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Autore: GirlWithTheGun    27/10/2014    1 recensioni
Sirius è sulla soglia della fuga ma ancora non lo sa: per il momento è un adolescente dall’umorismo caustico preda di maremoti emotivi inimmaginabili;
Andromeda si fa regalare il fumo dal Nato Babbano Ted Tonks, e lo trova curiosamente tenero;
Bellatrix e i suoi avambracci sono intonsi, per ora, ma i suoi legami con l’Oscurità esistono già da un pezzo, e anche il contratto matrimoniale con Rodolphus Lestrange - ahinoi -;
Narcissa annovera i petali delle margherite e i rampolli delle famiglie Purosangue, classificandoli secondo il suo - discutibile? - personalissimo ideale di avvenenza: primo per gradimento, Lucius Malfoy;
Regulus, imprigionato nei suoi cravattini, è la grottesca mascotte delle cugine, l’incompleta replica del fratello maggiore, perfetto per le esigenze di Walburga, disastroso per quelle della vita mondana: in una parola, inadatto.
Nessuno immagina che questa sarà la loro ultima estate insieme. Non immaginano che, dopo, tutto precipiterà nel baratro; che, un giorno, a legarli ci saranno solo addii, patti maledetti, tradimenti, guerre, morte e, alla fine di ogni cosa, l'estinzione.
Genere: Angst, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Andromeda Black, Bellatrix Lestrange, Narcissa Malfoy, Regulus Black, Sirius Black | Coppie: Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix, Sirius Black/Bellatrix Black, Ted/Andromeda
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Capitolo 11

The End Of Childhood

 

 

“Queste non sono mie”.

Sirius sollevò davanti a sé un indumento di biancheria intima. James, disteso sul suo letto, rispose con un grugnito automatico: era troppo concentrato nella lettura del libro che aveva trafugato dal Reparto Proibito. Con un lancio preciso, fece atterrare gli slip tra le pagine aperte e riprese a gettare grovigli di vestiti nel baule.

“Non sono neppure mie” rispose finalmente James, infastidito.

“Allora sei presente?”.

Sirius diede un calcio casuale a un paio di scarpe che l’avevano fatto inciampare poco prima, spedendole sotto al baldacchino di Phillips.

“Sto solo cercando di capire perché mai ogni volta che tentiamo la trasformazione ci esca così tanto sangue dal naso…”.

“Preferisco di gran lunga il sangue alla diarrea dello scorso anno” mugugnò Sirius, rabbrividendo al solo ricordo.

Di certo Remus non avrebbe mai potuto accusarli di non essere dei buoni amici.

“Non va bene ugualmente” disse James, massaggiandosi il setto.

Aveva un paio di occhiaie identico al suo. Chiunque pareva dare per scontato che fossero il frutto di notti brave, invece erano il risultato di ore passate a infilarsi metri di cotone nel naso. Pareva che i comuni Incantesimi di guarigione non funzionassero con quelle particolari controindicazioni.

“Comunque le mutande sono di Georgiana Ronson”.

“Come fai a…”.

James le sollevò indicandogli le iniziali cubitali ‘GR’ color argento che campeggiavano sul didietro in pizzo.

“La ragazza è tenace”.

“È il terzo paio della settimana che mi ritrovo nella cartella. Inizio a indispormi”.

James agitò la bacchetta e fece levitare la biancheria fino al materasso di Peter. Sirius lo guardò infilare gli slip sotto al cuscino dell’amico, senza riuscire a nascondere un sorriso ferino.

“Almeno serviranno a rendere felice qualcuno” James scrollò le spalle, ritornando al suo libro “I tuoi peli?”.

“Ah…” Sirius sfilò la camicia senza sbottonarla “Volevo dirtelo, sono quasi spariti”.

Esibì la schiena, ormai quasi del tutto pulita. Durante l’ultimo tentativo, gli era comparso un tappeto di foltissimi peli neri su tutto il dorso e non c’era stato verso di farli sparire. Erano caduti lentamente per tutta la settimana.

“Ti è rimasto un ciuffo in basso” James aggrottò le sopracciglia “Disgustoso ma almeno è in regressione”.

“Non voglio trasformarmi in una specie di scherzo della natura, la prossima volta”.

Sirius tornò al suo bagaglio, tentando di riepilogare cos’altro stava dimenticando.

“Siamo ancora troppo instabili. Forse per riuscire a fare il salto dovremmo tentare la trasformazione di un arto alla volta”.

“Sì, mi immagino già a Trasfigurazione con un braccio da orso e una coda da procione. La McGranitt sprizzerà gioia”.

