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Autore: Cele D    25/10/2014    1 recensioni
Non sapete nulla di me. Ovvio, non sono menzionata da nessuna parte. La mia presenza non è fondamentale per il disastro con Capricorno. Ma io esisto. Certo, come farei ad essere qui sennò? Beh, ora vi voglio raccontare la mia visione di tutta questa catastrofe. Le mie fughe, i miei segreti, le mie paure. Tutto. Non so se vi annoierò o che. So solo che il mio desiderio più grande è illustrarvi me stessa e la mia parte tra quei personaggi strani ed inaspettati.
Sono Abitante del Cielo.
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Non si è mai negata l'esistenza di una figlia illegittima di Dita di Polvere, no?
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Spero di avervi incuriositi. Beh, è la mia prima storia in questo contesto. So solo che amo questo libro e niente altro. Sappiate che ho letto solo il primo libro per il momento. Quindi, per piacere, niente commenti solo per questo.
Ciao!!
Cele D
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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cuore d'inchiostro Salve, angolino all'inizio per presentarmi. Sono Cele D. Ho scritto questa storia perchè AMO questo libro (Il film non mi è piaciuto poi così tanto, ma questi sono gusti personali) e... che dire... Dita di Polvere, come si era capito, è il mio personaggio preferito. Premetto di nuovo che ho letto solo il primo libro perchè sto ancora aspettando di trovare gli altri. Se ci sono errori per trama o ortografia o altro, che ne so...? Sarei molto felice di avere la segnalazione. ;) Recensite con tutte le bandierine se necessario. Accetto tutto. Anzi, le bandierine rosse mi fanno migliorare molto! Se leggessi le prime storie! Brrrr! Mi sale il brivido su per la schiena per lo schifo. Comunque, ora vi lascio alla storia (mi meraviglio voi siate arrivati fino a qui. Pensavo vi stancaste subito con la intro XD).
Ciao!!
Cele D


L'inizio di tutto.

Arancione.

Rosso.
Giallo.
E...
Nero.
I colori che vedevo. Solo quelli. Danzavano davanti a me affascinandomi. E a farli danzare era un uomo. Solo quello, che mi aveva catturata al primo sguardo. No, non come avete capito voi. Era... Una specie di fratello maggiore, quel fratello maggiore che non avevo mai avuto. E forse anche come un padre.
-Dita! Sei fantastico! Come fai a fare questi giochi così meravigliosi?
-Non sono così meravigliosi, non esageriamo.
Si grattò la nuca in imbarazzo, ma continuai a complimentarmi con lui.
-Insegnamelo! Insegnami come fai a giocare col fuoco. Voglio essere come te!
-Neanche per sogno! E se ti succedesse qualcosa? No, non lo sopporterei.
-Una piccola piccola?
-No.
Aveva un tono secco e deciso. E quando era così era così. Almeno, per me. Con me si comportava diversamente.
-Sei cattivo Dita.
Lui mi scompigliò i capelli. Io invece misi il broncio. Ma appena incrociai le braccia le sciolsi, per coprirmi la bocca per uno sbadiglio.
-Oggi abbiamo camminato tanto. Domani potremo riposarci.- annunciò.
Lo guardai supplicante.
-Prometti?- chiesi.
-Mano sul cuore.- fece lui.
Ci sedemmo nel giaciglio improvvisato nel bosco. Ero abituata. Oramai vivevo con Dita di Polvere da anni. Anzi, fu lui che mi accudì fin dall'infanzia. In quel periodo avevo 14 anni. Appena entrata nell'adolescenza. Che bellezza!
Mi addormentai quasi subito. La felpa pesante di Dita era perfetta per la notte.
-Dita.- lo chiamai poco prima di addormentarmi -Qual è il mio nome?
-Che domande. Abitante del cielo.- rispose lui mettendo via gli attrezzi.
-Quello vero.
-Questo è il tuo nome vero. Te l'ho detto milioni di volte. E ora dormi. Su.
Bofonchiai qualcosa tra i denti e mi addormentai con la schiena a terra, su un cumulo di foglie secche sotto a una coperta. Mi tirai fino al mento la cerniera della felpa gigante e mi lasciai trascinare via nel mondo dei sogni.

Il giorno dopo venni svegliata dalla luce solare. Mi sfregai gli occhi e vidi che Dita di Polvere non aveva chiuso occhio. Lo sapevo, lo conoscevo troppo bene. Era seduto su un tronco caduto a giocherellare con i fiammiferi.
