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Autore: Hugin BenMar    24/10/2014    2 recensioni
Tutto e Forma compresero ciò che gli uomini volevano e crearono la Lingua.
Lingua entrò con la forza in quella battaglia vinta in partenza dal Drago. Alduin non era capace di mangiare Lingua come faceva con ogni cosa perché lei era troppo veloce, serpeggiava e fuggiva, entrava in ogni dove, si nascondeva e proprio quando Alduin si distraeva lo colpiva.

La storia è una what if: come sarebbe andata la storia se il protagonista non avesse saputo di esserlo?
Questa storia partecipa al contest "Io e te alla fine del mondo" indetto da hiromi_chan sul forum di EFP.
Genere: Angst, Avventura, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
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Capitolo I: lo meritava

All'inizio era il Nulla.
Chiaro, tutto comincia sempre dal Nulla.
Quel vuoto che non è vuoto ma non è pieno perché a tutti gli effetti non è assolutamente niente.
Non c'era luce, non c'era buio.
Non c'era.
Poi è stato.
In un solo secondo, Tutto ha preso il posto del Nulla e si è dato una Forma.
Forma doveva essere proprio una bella persona perché ha preso Tutto e lo ha modellato dandogli un senso che, forse, da solo non avrebbe mai avuto.
Però Nulla era geloso della bellezza di Tutto e di Forma e non voleva non essere senza compagnia: Nulla decise quindi che se gli altri erano e lui era l'unico a non essere allora anche Tutto e Forma sarebbero diventati Nulla così che lui non sarebbe più stato solo.
Fu Nulla a creare Alduin.
Alduin, il divoratore di mondi, così è conosciuto il Drago che il Nulla creò come principio. Il suo destino? Beh, il suo destino era quello di far tornare ad essere Nulla Tutto.
Le sue ali nere erano tanto grandi da oscurare il sole, ombre spaventose si abbattevano sulla terra e gli uomini, creati dall'amore tra Tutto e Forma, anche combattendolo, non potevano fare niente perchè Alduin parlava e loro non lo sapevano fare.
La voce di Alduin riempiva i cieli di quella che oggi è Skyrim, ma allora era poco più di una landa di neve e roccia. Il cielo risuonava di ruggiti, fiamme e ghiaccio e gli uomini mugolavano e imploravano spaventati: pregavano con pensieri che non sapevano formulare che Tutto e Forma li aiutassero.
Tutto e Forma compresero ciò che gli uomini volevano e crearono la Lingua.
Lingua entrò con la forza in quella battaglia vinta in partenza dal Drago. Alduin non era capace di mangiare Lingua come faceva con ogni cosa perché lei era troppo veloce, serpeggiava e fuggiva, entrava in ogni dove, si nascondeva e proprio quando Alduin si distraeva lo colpiva.
E allora in quei momenti tutti gli uomini sentivano quale sarebbe presto stato il vero destino di Alduin, i cieli dolci di Skyrim si riempivano del suono forte della Lingua, chiamato Thu'um, che veloce com'era spazzava via le ali del drago nero.
Lingua però aveva bisogno di un campione perché era immateriale e non sapeva trasformare il suo suono in voce, così Forma prese un mortale e lo nutrì di Lingua donandogli la Voce.
Fu Voce a distruggere definitivamente Alduin: la natura del mortale lo portava, coraggioso, a brandire la spada contro il ventre di scaglie del drago e Voce lo aiutava.
Voce era come il soffio di fuoco di Alduin, Voce era come il soffio di gelo di Alduin, Voce era come le ali nere di Alduin ma invece di oscurare faceva luce.
La battaglia fu feroce, tra il drago e il mortale, ma Lingua, Voce, Forma e Tutto fecero luce di nuovo sul niente del Nulla e il grande Drago Alduin scese negli abissi della terra nascondendosi per paura di quella cosa che non si era piegata al suo volere.
Egli, prima di fuggire, aveva guardato il mortale e aveva gridato “Dovahkiin” che il mortale stesso aveva capito volesse dire Sangue di Drago. Del resto, loro due erano gli unici a poter parlare.
Il Drago aveva visto nel mortale se stesso, aveva sentito il suo stesso ruggito e lo aveva quindi chiamato fratello.
Il Sangue di Drago insegnò agli altri mortali le parole ma essi non le pronunciavano forte come faceva lui, loro non riuscivano a usare la Voce a proprio piacimento, loro usavano Parola, la sorella minore e più debole di Voce anche se dentro di loro ciascuno la portava nascosta
Alduin scoprì questo millenni dopo, scoprì che i mortali non sapevano di Voce e che lui sarebbe stato, ancora una volta, forte più di loro.
Alduin tornò, ma di nuovo dovette affrontare un mortale.
Il nome di questo mortale era Koll, ma lui, come apprenderete dal mio racconto, non era il Sangue di Drago. Tuttavia il suo coraggio e il cuore grande che ha avuto gli hanno regalato un posto tra quegli eroi.
Tutto accadde circa settant'anni fa quando avevo solo trent'anni ed ero un giovane soldato della legione imperiale.
Tuttavia io in questo centro ben poco, preferisco sia la storia a parlare per sé.

