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Autore: Winchester_Morgenstern    27/10/2014    4 recensioni
Gli incubi a volte possono giocare brutti scherzi... ma sono davvero solo incubi?
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jace Lightwood
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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Amore è uno spirito familiare, Amore è un diavolo. Non c'è altro angelo maligno che amore (1)



Il cielo notturno s'illuminò per una frazione di secondo di bianco.
Uno, due, tre.
Jace contò i secondi che separavano il lampo dal tuono, era un trucco che aveva imparato da piccolo: Valentine gliel'aveva insegnato con lo scopo di sapere approssimativamente quant'era lontana la tempesta, quando passavano interi week-end nei boschi per imparare "tattiche di sopravvivenza", come le chiamava lui.
Il bambino che Jace era allora, però, contava i secondi nel buio della sua camera avvolto in un bozzolo di coperte, quasi come se volesse accertarsi che la tempesta non l'avrebbe raggiunto, sebbene si trovasse già perfettamente al sicuro in casa. 
Ora, invece, si ritrovava nel bel mezzo di quello che si preparava ad essere un temporale memorabile, quello che i Mondani avrebbero chiamato "bomba d'acqua".
In poco tempo sentì le gocce di pioggia bagnargli i capelli e insinuarsi sotto i vestiti, gelandogli la pelle, mentre il vento si burlava di lui sferzandogli la pelle. Il cielo divenne di nuovo bianco e Jace si voltò, pronto a ritornare indietro nella foresta e poi al sicuro nella tasca dimensionale.
Si bloccò vedendo due figure a metà strada fra lui e la foresta, erano lontani almeno due chilometri. Nel buio, le loro sagome erano indistinte e sembravano quasi essere al centro di un tornado a causa del vento che alzava le foglie rinsecchite tutt'intorno a loro.
L'unica cosa che Jace riusciva a capire da quella distanza, in effetti, era che la prima persona era molto alta, mentre la sagoma accanto a lui notevolmente più bassa.
Corse verso di loro cercando di ripararsi nel contempo dai goccioloni di pioggia tirando i lacci della felpa scura e stringendosi il cappuccio sulla testa. Dietro i due gli alberi dondolavano avanti e indietro, quasi come se il vento stesse provando a sradicarli, turbini di foglie cadevano dalle loro chiome verdi e sembrava producessero strani rumori, piccoli sibili che giungevano fino a lui sfiorandolo come le carezze di un amante accecato dall'invidia e dall'ira. 
Jace continuava ad avanzare sempre più faticosamente, affondando i piedi nella terra che stava diventando fango, ma più camminava e più sembrava che la strada per raggiungere i due sembrava allungarsi.
Chiuse per un attimo gli occhi, stremato, e quando li riaprì era davanti a loro.
Prima ancora di guardarli seppe chi erano, e la realtà gli piombò addosso: Sebastian lo aveva legato a lui, gli aveva fatto uccidere Sorella Magdalena e… cos'era che mancava? Oh sì, voleva dominare il mondo con i demoni e Lilith, che probabilmente era anche peggiore di lui. Questo solo negli ultimi tempi, certo. Non aveva dimenticato la morte di Max, e di Hodge, e nemmeno quella di Sebastian Verlac, sebbene non lo conoscesse.
Clary era tra le sue braccia, tra le braccia di un mostro, e sorrideva. Sorrideva a Sebastian, non a lui.
— Povero illuso… — incominciò l'albino, sfiorando con la bocca gli occhi di sua sorella. Subito dopo si staccò lievemente da lei, che per tutta risposta mugolò, triste, e si voltò a guardarlo con quegli gelidi occhi d'onice.
— Il piccolo, fragile Jace, che non riesce nemmeno ad evitare i sensi di colpa per aver ucciso un'acida vecchietta… — Sebastian gli rivolse un sorriso tutto denti e questi, alla luce di un lampo, parvero per un attimo quasi animaleschi. Era quasi un ghigno, quello, un ghigno che rendeva mostruoso quel volto così bello, che nascondeva tutta quella malvagità.
Un angelo dannato arrivato dagli inferi per riportare tutto come sarebbe dovuto essere, per bruciare gli uomini e farli ritornare polvere e ombra. 
Jace serrò i pugni, respirando rumorosamente. — Sempre meglio che essere un guscio vuoto. Uno stupido, oscuro involucro odiato da tutti. Esisti davvero, Jonathan, se nessuno ti ama? Tu sei solo il mio riflesso, la mia ombra, la mia parte oscura. Tu non esisti
— Certo che esisto, Jace. C'è qualcuno che mi ama. Ti sei mai chiesto se invece non fosse il contrario? Se tu fossi soltanto la mia parte buona? Ricorda che sono io il primo esperimento di Valentine, non tu. — sussurrò l'altro, avanzando lentamente con Clary al seguito e fermandosi a pochi passi a Jace. 
Si sporse verso di lui e inclinò il capo, tranquillo: — Come ci si sente ad essere stati scartati perché troppo deboli? — chiese, umettandosi le labbra con la lingua. Per un attimo, anche quella sembrò scura e deforme agli occhi di Jace.
