello sguardo di Sherlock era freddo, distaccato e disinteressato. Mycroft disse, sperando sarebbe stato d’aiuto, “Non durerà ancora a lungo.”
“Non essere idiota, Mycroft,”disse con fare annoiato Sherlock. “Durerà per il resto delle nostre vite.”

 

***

 

Sherlock si rifugiò di nuovo nel silenzio. Mycroft cercò di guardarlo attraverso gli occhi della severa congregazione. Alto per la sua età ma fin troppo magro, il tutto enfatizzato dal modo sbagliato in cui gli calzava il completo, perché Mycroft non aveva avuto il tempo di farlo modificare per le sue misure. I suoi capelli si stavano asciugando in nuvole di ciuffi ribelli che imploravano di essere pettinati, e Mycroft tornò a pensare che avrebbe dovuto portare Sherlock dal barbiere a un certo punto. Ma quand’è che aveva avuto un momento libero? Da quando ricevi una brusca chiamata che ti informa della morte di tua madre al giorno in cui riesci a organizzarle un improvviso funerale, quand’è che hai il tempo di preoccuparti di cose mondane come un taglio di capelli? Mycroft sapeva che l’intera questione era sciocca, di intrattenimento solo per le stupide persone schierate dietro di lui nella chiesa; ma sapeva anche che quelle erano le stesse stupide persone che avrebbero deciso se lui era o meno adeguato a prendersi cura di Sherlock da quel momento in poi, e che avrebbero discusso dello stato dei capelli di Sherlock perché la gente - Sherlock aveva ragione - è stupida.
Fortunatamente, nessuno menzionò i capelli di Sherlock con lui. 
Menzionarono Sherlock, invece, costantemente. Come la sta prendendo? Povero ragazzo. Deve essere stata davvero dura, per lui, averla trovata in quel modo. Ne ha parlato con te? Cosa ha detto? Mycroft avrebbe voluto dire che Sherlock ovviamente non ne aveva parlato con lui. Perché chiunque con un minimo di cervello avrebbe voluto parlare di qualcosa del genere? E Sherlock aveva infinitamente più di un minimo di cervello. 
Voleva dire che anche se Sherlock ne avesse parlato con lui, l’intera situazione era confidenziale fra gli Holmes, non oggetto di voyeurismo. 
Ma Mycroft aveva infallibili istinti sociali. Così gli era stato detto. Aveva preso da sua madre. Parlava in maniera aggraziata il ‘banalitese’, una delle molte lingue che padroneggiava facilmente. Chiocciò con fare comprensivo, scosse il capo con fare dolente e odiò ogni persona all’interno di quella casa che ora era sua e di Sherlock. Quantomeno, presumeva fosse sua e di Sherlock. Di chi altri avrebbe potuto essere? Ma quella sembrava un’altra rivelazione che non avrebbe finito per sorprenderlo. 
Si era fidato di sua madre più di qualunque altra persona nella sua vita e lei lo aveva ricompensato morendo senza neanche una singola parola di avvertimento. Gli sembrò coerente con tutto il resto se il suo testamento avesse lasciato ogni loro avere a qualche dimenticato cugino di diciassettesimo grado e Mycroft avesse dovuto trovare da solo un modo per mandare Sherlock a Eton e mantenere se stesso a Cambridge. 
Non riuscì a star dietro a Sherlock, nessuno sembrò riuscirci. Volevano sapere di lui, ma nessuno voleva realmente avvicinarlo. Sherlock non era il tipo di bambino - ragazzo - giovane uomo - Mycroft lasciò perdere il tentativo di classificarlo, ma qualsiasi cosa fosse, non invitava a fare conversazione. Era riservato e distante sotto le migliori circostanze, e le circostanze attuali erano ben lontane dall’essere le migliori. 
Mycroft realizzò che era scomparso dal raduno nei primi trenta minuti e decise che era la cosa migliore che avesse potuto fare. Sherlock non sarebbe scappato o scomparso, Sherlock si sarebbe nascosto per ricomparire nel momento più opportuno per lui, presumibilmente quando la casa fosse stata vuota e lui abbastanza affamato. 
