No, non ho
deciso di continuare la storia e non sono
nemmeno impazzita...xD
Questa è semplicemente una OS che conclude
definitivamente la
storia e che avevo in mente da un po’.
L’ho postata qui per fare in modo che chi seguiva la
ff
potesse essere in grado di sapere che c’è un altro
piccolo
capitoletto da leggere :D
Buona
lettura :)
"E quindi,
dobbiamo usare il
"Present Progressive" quando...".
"Prof?".
"Dimmi, Carlo".
"Posso andare in
bagno?".
Alzo gli occhi
al cielo, come
faccio ogni volta che vengo interrotta per una cosa futile mentre sto
spiegando, mentre nell'aula si diffonde qualche risatina.
"Sì,
ma dopo fai qualche
esercizio alla lavagna, non è possibile che ogni volta che
spiego senti l'urgenza
di andare in bagno! Ti stimolo la vescica, per caso?".
Carlo si alza,
ridacchiando, e mi
fa l'occhiolino in un modo che probabilmente lo fa sentire sexy nei
confronti
della sua professoressa ventisettenne.
"Oh, prof, lei
mi stimola
tante cose!" esclama, per poi scappare fuori dall'aula e lasciando la
classe ilare per la sua ultima affermazione.
"E tra questa
c'è di sicuro la
tua maleducazione!" gli urlo dietro, sforzandomi di non arrossire.
"Sul serio, ragazzi, siete assurdi! Ai
miei tempi non avrei mai osato rivolgermi così ad
un'insegnante!".
"Ai suoi tempi?"
domanda
Paola, seduta come sempre al primo banco e con il solito tono
rispettoso ma
curioso. "Meno di dieci anni fa, intende, giusto?".
Annuisco,
sedendomi sulla cattedra.
"Sì, ma non c'entra...".
"E'
perché lei è giovanissima!
Mia sorella è più vecchia di lei, sa? Voglio
dire, lei è buona, ci sprona
sempre ad essere onesti, a spiegarle perché non abbiamo
studiato senza
inventare bugie, quindi non la vediamo come una minaccia" spiega
Claudia,
con lo sguardo quasi celato dalla frangia di un rosso fuoco e ottenendo
l'approvazione di più di metà classe, che
annuisce o fa versi di assenso.
Sorrido,
dimenticando le parole
impertinenti di Carlo, e scrollo le spalle mentre guardo i miei ventuno
alunni
della II B, che da circa sei mesi rappresentano uno dei motivi per cui
mi
sveglio la mattina, desiderosa di dare il massimo per insegnare loro
qualcosa
che non dimenticheranno nel giro di poco.
"Siete
fortunati, avrei tanto
voluto anche io un'insegnante così!" ironizzo, scatenando
qualche risata.
"Ma dai, prof!
Ha avuto come
prof il suo fidanzato, che è stupendo!" esclama Giorgia, con
la sua solita
voce petulante.
"E' vero! Non si
può
lamentare!".
"Ragazze! Sapevo
di non
dovervi raccontare nulla della mia vita privata! Ed ora, su, torniamo
al
"Present Progressive"!" cambio argomento, ma allo stesso tempo
ricordando quel piovoso giorno di ottobre in cui, all'uscita, mezza
classe mi
aveva visto correre in direzione di Leo che mi aveva fatto una sorpresa
facendosi
trovare fuori scuola, visto che lui insegna ancora a Napoli mentre io
sono
stata chiamata per un anno di supplenza a Roma.
Vista la
situazione nell'ambito
dell'insegnamento, non ho potuto rifiutare quest'incarico annuale e
sono
costretta a fare la tratta Roma-Napoli ogni fine-settimana due volte al
mese,
perchè le altre due è Leo che viene a trovarmi.
Sarebbe tutto
più semplice se
potessi permettermi di pagare un treno Freccia Argento ogni giorno,
visto che
impiegherei meno di un'ora per giungere a scuola da Napoli, ma
purtroppo sono
una semplice prof squattrinata da circa due anni e devo accontentarmi,
perché
sono stata io a scegliere questa strada dopo la specialistica.
Carlo torna in
classe, questa volta
a testa bassa, memore della sua battutaccia, ma è costretto
a fermarsi e a fare
marcia indietro dopo il mio: "Ehi, Carlo, l'esercizio, ricordi?".
Rassegnato, mi
si avvicina, in
attesa di fare la sua solita figuraccia che verrà attenuata
solo quando mi
applicherò nel spiegargli la regola per bene, in modo
semplicissimo.
Qualcuno
ridacchia, Silvia - che ha
una cotta per Carlo - si prepara nel caso in cui lui abbia bisogno di
un
suggerimento, ed io mi sento fortunata perché mi sento a
casa nonostante sia a
lavoro.
