A
MENO CHE
21 novembre, h 08.15
Il dottor Krycek era stanco.
Aveva fatto il turno di notte, e poco prima
che scattassero le 8.00, ora a cui sarebbe potuto andare a casa a godersi il
meritato riposo, ne era arrivato un altro.
Di cadavere.
Lui trattava con i cadaveri.
Autopsie, per lo più.
Così alle 8 meno due fottutissimi minuti,
arrivò il signor John Doe 3°, abbandonato davanti all’ospedale da ignoti, e
morto poco dopo, senza neanche il tempo che la capo infermiera decidesse cosa
fare con l’ennesimo paziente senza identità, per la precisione il terzo quel
mese.
Così lui si era ritrovato a dover ripulire
quello che probabilmente era un barbone, e a prepararlo per l’autopsia, che
avrebbe svolto il suo collega dopo il cambio turno, ovviamente.
Controllò sul registro quale cella fosse
libera e, trascinandosi il carrello con il corpo, si avvio verso il fondo
dell’obitorio, non vedendo l’ora di chiudere quel cadavere nel suo bel sacco di
cellophan e andarsene a casa.
Fu così con non poco disappunto che, aprendo
l’anta di metallo, scoprì che quella che doveva essere una cella libera e pronta
ad accogliere il signor Sconosciuto, era già occupata.
In un primo momento, pensò a un errore nella
compilazione del registro, poi però l’odore di putrefazione avanzata lo investì,
facendolo indietreggiare.
“Oddio…” mugugnò l’uomo, portandosi
una mano alla bocca.
Quello che vide non fu quello che era
abituato a vedere: niente cadavere lavato, disinfettato e impacchettato, ma uno
strano cumulo di carne, ossa, stoffa…e insetti.
Osservò un grosso scarafaggio muoversi
lentamente su quella che sembrava la sommità di un cranio, per metà coperto di
capelli e per metà osso vivo. Scese lungo le tempie e…sarebbe sparito dietro
l’orecchio se l’orecchio ci fosse stato.
Era decisamente troppo.
Il dottor Krycek, esperienza ventennale con
i morti del Princeton Plaisboro Teaching Hospital, vomitò la sua colazione ai
piedi della cella 42.
21 novembre, h
16.45
“Quello era un epistrofeo appartenente ad
uno scheletro rinvenuto nella Repubblica del Congo quattro anni fa, e che solo
ora, dopo trattative estenuanti, siamo riusciti a farci inviare al Jeffersonian!
Stavamo cercando di capire l’esatta epoca di provenienza, era importante che
rimanessi!” la dottoressa Brennan parlò senza prendere fiato, o almeno così
sembrò all’agente Booth; nonostante questo il suo tono di voce non vacillò
nemmeno un istante, e l’uomo fece fatica ad introdursi nel discorso.
“Si…ok…capisco ma…Bones!” odiava alzare la
voce, ma spesso era l’unico modo per attirare l’attenzione della sua collega.
“Il tuo epistro-coso è in buone mani, se ne occuperà Zack, giusto?”
“Epistrofeo. Mi fido di Zack, ma è un lavoro
urgente; non posso lasciare il laboratorio ogni volta che l’FBI trova uno
scheletro da qualche parte negli Stati Uniti.”
“Ma tu adori lavorare sul campo insieme a
me!” Booth le rivolse il migliore dei suoi sorrisi, uno di quelli con cui aveva
incantato testimoni e sedotto decine di donne, ma che raramente aveva un qualche
effetto su Bones.
Questa, purtroppo, non fu una di quelle rare
volte.
“Non quando ho un epistrofeo di almeno 4000
anni su cui lavorare.”
Booth distolse un istante gli occhi dalla
strada, spostandoli su di lei: guardava fuori dal finestrino, lo sguardo
accigliato, mentre si reggeva il viso sul pugno chiuso. “Aveva quella strana
scanalatura…” continuò, quasi tra sé e sé.
“Ma Bones! Lascia respirare un po’
quell’ossicino e goditi questa trasferta!”
