Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: Liz    17/10/2008    11 recensioni
Allora, anche nel mezzo di un discorso, la bocca di Gabriel tremava e le sue braccia la avvolgevano in una stretta dolce e morbida come zucchero filato. Così, senza motivo e preavviso, si chinava su di lei e la baciava. Spesso languidamente, spesso con passione travolgente.
Solo in quella dimensione Gabriel riusciva a ritrovare la sua Lilith, che all’esterno la malattia aveva rapito.
Lilith ricambiava, si aggrappava alla sua schiena: cercava la vita che Gabriel gli aveva donato… ma ormai questo non bastava più a entrambi.

Lilith ha vissuto gli ultimi 13 anni chiusa in casa per colpa di una grave malattia. Vive ogni giorno affacciata alla finestra, ammirando il campo di girasoli davanti ad essa e Gabriel, il giardiniere.
Un incontro, la nascita di qualcosa, e la conclusione di una storia che non poteva chiudersi diversamente.
P.S. Angst puro. Scusate, ma ogni tanto la mia vena sadica e drammatica affiora :D
Genere: Romantico, Triste, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Poetical

Un giorno, guidati da stelle sicure

ci ritroveremo in qualche angolo

di un mondo lontano…

 

Per Lilith il mondo era diviso in due: il mondo dietro il vetro e il mondo oltre il vetro, grigio e verde, soffocamento e vento.

Sfiorava la vita con le ciglia Lilith.

Languidamente, impercettibilmente, attraverso il muro cristallino che la escludeva dal mondo; sbatteva morbidamente le palpebre e lambiva il campo di girasoli splendenti, accarezzava il cielo indaco, giocava con le nuvole di panna montata.

Viveva nel mondo dietro il vetro. Lilith viveva attraverso i battiti delle ciglia che scandivano il suo guardare, cosciente solo del contrasto accecante del giallo e del blu.

Tendeva le dita affusolate verso quel sogno per toccarne il calore e il profumo, ma incontrava solo una superficie dura e gelida.

Era proprio come se tra Lilith e il mondo ci fosse una parete di vetro, impossibile da rompere. Ormai era diventato parte di lei, il riflesso di quello che avrebbe potuto essere [calore e profumo].

Aveva passato gli ultimi tredici anni dietro esso, chiusa in casa da una malattia degenerativa e dal padre troppo apprensivo, timoroso che l’amarezza della vita esterna avrebbe debilitato la sua bambina fino alla morte.

Di certo lui non sapeva che appena si assentava da casa, Lilith apriva timidamente la porta e correva tra i girasoli.

Saltava, voleva toccare il cielo e abbracciare il sole che brillava sui suoi capelli neri e lisci, che era ammirato dai suoi occhi, azzurri come il cielo che lo ospitava.

Ci provava, finché si lasciava cadere senza fiato sul tappeto soffice e odoroso di erba, respirando l’aria pura e godendo della stretta del vento sulla sua pelle pallida.

Viveva per questi momenti in cui poteva sentirsi parte del mondo oltre il vetro, e nient’altro.

 

Questo prima dell’arrivo di lui; i suoi capelli biondi e lisci, i suoi occhi nocciola vispi e attenti a ogni particolare, il suo carattere ottimista e gentile divennero l’attrazione principale del mondo oltre il vetro.

 

Lui era il giardiniere, era colui che curava i girasoli che Lilith amava. Si chiamava Gabriel.

Era stato il modo in cui accarezzava i petali gialli che aveva fatto venire i brividi alla ragazza. Nell’osservare il suo volto rilassato e soddisfatto, anche Lilith riusciva a sentire la consistenza morbida e vellutata dei fiori sulle proprie dita, riassaporando quelle emozioni che poteva provare così poco spesso.

Ora Lilith viveva attraverso i movimenti e le espressioni di Gabriel.

Movimenti un po’ rozzi, da contadino, ma pieni di una strana, contagiosa gioia per quel paesaggio che era merito solo delle sue mani.

Quanti giorni [e mesi] aveva passato Lilith ad osservarlo dalla finestra di camera sua?

Troppi. E ogni giorno in più era un sorriso che in realtà non le apparteneva.

Avrebbe voluto poter sentire la sua voce e vedere i dettagli del suo sorriso: ma lui faceva parte del mondo oltre il vetro…!

 

Per Lilith il mondo era nettamente diviso in due parti, che mai avrebbero potuto mescolarsi. C’era il muro di vetro a separarle, sempre, la sua presenza era un’ossessione. Portava alla follia, di sicuro, come un labirinto da cui è impossibile uscire.