"Sono
stanchissima! Dimmi, come
facevamo ad uscire il sabato e a tornare tardissimo a casa?".
"Eravamo giovani".
Come se fossi a
casa mia, mi stendo
sul divano di casa Bellofiore e mi perdo in uno sbadiglio infinito,
annuendo
alle parole della mia vecchia amica Trudy.
Riesco a trovare
la forza di
rialzarmi dopo qualche minuto, mettendomi a sedere, ma lascio che una
nota di
disappunto mi si dipinga in faccia quando vedo la figura della ragazza
incinta
che mi è di fronte che si dà da fare davanti lo
schermo del computer, con una
concentrazione massima.
"E' quasi sabato
sera,
potresti smettere! Devi riposarti un po', sai?" esclamo.
Sbuffando, Trudy
si volta verso di
me, esasperata.
"Per favore,
almeno tu
potresti smetterla di dirmelo?".
"Ma è
vero! Aspetti un
bambino, dovresti...".
"Cosa, dimmi?
Guardare il
soffitto per i prossimi tre mesi invece di portare a termine la
traduzione di
questo bellissimo romanzo, grazie a cui otterrò, finalmente,
un pagamento
decente dopo anni?".
Mi mordo il
labbro inferiore,
pensando che, tuttavia, anche io al posto suo farei lo stesso.
Ma io non mi
sono sposata a
ventisei anni, non ho provato a fare un figlio subito dopo e non ho
scelto di
lavorare come traduttrice letteraria per il momento, in modo da stare
di più a
casa e poter accudire mio figlio quando nascerà.
"Almeno vedrai
uno stipendio
decente. Odio dare via quasi la metà del mio per l'affitto
di quel buco in cui
vivo" cambio argomento.
"Non puoi
lamentarti, Lena!
C'è chi pagherebbe oro per stare al posto tuo! Tipo io"
ammette,
sorridendo tristemente.
Mi fa tenerezza
ora che ha il viso
più paffuto che mai e il ventre piacevolmente arrotondato
dalla presenza di sua
figlia, che si chiamerà Lara.
"Perchè
dici così? E poi,
scusa, chi ti dice che non vorrei essere io al tuo posto?".
"Il semplice
fatto che ormai
non fai altro che parlarmi dei tuoi alunni e di quello che fanno. Mi
sembra di
conoscerli!".
Scrollo le
spalle, mentre prendo
posto su una sedia di fronte a lei e noto con piacere che sembra
essersi
distratta dal suo lavoro.
"Comunque,
sì, non dobbiamo
lamentarci, basta pensare a chi non lavora".
"E a chi sta a
casa ad
aspettare il marito che torna da lavoro, senza fare nulla" aggiunge
lei,
per poi alzarsi, avvicinarsi alla dispensa ed estrarne dei biscotti con
scaglie
di cioccolato.
"Mmmh, parli di
Elisabetta?" ridacchio, rinvigorita dall'inizio del nostro
"Spetteguless" settimanale.
"Sì.
E' confermato, ha sposato
un quarantenne pieno di soldi che le consente di avere borse lussuose e
abiti
firmati da indossare alle sue noiose cene di lavoro" spiega Trudy,
scegliendo una sedia più vicina alla mia e porgendomi i
biscotti.
"Contenta lei...
Fatto sta che
mi ha più sorpreso Germana" osservo, addentando una di
quelle delizie.
"Sì...
Quella cena di
Capodanno è stata sconvolgente! Che scoop!".
‘Lo
scoop di Capodanno’, come lo
chiamiamo noi, non è altro che una scena assurda, mitica, in
cui io e lei ci
avviamo con Leo e Davide in un noto ristorante di Napoli per il cenone
e
aspettiamo Dario che aveva promesso di portare la sua nuova ragazza -
dopo mesi
di segreta frequentazione -, salvo poi ritrovarci una Germana
più bionda, dispiaciuta
e soprattutto timida che mai.
Personalmente,
aspettavo che
qualcuno se ne uscisse con la frase: "Siete su "Scherzi a
Parte!"", ma nel momento in cui ciò non è
successo, come precauzione
ho passato la sera appiccicata a Leo, arrivando a scortare la suddetta
Germana
quando ha annunciato di dover andare in bagno subito dopo di lui.
So di aver
esagerato, ma la storia
mi ha insegnato che non si è mai prudenti abbastanza in
questi casi, no?
"Ma Dario
è felice ora, è
questo che conta. Sai, iniziavo a credere che non riuscisse a farsi
piacere
qualcuno sul serio, dopo di te".