-Dormito bene?- chiesi ancora con la bocca impastata con un filo di sarcasmo.
-Così bene che non l'ho fatto. L'ho lasciato tutto a te.
Risi leggermente, poi mi lasciai cadere sul cuscino fatto da alcuni vestiti. Mi sentii delle zampette sulla pancia. Alzai la testa e vidi il proprietario delle zampette: Gwin.
-Oggi Gwin è tornato tardi.
È abbastanza luminoso per i suoi gusti.- commentò Dita.
-Già. Guarda. Ha ancora il sangue sul pelo.- risposi io.
Lo presi in mano e gli pulii la bocca rischiando un morso schifato con facilità. Lo conoscevo bene oramai quel piccolo animaletto.
-Sai cosa ti dico Dita?
-Cosa?
-Non voglio riposarmi oggi.
Lui rimase confuso. Mi misi a gambe incrociate e misi le mani dietro la testa. Guardai in alto osservando quel poco di cielo che si vedeva tra le chiome degli alberi.
-Voglio camminare. Ancora. Dove non lo so. Voglio solo camminare.
-Io non ti porto in spalletta. Sei grande oramai. Hai... Quanti anni hai?
-14. Non sai quanti anni ho?
-Te ghe resun.
Restammo in silenzio un po'. Io accarezzavo Gwin e lui frugava nello zaino alla ricerca di qualcosa perduto.
-Dita... Posso farti una domanda?- borbottai con un pizzico di paura.
-Cioè?
-Perchè non mi fai mai vedere cosa hai nello zaino?
Spostò lo sguardo su di me e mi osservò. Cambiò argomento, come sempre.
-Dovresti pettinarti un po'.- disse tornando allo zaino.
Abbassai lo sguardo su Gwin. Gli feci altre carezze, poi infilai le mani nel mio di zaino e tirai fuori una delle migliori amiche di una ragazza: la spazzola. Mi pettinai e poi feci una coda con un elastico ammuffito. Quelli erano i primi regali, se così si posso chiamare, da parte di Dita di Polvere. <> aveva detto quella volta porgendomi i due oggetti. All'ora ero solo una bimba.
Cambiata la felpa mi misi sulle spalle lo zaino e lo incalzai a partire. <> era il mio motto. <> diceva sempre lui sarcastico con il suo solito sorriso indecifrabile.
Partimmo. Un passo alla volta, un metro alla volta, non arrivavamo da nessuna parte.
Ogni tanto passavamo per centri abitati per una pausa o per i viveri. Ma a volte praticavamo la caccia, deludente, ma sempre caccia. C'erano giorni in cui stavamo a digiuno. C'erano giorni in cui ci strafogavamo nei ristoranti per richiesta mia. Lotte, su lotte, su lotte per quei pasti abbondanti una buona volta. Ma per tutto il resto, anche contando le litigate, non potevo stare senza lui. Tutto ciò che sapevo era grazie a lui. Qualcuno dirà che non è molto, ma è significativo.
Nel cammino saltellavo un po' e mi guardavo intorno.
Il mio modo di fare era rimasto un po' infantile anche dovuto al fatto di non aver mai frequentato altri che Dita di Polvere. No, nemmeno i miei genitori.
-Dita... Mi sono sempre chiesta una cosa.- feci mentre camminavamo per una stradicciola che portava in un piccolo paesino -Perchè la gente ci guarda male quando passiamo?
Lui non mi guardò, invece io si.
-Perchè non siamo come loro, pecoroni.- fu la sua risposta vaga.
-Perle di saggezza incomprensibili...- fu il mio commentò.
Da lì tornammo ai nostri pensieri. Oltrepassammo il paesino, e così come quello successivo. La sera ci fermammo poco dopo un paesino (tutti paesini lì!) con un nome strano. Lo ricordo ancora oggi. Giurtiago. Lo supplicai per restare a Giurtiago.
-Una volta. In albergo. Una sola.
Ma lui negò. Ci accampammo nelle vicinanze. Come i giorni prima.
-Dita. Adesso ti racconto una battuta che mi è venuta in mente al market.- dissi alla luce del fuoco per cuocere la selvaggina.
-Sentiamo questa battuta.- fece lui con un sorriso beffardo.
-Allora. Sai cosa è un pandoro?
-Un dolce di Natale?
-NO!
-Cosa allora?
-Un panda d'oro!
E mi misi a ridere a crepapelle. Lui rimase con un'espressione confusa sovrastata dal sorriso per come mi piegavo dalle risate.