La casa alla fine, fortunatamente, si svuotò. Mycroft non aveva permesso a nessuno di fermarsi, nonostante alcune anziane zie avessero provato a insistere. 
Mycroft aveva bisogno di sentire la vastità della casa senza sua madre e non avrebbe potuto sopportare di dover recitare la sua parte a quell’ora. Alla fine il maggiordomo accompagnò fuori l’ultimo ospite e si girò verso di lui con aria interrogativa, come se Mycroft sapesse cosa avrebbero dovuto fare. Mycroft sapeva cosa prospettava il futuro più prossimo. 
Il giorno dopo ci sarebbe stata la lettura del testamento, l’avvocato di sua madre aveva detto così, e numerosi distanti parenti avevano insistito per essere presenti. Ecco cosa riservava loro il futuro più prossimo. 
Era tutto quello che sarebbe venuto dopo che a Mycroft sembrava fuori dalla sua portata e Mycroft non era abituato a una sensazione del genere, perciò non era contento che sua madre gli stesse facendo questo. 
Mycroft guardò il maggiordomo e disse, stancamente, “Si gela in casa.” 
In parte, Mycroft lo sapeva, era per via del freddo che aveva preso prima sotto la pioggia, ed era stata colpa sua. Si chiese se Sherlock non fosse sulla buona strada per morire di polmonite proprio in quel momento. 
“Accenderò un fuoco per lei in biblioteca, signore.”
Mycroft era sollevato che il maggiordomo gli avesse offerto la biblioteca, perché sua madre la usava di rado e Mycroft, al momento, non avrebbe sopportato il salotto. Lo avevano dovuto utilizzare necessariamente per la riunione ed era stato agghiacciante. C’era stata una discussione con il maggiordomo per la collocazione della scacchiera di sua madre: il maggiordomo, timoroso di un suo rovesciamento, si era offerto di toglierla del tutto ma Mycroft era spaventato all’idea di spostare i pezzi dal posto in cui sua madre li aveva lasciati l’ultima volta che aveva giocato. Sapeva che alla fine sarebbe successo e che era illogico da parte sue rifiutare di farlo quando avevano bisogno di spazio, ma aveva insistito ed erano giunti a un compromesso spostandola attentamente in un angolo dove Mycroft aveva passato l’intero pomeriggio a guardarla. 
Mycroft lanciò un’occhiata al salotto ora. Il fuoco era stato coperto, le luci spente e tutto nella stanza sembrava... abbandonato. Mycroft proseguì improvvisamente e tirò fuori le porte a scomparsa. Opposero resistenza, non riusciva a ricordare l’ultima volta che erano state usate, e non volevano saperne di muoversi, ma le scosse energicamente finché alla fine non si chiusero e lui non dovette più guardare il salotto. 
Quindi, soddisfatto, si girò ed entrò nella libreria, incrociando il maggiordomo che ne usciva. “Mi porti un vassoio da tè,” disse, e il maggiordomo annuì. 
Mycroft prese posto sul divano vicino al  fuoco e rimase a fissarlo mentre cominciava ad accendersi, domandandosi dove fosse Sherlock e se andare a cercarlo avrebbe migliorato o peggiorato le cose. 
Il maggiordomo arrivò con il vassoio da tè mentre Mycroft stava ancora considerando la situazione; si riscosse dal suo stupore contemplativo per ringraziare il maggiordomo che disse solamente, “Devo chiudere la porta?”
“Sì,” disse Mycroft, perché non voleva che la pressione del resto della casa lo disturbasse. “Se vede il signorino Sherlock, però, gli dica che mi piacerebbe vederlo.”
“Sì, signore,” disse il maggiordomo chiudendo la porta, e Mycroft guardò il vassoio da tè. 
In realtà non aveva voglia di tè, ma completò l’atto rituale di prepararlo, guardò il risultato e sentì che l’ultima cosa che gli andava di fare era berlo. Una parte di lui voleva raggomitolarsi sul divano e dormire durante la prossima parte della sua vita. 