"Basta che sia
felice ora con
la mia nemesi" ironizzo.
"Nemesi,
sì... Intanto siete
uscite entrambe con Dario e Leo".
"Ah ah ah. Non
continuo per
rispetto per Lara, non vorrei che si dicesse che zia Lena le fa sentire
le
parolacce...".
Tuttavia, le
accarezzo la pancia, e
sento dei lievi calci. "Mi ha sentito!" esclamo, emozionata.
Trudy contrae un
po' la faccia per
i colpi, ma poi mi sorride. "Vorresti essere la sua madrina?" chiede
tutto d'un fiato. "So che la sorella di Davide e mia sorella mi
odieranno
per averle snobbate ma...".
"Sei seria? Oh
mio Dio, cioè,
sì!" esclamo, sentendo una grandissima esplosione di gioia
ed emozione
contrarsi nel mio stomaco.
Abbraccio la mia
amica,
felicissima, proprio mentre due uomini - i nostri due uomini - entrano
nella
stanza.
"Ehi, ragazze,
che
combinate?" chiede Davide, nella sua migliore versione da sabato sera,
con
tuta e pantofole.
"Sono l'unico a
cui puoi
urlare "sì", tesoro" mi ricorda Leo, facendomi l'occhiolino.
"E a quale
domanda? "Mi
passi il pane, please?"" lo prende in giro Trudy, ma con uno strano
sorriso.
"Scemi! Trudy mi
ha appena
chiesto di essere la madrina di Lara" spiego, entusiasta.
Si genera un
coro di "Oh"
e "Wow!", specialmente da parte di Davide che guarda sua moglie come
a dire: "Non ne sapevo nulla!".
"Gliel'ho
chiesto appena mi è
venuto in mente, Lara ha scalciato mentre Lena parlava di lei!" spiega
Trudy.
"Ottima scelta,
amore"
approva quindi l'uomo, per poi abbracciarmi con calore.
"Bene, andiamo?"
chiede
poi Leo, guardando l'orologio da polso.
"Sì.
Sicuri di non voler
venire?" domando, ripetendo la domanda formulata già un paio
di ore fa,
quando io e Leo siamo arrivati a casa loro per la nostra visita
settimanale,
visto che ora il lavoro ci ha separato.
“No,
davvero, stasera ci aspetta
una buona pizza a domicilio con mio fratello che ci
presenterà la sua ragazza”
risponde Davide.
“Sì.
Spero sia grassa, così non mi
sentirò brutta e vecchia” aggiunge Trudy, con il
suo sorrisino furbo che non è
cambiato affatto da quando ci conosciamo.
Rido, mentre
indosso la giacca e
prendo la borsa.
“Ehi,
sei la mia migliore amica!
Quindi sei automaticamente il top del top!”.
“Veramente
è il contrario,
comunque... Divertevi!”.
Qualche altra
chiacchiera e risata
dopo, io e Leo ci ritroviamo nella sua auto, dopo essere stati avvolti
da
un’ondata di freddo, una di quelle tipiche che hanno luogo a
marzo prima
dell’inizio della primavera.
“Brrrr”
esclamo, strofinando le
mani sulle braccia nonostante siano coperte dalla giacca.
“Accendi il
riscaldamento?”.
Leo si toglie i
guanti per poter
guidare, per poi fissarmi.
“Potrei.
Ma se ti riscaldassi io?”
chiede, facendo
l’occhiolino e mordendosi il labbro inferiore mentre si volta
verso di me e
avvicina il suo viso al mio.
“Mi
hai riscaldato circa tre ore fa,
appena ho messo piede nel tuo
appartamento, ricordi?” rispondo, tuttavia stando al gioco e
piegando il mio
volto verso destra, per accogliere un eventuale bacio.
Annuisce,
appoggiando una mano
sulla mia guancia e avvicinandosi ancora di più, fino a
riuscire a sfiorare le
sue labbra contro le mie. “Sì, ma il nostro
weekend sta già scivolando via e
visto che non è previsto un aumento delle temperature voglio
riscaldarti il più
possibile, in modo da non farti sentire freddo per tutta la prossima
settimana...” sussurra, labbra contro labbra, occhi negli
occhi.
“Beh,
in questo caso...” mormoro,
chiudendo gli occhi, “Chi sono io per impedirti di compiere
un gesto così
nobile?”.
Ho appena il
tempo di finire di
pronunciare la frase che sento la sua presa su di me aumentare, prima
di
avvertire l’inizio del nostro bacio, che di dolce o
sentimentale non ha proprio
nulla.