Ma un giorno, quella superficie ghiacciata e priva di vita venne intaccata. Una crepa incisa da una parola. Un incontro.

 

Suo padre era uscito per questioni di lavoro, e Lilith era scappata da casa come al solito.

Si era fermata all’inizio del campo di girasoli: era rimasta in piedi davanti ai fiori splendenti, alti poco meno di lei, e li aveva guardati sorridendo.

Aveva accarezzato un petalo dorato, i sensi tattili invasi da una sensazione serica e armoniosa.

Imitava Gabriel con devota concentrazione, era decisa a provare le sue stesse emozioni. Voleva vivere davvero, una vita interamente e solamente sua.

Chiuse gli occhi cerulei, gustò il vento e il profumo di semi provenienti dal cielo blu terso.

 

Si voltò di scatto, facendo ondeggiare i lunghi capelli di seta, spalancò le palpebre veementemente.

 

Davanti a lei, Gabriel.

La guardava stupito, ma non troppo. I suoi occhi color della terra più che altro erano sgomenti.

“…Chi sei?” sussurrò esitante.

Lilith non rispose, né si mosse. Era proprio come l’aveva immaginata: una voce calda e trasparente come l’acqua.

Si lasciò avvolgere da essa, abbassando un attimo la guardia.

Fu allora che Gabriel tese una mano lentamente, verso di lei: sfiorò la pelle bianca del suo braccio esile e sottile.

Lilith sentì bruciare l’intero proprio corpo, faceva quasi male quel tocco così delicato. L’aveva sfiorata come se fosse un girasole, aveva colto uno dei suoi tanti petali… senza esitazione Lilith rientrò in casa correndo, chiudendosi la porta alle spalle.

Gabriel rimase immobile, che pensare? Per quanto fosse pallida ed esile non era un fantasma.

No… era più un angelo. Esisteva esisteva.

Crack. Il muro cominciò a crollare allora.

 

Lilith e Gabriel quella notte non riuscirono a dormire.

Se avessero dormito la memoria sarebbe svanita più facilmente; continuando a richiamare alla mente quel singolo istante, quel battito d’ali, che li aveva fatti sfiorare, avrebbero riposato in esso [in un ricordo] per stanotte.

 

Dovettero passare due settimane prima che Lilith potesse di nuovo uscire.

Gabriel era chino per terra, davanti ai girasoli; aria pulita come se degli angeli avessero provveduto personalmente a spazzare via le nuvole. Questo era l’unico mondo in cui potevano esistere, Lilith & Gabriel.

La ragazza si avvicinò aggraziata a lui, sporgendosi leggermente.

Gabriel la guardò assorto nel silenzio dei suoi occhi.

Le parole furono inutili per qualche minuto, fino a uno spaurito ma sorridente: “Mi chiamo Lilith. Sono la figlia del padrone di questi campi”

Il ragazzo si alzò in piedi lentamente, senza staccare lo sguardo da lei, per paura che si dissolvesse nel vento.

“Io sono Gabriel”

Sorrisero. Era un istante che Lilith aveva immaginato e programmato fin nei minimi dettagli, ma non aveva potuto prevedere la sensazione meravigliosa che si provava.

Un altro spiraglio, un raggio di luce. Del calore riuscì ad arrivare nel mondo dietro il vetro.

 

Ora se Lilith tendeva la mano oltre il suo corpo, trovava il calore e la morbidezza di quella di Gabriel.

Quando potevano stavano ore sdraiati tra i girasoli, nel loro strano aroma, nella strana dimensione in cui li faceva estraniare.

C’erano loro, il sole, il giallo, gli stormi di uccelli piegati in V perfette.

Gabriel sapeva della malattia inguaribile di Lilith; capitava qualche volta che lei fosse scossa da una tosse insistente e sanguinea, che non riuscisse a stare in piedi o ad avere il controllo di una parte del suo corpo.

Senza spaventarsi, semplicemente lui la abbracciava e cantava o parlava di come volesse portarla in città, farle vedere l’immensa distesa del mare, farle provare l’ebbrezza dell’altitudine della montagna.

Ogni volta che proponeva questi suoi desideri Lilith gli chiedeva di parlarne.

Lei ascoltava sorridendo in silenzio le descrizioni di Gabriel, spesso incerte su che parole usare per poter rendere l’idea della sensazione di vita frenetica che scorre dentro le vene.

Lei chiudeva le palpebre e in qualche modo riusciva a percepire la sensazione del tempo che si ferma in riva all’oceano, il brivido dell’imponente montagna e della sua vista mozzafiato che fa sentire giganti.