Una della porte che davano sul giardino posteriore venne aperta e chiusa, e Mycroft sospirò. “Sei stato fuori per tutto questo tempo?”
Naturalmente, Sherlock non rispose. Raggiunse una delle sedie vicino al fuoco e vi si lasciò cadere, irradiando onde di scontenta irritazione. Lanciò un’occhiata accusatoria a Mycroft, come se la colpa di tutto fosse sua; il che, a parte la mancanza dell’ombrello nella mattinata, decisamente non era vero. 
Mycroft si alzò e camminò fino in fondo alla biblioteca, dietro la scrivania che era stata di loro padre più anni fa di quanti Sherlock ne avesse, in realtà. Inclinò il libro che aveva visto  inclinare a suo padre, tutti quegli anni fa, e la libreria scivolò verso di lui. 
Sherlock, come Mycroft sapeva avrebbe fatto, saltò su immediatamente e corse verso di lui. “Come sapevi che era lì?” chiese. 
“Papà era solito usarla,” disse Mycroft, valutando le bottiglie di alcol che scintillavano sulle mensole. 
“Perché non me lo hai mai detto?”
“Perché non lo hai scoperto da solo?” replicò Mycroft, delicatamente. 
Sherlock si accigliò e disse, “Quell’alcol non può essere ancora buono.”
“Cosa importa?” chiese Mycroft, scegliendo una bottiglia di Scotch e sollevandola verso le luci come se sapesse cosa stava facendo. “Ad ogni modo, l’alcol diventa migliore con il tempo, non peggiore.”
“L’alcol propriamente conservato,” disse Sherlock, fingendo di non essere interessato al resto di ciò che occupava le mensole. 
“Puoi esplorare finché ti va un’altra volta,” disse Mycroft, sospingendo fuori Sherlock per poter chiudere la porta. “E dove hai imparato così tanto sull’alcol?”
Sherlock emise un rumore che poteva liberamente essere tradotto in So leggere, Mycroft, grandissimo idiota. Seguì Mycroft fino al camino, e lì Mycroft prese una tazza da tè pulita e ci versò dello Scotch. Poi prese un’altra tazza, versò altro Scotch e la porse a Sherlock. 
Sherlock lo guardò prima con grande meraviglia, poi con sospetto. “Cosa vuoi?”
Mycroft sospirò, sedette e poggiò la tazza nuovamente sul vassoio, prendendo la propria. “Niente. E’ stato il tipo di giornata che richiede un drink.”
“Ma ho undici anni.”
“Sì, ecco perché te ne ho versato poco. Ho pensato avresti voluto testare scientificamente gli effetti di dieci anni di abbandono sul sapore dello Scotch. Ad ogni modo, hai preso freddo e presumibilmente lo Scotch aiuta ad allontanare un raffreddore.”
“E’ una vecchia diceria,” disse Sherlock, tornando a sedersi. Strinse la sua tazza con cautela, la annusò e poi fissò al suo interno. Mycroft lo guardò catalogare tutte le sue impressioni per annotarle più tardi. Quindi bevve un piccolo sorso e lo considerò per un lungo momento prima di annunciare, “E’ terribile.”
Mycroft fece un mezzo sorriso e posò la sua tazza senza berne un solo sorso, di colpo non lo interessava più. “Sherlock...”
“Non ti preoccupa davvero che io prenda il raffreddore,” gli disse Sherlock, mettendo giù la sua tazza.
“Certo che mi preoccupa,” replicò Mycroft. 
“Ti preoccupa solo ciò che la gente penserà se prendo il raffreddore.”
“Perché non possono preoccuparmi entrambe le cose?” chiese Mycroft, dopo un secondo.
“Se eri tanto preoccupato avresti dovuto portare un ombrello.”
“Lo so. Mi dispiace,” disse, perché era vero. 
Sherlock mise i piedi sulla sedia, tirando le ginocchia al petto e sembrando molto più un bambino piccolo e solo. Qualcuno gli aveva detto, durante quell’interminabile giornata, che Sherlock non sarebbe mai stato di nuovo un bambino, ma la verità era che era così dolorosamente giovane da terrorizzarlo. Se Sherlock non fosse più stato un ragazzino sarebbe stato tutto più semplice, ma gli undici anni sono un’età terribile, a metà di tutto, e Mycroft non aveva idea di come comportarsi. 