Non mi dispiace
affatto, con Leo è
così: abbiamo passato quasi metà della nostra
relazione in città diverse, a
causa degli impegni lavorativi, e quindi ogni volta che abbiamo la
possibilità
di stare insieme viviamo l’attimo secondo dopo secondo, con
passione e gioia,
perché sappiamo che nel giro di poco la vita
porrà tra di noi una distanza di
almeno cinquanta chilometri.
“Andiamo
a casa...?” domando, avvertendo
l’inizio del cambio di temperatura che potrebbe generarsi da
un momento
all’altro se non ci fermiamo.
Lui, perdendosi
prima qualche
istante a depositare baci roventi sul mio collo, si separa di
malavoglia e mi
guarda in modo malandrino.
“No...
Rimaremmo fedeli al nostro
piano...” dice, per poi separarsi con mio sommo disappunto e
mettere in moto
l’auto.
“Eh?
Andare in un locale a cenare?”
chiedo, senza capire.
“Sì”.
“Ok...
Ma non aspettarti nessun riscaldamento,
quando torneremo a casa”
sbuffo, contrariata.
“No,
non me lo aspetterò... Perché
mi riascalderai prima...”.
“Leo,
ma che hai in mente...?”.
Sorride beffardo
senza dire nulla,
cosa che mi causa il mio solito broncio tipico di quando vengo esclusa
da
qualcosa e non capisco cosa stia accadendo.
Circa dieci
minuti dopo, con mio
sommo stupore, ci ritroviamo davanti al “Magic
Trick”, il locale in cui ci
siamo parlati per la prima volta.
“Perché
siamo qui?” domando, senza
capire. “Non volevi provare il panino speciale del nuovo pub
a Corso Umberto?”.
Senza rispondere
mi prende per mano
e mi trascina nel caos del locale causato dal momento della settimana.
Gente che balla,
clienti al
bancone, tre impiegate dietro il bancone dei drink...
Non è
cambiato nulla negli ultimi
due anni, da quando vi ho messo piede l’ultima volta.
Non so come sia
possibile, ma
Pamela e Gina mi notano quasi subito dopo il nostro ingresso e mi fanno
segno di
avvicinarmi.
Sono le colleghe
che hanno iniziato
a lavorare qui circa due mesi prima che mi licenziassi, e spesso ci
sentiamo
anche se non ci vedevamo da almeno sei mesi.
“Vai,
vai” dice Leo, indicando il
bancone.
Così
mi avvicino alle ragazze,
abbracciandole per quel che posso attraverso il bancone.
“Aspetta,
vieni qui dietro come i
vecchi tempi, dai!” ridacchia entusiasta Pamela, il volto
incorniciato da una
serie di riccioli rossi pieno di felicità.
“Sì,
ci sei mancata!” concorda
Gina, abbracciandomi ancora.
Obbedisco,
ritrovandomi dall’altra
parte del bancone dopo secoli e ricordando quanto fosse diverso il
resto del
mondo visto da quella prospettiva.
Noto che anche
Leo si è seduto su
uno degli sgabelli vicino al bancone, e mima
“Birra!”.
Scuoto il capo,
senza sapere cosa
dire per l’assurdità di quella situazione, per poi
annuire.
“Che
combinate senza di me,
comunque?” chiedo allegramente.
“Solite
cose...” replica Gina,
mentre prepara un cocktail.
“Io mi
laureo il prossimo mese!”
dice invece Pamela, fiera. “Spero di trovare subito lavoro,
altrimenti marcirò
qui”.
“Ma
sì, dai! Lavorare qui porta
fortuna alle neo laureate!”.
“Eh,
così mi abbandoni anche tu,
Pam” brontola Gina, per poi servire un drink.
“Comunque
il mio ragazzo prende una
birra” dico.
“E tu
che prendi?”.
“Un
Martini Rosato... Magari con
delle patatine, grazie”.
“Solo
che devi aspettare il tuo
turno, ragazza” mi rimbrotta scherzosamente Pamela.
“Lo so
che è una scusa per avermi
di nuovo qui con voi!”.
Non so per
quanto tempo
chiacchieriamo mentre sono impegnate nel svolgere il loro lavoro, ma
dopo circa
mezz’ora giunge il turno del mio drink, mentre la folla
dietro al bancone è
corposamente diminuita grazie allo spostarsi di quasi tutti nella pista
da
ballo.
“La
tua birra, scemo” esclamo, poggiando
l’Heineken sul bancone e stappandola con una finta aria
professionale, frutto
di circa sei anni di lavoro in questo locale.
“Thanks,
love” risponde.
Quando fa
l’americano non riesce a
non farsi amare sempre di più, perché mi ricorda
l’inizio della nostra
relazione, quando non riusciva a ficcare almeno una parola in inglese
in un
discorso e la sua pronuncia era differente.