Brennan rimase qualche istante in silenzio,
e l’uomo quasi pensò di averla convinta.
“Le ossa non respirano.” dichiarò poi la
dottoressa.
Le parole erano lapidarie ma il tono
arrendevole; piccole sfumature che ormai il suo collega aveva imparato a
conoscere.
Così capì che l’aveva convinta.
“Dove stiamo andando esattamente?” chiese
Brennan, scocciata di aver perso quella battaglia verbale.
“Princeton Plaisboro Teaching Hospital!”
Booth le passò un foglio, che conteneva poche righe scritte a computer. “Hanno
trovato un cadavere nell’obitorio dell’ospedale…”
“L’obitorio è per definizione il
posto dove si tengono i cadaveri.”
Booth sospirò, tentando di mantenere la
calma.
“Si Bones, questo lo so. Fammi andare avanti
per favore.” si sistemò gli occhiali da sole e, tornando a posare la mano suo
volante, riprese a parlare. “Hanno trovato un corpo in decomposizione, con
ancora addosso i vestiti, o quello che ne resta, e insetti, terra, quelle cose
lì che piacciono tanto a Hodgins. Era in una cella che, secondo il registro,
doveva risultare vuota. Si pensa quindi che qualcuno abbia nascosto il corpo lì.
E se l’hanno nascosto…”
“…è un probabile caso di omicidio.” concluse
la donna, indossando anche lei gli occhiali da sole.
“Brava Bones, vedi che usare l’intuito non è
poi così male?”
“Ho detto probabile, non ne potremo
esser certi finché non avrò esaminato il corpo.” replicò inamovibile
Brennan.
“Certo…” Booth rispose distrattamente mentre
la sua attenzione veniva catturata dal cartello stradale che, a lato della
strada, indicava la svolta a sinistra: PRINCETON PLAISBORO TEACHING
HOSPITAL.
Erano arrivati.
Princeton Plaisboro Teaching Hospital –
Ufficio di Lisa Cuddy
21 novembre, h 16.45
“Cosa?!” Lisa Cuddy stringeva con forza la
cornetta tra la spalla e l’orecchio, mentre usava le dita di entrambe le mani
per tormentare il solito elastico. “L’F.B.I.?!”
“Dottoressa Cuddy, il cadavere nell’obitorio
del suo ospedale è probabilmente la vittima di un omicidio, abbiamo contattato
un nostro agente di Washington che lavora con un’antropologa forense, e si
occupano spesso di ritrovamenti di questo genere…Sono già in viaggio” la voce
dell’uomo fece una pausa di qualche istante, poi titubante concluse “in realtà,
credo che saranno lì a breve.”
Cuddy abbandonò l’elastico che e, mentre con
una mano afferrava la cornetta, si passò l’altra sulla fronte. “Senta, questo è
un ospedale. Un. Ospedale. I suoi uomini bloccano l’accesso all’obitorio da ore,
e ora ne abbiamo bisogno. Negli ospedali la gente muore, e non posso nascondere
i cadaveri negli armadi! Mi rendo disponibile per rispondere a tutte le vostre
domande, e lo stesso farà il dottor Krycek ma, per favore, prendete quel corpo e
dateci la possibilità di riprendere a lavorare normalmente.” riuscì a mantenere
un tono di voce pacato per quasi tutto il suo breve discorso, ma le ultime
parole le uscirono stridule; aveva i nervi a fior di pelle, e il pensiero
dell’FBI che stava per arrivare non le facilitava di certo le cose.
“Capisco dottoressa, ma anche noi dobbiamo
fare il nostro lavoro. L’agente Booth sta per arrivare, e avrà lui tutta la
responsabilità del caso. Potrà parlarne con lui.”
Le sembrò un modo mediamente educato di
portare a termine quella conversazione.
Conosceva quel tono, soprattutto quando si
trattava delle forze dell’ordine.
“Va bene, aspetterò allora l’arrivo
dell’agente Booth.” disse in un soffio.