-Solo tu puoi avere queste idee pazze.- commentò.
-Modestamente, mi impegno.- riuscii ad articolare fra le risate.
Perchè mi facesse ridere tanto non lo so, ma ridevo. Finchè non rimasi senza fiato. Ero rossa come un peperone. Parlammo molto quella sera, ma crollai, come sempre.
Camminammo anche il giorno dopo.
Come quello dopo ancora.
E così per due settimane.
Poi, una sera, arrivammo. Non pensavo avessimo una meta. Di solito non l'avevamo. Vagavamo come persi nel buio. Ma questa volta era diverso.
-Eccoci qua, Abitante.- disse mettendosi le mani sui fianchi.
Pioveva a dirotto. Eravamo bagnati fradici.
-Perchè siamo venuti qui? Cosa dobbiamo fare?- chiesi affiancandomi a lui.
Guardava in alto, una finestra precisa. Seguii il suo sguardo. Non vedevo altro che tende chiuse. Posai lo sguardo su di lui interrogativa, ma lui continuava a fissare la finestra. Restò lì per molto. Io mi ero stancata di stare lì a guardare, quindi mi sedetti dietro a un muretto. Quando sentii la porta di quella casa stavo giocherellando con dei sassolini. Mi girai. Vidi Dita di Polvere entrare in casa. Non dissi una parola. Non mi aveva dato il segnale. Nessun segnale. Quindi me ne restai sotto la pioggia. Presi la sua felpa e mi coprii. Contemplai il cielo.
"Dita uscirà preso. Lo so." pensai tra me e me poco prima di addormentarmi.

La mattina dopo mi svegliai di soprassalto. Accanto a me c'era Dita di Polvere sveglio, come sempre.
-Dita...- borbottai aprendo gli occhi piano e prendendogli il braccio leggermente.
Era mattina presto. Non era ancora spuntato il sole. Anzi, potrei dire che era notte ancora. Mi guardò. Mi sfregai gli occhi con uno sbadiglio.
-Ascoltami Abitante.- disse mentre mi svegliavo del tutto -Ora tu non potrai seguirmi. Capito? Dovrai cavartela da sola.
Lo guardai interrogativa... e spaventata.
-Io... Devo fare un lavoro. Ho questa urgenza. E tu non puoi aiutarmi. Mi saresti d'impiccio e anche in pericolo. Non voglio che ti succeda qualcosa. Okay?- fece una pausa. Poi continuò. -E non guardarmi con quegli occhi.
È solo per il tuo bene. Promettimi che non mi seguirai di nascosto come fai sempre quando sgattaiolo via la notte per cercare Gwin.
-Non posso. Non ti prometto niente.- fu la mia risposta.
-E invece sì. Fa come ti dico. Resta in quella casa.- e indicò l'edificio alla nostra destra -Scassina come hai imparato a fare, una buona votla che serve. Io sarò di ritorno presto.
Abbassai lo sguardo sulle mie gambe senza dire una parola. Annuii di malavoglia.
-Il cibo?- chiesi.
-Prendilo dalle credenze. E se non basterà allora ti lascio tutto quello che ho, sia di soldi che di viveri.
Annuii di nuovo silenziosamente.
-Ma voglio una cosa. Da parte tua.- dissi senza guardarlo.
-Cioè?- domandò lui.
-Fammi guardare nel tuo zaino. - chiarii io.
-Neanche per sogno. Ci sono cose pericolose! E poi...
Non finì la frase. Lo supplicai con gli occhi. Ma non mi lasciò cercare quel che volevo. Non mi ero azzardata a frugare là dentro, mai. Sapevo quanto non volesse che qualcuno ci mettesse le mani. Ma in un movimento lesto afferrai il borsone e ci guardai dentro. Trovai subito quel che volevo. Tutto ciò successe in pochi secondi, prima che Dita potesse impedirmi nell'impresa. Richiusi subito lo zaino e glielo porsi. Lui, confuso, lo prese e se lo appoggiò di fianco sul muretto. Ammirai ciò che avevo preso aprendolo davanti a me sorridente: un maglione largo di lana a righe orizzontali e grandi blu e rosse. Era una cosa stravagante, ma mi piaceva un sacco.
-Lo voglio con me.- dissi girandolo.
-Questo?- chiese lui.
Lo piegai e me lo misi sulle cosce.
-Sì. Me lo terrò il più tempo possibile addosso. Finchè non sarà così sporco da puzzare più di Gwin. Poi lo laverò, per poi indossarlo di nuovo. Quando lo riavrai penso che non lo vorrai più.