Ora di tutto
ciò è rimasto solo un
lieve accento americano che spero non sparisca mai, anche se spesso
iniziamo a
parlare in inglese senza un motivo preciso.
“You’re
welcome, honey” replico,
facendogli l’occhiolino.
“Ed
ecco il tuo drink” aggiunge
Pamela, porgendomi un bel calice di liquido rossastro con due cannucce
nere.
“Grazie,
cara” replico, per poi
vederla allontanarsi in direzione di un altro cliente.
Leo sorseggia la
sua birra, ed io
inizio a bere il Martini, pensando da quanto tempo non ne beva uno
vista la
vita piuttosto economica che sono costretta a condurre visti il poco
guadagno
che mi spetta dopo aver pagato l’affitto ogni mese.
“Guardaci...
In questo locale, io
che ordino una birra e tu dall’altra parte che me la porti...
Esattamente
cinque anni dopo il nostro primo incontro...” replica il mio
ragazzo, parlando
lentamente e quasi facendomi strozzare mentre bevo, parola dopo parola.
“Accipicchia!
Sì! E’ il dodici
marzo, il giorno in cui prendesti due birre, i cornetti e... Oh, sono
una
fidanzata orribile!” esclamo, mortificata.
Di solito, in
una relazione, è la
donna che tende a ricordare ogni avversario, ogni avvenimento
importante,
mentre io, quest’anno l’ho totalmente rimosso.
“Scusami,
non sapevo che giorno
fosse e... Ed è una cosa assurda, visto che ieri ho scritto
la data sul
registro e... Oh, dove ho la testa?!”.
Presa dalla
frustrazione, colpisco
il bancone con un pugno, colpendo anche il bicchiere a tal punto da
farlo
cadere.
Per fortuna
è di plastica, quindi
non si rompe, ma quasi tutto il contenuto scivola sul bancone.
Quasi
tutto.
“Ecco,
lo sapevo, sono un’imbranata
cronica e... Eh?!”.
Quando rialzo il
bicchiere, vedo
che c’è una cosa dentro, che prima non avevo avuto
modo di vedere viste le luci
scure del locale e la presenza della bibita.
Sicura di non
aver visto bene, lo
afferro, portandolo vicino a me e scoprendo di aver visto bene
precedentemente.
“Ma
cos...? Deve essere caduto
a Pamela, non
c’è altra spiegazione...”
biascico, deglutendo.
“No,
non le è caduto niente. Le ho
chiesto io di fare questo”
risponde
Leo, con la voce leggermente mozzata dall’emozione, mentre
estrae un anello dal
fondo del bicchiere e me lo porge.
In uno stato
decisamente
confusionale, batto numerose volte le palpebre, sentendo
improvvisamente la
gola arida e le gambe tremarmi.
Non so come
nè perché, ma davanti
ai miei occhi inizio a vedere una serie di spezzoni di numerosi momenti
trascorsi
insieme.
Lui che mi
chiede di portargli un
“woo-woo” ed io che ammetto di non conoscerlo, lui
che si presenta alle quattro
del mattino con cornetti e birre dopo aver aspettato la fine del mio
turno per
cinque ore, i fraintendimenti tramite sms prima del nostro
appuntamento, il
“non-ho-mai” che ha condotto al nostro primo bacio,
il suo farmi sentire più
sicura, l’esame di letteratura inglese che ha smascherato le
mie bugie, il
viaggio a Londra...
Cinque anni in
un secondo, che mi
portano qui, in questo bar, dietro un bancone, come
all’inizio di tutto, ma
questa volta con un anello a pochi centimetri da me.
“Leo...?”
chiedo semplicemente.
“Ho
iniziato a pensare a questo
momento da quando ti sei trasferita a Roma, quando la tua mancanza ha
iniziato
a farsi sentire sempre di più. Ho capito che voglio vivere
sempre con te,
qualunque cosa accada, perché gli ultimi cinque anni mi
hanno reso un uomo
migliore. Io... Damn! Avevo
preparato
un discorso perfetto ma non ricordo nulla!”.
Entrambi ci
lasciamo scappare una
risatina nervosa, in sintonia anche in un momento del genere.
“E
poi... Sarà l’età a parlare, non
lo so, ho quasi trentacinque anni, baby,
e temo che se non mi muovo in fretta, mano a mano che si avvicineranno
i miei
quarant’anni non mi vorrai più. Quindi... Lena
Inverno, will you marry me?”
chiede, inginocchiandosi in modo da scomparire
alla mia vista.