“Perfetto. Buona giornata, dottoressa
Cuddy.”
Tentò di trattenere il “fottiti” che le era
salito automaticamente alle labbra, e riattaccò senza aggiungere altro.
Si lasciò cadere sulla sedia dietro la sua
scrivania, e incominciò a guardarsi intorno, cercando di ragionare sul da
farsi.
Da quella mattina, era stato tutto un
inferno.
Appena aveva messo piede in ospedale era
stata letteralmente aggredita da una decina di infermiere e medici in panico; le
erano serviti alcuni minuti per capire che il “cadavere nell’obitorio” di cui
parlavano era qualcosa di diverso dai soliti cadaveri.
Era arrivata a fatica al suo ufficio e, dopo
aver cacciato tutti fuori, aveva fatto chiamare il dottor Krycek, che le aveva
raccontato, sconvolto, quello che aveva trovato quella mattina.
Aveva chiamato subito la polizia e poi era
andata in obitorio a controllare.
Lo spettacolo era disgustoso e, nonostante
non fosse una persona facilmente impressionabile, aveva sentito il bisogno di
abbandonare subito quella stanza.
Dopo aver ordinato a chi ne era già al
corrente di non parlare con nessuno dell’accaduto, si era rifugiata ancora nel
suo ufficio; non le era mai capitato nulla del genere, ma aveva le idee
abbastanza chiare su come muoversi. Chiamò l’avvocato, ordinò al dottor Kricek
di rimanere in ospedale, fece chiudere l’intero seminterrato, in modo che i
poliziotti si potessero muovere liberamente nell’obitorio e intorno ad
esso.
Pensava sarebbe bastato.
L’FBI non era nei suoi piani, né il fatto
che ci volesse così tanto per liberarsi di quel cadavere: era ancora lì e,
ormai, quasi tutto l’ospedale ne era a conoscenza.
Era riuscita a bloccare le voci di corridoio
con i suoi ordini, ma giusto per un paio d’ore; poi l’incapacità di tener la
bocca chiusa, tipica delle infermiere del suo ospedale, aveva avuto la
meglio.
Così si trovava tutto il personale in
agitazione, voci strane che parlavano di assassini dentro l’ospedale
incominciavano a girare, e nel momento in cui sarebbe arrivato l’FBI, la
situazione si sarebbe aggravata ulteriormente.
Chiuse gli occhi, e fece un respiro
profondo.
Era Lisa Cuddy, decano di medicina di
quell’ospedale; il suo ospedale.
Ce l’avrebbe fatta.
In qualche modo, ce l’avrebbe fatta.
21 novembre, h
17.15
La dottoressa Brennan e l’agente Booth
varcarono la soglia del Princeton Plaisboro Teaching Hospital, e restarono
qualche istante a guardarsi intorno: c’era un via vai di quelli che sembravano
essere persone comuni con qualche acciacco, di quelle che affollano il pronto
soccorso a ondate, come se ci fossero dei giorni in cui i malanni diventavano
una buona scusa per andare a fare un giro in un posto nuovo.
“Hai visto?” chiese Booth indicando
furtivamente una coppia di anziani signori che passavano davanti a loro.
“Cosa?” Brennan seguì con lo sguardo i due
coniugi, che scomparvero lungo un corridoio.
“Tutti questi malati…e…” l’agente dell’FBI
continuò a guardarsi in giro come se stesse cercando qualcosa, e percepì a
malapena la voce che parlò alle sue spalle: “Già, tutti questi malati in un
ospedale, davvero bizzarro!”
Booth si voltò di scatto, trovandosi davanti
un uomo alto tanto quanto lui, con la camicia stropicciata e i capelli in
disordine, che si reggeva ad un bastone.
Questi si limitò a sorpassarlo con passo
claudicante, degnandolo appena di uno sguardo. Si fermò un istante per prendere
un lecca-lecca da un grosso barattolo, poi proseguì verso gli ascensori.
“Ma guarda questo…” disse tra i denti, con
rabbia, offeso dal tono sarcastico di quello strano tizio.