Sorrise. Ero sempre stata così, un po' strana. Ad un certo punto si sentì smanettare nella casa con qualcosa. Ci girammo tutti e due all'unisono.
-Penso di dover andare- disse alzandosi.

Sorrisi, un sorriso falso e più che altro riferito a me, e poi lui prese lo zaino, ci mise dentro Gwin e si mise nascosto dietro il muretto vicino alla strada. Uscirono delle persone e salirono su un furgoncino. Poco prima che partisse Dita si mise davanti a quel mezzo e si fece dare un passaggio, per dove non lo sapevo. Io rimasi ad osservare quel mezzo finchè non scomparì. Poi mi alzai. Aprii lo zaino, presi una forcina ed entrai in casa. Era così vuota, silenziosa. Avevo imparato a scassinare le serrature osservandole di notte, quando io e Dita di Polvere passavamo davanti alle case in vie deserte. Bastavano una forcina e delle mani agili. Feci un giro per la casa. Era così triste, senza vita. Memorizzai dove si trovavano le varie stanze.
-Eilà?- gridai.
La mia voce ebbe un piccolo rimbombo. Notai che in quella casa erano presenti un sacco di libri, accatastati ogni dove. Ne presi uno a caso da uno scaffale. Aveva una copertina blu di cartone bella spessa con il disegno di un drago. Lo aprii. Lo sfogliai e lo richiusi in un movimento velocissimo, facendo un frastuono assordante.
-Non sai leggere, Abitante, cosa vuoi sfogliare un libro?- mi dissi.
Andai nella cucina, guardai nelle credenze cosa c'era da mangiare e bere. Mi ricordai che non avevo mai avuto una casa in vita mia. Ne avevo viste, sì, ma mai abitato dentro.
-Come funzioneranno questi cosi?
Mi avvicinai a dei cerchi strani riquadrati da una griglia. Ci ero così vicina che potevo scorgerne lo sporco e distinguerne il tipo. Poggiai la mano sui pomelli vicino, girai. Non succedeva niente. Provai a schiacciarli e una cosa improvvisa scoppiò davanti a me.
-FUOCO! Servono a questo questi robi. Bene. Per fortuna che non ero vicina ancora e che ho imparato osservando Dita, senza il suo consenso, a giocare leggermente con questo pericoloso amico. Mi sarei fatta un bel danno.
Mi toccai il naso.
-Ahi... Però mi sono scottata la punta del naso...
Mi girai, aprii lo zaino sul tavolo e presi una pomata. Me la aveva presa Dita di Polvere per quando giocavo con i suoi attrezzi senza chiederglielo.
Curiosai in giro. Non c'era niente da fare. Oltre ai libri non c'era nulla. L'elettricità non mi piaceva, come a Dita di Polvere. Quindi la tv non la guardavo. 
-Sono sola, quindi...
Mi sedetti su uno dei letti che c'erano in casa. Era piccolo, singolo. Provai a sdraiarmici sopra. Mi mossi un po' sul materasso.
-Come si fa ad usare questi cosi?
Allora tolsi la coperta e la misi a terra. Mi sdraiai. Bellissimo letto e comodissimo per i miei standard. Passai un paio di minuti sdraiata lì, poi mi alzai e andai a zonzo per quella casa.
-Devo trovarmi qualcosa da fare. E non ho nessuno con cui parlare. Non so leggere... Mi è venuta una idea!
Andai a cercare dei fogli e una matita, o penna. Mi misi a disegnare, in un modo orribile aggiungerei. Disegnai l'ultimo paesaggio che avevo visto il giorno prima. Poi scrissi degli scarabocchi. Avevo imparato un po' come scrivere il mio nome. Ma lo scrivevo con la mano di un bambino dell'asilo. Tenevo il pennarello che avevo trovato in un modo veramente infantile e la lingua fuori per l'impegno. Ci spesi tutta la mattinata e forse anche di più. A mezzogiorno non mangiai. Ma la solitudine era troppo grande. Guardai fuori dalla finestra. Non c'era nessuno con me. Dita di Polvere non c'era. Ed io ero sola.
Alcuni giorni di solitudine passarono molto lenti. Non sapevo che fare e mi sentivo tristissima. Me ne stavo seduta a terra vicino alla finestra a rimirare fuori. Poi passò una persona. Bussarono alla porta. Mi nascosi. La casa era in periferia.
-C'è qualcuno?- chiesero da fuori.
Allora suonarono al campanello.