— I sentimenti non sono una debolezza, ma un motivo per vivere. Cosa si prova a non averne? È questo il tuo problema, Sebastian. Vuoi amore, ma non ti rendi conto che per averlo devi meritarlo, ricambiarlo. — s'interruppe per un attimo, rivolgendo uno sguardo dolce alla chioma rossa di Clary, che aveva il volto affondato nell'incavo del collo di suo fratello, sottomessa, prigioniera.
— Valentine amava me. Tutti amano me. — Jace sorrise vittorioso quando scorse nello sguardo dell'altro una scintilla di perversa gelosia. — Clary ama me. 
— Ti sbagli. Come puoi anche solo pensare tenga ancora a te? Clarissa è mia, Jace, e mi ama. — rispose Sebastian, gli occhi di nuovo gelidi.
— Bugiardo. Credi che una persona che tieni prigioniera ti ami? Non soffre della Sindrome di Stoccolma (2), sai? 
L'albino non rispose ma, anzi, sembrò compiaciuto quando Clary iniziò a divincolarsi dal suo abbraccio. La ragazza si voltò lentamente: — Io amo Sebastian. — dichiarò, la bocca contorta nello stesso sorriso orribile del fratello, e gli occhi spalancati. Occhi completamente neri.
Clarissa sorrise e con uno slancio si aggrappò con le gambe alla vita del fratello, prendendo a baciarlo sensualmente mentre con le mani faceva saltare via i bottoni della camicia nera.
Si strusciò contro di lui, sospirando di piacere quando Sebastian rispose e le strinse possessivamente le natiche, sfilandole il corto vestitino che indossava e facendola rimanere in biancheria, prendendo a baciarle il petto mentre lei conficcava le le unghie nelle sue spalle, marchiandole con otto graffi paralleli. 
— No. — rantolò Jace, come se qualcuno gli avesse appena strappato il cuore dal petto e ci avesse camminato sopra con i tacchi a spillo, riducendolo in tanti piccoli pezzettini, mentre otto graffi paralleli s'incidevano nella sua schiena.
— No. No. No! Non è vero! No!
Lo sguardo di Sebastian sembrò illuminarsi di una violenta gioia mentre la pioggia gli inzuppava i capelli rendendoli ancor più bianchi del solito: — Pensavi davvero che potesse volere te, quando aveva uno come me?
Il volto del mezzo demone si stampò a fuoco nel cervello di Jace, lo sguardo vuoto e allo stesso tempo acceso di follia, soddisfazione e compiacimento senza limiti. I suoi occhi neri continuavano a fissarlo.
Pensavi davvero che potesse volere te, quando aveva uno come me?
Pensavi davvero che potesse volere te, quando aveva uno come me?
— No!
Jace scattò a sedere nel letto, con i capelli inzuppati di sudore e le lenzuola aggrovigliate tutt'intorno a lui. Ansimava, il petto che si alzava e si abbassava velocemente e gli occhi dalle pupille dilatate che sembrano quasi star fagocitando l'oro che colorava l'iride.
Per un attimo rivide Clary sopra di lui che gli affondava le dita nella carne mentre gemeva di piacere, e poi a quell'immagine se ne sovrappose un'altra, Sebastian che sorrideva nel mezzo di una tempesta mentre sua sorella lo graffiava, lasciando anche a lui quei maledetti segni.
Confuso, si tastò la schiena. C'erano, c'erano davvero! Otto lunghi graffi che gli sfregiavano la schiena, ancora rossastri, che però si stavano già rimarginando, non sarebbero rimaste nemmeno le cicatrici.
Ma come se le era procurate?
Cercò di sforzarsi, di ricordare quell'incubo. Perché sapeva che era un incubo, poteva essere soltanto quello, lo stesso maledetto sogno terrificante che lo svegliava ogni notte, e che appena apriva le palpebre non ricordava più. 
Turbato, si infilò una maglietta ed uscì dalla stanza, sentiva la gola secca, quasi graffiata, come se avesse urlato tanto ma senza alcun esito. 
In cucina aprì il frigorifero e bevve il latte direttamente dal cartone, per poi ritornare sulla soglia della stanza. Si voltò un'ultima volta, sgranando gli occhi quando colse Sebastian chino su qualcosa, o meglio, qualcuno. Una ragazza rossa e bassina stesa sul tavolo che gemeva di piacere per le sue attenzioni. 



(1) = William Shakespeare, Pene d'amor perdute. 
(2) = Per chi non lo sa: "Con l'espressione Sindrome di Stoccolma ci si riferisce ad uno stato psicologico particolare che si manifesta in seguito ad un episodio violento o traumatico, ad esempio ripetuti episodi di violenza fisica o verbale.
Il soggetto affetto da Sindrome di Stoccolma durante i maltrattamenti subiti, prova un sentimento positivo, fino all'amore, nei confronti del proprio aguzzino. Si crea una sorta di alleanza e solidarietà tra la vittima e il carnefice."
[Da Wikipedia]
E, quindi, anche tra prigioniera e carceriere.



 
A.A:
Uhm… che dire… non lo so.
Lascio a voi il giudizio, quindi!
Che ne dite?
Me la lasciate una recensioncina piccina piccina?
A presto.
-D.
P.S.: Wow, sono le A.A più corte che ho scritto dal 2012! O.O
   
 
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