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Anche l'aria in quella cella umida doveva essere stata pesante da sopportare: nessuno nella legione imperiale aveva mai visto il viso di quell'uomo così sciupato.
I capelli biondi, così strani per loro che vivevano nel cuore dell'impero ma così tipici delle regioni da cui proveniva il Nord, erano appiccicati alla fronte dell'uomo come se egli, in quella cella gelida, avesse sudato; i suoi occhi blu erano cupi e pieni del grigiore delle nebbie di Sovngarde, terra dei morti, quasi come se egli riuscisse già a vederle anche se la morte non lo aveva ancora raggiunto; le sue unghie erano incrostate di terra, pietrisco e sangue.
Steinbjorn lo osservava incupito da dietro il tronco di un albero, guardava lui e i due legionari che trascinavano l'uomo al patibolo.
Lo meritava. Sì, lo meritava. Meritava la morte perché li aveva traditi tutti, perchè si era finto un legionario mentre il suo cuore combatteva per i Nord di Skyrim e Ulfric Manto della Tempesta, quel re Nord che stava guidando una feroce ribellione contro l'impero.
Meritava di morire perché aveva ucciso l'imperatore.
Steinbjorn raschiò con le unghie la corteccia dell'albero dietro il quale si trovava.
Ma se Koll, questo era il nome del traditore, meritava di morire perché vederlo andare al patibolo gli faceva male allo stomaco tanto da fargli salire le lacrime?
Più di tutti gli altri si sentiva tradito dal biondo, più di tutti gli altri aveva motivo di dirgli parole composte di rabbia furiosa: lo aveva visto girargli le spalle mentre un mostro alato oscurava il cielo con la sua mole, lo aveva visto prendere la spada e andare verso l'imperatore.
Era stato il primo a capire cosa stesse accadendo, ad afferrarlo per la manica: ancora gli bruciava il taglio che Koll aveva fatto sulla sua guancia, voltandosi per allontanarlo, mentre il drago, che si era fermato su una torre, bruciava con il suo fuoco i loro compagni.
Il suo sangue sulla lama dell'uomo era andato a unirsi qualche secondo dopo a quello dell'imperatore mentre il traditore compiva il gesto tremendo di mettere fine alla vita dell'uomo che li aveva guidati.
Il cuore gli batteva forte al ricordo, le sue sue unghie raschiavano così forte la corteccia che da esse usciva sangue e una finì addirittura per staccarsi: sperava che il dolore che stava infliggendo a se stesso scacciasse quello aveva in petto.
I legionari avevano ormai scortato Koll al patibolo, vi era un ceppo là e la sua testa sarebbe poi rotolata dentro il cesto appena sotto.
Koll si mise in ginocchio volontariamente sapendo che ormai non avrebbe piegato la testa a nessun ingiusto regnante non essendovene più.
Quella posizione era quasi comoda per morire.
Il boia non aveva volto, aveva un cappuccio nero calato in testa e si vedevano appena gli occhi marroni di chi aveva ucciso così tante persone da non provare più nulla, eppure sembravano quasi tristi in quel momento.
Steinbjorn capiva il perché: Koll aveva sempre avuto più coraggio di tutti loro e aveva sempre combattuto con grande onore, non era mai stato né il più bravo né il più forte, ma aveva sempre avuto una forza d'animo tale che anche il guerriero migliore sarebbe finito con l'invidiarlo; i suoi modi burberi e freddi da persona cresciuta nella neve lo rendevano strano e simpatico ai soldati abituati a trattare prima di passare alle maniere forti. Steinbjorn ricordava bene il giorno in cui il Nord era arrivato: indossava una divisa troppo piccola per la sua corporatura e lui si era messo a ridere ricevendo come risposta un pugno in pieno viso.
Con quella strana presentazione i due si erano promessi di non permettere che qualcosa accadesse all'altro. Tante erano state le volte in cui si erano protetti a vicenda, tante le volte in cui si erano addormentati l'uno accanto all'altro coperti da un unico mantello, tante quelle in cui Steinbjorn si era svegliato avvolto nel mantello del compagno che, abituato ai climi nordici della regione di Skyrim, sopportava meglio il freddo di quanto non facesse lui.
Digrignò i denti ingoiando un paio di lacrime che erano scivolate fino alle sue labbra.
Steinbjorn si era reso conto che non stava mantenendo la promessa.
Koll posò la testa sul ceppo, il cuore che batteva come le ali delle lucciole, che consumava i battiti che sarebbero dovuti appartenere a un'intera vita in pochissimi istanti.
Quasi gli faceva male il petto.
Avrebbe dovuto chiudere gli occhi o tenerli aperti fino alla fine? Avrebbe dovuto gridare qualcosa prima che la scure calasse?