“Non sappiamo ancora a che forma corrisponderemo” lo redarguì James, serissimo.

“Appunto. Peter tiene addosso il berretto anche di notte, hai controllato le sue orecchie?”.

“Sono quasi guarite. Quanto la fate lunga! Provate a camminare per cinque giorni con un paio di zoccoli al posto dei piedi. Altro che orecchie o peli… gli allenamenti sono stati un inferno!”.

“Beh, almeno tu hai qualche indizio in più su cosa potresti essere. Tipo un cinghiale”.

James gli rivolse un’occhiata fulminante e Sirius alzò le mani in segno di pace.

“Va bene, va bene” disse “Il baule dovrebbe essere pronto”.

“Tra quanto è prevista la partenza?”.

“Mezz’ora” ripose, cercando inutilmente una camicia pulita “È un peccato che il tuo vecchio sia così intransigente, se ci fossi stato tu sarebbe stato almeno sopportabile”.

James chiuse di botto il libro e crollò con la fronte sulla copertina.

“Non sai quanto vorrei accompagnarti. Questa sera mi aspettano quattro ore di pulizie nei bagni del terzo piano”.

“Preferirei pulire tutti i bagni di Hogwarts piuttosto che andare al matrimonio di Narcissa, credimi”.

“L’invito dei tuoi zii era una pura formalità e sai com’è mio padre, tende a essere un tantino rigido per certe questioni”.

Sirius puntò con lo sguardo una camicia inamidata distesa sul letto di Remus.

“Non posso davvero biasimarlo” replicò “Avvisi Remus che l’ho presa in prestito?”.

“Certo. Dovrebbe rientrare al massimo domani”.

“Pensaci tu a rimetterlo in sesto. Non so se la storia del Prefetto sia stata una buona idea…”.

“Certo che lo è, la vecchia canaglia non sbaglia mai”.

“Non lo so… dovrebbe servire a stringerci il guinzaglio e a fargli acquistare sicurezza ma mi sembra che entrambi gli obiettivi siano stati mancati, per ora. Remus si fa troppi scrupoli”.

“Deve solo abituarsi” James si mise a sedere “Un grosso problema da risolvere, piuttosto, è la verginità sempiterna di Peter”.

Sirius scoppiò a ridere, chiudendo il bagaglio.

“Mi pareva un discorso troppo serio” disse James “Ti accompagno”.

Sistemarono il baule nel centro della stanza, dove gli Elfi l’avrebbero recuperato, e si avviarono verso la Sala comune. Sirius salutò Peter, chino sulle pergamene di Aritmanzia con la fronte imperlata di sudore, e insieme a James oltrepassò il ritratto, lasciandosi alle spalle il calore rassicurante dei dormitori. Poco dopo superarono le clessidre luccicanti nel Salone d'ingresso ed entrambi notarono con disappunto l’esiguo vantaggio su Serpeverde.

“Merlino, che freddo”.

James infilò le mani nelle tasche, mentre i pesanti battenti si spalancavano lentamente sul parco innevato.

“Non fare niente di divertente senza di me” disse Sirius, chiudendo il mantello.

“E tu non fare quella faccia, tra tre giorni sarai di nuovo qui”.

“In tre giorni con i Black può succedere qualsiasi cosa. E poi tra poco ci saranno le vacanze di Natale, sto preparando il lutto”.

James alzò gli occhi al cielo.

“Va bene, vado” ridacchiò Sirius, allontanandosi.

“E dai un bel bacio a Cissy da parte mia” gli urlò dietro l’amico, quando stava già solcando il sentiero.

Sirius sorrise senza voltarsi, stringendosi nel mantello. Il sole era tramontato da un buon quarto d’ora e quando raggiunse il cancello ovest la neve riprese a cadere; nella penombra riconobbe Regulus, ritto come un fuso nel bel mezzo del gelo invernale.

Si scambiarono dei saluti a mezza bocca. Dall’inizio dell’anno suo fratello sembrava essere già cresciuto in altezza; portava i capelli più lunghi e l’idea che così si assomigliassero maggiormente infastidì Sirius.

“Papà ha mandato una carrozza” disse Reg, estraendo il suo orologio da taschino “Dovrebbe essere qui a momenti”.

“Non vedo l’ora” mormorò Sirius.

Il suo commento passò sotto il più totale silenzio. Sarebbe stato un lunghissimo fine settimana.

 

*

 

La crisi iniziò mentre sua madre tentava di stringere il nastro d’argento attorno al bouquet e Narcissa fu la prima ad allarmarsi.