“Io non ci trovo nulla di bizzarro.”
dichiarò Brennan, insensibile ad ogni accenno d’ironia nella voce dell’uomo
appena passato “Malati. In un ospedale…” Guardò Booth con aria
interrogativa.
“Quello che volevo dire, Bones” con un cenno
attirò la sua attenzione sulla coppia di anziani, che stava ripassando davanti a
loro, “è che ci sono i malati, ma non i dottori. Malati allo stato brado. E’
indice di caos, confusione, rottura di equilibri.”
“Dici che potrebbe influire sulle
indagini?”
“Dico che incontreremo persone con i nervi a
fior di pelle…” le parole gli morirono sulle labbra, vedendo arrivare verso di
loro una donna dall'aspetto impeccabile e dall'andatura decisa.
"Immagino che lei sia l'agente dell'FBI."
disse brusca, porgendogli la mano e spostando subito lo sguardo sulla sua
partner.
"Si sono io, Seeley Booth, e questa è la
dottoressa Brennan, antropologa forense."
"Lisa Cuddy, dirigo questo ospedale. Venite
con me." si limitò a dire la donna e, dopo aver stretto la mano ad entrambi, li
precedette nel suo ufficio.
"Ho notato un po' di caos all'ingresso."
disse Booth, appena varcata lo soglia.
Notò l'ampiezza di quella stanza, la grossa
libreria, la zona relax con il divano e la poltrona…una donna che passa molto
tempo tra quelle quattro pareti, tanto da aver dato alla stanza un aspetto
accogliente come un salotto casalingo.
"Già, il personale è abbastanza agitato, ho anche dovuto mandare a casa un paio di infermiere. In più, sembra che oggi tutti abbiano voglia di farsi visitare gratuitamente dal nostro ambulatorio. Proprio oggi..." la donna parlò rapidamente, e Booth non poté far a meno di notare una nota di irritazione nella sua voce.
“L’omicidio è un’ulteriore seccatura.” commentò, provocatorio.
Lisa Cuddy alzò gli occhi su di lui e, mentre appoggiava entrambe le mani sulla scrivania, fece un respiro profondo. “Senta,” disse con fermezza “io e il dottor Krycek saremo a vostra disposizione per ogni tipo di domanda, ma ho bisogno che il lavoro qui dentro torni alla normalità il più presto possibile. Quindi ditemi qual è la prassi, e incominciamo subito.”
“Di solito prima ci portano sulla scena del crimine, io mi accerto che si tratti di omicidio, poi Booth…”
“Ok Bones, non credo che la dottoressa Cuddy volesse davvero sapere l’intera procedura. Vuole solo che ci sbrighiamo.”
“ ‘Ditemi qual è la prassi’ mi sembrava una chiara richiesta di spiegazione delle fasi delle indagini.”
“E ‘incominciamo subito’ era una chiara richiesta di lasciar perdere le spiegazioni, ed andare a vedere questo cadavere.”
Brennan lo guardò qualche istante, confusa dal comportamento del collega, che sembrava essere ora animato dalla stessa impazienza del capo di quell’ospedale. “Ok…andiamo.”
Entrambi si voltarono verso la donna che aveva seguito il loro rapido scambio di battute, in silenzio.
“Andiamo.” concluse questa e, facendo loro cenno di seguirla, si diresse all’obitorio.
Princeton Plaisboro Teaching Hospital –
Obitorio
21 novembre, h 17.30
“Maschio, tra i 20 e i 25 anni.”
La voce di Brennan rimbombò nello stanzone semi-vuoto e suonò fredda e metallica quanto tutto quello che li circondava.
Dietro di lei, Booth prendeva rapidi appunti su un taccuino, mentre Cuddy stava qualche metro più lontana, stringendosi le braccia intorno al corpo per proteggersi dal freddo di quella stanza.