Narrava di profumi e sapori che Lilith non sapeva nemmeno esistere.

E come spiegarle cos’era una locomotiva, finalmente giunta anche nel loro sperduto paesino? La disegnò nell’aria con le dita aggiungendo “… esce del fumo” e Lilith non poté far altro che immaginarsi una teiera gigante.

Ridevano.

La prima volta che rise Lilith si spaventò. Non l’aveva mai fatto in vita sua, non sapeva neanche bene cosa fosse.

Ma ridevano molto.

 

Viveva attraverso le parole di Gabriel, Lilith.

I giorni che Lilith doveva passare chiusa in casa non facevano più parte del mondo dietro il vetro.

Ormai, grazie a Gabriel esisteva solo un unico mondo: Lilith tendeva la mano e trovava lui.

Lui e un mondo nuovo: né dietrooltre. Solo reale, fatto di posti incredibili e abbracci caldi durante le crisi, sempre più frequenti.

Ormai il muro stava per crollare definitivamente.

 

Ma accadde un giorno qualcosa.

Un avvenimento che Lilith non sapeva collocare in nessun mondo, se non nel suo cuore.

 

Passeggiavano lentamente, calpestando l’erba smeraldo e spugnosa coi piedi nudi. Tra loro c’era solo il cinguettio argenteo di qualche uccellino troppo timido per farsi vedere, ad unirli un debole intreccio tra i loro mignoli.

All’improvviso si fece buio, solo qualche stella intermittente. Cos’era che teneva Lilith in piedi? Non si sentiva più le gambe! Cadde rovinosamente per terra, la sua mente impegnata unicamente nel dare comandi alle ginocchia, ai piedi che non rispondevano. No, no: come avrebbe fatto a correre, a percepire la morbidezza della terra?

La vista si era fatta nera; solo dopo qualche secondo il viso angosciato, sfocato e lontano, di Gabriel riuscì ad apparire alle sue pupille dilatate. Colpi di tosse violenti, tra la saliva sputò sangue, sporcando la purezza del vestitino bianco e leggero.

La voce calda e sincera di Gabriel urlava sguaiatamente il nome della ragazza, mentre questa si accartocciava a terra priva di sensi.

 

“Come stai?”

Lilith si trovò distesa nel suo letto, Gabriel seduto al suo fianco. Sbatté le palpebre intorpidite, sfiorando la pelle bianca delle guancie con le ciglia lunghe e nere.

“Bene…” sussurrò, appoggiandosi alle braccia per alzarsi. Ricadde in un attimo sul materasso, sprofondando in esso, e con lei anche la memoria delle lunghe corse tra i girasoli e la loro consistenza di seta, delle passeggiate con Gabriel fino in cima alla collina dietro casa, del sole e del vento che si mescolavano con la pelle e diventavano il suo spirito vitale.

Nel tempo di un battito del cuore, Lilith si rese conto che non si sarebbe mai più alzata da quel letto.

I suoi occhi spalancati si incrociarono con quelli di Gabriel, in un’intesa infinita e dolorosa. Lui tese una mano sussultante verso il suo volto immobile e contratto; Lilith la prese tra le sue, se la portò sul viso e pianse. Pianse come non aveva mai fatto neanche nel mondo dietro il vetro.

Lacrime di arresa, disperazione. Sarebbe morta, non voleva; non voleva.

Desiderava poter vivere per sempre: lei, che fino a poco tempo prima vivere non sapeva nemmeno cosa volesse dire.

Rimasero così a lungo, Lilith e Gabriel. Che importava se il padre di lei sarebbe potuto tornare da un momento all’altro?

“Gabriel… Gabriel…” singhiozzava così da ore. Ogni volta che il suo nome appariva sulle quelle labbra rosse e deformate dal pianto, Gabriel sentiva parte della sua anima morire crocefissa. La voce rotta di Lilith lo implorava di salvarla, era il lamento più profondo e intimo del suo animo. Era una preghiera rivolta al cielo, sempre così dannatamente blu e terso.

“Lilith, scusami Lilith…” singhiozzò chino sul suo corpo morto a metà.

Sentiva solo la voglia di dire qualcosa, doveva fare qualcosa. Ma cosa poteva fare un semplice contadino, se non lasciarsi trascinare dal cuore…

Le asciugò le lacrime, facendole aprire gli occhi sui propri. Le sorrise, con le sopracciglia inarcate a mascherare la tristezza che traspariva dalla loro piega.

Chiamò Lilith languidamente, avvicinò il suo viso. Una mano gli cadde sulla spalla di lei coperta dai capelli neri ordinati.

Vicini come non mai...