No, non poteva neanche augurare morte all'imperatore.
Gli faceva male il cuore, ma sorrideva.
Sentì pesante la scure alzarsi sopra la sua testa e decise di chiudere gli occhi.
Gli istanti successivi parvero infiniti, la scure non calava mai, i pensieri si facevano pensanti e scuri nella sua mente mentre immaginava cosa avrebbe trovato tra le nebbie di Sovngarde: avrebbe visto sua madre? Avrebbe incontrato altri morti come lui? Avrebbe forse trovato lo stesso imperatore?
Un gemito spezzò l'aria e gli fece aprire gli occhi di scatto, un paio di gambe erano ferme davanti al cesto in cui la sua testa sarebbe dovuta finire, delle braccia avevano fermato quelle del boia mentre tentava di fare il suo lavoro.
- Non potete uccidere quest'uomo. - La voce di Steinbjorn risuonò perentoria, quasi egli parlasse con lo spirito del defunto imperatore, per chi lo avesse guardato bene avrebbe notato i suoi occhi rossi ed impauriti desiderosi di un unico fine.
Ma per fortuna nessuno riusciva a vederlo.
- Avete visto cos'è accaduto quel giorno. Quando questi ha trafitto il cuore dell'imperatore e il sangue nobile di lui è stato versato in terra, il drago si è levato dalla torre muovendo le sue grandi ali come se qualcosa lo avesse spaventato a morte. Ebbene cos'altro avrebbe potuto spaventarlo se non il gesto di questo traditore? - La voce dell'imperiale tremò a pronunciare quella parola, dalle sue labbra spuntò per un istante la lingua che andò svelta ad umettargli le labbra mentre il fiato gli si faceva corto a pronunciare quelle menzogne. - Il drago ha visto ciò che noi non possiamo neanche percepire: ha visto la sua anima. Ha visto se stesso nel suo gesto ed è per questo che ha avuto paura, che è fuggito. -
Koll alzò gli occhi verso il compagno il quale era oscurato dalla luce del sole che sorgeva e che stava proprio dietro le sue spalle: era un segno far cadere la testa del condannato verso il sole che sorgeva, significava l'inizio di un nuovo giorno e il tramonto degli orrori compiuti dal criminale.
Sì, doveva essere per un motivo simile.
- Non si spiegherebbe perché altrimenti, aveva già la vittoria nelle zanne e la stringeva tra gli artigli: quale motivo avrebbe avuto di fuggire da noi che potevamo solo bruciare nel suo fuoco? Questo assassino è l'unico che possa portare tutti noi a vedere di nuovo il sole sorgere. - I suoi occhi marroni cercarono qualcosa cui aggrapparsi per continuare quel discorso, trovarono solo le iridi azzurre del Nord. - Costui non è altro che uno sporco, vile, ignobile traditore, ma è anche quello che nelle leggende è chiamato Sangue di Drago. Se i draghi sono tornati questi saranno giorni e notti di morte, buio e paura in cui un male molto più grande di una ribellione si abbatterà su di noi e forse questa volta non ci sarà sufficiente combattere insieme. Credo dunque che se lui può uccidere quella creatura prima che se ne risveglino altre non solo pagherebbe per i suoi crimini ma anche nel modo peggiore per quelli della sua razza: darebbe vita lunga e salda all'impero. -
Neanche uno di quelli presenti osò respirare troppo forte.
Le parole dell'altro ancora risuonavano nell'aria, si insinuavano tra le crepe delle pietre di cui erano costruite le case, sotto le scarpe di ferro dei soldati, tra le dita di chi stringeva le armi, e giungeva, infine, nelle loro menti.
Ciascuno di loro ricordava con paura gli occhi di quella bestia: Le iridi gialle, alla luce del fuoco che sputava dalla bocca, erano diventate rosse, piene di noia per la vista della loro mortalità; piene di odio per coloro che avevano rinchiuso la sua immensità nelle profondità della terra a marcire; piene di divertimento a vedere la paura di quelle formiche senza speranza.
Forse gli stessi soldati sapevano che ciò che stavano sentendo erano mere menzogne, ma forse avevano bisogno di crederci per scacciar via la paura.
Le parole di Steinbjorn presero dunque posto dalla mente al cuore dei più e molte grida si levarono nella folla.
Koll non riusciva a credere alle sue orecchie: liberatelo, dicevano, lasciate che lui uccida il drago.
Il Nord ancora sentiva il peso della scure sulla testa mentre titubante si alzava da terra: giunse persino a chiedersi non fosse in realtà già morto e quelle parole non fossero altro che i pensieri di un cadavere giunto nell'altro regno.
Ma sentì il cuore battergli forte nel petto e comprese di essere vivo.
Lui e Steinbjorn sarebbero partiti il giorno seguente alla volta di quell'impresa assurda.
A Koll gli imperiali parevano stupidi.