Fece qualche passo avanti solo quando vide la dottoressa Brennan piegarsi sul corpo tanto quasi da toccarlo con il naso, come se non sentisse il fortissimo odore di putrefazione che emanava. “Lo sterno presenta delle fenditure mediamente profonde…” disse quasi tra sé e sé.
“Un coltello?” chiese Booth, impaziente.
“Non uno di quelli normalmente in commercio… I segni di tagli sono troppo sottili e precisi. Sembrano quasi…”
“Un bisturi.” la interruppe il collega.
Brennan alzò il viso e si voltò a guardare il suo collega, che dopo aver ricambiato lo sguardo, scrisse ancora qualcosa sulla pagina bianca. “C’è altro?” disse poi, senza alzare gli occhi dal foglio.
“Sembra che i tagli proseguano sulle costole, ma qui c’è troppa carne perché possa saperne di più. Poi…” fece scorrere il carrello su cui era steso il cadavere, avvicinandosi al cranio. “Oltre alla mutilazione dell’orecchio destro…sembra esserci una frattura parziale dell’osso frontale.”
L’agente si voltò verso Cuddy. “Un colpo alla testa.” spiegò, ammiccando.
“So cos’è l’osso frontale.” rispose impassibile la donna.
“Sa cos’è l’osso frontale perché è un medico.” precisò Brennan, senza distogliere l’attenzione dal cadavere.
“Ok, ok.” Booth alzò le mani in segno di resa, e tornò a rivolgersi alla sua partner. “Impacchettiamo tutto e mandiamo al Jeffersonian?”
“Ottimo.” intervenne Cuddy, avanzando verso la porta “Avviso l’addetto all’obitorio di turno di preparare il corpo per il trasporto.”
“No.” la voce di Brennan li fece voltare entrambi verso di lei. “Questo è un ambiente sterile e le condizioni termiche sono adatte a conservare il corpo.”
“Tutte quelle bestioline che entrano ed escono dai suoi orifizi non mi sposano bene con l’aggettivo ‘sterile’” obiettò Booth.
“Gli insetti mi fanno pensare che il corpo sia stato portato dall’esterno, ma lo stato del cadavere mi fa pensare che il corpo non si sia mai mosso da qui. Io mi fido più del cadavere che degli insetti.” Brennan si voltò verso Cuddy. “Il corpo resta qui finché i miei colleghi non avranno analizzato i tessuti e gli insetti, poi potremo spostarlo per la pulitura delle ossa.” dichiarò, inamovibile.
“Il corpo non può restare qui, ho bisogno dell’obitorio!” la voce di Lisa Cuddy divenne ad ogni parola più acuta. “Sono morte tre persone da stamattina, e sono ancora nel loro letto, occupando posti che servono per far si che altri malati non facciano la loro fine!”
“Questo non è un problema inerente al mio lavoro. Mi avete chiesto di guardare le ossa, e lo stato delle ossa, insieme ad altri fattori di mia competenza, indica che il corpo deve restare qui.”
“Ci sono invece fattori di mia competenza, che indicano che dovete liberare al più presto l’obitorio!”
“Ok, signore…” Booth avanzò di un passo, interponendosi tra le due donne, e aprendo le braccia come a voler separare due combattenti. “Bones” disse, voltandosi verso la collega “parlo io con la dottoressa, magari riusciamo a trovare un punto d’incontro. Tu torna pure a guardare le tue ossa.”
“Sono qui per dare la mia opinione da esperta e l’ho data, ho bisogno di Hodgins e di Cam…e di Zack. Non esistono punti d’incontro in proposito.”
Booth abbassò le braccia e si appoggiò le mani ai fianchi. “Ok, Bones…ok.”
“Dottoressa Cuddy” si voltò dando le spalle alla collega, e rivolgendosi a Lisa “Temo che non ci sia molto da discutere. Questa è una scena del crimine sotto giurisdizione dell’FBI, e se la qui presente antropologa forense dell’FBI dice che il cadavere deve restare, il cadavere resta. Mi dispiace per il disagio che provochiamo ai pazienti, ma un sospetto omicidio è una cosa seria. Sono sicuro che saprà attingere dalle giuste risorse per trovare la miglior soluzione su…dove mettere i morti dell’ospedale.”