“Madre?” squittì, voltandosi di scatto nella sua direzione.

La donna alzò una mano pregandola di star ferma, mentre con l’altra copriva a stento la bocca.

“Ti prego, cara, devo chiudere questa fila di bottoni…” lamentò la sarta.

Il bouquet le cadde dalle ginocchia dopo un colpo di tosse troppo forte, fu come un istante riprodotto al rallentatore; i boccioli si infransero sul tappeto scuro e qualche petalo candido non scampò all’impatto.

“Bella fai qualcosa!”.

Gli occhi profondi di Narcissa la fissarono terrorizzati. Sua sorella rimase immobile, stretta – imbrigliata – nel suo abito da sposa, tra le mani salde della sarta, mentre lei si chinava verso sua madre.

“Le mie…” rantolò la donna, di fronte al suo sguardo impassibile “le mie…”.

“Le essenze, Bella!”.

Estrasse le essenze dalla pochette posata sul comò, dove erano raccolte in una boccetta d’oro, e le spinse sotto al suo naso. Inizialmente sembrò non riuscire a inalarle poi, lentamente, fecero effetto e la tosse si calmò. Narcissa si rilassò all’istante.

“State meglio?” chiese, con un sorriso tremulo.

“Certo” rispose Druella, la voce arrochita dallo sforzo “È solo un po’ di tosse, niente di che”.

“I malanni stagionali” pigolò la sarta con aria saputa, chiudendo gli ultimi bottoncini.

Raccolse il bouquet da terra e lo adagiò nuovamente nel grembo della madre, alzando gli occhi sul guanto che le foderava la mano con la quale aveva tenuto a bada la verità: macchie di sangue scuro grandi come punte di spillo ne ricoprivano tutto il palmo. Lei la implorò con un’occhiata patetica e l’Incantesimo le attraversò la mente un momento dopo, la bacchetta nascosta in una manica del vestito. Ogni traccia si dissolse, cancellandosi, e lei riprese ad annodare il nastro, un centimetro alla volta, con spaventosa dedizione. Se qualcuno tempo prima le avesse detto che sua madre si sarebbe ammalata d’umiliazione, non gli avrebbe creduto. Bella aveva il monito ancora impresso nella mente: “i Black hanno il sangue puro, e il sangue puro è forte. Indistruttibile”.

 “Avevate detto che avreste chiamato il medico, perché non l’avete fatto?” sbottò Cissy con tono accorato, quando la sarta si allontanò.

Sua madre tacque, fissandola in estasi. Narcissa aveva scelto una cascata di pizzo bianco spruzzata di cristalli, le maniche e il colletto stretti sulla carne visibile in trasparenza, fino al corpetto che le fasciava la vita. I capelli le ricadevano sulla schiena e la tiara tirava morbidamente indietro le ciocche che avrebbero potuto coprire il viso. Era bellissima, ma chiunque se lo sarebbe aspettato.

“Oh, figlia mia… Sei meravigliosa” esalò Druella.

Bellatrix si voltò per nascondere l’insofferenza, con il pretesto di recuperare il collier ancora rinchiuso nella fodera, e si allontanò da quella visione nauseante. L’unica cosa che desiderava era che la giornata trascorresse il più velocemente possibile. Quando si piegò per tirar fuori il gioiello dall’ultimo cassetto del comò, la ferita al fianco bruciò intensamente. Le sfuggì un gemito che richiamò l’attenzione di sua sorella, mentre invece sua madre pareva essere troppo rapita dalla contemplazione della sposa per prestare attenzione a qualunque altra cosa.

“Madre, da qui in poi potrà aiutarmi Bella” disse Cissy, prendendole le mani “Precedetemi pure, nostro padre inizierà a sentirsi solo”.

Dopo un ultimo sospiro adorante, Druella annuì, commossa. Bellatrix abbassò la testa al suo passaggio, avvicinandosi a Narcissa con i diamanti distesi attorno a un polso.

“Manca solo questo” disse.

Sua sorella si limitò a fissarla. Si fronteggiarono a lungo, in silenzio.

“Non solo questo” mormorò Cissy, alla fine.

Bella si irrigidì.

“Non è il momento”.

“Non so neppure perché lo sto facendo”.

“Che cosa?”.

Sembrò che volesse chiederle scusa.

“Penso a lei da questa notte. Non ho mai pensato a lei così a lungo da quando…”.

