INVADED
Una
notte.
Un urlo.
Un eco.
Il silenzio è più forte di prima.
Una lacrima di sangue sul pavimento.
Vento freddo, attraversa la mia porta rotta.
Il
labbro faceva
maledettamente male. Continuava a sanguinare ininterrottamente. Lo
sentiva
pulsare sempre più forte, a mano a mano che il tempo
trascorreva, così come il
rivolo di sangue lungo il suo collo. Numerose e copiose, le gocce
toccavano il
pavimento, sporcando gran parte della moquette. Ma questo era niente,
rispetto
al dolore che lo stava logorando dentro. Sentiva il cuore frantumarsi
ogni
secondo, sempre di più. Gli faceva male il petto. Avrebbe
voluto aprirselo in
due, per cavarsi il cuore e pugnalarlo lui stesso. Avrebbe fatto meno
male.
Giaceva
seduto in
terra, con le spalle curve e la schiena poggiata contro la parete
fredda. Il
capo chino. Si stringeva forte i capelli fra le dita. Piangeva.
La
porta di legno
dell’ingresso, era spaccata in due e, da lì,
entrava l’aria gelida di Novembre.
Bill si triste a sé, come per cercare di riscaldarsi, ma era
troppo debole per
farlo.
Sei
bellissimo.
Non andartene.
Ho bisogno di te.
Continuava
a sbattere
volontariamente la testa contro il muro, cercando di capire dove avesse
sbagliato o cosa avesse fatto di male.
Nulla.
Non
c’era nulla di
sbagliato. Non c’era alcun motivo valido. Eppure…
Tom l’aveva appena
lasciato con un
labbro sanguinante, e il
cuore a pezzi.
*
‹‹Dobbiamo
smetterla,
Bill. Io non posso andare avanti in questa maniera. Non ho
più una vita
normale. Non ho più una vita, punto.››
cominciò il maggiore, (seppure di appena
dieci minuti).
‹‹Cosa
c’è che non va
in quello che facciamo, Tom? Cosa c’è di
così sbagliato? Sono anni che questa
storia va avanti. Non capisco il motivo per il quale tu abbia deciso
solo
adesso di troncare tutto.›› Bill tentò
invano di trattenere le lacrime, senza
riuscirci per davvero. Il labbro inferiore gli tremava,
ininterrottamente; e
presto, anche le mani cominciarono a tremare.
Tom
sospirò esausto,
passandosi pesantemente una mano sul viso, segnato da evidenti occhiaie
violacee e un colorito piuttosto pallido. Non stava passando
assolutamente un
bel periodo. Lo stress del nuovo album, delle interviste, dei
photoshoot, i
continui spostamenti da Los Angeles a Berlino e viceversa. Erano i
primi
sintomi di un esaurimento nervoso. Era già abbastanza
difficile per lui, dire
tutte quelle cose, e Bill, stava rendendo tutto molto più
complicato e
difficile di quanto già non fosse.
‹‹Io
sono stanco, Bill.
Sono stanco di tutto questo. Voglio avere una vita normale e, stando
assieme a
te, non posso averla.››
Morto
tutto il dolore che abbiamo condiviso
Morta tutta la gloria che abbiamo avuto.
È finita! È finita!
Ma io sarò sempre…
‹‹…E
allora spiegami
perché proprio adesso, Tom. Perché proprio ora?
Perché hai lasciato che mi
innamorassi di te, sapendo che tutto questo, era sbagliato?
Perché allora
portarmi in vacanza nei posti più belli del mondo, per poi
piantarmi in asso?
Perché ripetermi ‘ti amo’ ogni giorno?
Perché fare l’amore con me, se tutto
questo è uno stramaledettissimo
errore?››
Bill
era ormai fuori
controllo. Alzò notevolmente il tono di voce, cominciando a
spintonare il
fratello.
Tom
non mosse un solo
muscolo. Restò inerme.
‹‹Esigo
una risposta.
Non puoi startene zitto. Non puoi essere così egoista. Era
tutta una menzogna,
allora. È sempre stata tutta una farsa per
te?››
Perso
nell’oggi e nel passato.
Perso nel futuro che abbiamo avuto.
È finita! È finita!
Ma io sarò sempre… Invaso da te.
Continuava
a non
rispondere. Aveva il capo chino sulle punte corrose delle sue AirForce
ormai
non più di quel bianco candido. Bill non aveva affatto
torto. Perché voleva
chiudere la sua storia con lui? Non c’era nulla che non
andasse bene. Gli
faceva davvero male tutto questo, ma non aveva altra scelta. Bill, a
causa sua,
non aveva mai trovato nessuno; lui, invece, per non far crollare la sua
reputazione
e, a causa di forze maggiori, era costretto a sbattersi qualche
ragazza. Ogni
giorno, ogni sera, una bellissima ragazza diversa. Ma il suo cuore, il
suo
corpo, la sua mente, la sua anima, appartenevano solo e soltanto ad una
persona: a Bill.