Io dietro quel
famoso bancone e lui
inginocchiato dall’altra parte, con un anello in mano, mentre
cinque fa faceva
di tutto pur di convincermi a dargli il suo numero.
Senza capirci
più nulla, così,
sento la mia voce interiore che mi intima di andarmene da quel bancone,
così
esco da lì dietro per poi trovarmi di fronte a lui, che mi
sorride speranzoso.
Lo fisso,
scombussolata,
enigmatica, e vedo una lieve paura farsi strada nel suo sguardo, quello
sguardo
che tanto amo e che sa come consolarmi nei momenti più
tristi.
Alla fine,
stentando a credere che
tutto ciò sia vero – perché,
sì, per me Leo non avrebbe mai fatto un gesto
così
romantico in un posto super affollato – annuisco, vedendo
finalmente il suo
volto rilassarsi.
“Yes, I will” rispondo, con la
voce tremante.
Gli attimi che
si susseguono sono
super caotici, tanto da non farmi comprendere molto: lui che,
felicissimo ed
emozionato, impiega qualche secondo in più per infilarmi
l’anello al dito, per
poi abbracciarmi, quasi sollevandomi dal pavimento, e baciarmi.
“Olèè!
Siamo delle Cupido
fenomenali, missione compiuta!” urlano le mie ex colleghe,
mandandomi dei baci
da lontano.
Un coro di
“Auguri!” e
“Congratulazioni!” si leva attorno alle nostre
figure ancora abbracciate,
simbolo del fatto che il piano di Leo non sia passato inosservato.
“E’...
E’ stato dolcissimo, non ho
parole!” esclamo, emozionatissima, sforzandomi di non far
sì che le lacrime prendano
il sopravvento.
“Non
per vantarmi, ma non ho speso
molto tempo ad architettare tutto... Ci sposiamo!” urla lui,
stringendomi di
nuovo a sè.
Annuisco, per
poi prenderlo per
mano e conducendolo in una zona più riservata, nel corridoio
che conduce ai bagni.
“Ci
sposiamo, sì!” ripeto. “Ma...
Leo, come faremo? Tu insegni qui, io non so se verrò
richiamata a Roma, non
sono ancora di ruolo, dove prenderemo casa...?”.
“Ci ho
pensato, amore. Troveremo
una soluzione, come abbiamo sempre fatto sin dall’inizio.
Voglio dire,
all’inizio la nostra relazione era proibita, ricordi? Eppure
ce l’abbiamo
fatta, ho ottenuto il lavoro in un’altra
università e siamo arrivati fin qui...
Mi basta sapere che vuoi sposarmi, il resto lo organizziamo mano a
mano. Ma
deve succedere entro un anno, eh, prima che io inizi la corsa verso la
seconda
metà dei trenta che mi porterà ai
quaranta!” ironizza, stringendo la mia mano
nella sua.
“Che
vecchiaccio autoritario e
antipatico!” commento.
Guardo
l’anello sul mio anulare,
incredula, per poi alzare lo sguardo su colui che da anni per me
è l’amore
della mia vita, quello che arriva quando la tua vita va a rotoli e
riesce a
renderti una persona migliore nonostante i tuoi errori.
“Dimmi,
Trudy e company lo sanno?”
chiedo, sospettosa.
“Beh,
sì. Trudy l’ha intutito
subito, perché si è insospettita quando ho
iniziato a uscire spesso con Davide
e... E quella pazza ci ha seguiti! Quando ha visto che siamo entrati in
una
gioielleria è entrata a sua volta e ha iniziato a sclerare,
dicendo che era ora
e... E ha incolpato gli ormoni della gravidanza...E nel giro di poco
l’ha
spifferato a Dario e anche a Germana...”.
Inizio a ridere
come una scena
immaginando la scena, ma chiedendomi allo stesso tempo come diavolo
abbia fatto
la mia amica a tenere la bocca chiusa.
“Allora
facciamoglielo sapere, che
dici?” propongo.
Annuisce.
“Li chiamiamo?”.
Scuoto il capo,
estraendo il
cellulare dalla tasca e fotografando le nostre mani unite, in modo da
far
risaltare l’anello. Invio la foto a Trudy e a Lisa, felice, e
poi guardo il mio
futuro marito con aria ammiccante.
“Sbaglio
o eravamo venuti qui per
riscaldarci...?” chiedo.
Lui sgrana gli
occhi, stupito.
“Davvero
vuoi... Nei bagni?!”
domanda, esterrefatto.
“Ma
no, scemo! Non ho lavorato qui
sei anni per nulla, conosco anche i luoghi più
reconditi...” sussurro contro il
suo orecchio, trascinandolo poi in uno sgabuzzino popolato dai vecchi
divanetti
che il padrone del locale non ha ancora buttato, insieme ad alcune
sedie e
tavolini.