Lisa Cuddy lo fissò qualche istante, titubante; poi sospirò e un’espressione arrendevole comparve sul suo viso. “Va bene, fate quello che dovete fare, io mi organizzo con l’ospedale più vicino per il trasporto dei cadaveri.”
“Fantastico, ero sicura che lei avrebbe trovato in fretta la soluzione migliore!” Booth sfoggiò il migliore dei suoi sorrisi, prima di voltarsi verso la collega “Hai visto, Bones? Tutto risolto!”
Brennan aspettò finché Lisa Cuddy non uscì dall’obitorio, prima di replicare. “Cos’era quella cosa?”
“Cosa?!” chiese Booth, confuso.
“Tutto quel ‘fantastico’, ‘ soluzione migliore’, e quel grosso sorriso? Anche se avesse detto di no ti saresti procurato un mandato e avremmo fatto lo stesso quello che volevamo.”
“Certo Bones, ma…” le si avvicinò, parlandole quasi in un sussurro “Quella donna è il pezzo più grosso dell’ospedale, abituata ad avere tutto il potere, quindi dobbiamo farcela amica dandole l’illusione di aver deciso lei di lasciarci l’obitorio ancora per un po’… Capito? Adulazione a scopo di fruttuosa collaborazione…?”
“No, mi sembra solo una tecnica alquanto primitiva per conquistare una femmina con lo scopo di coinvolgerla in un incontro sessuale.”
“Cosa?! Non ci stavo provando!”
“Il termine ‘provando’ è troppo generico, se specifici provando a far cosa, posso dirti se è quello che intendevo.”
“Ascolta Bones, io non sto cercando di organizzare nessun incontro…di nessun tipo. E’ una tecnica per facilitarti il lavoro qui dentro, quindi lascia perdere le tue interpretazioni antropologiche, ok?”
“Non capisco perché ti agiti ogni volta che faccio riferimento a tuoi possibili partner sessuali.”
“Non mi agito…”
“Si invece…parli più rapidamente, gesticoli molto e…”
“Ok, Bones” Booth le mise una mano sulla bocca, bloccandola nel bel mezzo della frase. “Tu, ossa. Io, persone. Punto.”
Detto questo si voltò e, con ampi passi, lasciò l’obitorio.
Princeton Plaisboro Teaching Hospital –
Obitorio
21 novembre, h 18.10
Era abituata a stare china su un corpo inerme per ore, nel suo laboratorio, ma nell’obitorio di quell’ospedale non era la stessa cosa: il cadavere era ancora adagiato sulla lastra di acciaio mobile del cubicolo dov’era stato trovato, troppo in basso rispetto ai pratici tavoli del Jeffersonian. Chinata in quello spazio angusto, tentava di cogliere più particolari possibili, nonostante la luce troppo fioca, e la temperatura bassa che rallentava la decomposizione del corpo, ma la faceva anche rabbrividire. Sollevò il viso dal cadavere, stirandosi la schiena dolente e chiudendo qualche istante gli occhi; la testa le faceva male, ed aveva mani e piedi gelati.
Aprì gli occhi, e incominciò a guardarsi incontro, cercando qualcuno che potesse portarle un caffè. Rimase stupita dalla desolazione di quella stanza; era sola.
Sbuffò, seccata dal fatto che non ci fosse nessuna ad assisterla.
Solo in quel momento, udì un rumore improvviso in un angolo dell’obitorio, qualcosa come…un risucchio. Sussultò, e poi si voltò infastidita nella direzione da cui proveniva il suono. Un uomo era seduto su una lettiga di metallo e, facendo dondolare le gambe distrattamente, la fissava senza smettere di succhiare avidamente da una cannuccia. Quando si rese conto che la bibita era finita, appoggiò il bicchiere di fianco a se, e si mise in bocca un lecca-lecca. Fece tutto questo senza distogliere gli occhi cerulei da lei, e senza dire nulla.