“Sarei dovuto venire in chiesa con te,” disse Sherlock, guardando il fuoco. 
“Sei venuto in chiesa con me,” commentò Mycroft. 
“Non oggi. Prima. Quando ti stavi occupando dell’organizzazione e mi hai chiesto di venire e io non ho voluto.”
“Non dovevi farlo, Sherlock.” Mycroft si era sfinito abbastanza facendo tutte le cose che andavano fatte, non ci sarebbe stato motivo di sottoporvi anche Sherlock se non voleva essere coinvolto. 
“Ma mi sarei accorto del Latino sulla lastra,” disse Sherlock ostinatamente. “Tu non lo hai notato. La mamma lo avrebbe odiato.”
“Sherlock,” disse Mycroft, pensando che in qualche modo avrebbe migliorato le cose, “alla mamma non importa più di niente.”
Sherlock lo fissò con orrore, sorprendendolo perché, senza contare il funerale in chiesa, erano cresciuti senza un vero senso di religione, e non aveva mai pensato che Sherlock potesse star aggrappandosi a una qualche idea di vita nell’aldilà con quel suo cervello così scientifico. La scienza è temprata dalla filosofia, diceva sua madre, e Mycroft comprese l’errore commesso. 
“Oh,” disse, stupidamente, perché non riuscì a pensare ad altro da dire.
Sherlock inalò ed espirò un respiro carico di rabbia e disapprovazione nei suoi confronti e poi disse, devotamente, “Non indosserò mai più una cravatta, e tu non mi costringerai a farlo, hai capito?”
“Non mi importa se indosserai mai una cravatta,” disse Mycroft onestamente. “Ma dovrai indossarne una a scuola...”
“Perché devo andare a scuola? So già tutto quello che c’è da sapere.”
“Cosa proponi in alternativa?”
“Potrei fare il pirata.”
“Non puoi essere ancora fissato con quest’idea della pirateria,” sospirò Mycroft. 
“Non capisco perché pensi che i pirati facciano parte del passato. Il mare è l’ultima grande frontiera su questo pianeta, l’ultimo posto senza leggi.”
“Posso assicurarti l’esistenza di leggi che governano gli oceani. Se andassi a scuola, lo impareresti da te.”
Sherlock si corrucciò. “Voglio dire che le leggi non sono facilmente applicate.”
“Sherlock, non dire cose del genere.”
“Perché no?”
“Perché ti fanno sembrare un giovane criminale in erba.”
Sherlock ci pensò. “Scommetto che i giovani criminali non vanno a scuola.”
“Quelli intelligenti lo fanno. Senti, evitiamo di discutere della scuola proprio adesso.”
“Non voglio parlare della mamma,” disse Sherlock all’istante, i piedi che scivolavano sul pavimento mentre si sedeva correttamente.
“Non lo faremo,” disse Mycroft, non sentendosela di parlare di lei a sua volta. “Non parliamo e basta. Ho dovuto parlare tutto il giorno.”
“Ma a te piace parlare. Ti piace il suono della tua stessa voce.”
“Il bue dice cornuto all’asino,” disse Mycroft, e Sherlock gli sorrise. Per un momento fu come se niente, negli ultimi giorni, fosse accaduto. “Hai davvero passato l’intera giornata fuori? Fa freddo, ed eri già bagnato da questa mattina.”
“Sono stato fuori solo poche ore,” disse Sherlock. Scivolò giù dalla sedia e andò a sedersi proprio davanti al camino. 
“Dovresti andare a metterti qualcosa di asciutto,” gli disse Mycroft.
“Cosa succederà domani?” chiese Sherlock. C’era un fondo di ansietà in quella domanda che nessuno a parte Mycroft avrebbe mai sentito. 
“Niente,” disse Mycroft, perché non voleva che Sherlock se ne preoccupasse. “Assolutamente niente. Te lo prometto.”
Non sapeva per quanto tempo le sue promesse avrebbero avuto un peso, ma apparentemente funzionavano ancora perché Sherlock annuì e si voltò in direzione del fuoco, dandogli le spalle; Mycroft lo guardò e cercò di non preoccuparsi. 