“Se
è questo l’effetto, avrei preferito
regalarti un anello tanto tempo fa...!” esclama Leo,
compiaciuto, mentre si
guarda attorno stupefatto.
Non lo ascolto,
gettandogli le
braccia al collo. “Ti amo” dico seriamente.
“Ti
amo anche io, Lena, non sai
quanto. E se vorrai farmi sorprese del genere” –
qui indica la stanza che ci
circonda –“ Durante il resto del tempo che
passeremo insieme, beh, sappi che mi
troverai sempre d’accordo!”.
“Sbruffone!”.
“Sì,
ma uno sbruffone con cui
passerai il resto della tua vita...”.
“Amo
queste minacce...”.
“Ricorda
che ce la faremo, amore,
troveremo una soluzione a tutto... E, dopotutto, domani è un
altro giorno”.
“Quando
ci siamo messi insieme hai
citato i Coldplay, ora Rossella O’Hara...”.
Mi fissa, per
poi ridere, mentre si
toglie a sua volta la giacca e, non so con quale movimento, riesce a
farmi
trovare stesa su uno dei divanetti con la camicetta semi sbottonata.
“Francamente,
me ne infischio!”.
Sì,
ce ne infischieremo di tutto e
di tutti, della distanza, dei problemi, perché sappiamo che
ce la caveremo, insieme,
come abbiamo sempre fatto.
Nel frattempo, a
circa due chilometri di distanza...
“Grazie
per aver portato i dolci,
Lisa, non ho avuto il tempo di prepararne uno”.
“Scherzi?
E’ già molto che tu ci
abbia invitati qui, stasera, dopo ti aiutiamo a sistemare...”.
“L’aiuterai,
semmai, io e Dario
abbiamo da fare”.
Lisa si volta
verso Germana,
guardandola con uno sguardo di sufficienza che rasenta il biasimo.
“Che
amica d’oro. Mi hanno sempre
detto quanto fossi antipatica, ma non credevo fino a questo
punto”.
Prima che
Germana possa ribattere,
Trudy si intromette, frapponendosi tra le due.
“Lisa,
Germana dimostra così il suo
affetto, lo imparerai” sentenzia. “E tu, Germana...
Giuro che quando capiterà a
te di essere così grossa come una balena, io... Io
verrò di nascosto a casa
tua, metterò tutto in disordine e poi toccherà a
te capire quando sia difficile
sistemare in queste condizioni”.
“Ma
lei è già grossa come una
balena” osserva Lisa, con tanto di linguaccia impertinente.
“No,
sei tu che sei un grissino senza
tette e...”.
“Ragazze,
basta, per favore” si
intromette Dario, che fino a qualche istante prima stava mostrando a
Davide le
mille funzioni del suo nuovo cellulare.
“Dario
ha ragione! Siamo qui per un
motivo ben preciso, ricordate?” lo supporta Davide.
“Sì.
Scoprire chi di noi ha vinto
la scommessa! Preparate la mia banconota da cinquanta euro!”
esclama Germana,
battendo le mani.
Tutti la
fissano, increduli.
“Tu
credi di aver vinto la
scommessa?” domanda il suo ragazzo, senza parole.
“Certo!”.
“Tesoro,
dovrei forse ricordarti
che hai scommesso...”.
“...Che
Lena ha rischiato di bere
l’anello insieme al resto del drink e di conseguenza la magia
della proposta è
scomparsa? Lo ricordo perfettamente. Sono realista, gente, e
vincerò la
scommessa” dichiara, levando un braccio in aria per indicare
un segno di
vittoria.
“Io mi
sento un po’ in colpa.
Voglio dire, organizzare una cena mentre aspettiamo l’esito
mi sembra una cosa
un po’ meschina” mormora Trudy.
“Ma
dai! Rideranno quando lo
sapranno, fidati” dichiara Lisa.
“Sì,
hai ragione, Lisa... E poi
saranno così felici da fregarsene di tutto il
resto” l’appoggia Dario.
“Giuro
che quando ci siamo messi
insieme non era così scemo” dice Germana, tuttavia
mandando un bacio in
risposta all’occhiata di rimprovero del suo ragazzo.
La
conversazione, però, viene
interrotta da due suonerie differenti: un “Biiip” e
una sorta di fischio che
indicano l’arrivo di un sms.
Trudy e Lisa
spalancano gli occhi,
comprendendo già di cosa possa trattarsi visto che hanno
ricevuto contemporaneamente
lo stesso messaggio, e iniziano una goffa corsa per riuscire a
recuperare i
loro telefoni.