Quante
discussioni
aveva avuto con lui
proprio per questo
motivo? Quante volte l’aveva ferito? Quante volte gli aveva
chiesto di
smettere? Sai benissimo che non lo faccio
perché mi piace, Bill. Lo faccio perché devo.
È diverso.
Era
stanco di tutto
questo. Non voleva più vedere suo fratello in quello stato. Il suo amato fratellino. Allora
è vero.
Si ritrovò a pensare poi lui. Se ami sul serio una persona,
sei costretto a
lasciarla andare. E lui doveva fare proprio così. Doveva
mettere una pietra
sopra, a questa storia. Per il bene di Bill. Cosa poteva fare allora?
Mentirgli? Gli riusciva così bene, mentire. Questa
volta però, era diverso. Non c’erano di mezzo le
puttane, o qualsiasi altra
persona che gli stesse tremendamente sul cazzo. No. Questa volta
c’era di mezzo
l’unica persona che lo faceva sentire vivo. Che lo faceva
sentire completo.
No.
Non poteva essere
così egoista. Ma doveva farlo. Doveva farlo per lui.
Ma
era davvero la cosa
giusta? Forse sì. Forse no. Non lo sapeva.
‹‹Ti
ho detto che
voglio una risposta, cazzo!›› urlò
Bill e, questa volta, lo spinse con più
violenza. Tom sbatté la testa contro la parete. Si
sentì un tonfo sordo.
Nessuna
vita.
Nessun suono.
Solo io e te.
Ci si sente come la prima volta.
Sei bellissimo.
Non andare.
Ho bisogno di te.
In
quel momento, non
seppe nemmeno lui cosa gli passò per la testa. La vista si
annebbiò. Si alzò di
scatto. Un movimento automatico del braccio destro. Un dolore rapido
alla mano.
Un tonfo. Più nulla.
Quando
riprese
lucidità, si rese conto di quello che aveva fatto. Vide Bill
a terra,
terrorizzato. Il labbro inferiore tremava e sanguinava. Non aveva uno
dei due
piercing. Aveva appena colpito suo fratello.
In
quel momento le mani
cominciarono a tremargli. Cosa aveva fatto? Provò ad
avvicinarsi ma, ogni qual
volta faceva un passo avanti, era uno indietro per Bill.
‹‹B-Bill…i-io…n-non…no-non
volevo.›› la voce gli moriva in gola. Bill lo
guardò con disgusto. Sputò sulle
scarpe del fratello, il sangue che si era depositato
all’interno della bocca.
Tom capì dove fosse finito il piercing.
‹‹Mi
fai schifo.››
‹‹Bill…non
volevo
colpirti.››
‹‹Sparisci.
Vattene
via.››
Quelle
parole facevano
male più di qualsiasi altra cosa. Erano più di
una pugnalata in pieno petto.
Più di un calcio nelle coste. Più di un pugno in
pieno volto.
‹‹Non
voglio vederti.
Non voglio vederti!›› ripeté,
tirandogli dei calci sugli stinchi, ma senza
realmente colpirlo.
In
quel momento, nei
suoi occhi, Tom riuscì a leggere
un’infinità di cose: rabbia, delusione,
disgusto, amarezza, tristezza, …odio.
Strinse
talmente forte
i pugni che, le sue nocche, divennero bianche e, se avesse avuto le
unghie
leggermente più lunghe, di sicuro dai suoi palmi, sarebbe
uscito del sangue.
Col
capo chino, voltò
le spalle a Bill e, per la rabbia, tirò un calcio alla porta
di legno, che si
spezzò in due con la stessa facilità con cui si
spezza un ramoscello di quercia
secco.
Prese
la sua Range
Rover e andò via.
Torna
a casa.
Torna a casa.
Torna a casa.
Bill
rimase per terra.
Gettò la testa all’indietro e scoppiò a
piangere.
Sin
da quando era un
ragazzino, aveva sempre creduto che il loro amore, sarebbe durato per
sempre. Per
tutta l’eternità. Si erano promessi amore eterno e
che, qualsiasi cosa fosse
accaduta, si sarebbero sempre amati. Comunque fossero andate le cose.
Un po’
come nel film di Moulin Rouge: comunque
vada, io ti amerò fino al giorno della mia morte.
Forse
non doveva essere
così. Forse si era sempre sbagliato. Si era sbagliato su
tutto quanto. Tom non
l’aveva mai amato veramente. Non contava nulla per lui.
L’aveva lasciato. L’aveva
lasciato per sempre.
Lui
però, sapeva
benissimo che, comunque sarebbe andata, l’avrebbe amato fino
al giorno della
sua morte.
Morti
tutti i sogni che abbiamo condiviso.
Morte tutte le parole che abbiamo detto.
È finita! È finita.
Ma io sarò sempre… Invaso da te.