 

***

 

Mycroft non riusciva a dormire. 
Aveva voluto che la lettura del testamento avvenisse di mattina, perché voleva farla finita, ed era contento di aver preso quella decisione perché significava poter facilmente lasciar perdere l’idea di dormire per dedicarsi alla scelta di una cravatta. 
A Mycroft sembrò di non riuscire a ricordare l’ultima volta che non aveva indossato un completo, perché durante quest’intero sfacelo aveva scoperto che era di grande importanza che lui sembrasse più grande dei suoi diciott’anni ed era sicuro che in questo particolare giorno fosse ancora più importante. Si chiese se avrebbe mai smesso di indossare completi tutti i giorni, mai smesso di preoccuparsi di sembrare più grande e competente di quello che di fatto poteva essere. 
Decise di scendere per la colazione anche se non aveva un briciolo di fame, solo perché era appropriato e perché voleva dire di essere un sostenitore dei tre pasti fondamentali, da responsabile essere umano qual era. Prima di scendere si affacciò nella camera di Sherlock per assicurarsi che di fatto fosse lì, perché davvero non poteva permettere che Sherlock scomparisse mentre era sotto la sua tutela nel giorno in cui prevedeva di dover discutere delle sue capacità nel prendersi cura di lui. 
Sherlock era nella sua camera, fortunatamente, anche se stava dormendo alla scrivania invece che nel suo letto, con  i resti di un qualche esperimento attorno a sé. Mycroft ipotizzò che quello era il tipo di cose che non avrebbe dovuto assolutamente permettere; doveva insistere affinché Sherlock andasse a letto a orari ragionevoli, ma gli sembrò di aver aspettato troppo per cominciare ora a insistere che si comportasse normalmente. 
Mycroft strisciò nella stanza, scostò le coperte dal letto, raggiunse la scrivania di Sherlock e lo tirò in piedi. Era docile per via del sonno e si svegliò solo a metà, giusto il necessario per lanciare a Mycroft un’occhiata carica di disapprovazione ed emettere un’esile protesta prima di essere spinto nel letto. Rimboccò le coperte su di lui e Sherlock vi si rannicchiò farfugliando, “Stavo bene alla scrivania.”
Era così ostinato, pensò Mycroft, e poi, subito dopo, gli venne in mente che non aveva mai davvero chiesto a Sherlock chi volesse che si occupasse di lui. Sherlock: difficile, ostinato e problematico; Sherlock forse non sarebbe stato d’accordo con la decisione di Mycroft in materia e Mycroft non voleva costringerlo. 
“Sherlock,” disse mantenendo la voce bassa, perché era davvero presto e discuterne ad alta voce gli sembrava melodrammatico. “C’è qualcuno con cui vorresti andare a vivere?”
“Stephen Hawking,” rispose Sherlock, prontamente, la voce ancora annebbiata dal sonno, rigirando la testa sul cuscino. 
Mycroft represse un sospiro. “Intendevo dire qualcuno che non sia me.”
“Tu non sei Stephen Hawking,” gli fece notare Sherlock, e sbadigliò. 
“Eccellente,” disse Mycroft. “Ottima osservazione. Ma c’è qualcuno di realistico che preferiresti si occupasse di te? Qualcuno della famiglia? O qualcuno che conosci?”
Era ridicolo. Non conoscevano davvero nessuno a parte loro stessi. 
Gli occhi di Sherlock si aprirono bruscamente, fissandolo, e Mycroft desiderò subito poter fare marcia indietro. 
“Come chi?” chiese Sherlock mettendosi a sedere. “Da chi stanno provando a mandarmi?”
“Nessuno,” disse Mycroft. 