Un bacio casto e innocente, come quello che può essere tra bambini.

Durò qualche decina di secondi per noi, per lui furono ore, per Lilith anni.

Era completamente spiazzata da quella sensazione così potente.

Delle scosse elettriche si erano insinuate sotto la sua pelle, e ne voleva ancora, non aveva mai sentito così tanta adrenalina scorrerle nel corpo, mentre Gabriel respirava nella sua bocca.

“Non voglio lasciarti…”

“Nemmeno io”

Se solo Lilith avesse saputo leggere in quelle parole ciò che sarebbe successo…

 

Da allora il mondo oltre il vetro divenne un ricordo sempre più indefinito e lontano.

Aveva davvero saltato più in alto di quei girasoli, talmente belli da sembrare solo dipinti su uno sfondo verde e cobalto? Davvero la primavera aveva scaldato il suo corpo freddo e immobile?

Sì, c’era Gabriel accanto a lei, per forza aveva fatto tutte quelle cose.

Appena il padre usciva, Gabriel la andava a trovare e le portava ogni volta un fiore diverso.

Cercava di parlarle come faceva sempre, di raccontarle cose allegre e curiose; ma aveva davanti una Lilith diversa: con lo stesso aspetto, lo stesso sorriso gentile e timido, la stessa voce pacata e fievole, ma gli occhi…

Gli occhi, quelli non erano di Lilith. Erano come una foresta dopo un incendio devastante: spenti, privi di vita e speranza. L’azzurro delle iridi non brillava più, non illuminava il mondo: rimaneva lì, attaccato sfacciatamente ai suoi occhi come pelle morta.

Allora, anche nel mezzo di un discorso, la bocca di Gabriel tremava e le sue braccia la avvolgevano in una stretta dolce e morbida come zucchero filato. Così, senza motivo e preavviso, si chinava su di lei e la baciava. Spesso languidamente, spesso con passione travolgente.

Solo in quella dimensione Gabriel riusciva a ritrovare la sua Lilith, che all’esterno la malattia aveva rapito.

Lilith ricambiava, si aggrappava alla sua schiena: cercava la vita che Gabriel gli aveva donato… ma ormai questo non bastava più a entrambi.

 

“Devi vivere attraverso te stessa” disse lui a pochi centimetri dal suo seno.

“No, è diverso. Io voglio vivere attraverso me stessa” rispose.

Gabriel tornò verso il suo viso leggermente rosso. “Voglio sposarti, Lilith. M piacerebbe fare l’amore con te fino allo sfinimento, portarti fuori da questa stanza e costruire una casa presso il fiume. Crescere lì i nostri figli. Voglio passare con te la mia vita e invecchiare insieme guardando i girasoli.”

Lilith sorrise come faceva prima della perdita delle gambe: con calore, emozione. Annuì alla sua proposta, ridendo un “Ti amo” pieno di lacrime e palpitazioni.

Gabriel le baciò le labbra, contagiato da quel sorriso contento, anche se quello che stava per dire di allegro aveva ben poco.

“Voglio tutto questo col cuore… ma finché questa malattia rimarrà nel tuo corpo il nostro amore non avrà vita oltre quest’anno. E deve vivere per sempre, anche tra cinquecento anni, dev’essere lo stesso…”

“Non dire così, Gabriel” pianse lei con le lacrime agli occhi e il cuore in una morsa d’acciaio.

“… per questo parto.”

Lilith lo guardò interdetta. Partire: il suono triste di quella parola rimase a lungo sospeso nell’aria intorno a loro. “…sono sicuro che riuscirò a trovare la cura per questa tua malattia. In Europa ci sono stati molti casi di guarigione: andrò lì a prenderti la medicina, ti porterò un dottore e guarirai. Vivrai e con te vivrò anche io.” Gabriel rimase senza fiato, aveva parlato troppo velocemente.

“Quanto… quanto staremmo separati?”

“Non saprei… un anno, forse.”

Un anno. “No. Non voglio. Rimani con me. Potrei morire prima che tu fossi tornato. Vivi con me fino all’ultimo. Il futuro arriverà poi. Ora resta con me. Solo questo. Voglio andarmene senza aver perso neanche un singolo istante con te. Non voglio rimpianti. Ti voglio ora, non tra vent’anni.” l’agitazione si era impossessata della sua voce.

Gabriel si mise seduto e chinò la testa cupamente. “Non capisci Lilith. Come potrei esistere dopo la tua morte? Non ci riuscirei mai, mai. Lo so già da ora che non potrò prometterti di vivere anche per te… io ti voglio per sempre! Nonostante questo devi promettermi che non morirai prima del mio ritorno. Giuralo, perché altrimenti ti potrei odiare.”