Brennan spostò lo sguardo dal suo viso ai piedi penzolanti, indugiando poi sul bastone appeso alla lettiga, a fianco dell’uomo.
Lo riconobbe.
“Lei era nella hall quando io e l’agente Booth siamo arrivati.”
L’uomo annuì. “Greg House” mugugnò, senza togliersi il lecca-lecca dalla bocca.
“Questa è la scena di un crimine!” esclamò Brennan, “Non può stare qui!”
House alzò gli occhi al soffitto, poi afferrò il bastone, scese dalla lettiga e si avvicinò alla donna. Questa volta, prima di parlare, afferrò il lecca-lecca tra le dita, allontanandolo dalla bocca. “Dottor Gregory House” ripeté, sottolineando il suo titolo, “Lavoro qui.”
“Forse non ha capito: non può stare qui.” insistette Brennan.
“Ma io ci lavoro! Se esco da questo ospedale prima delle otto di stasera il collare che mi ha messo Cuddy mi farà saltare in aria riducendomi come quel tizio lì.” esclamò House e, girandole attorno, si avvicinò al corpo.
“Che schifo…” disse, non appena fu abbastanza vicino da vedere lo stato del cadavere. Fece per portarsi il lecca-lecca alla bocca ma qualcosa attirò la sua attenzione e, all’improvviso, sembrò cambiare idea e lo gettò a terra, calciandolo lontano da se.
Brennan seguì con lo sguardo, incredula, la traiettoria del lecca-lecca e non fece in tempo a fermare House che, nel frattempo, aveva infilato un dito in mezzo alle budella del cadavere.
“Cosa sta facendo!? Lasci stare il mio cadavere!” la dottoressa lo afferrò bruscamente per il gomito, allontanandogli il braccio dai resti malmessi di quel corpo. “Questa è la scena di un crimine! Sta inquinando delle prove!”
“Ehi, vacci piano, stai maltrattando un disabile!” House si liberò dalla presa della donna con uno strattone, e poi sollevò il dito insanguinato, osservandolo attentamente.
“Non si tratta di omicidio.” disse, pacato.
Brennan lo fissò qualche istante, confusa da quell’invasione di territorio così repentina, poi incrociò le braccia sul petto, cercando di controllare la rabbia che provava verso quell’uomo. “Io e Booth siamo i migliori nel nostro campo…Io sono la migliore.” prese fiato, mentre un sorriso divertito si dipingeva sul volto del diagnosta, innervosendola. “Quest’uomo” disse indicando il corpo esanime “è stato ucciso.”
“No, non è vero.” ribatté House, mettendole sotto il naso il dito insanguinato. “Vedi?”
“Vedo cosa?” la donna attese qualche istante, guardando il medico con diffidenza, poi si avvicinò titubante alla mano di House, e si concentrò sull’ammasso di sangue e fluidi corporei spalmati sul suo dito. Non ci trovò nulla di particolarmente insolito. “Mi dispiace, non vedo nulla che mi possa far cambiare idea.”
Il diagnosta si limitò a fare spallucce, mentre si puliva il dito direttamente su quello che rimaneva dei vestiti del cadavere. Poi si voltò di scatto, e zoppicò verso la porta.
Brennan stava quasi per credere di essersi liberata di quello strano personaggio quando si accorse che si era fermato poco distante dall’uscita dell’obitorio, ed aveva un telefono in mano . “Ho bisogno che venga diffuso rapidamente l’ordine di quarantena.” lo sentì dire “C’è un alto rischio di epidemia.”
Riattaccò, e si girò a guardarla con aria di sfida.
“Epidemia? Epidemia di cosa?!” sbottò la dottoressa, incredula.
House si guardò intorno, come se cercasse le parole giuste, ma quando tornò a posare gli occhi su di lei, l’aria sarcastica non lo aveva ancora abbandonato. “Non ne ho la minima idea!” esclamò e, reggendosi al suo bastone, le voltò le spalle e se ne andò.