"Che faccio? Che faccio?!?"
Andai a prendere lo zaino e mi nascosi sotto il letto dove mi ero sdraiata giorni prima.
Rimasi lì per un bel po' con le mani pressate sulle orecchie. Non c'era più nessuno, ma non avevo il coraggio di uscire. Non ero mai stata sola. Sì, ogni tanto per un paio d'ore, ma mai per giorni. Quando ebbi di nuovo il coraggio di uscire, lentamente, mi portai dietro lo zaino. Alcune lacrime mi iniziarono a rigare il volto, ma le sfregai e mi guardai allo specchio. Vidi che avevo lasciato il maglione sulla sedia. Era sporchissimo.
-Laviamolo, Abitante. Non puoi andare in giro così.
Lo afferrai e andai in bagno. Con del sapone trovato in giro lo lavai. Poi lo stesi fuori dalla finestra. In poche ore fu perfettamente asciugato. La solitudine non se n'era andata, anzi, si era trovata una compagna di giochi: la paura.
Guardai fuori dalla finestra, come se in un attimo dovesse spuntare Dita di Polvere. O almeno così speravo. Tornai verso la cucina.
Passarono altri giorni di solitudine. Poi arrivò altra gente. Suonarono al campanello. Ero sdraiata a osservare un libro senza sapere cosa c'era scritto. Mi allarmai subito. Guardai nello spioncino della chiave. Vidi della gente sconosciuta. Suonarono di nuovo. E ancora. E ancora. Sempre con più insistenza. Andai a nascondermi di nuovo tremante con fare leggero come un gatto. Suonarono di nuovo. Poi sentii dei colpi sulla porta, molto pesanti. Strinsi a me lo zaino, sempre regalo di Dita di Polvere e chiusi gli occhi. Sentii dei passi sul parquet.
-Liiiiingua di Faaaaataaaa?- si sentì chiamare in modo sghignazzante più volte.
Poi si sentirono due persone salire le scale. Io ero al piano di sopra. Iniziai a tremare. I minuti infernali che stavano passando erano veramente lenti, sembravano ore. Poi aprirono la porta della stanza dove ero io. Strinsi ancora di più lo zaino e chiusi gli occhi in un modo assurdo, tanto da farmi male. Sentivo dei passi, poi cessarono. Aprii gli occhi con una paura tremenda e girai la testa verso sinistra. E lo vidi. Un uomo sghignazzante che mi guardava. Poi mi prese per il colletto e mi trascinò fuori.
-Salve signorina!- disse.
Mi teneva per il colletto in aria. Mi dimenavo per farmi lasciare stare. Un altro uomo arrivò nella stanza.
-Credi che sia la figlia di Lingua di Fata, Naso Piatto?- chiese quello che mi teneva.
Il secondo uomo, di nome Naso Piatto, borbottò un "Non lo so." squadrandomi. Smisi di dimenarmi e lo guardai con la paura dipinta sul volto. Il primo uomo rise.
-Non potrò mai smettere di divertirmi nel vedere queste facce.- dichiarò.
Poi mi appoggiò a terra, ma non mi lasciò andare del tutto. Mi guardò sorridente, ma poi realizzò che non ero la persona che avevano nominato prima.
-Questa ha più anni della figlia di Lingua di Fata.- sbottò.
Lo fissai tremante. E tra me e me sussurrai, spaventata, il nome di Dita di Polvere. L'uomo davanti a me scattò a guardare immediatamente Naso Piatto.
-Basta, hai sentito anche tu che nome ha pronunciato?- chiese Naso Piatto.
Basta, il primo uomo, annuì con forza. Poi sghignazzò.
-Allora, dimmi cara, che rapporti hai con il buon caro Dita Sporche?- chiese Basta.
Non risposi subito. Cercavo una via di fuga.
"Pensa Abitante, pensa!"
Ma non mi venne in mente niente
in quella agonia di terrore.
-RISPONDI!- inveì Basta scuotendomi per le spalle.
Allora in un pianto dissi tutto.
-Lui... Lui è mio padre!- gridai.
No, non era vero, ma era quello che mi aveva accudita fin dall'infanzia e non potevo considerarlo in altri modi. Basta e Naso Piatto rimasero senza parole. Poi Basta parlò di nuovo.
-Allora portiamola dal capo. Sarà una buona donna delle pulizie.
Ghignò e mi trascinò via. Quasi mi cadde lo zaino dalle mani. Camminai con esitazione.
Mi portarono via, lontano da quel posto, in un luogo sconosciuto...
  
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