Stupidi.

Tutti quegli occhi, tutte quelle voci. Leggeva forse speranza nei loro sguardi? Poteva davvero la paura essere un'arma così grande da far sembrare un assassino un eroe?
Lui non era un eroe e sarebbe fuggito nel momento stesso in cui lui e il suo compagno avessero messo piede fuori dalla provincia imperiale.
Sì, sarebbe fuggito.
Eppure speranza. C'era davvero speranza in quegli occhi marroni.
Li conosceva uno per uno, sapeva i loro nomi e i nomi dei loro figli.
Sapeva che quello che era in piedi accanto a lui l'aveva salvato per qualcosa di più grande della menzogna che aveva detto e sicuramente non per concedergli una fuga da vigliacco.
Koll mai avrebbe pensato di fingersi un eroe, ma tacendo si proclamava tale.

Nulla e Tutto si guardarono di nuovo in viso: Nulla nel suo niente, senza colori, senza forma, senza e basta; Tutto nel suo ogni cosa, con colori, con forma, con.
Nulla aveva posto Alduin, Re del regno di Niente, sulla scacchiera.
Tutto aveva messo poco distante da lui Koll, poco meno di un Alfiere del regno di Ogni Cosa.
La partita cominciata all'alba dei tempi avrebbe avuto una fine.

Nulla era certo di vincere, Tutto sapeva che non avrebbe perso.

   
 
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