“La
borsaaa!” urla trepidante Lisa,
rischiando di cadere a causa dei tacchi che fanno parte del suo
tailleur da
avvocato, che non ha avuto modo di togliere visto che ha fatto tardi in
ufficio.
Trudy, invece,
si avvia a passo
svelto verso il davanzale della finestra, dove ha appoggiato il suo
Samsung per
avere una ricezione migliore.
“Non
lo trovo... Trudy, non osare
leggere prima di meee!” continua ad urlare Lisa, rossa in
volto, con i capelli
biondi svolazzanti che sembrano più voluminosi che mai.
Il resto del
gruppo le guarda tra
l’ansioso e il divertito, tuttavia senza dire nulla.
“Ecco,
ecco, l’ho trovato!”.
“Finalmente!”.
“Al
mio tre...!”.
“Uno,
due...”.
“Treee!”.
Si precipitano a
cliccare sulla
notifica di Whatsapp, con gli altri tre che sbirciano anziosi alle loro
spalle.
C’è
un’immagine, che però impiega
dei secondi per caricare e mostrarsi.
“Idiota,
muoviti!” sbraita Trudy.
Il primo a
mostrare la foto delle
due mani di cui una indossa l’anello è quello di
Lisa, e ciò ovviamente scatena
la gioia di tutti.
Poi, spunta
anche un vero e proprio
messaggio:
Lo
so che sapete tutto!
Ho
rovesciato il drink senza volerlo e ho visto l’anello...
E
Leo ha dimenticato il discorso e ne ha improvvisato un altro ma
l’importante è
che...
CI
SPOSIAMO!
“Ho
vinto io, ho vinto io!” esclama
Davide, vittorioso. “Lo sapevo, ha! Un’imbranata
come Lena non poteva smentirsi
in un’occasione del genere, e sapevo che Leo non avrebbe
ricordato un’acca del
discorso!”.
Agita le braccia
in aria, come se
l’Italia avesse appena vinto i mondiali, mentre la moglie lo
guarda male.
“Dovevo
vincere io! Voglio dire,
vedere l’anello prima di bere era la cosa più
probabile...”.
“Ma
parliamo di quell’imbranata di
Lena, dai. Io credevo che se ne sarebbe accorta solo verso la
fine...” dice
dispiaciuta Lisa, sospirando.
“Sì,
ma la mia era la più
probabile! Non accorgersene proprio dopo aver bevuto tutto il drink,
visto che
non beve da secoli e non è più brava nel reggere
l’alcool” sbuffa Dario,
incrociando le braccia.
“Gente,
posate i cinquanta, anche
un assegno va bene, ahah!” esclama Davide, questa volta
improvvisando una
specie di balletto.
“Dai,
l’importante è che si
sposino” ricorda Lisa, scrollando le spalle.
“Ho
una nuova scommessa: chi
sceglieranno come testimoni?” domanda Germana, con aria furba.
Ovviamente, la
domanda solleva un
polverone tale da generare un’allegra discussione, che
avrà la sua fine solo
cinque mesi dopo, quando Lena rivelerà di aver scelto Trudy
e Dario, delegando
Lisa e Germana come damigelle, e Leo di aver scelto sua sorella e il
marito.
Sanno bene che
alla fine la vita
non può essere programmata e calcolata con una scommessa, ma
finchè saranno
tutti insieme, questo sarà il loro modo per scherzare su
un’unione un po’ fuori
dal comune, su cui nessuno, all’inizio, avrebbe mai scommesso.
*°*°*
Milly’s
Corner
E dopo quasi
cinque mesi eccomi qui,
decisa a fornire un’ulteriore finale a “Fingi fino
a crederci”, la fanfiction
che mi ha accompagnato durante un periodo particolare, di crescita, e a
cui
devo molto.
Sono felice di
aver avuto finalmente
del tempo per concludere questa OS, che avevo iniziato già
alcune settimane fa,
e spero che tutti coloro che hanno seguito la storia abbiano voglia di
dare
anche solo un’occhiata.
E’ una
gioia per me essere qui dopo
mesi e mesi, visto che purtroppo la vita”reale” ha
avuto il sopravvento a causa
di mille cose da fare e studiare, ma sono felice di constatare che,
alla fine,
Efp rappresenterà sempre un po’ la mia seconda
casa.
Per ora mi tocca
tornare al “silenzio
tombale” degli ultimi mesi visto la mia laurea imminente, ma
se riuscirò
tornerò verso marzo con una nuova storia, nel caso
interessasse a qualcuno.
Spero vi sia
piaciuta questa piccola
OS, fatemi sapere che ne pensate, mi raccomando!
Un bacione,
milly92.