“Devi essere tu,” lo informò Sherlock. “Se sarà chiunque altro scapperò via e nessuno mi troverà mai.”
“Io ti troverei.”
“Alla fine. Forse,” concesse Sherlock con riluttanza. “Pensavo saresti stato tu. Perché dovrebbe essere qualcun altro? Mi sono appena rassegnato a te. So come manipolarti. Non voglio dover cominciare d’accapo.”
“Molto toccante,” disse Mycroft. “Grazie per il tuo voto di fiducia. Sarò io. Mi assicurerò che sia così.”
Sherlock lo guardò dubbiosamente e Mycroft lo vide risvegliarsi, la mente che tornava in azione. “Serve che io...”
“Non serve che tu faccia alcunché. Mi occupo io di te. Promesso. Torna a dormire.”
Sherlock esitò, poi lentamente si sdraiò, sistemando le coperte attorno a sé. “Perché dovrebbe essere qualcun altro, Mycroft?”
Per un milione di ragioni. Mycroft sapeva che Sherlock era sensazionalmente intelligente e non riusciva a capire come potesse non vederle tutte. 
Avrebbe voluto elencargliele. Sono a mala pena maggiorenne. Frequento l’università. Non ho un posto in cui farti vivere con me. Non ho idea di come crescere un ragazzino di undici anni. Non conosco lo stato delle nostre finanze, perciò non so se ci sono soldi a sufficienza per fornire a te le cose che meriti e al contempo dare a me ciò che mi aspettavo. E, se così non fosse, non ho idea di come guadagnarli con le mie attuali qualifiche. E tu non sei un bambino facile, hai bisogno di guida e disciplina, mentre io ti lascerei fare tutto quello che vuoi perché sei più sveglio di chiunque altro conosca. 
Mycroft non ne disse nessuna, sapeva che per Sherlock sarebbero state irrilevanti. 
Sherlock si considerava già grande e il fatto che la legge non lo vedesse come un adulto era un’inopportuna seccatura, niente di più. Una formalità con cui credeva Mycroft sarebbe stato d’accordo. Non c’era bisogno di educare alcun bambino per Sherlock Holmes - lui era già oltre quel punto. Nella mente di Sherlock, lui aveva solo bisogno che qualcuno gli assicurasse del cibo quando era affamato, niente di più; e Mycroft era la persona giusta per quello. Non doveva essere più che maggiorenne per farlo e, ad un undicenne, diciotto anni sembravano tanti comunque. 
Mycroft disse, invece, “Non sarà nessun altro. Te lo prometto. Torna a dormire, non scappare e cerca di non dire ad altre persone che vuoi che sia io ad occuparmi di te perché sai già come manipolarmi.”
“Non sono un idiota, Mycroft,” disse Sherlock, ma i suoi occhi si stavano chiudendo ed era prossimo a riaddormentarsi. Mycroft lo trovò incredibile, perché aveva lo stomaco contratto per il nervosismo e dormire gli era risultato impossibile. Ma Sherlock dormiva pacificamente, come se non avesse un solo pensiero al mondo, perché Mycroft gli aveva promesso che era così. 
Che diavolo, pensò Mycroft. Forse dovrei trovare qualcun altro. 
Guardò il caos disseminato nella camera di Sherlock, pensò a chi avrebbe cercato di ripulire quella manifestazione di genio e respinse immediatamente l’idea. 
Sherlock aveva ragione. Doveva assolutamente essere lui. 

 

 

 

§









 

Link della storia originale: http://archiveofourown.org/works/514787/chapters/908428

Link account autrice:  http://archiveofourown.org/users/earlgreytea68/pseuds/earlgreytea68

Link account traduttrice: http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=87678

 
   
 
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