“Come posso prometterti questo? Se potessi controllare i battiti del mio cuore non ci sarebbe il problema”

Gabriel la sovrastò nuovamente. “Fidati di me. Fidati. Ti salverò e vivrai. Non attraverso me o i miei racconti, ma attraverso te stessa.”

 

Gabriel partì qualche settimana dopo.

Salutò Lilith tra le lacrime, con un bacio, un altro e un altro ancora. Non voleva neanche lui lasciarla, ma era l’unico modo per salvarla.

Lasciò la sua mano tesa verso di lui, lentamente, sfiorando fino all’ultimo quella pelle così tremendamente pallida.

Lilith avrebbe voluto correre verso di lui, fermarlo: ma Gabriel sparì da dietro la porta, per sempre.

 

Passarono i mesi.

Lilith osservava i girasoli appassiti e un altro giardiniere camminare tra di essi.

Passava le giornate incollata alla finestra, con gli occhi fusi all’orizzonte in cerca di Gabriel.

Ogni tanto arrivavano delle sue lettere, in cui descriveva a Lilith i paesaggi suggestivi dell’Europa, della sua cultura diversa e diversificata. Le scrisse che era riuscito a trovare la medicina, sarebbe tornato per l’estate.

Ma il tempo trascorse: mesi e ancora mesi. Passò un anno e Gabriel non era ancora tornato. Lilith aveva perso il braccio destro e la mano sinistra, mentre i girasoli fiorivano e morivano.

Una mattina d’inverno sentì il padre parlare con un amico della guerra che era scoppiata in Europa.

“…Ho saputo che il mio vecchio giardiniere, Gabriel, è rimasto vittima di un bombardamento in Italia. Pensa, era così giovane e pieno di vita! Perché sia partito, chi lo sa…”

 

Crack. Stavolta la rottura non si era formata sul muro di vetro, ma nell’essenza di Lilith.

Lei sorrise, mentre una lacrima le percorreva il profilo delle labbra.

E così a nulla era servito promettere di non morire e tenere stretta a sé la vita fino all’ultimo.

Gabriel se n’era andato prima… avrebbe dovuto essere lei ad odiarlo.

Ripensò alla sua voce che era diventata il suo mondo, alle sue labbra morbide e forti sulle sue, ai suoi sorrisi dolci come un’alba d’inverno. Sfiorò quei ricordi, quella dimensione lontana sbattendo le ciglia, percorse lentamente i loro profili con le dita, ripercorse i loro gesti, ascoltò la loro musica, riassaporò il loro amore devoto.

Mentre un nuovo attacco di tosse la assaliva, Lilith pianse ancora una volta, per l’ultima volta.

Lacrime senza alcun abbraccio o bacio o parola.

“Non mi hai salvato in questa vita, amore mio. Ma forse, nella prossima…”

 

Lilith si lasciò morire qualche settimana dopo, quando la paralisi raggiunse i polmoni e il cuore: svanì nel sonno, senza soffrire. Tra sospiri lenti e caldi come il sole che d’estate aveva riscaldato lei e Gabriel, dissolti nel vento che l’aveva accarezzata mentre correva.

 

Al suo funerale, intrecciati sulla bara di mogano, dei girasoli splendenti.

 

 

 

 

N/A

Ne approfitto per pubblicizzare le mie storie lunghe *o*

Loving comes naturally, romantico, commedia (e per nulla triste XD)

Burial applicant ~ Candida Sepoltura, Vampiri, horror e accenni di romantico *o*

 

Snif snif ç__ç

È una storia banale, mal scritta, e troppo sdolcinata e triste, ma non posso negare di aver versato una lacrima quando scrivevo di Lilith che perdeva le gambe. Se sono riuscita a commuovere un po’ anche voi, allora ne sarò felice (no, non vi voglio male XD).

L’idea di questa storia è partita durante l’ora di filo, ma avevo previsto un happy ending. Direi che è palese che non l’ho usato… io volevo utilizzarlo ma mentre scrivevo la fine, le parole sono andate da sole sulla morte di Gabriel e, quindi, di Lilith. Spero di non essere stata troppo ridondante… T_T

L’ambientazione è, in teoria, nell’America del 1800, ma il quadro storico è parecchio errato o_ò siccome di quello mi importava relativamente, ho deciso per l’AU…

Comunque, spero vi sia piaciuta.

Ringrazio chi leggerà e avrà il cuore di commentare… grazie infinite ^_^

 

LisettaH

 

 

 

   
 
Leggi le 11 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Liz