Bella scosse la testa e il volto perfetto della sorella si distorse in un’espressione di dolore. Fu un momento, gli occhi si velarono di lacrime e le labbra si contrassero attorno alle due parole più distruttive che avrebbe potuto pronunciare.

Mi manca.

Narcissa non parlò ad alta voce, neppure sussurrò, furono solo lettere accarezzate con la bocca. Nessun altro avrebbe potuto udire, nessun altro capire. La verità era che non erano state preparate, né messe in guardia in merito a quella possibilità: il pericolo di perdere quanto di più caro avevano al mondo.

Bella forzò il pianto in rabbia, il modo migliore per fuggire dal male.

Non possiamo permetterci nulla di tutto questo. Le lacrime sono per i bambini e l’infanzia è finita per sempre.

La sorella concentrò intensamente lo sguardo sui diamanti che rilucevano di bagliori sinistri, una lacrima appesa al mento, più preziosa di qualunque altra pietra. Bella fece scivolare i brillanti sulla sua pelle, il più delicatamente possibile, e fu pronta.

“Sei bellissima”.

Narcissa sorrise sinceramente.

 

“Cos’hai lì?”.

“Dove?”.

Strofinò un indice all’interno del colletto di Rodolphus, la macchia era ancora fresca e il polpastrello si tinse di rosso. Lui posò il calice sulla tovaglia immacolata, poi le prese la mano e infilò il dito tra le labbra, succhiando senza ritegno. Oltre la sua spalla, Bella incrociò lo sguardo di Druella e si concesse un ghigno soddisfatto.

“È per questo che sei arrivato in ritardo alla cerimonia?” chiese, quando sua madre si arrese e deviò l’attenzione altrove.

“Ho sostituito lo sposo in una faccenda spinosa. Tua sorella non avrebbe gradito se si fosse presentato ricoperto di sangue”.

“Terence era con te?”.

All’altro capo del tavolo, Mulciber alzò un bicchiere di sidro all’indirizzo degli sposi.

“Sì. Ha uno strano modo di intendere la tortura. L’obiettivo non è durato più di dieci minuti”.

“È un principiante”.

“Non direi. Il cervello è rimasto intatto e non ho idea di come ci sia riuscito, abbiamo ripulito i resti per due ore”.

“Tempo sprecato”.

Rodolphus scrollò le spalle e ridacchiò.

“Quel bastardo… si è infilato un alluce nel taschino. Tu hai idea di cosa voglia farci?”.

Terence si voltò nella loro direzione, un fazzoletto di seta rossa ripiegato là dove doveva trovarsi il macabro souvenir. Bella notò la strana protuberanza che tendeva la stoffa e sospirò d’irritazione.

“Ti prego fallo sparire prima che si ubriachi e faccia finire quella schifezza nel piatto di qualcuno”.

Rodolphus scoppiò a ridere sonoramente, attirando l’attenzione di diversi commensali, e si calmò solo quando suo fratello maggiore gli assestò una gomitata al riparo del tavolo.

“Agli ordini, mia signora” disse poi, massaggiando una costola.

“Chi era?”.

“Non ne ho idea. Aveva delle informazioni, a Lui bastava quello che gli abbiamo portato”.

“Come ti è sembrato?”.

“Non l’ho visto. Abbiamo lasciato la consegna al quartier generale, non c’era nessuno”.

Bella accavallò le gambe, fissando laconicamente i resti della seconda portata accumulati nel piatto: il menu ne prevedeva almeno altre cinque e non era in grado di prevedere con precisione a che punto sarebbe accaduto, ma di certo avrebbe vomitato prima di arrivare al dolce. La neve incantata, asciutta e distribuita in fiocchi perfetti, continuava a cadere dal cielo, sciogliendosi un secondo dopo essere atterrata. Il caldo era così opprimente e la sala talmente affollata che le pareva di soffocare. Il corsetto, poi, segava la pelle proprio dove la ferita era ancora aperta, limitandola nei movimenti. Mentre una stecca affondava nella carne viva e lei soffocava il dolore in un morso serrato, Narcissa guardava Lucius come se fosse un’emanazione divina. Lui la stava educatamente ignorando, preso in qualche chiacchiera politica di poco conto con suo padre. Bella gli leggeva negli occhi il disprezzo, il vanto per una superiorità dovuta unicamente al caso. Del resto, poteva davvero uno schizzo di sperma nobile essere migliore di un altro? Il pensiero la fece ridere tra sé e sé. Le mancava solo qualcosa tra le gambe, qualcosa tra le gambe e avrebbe potuto essere il capo degli eredi seduti a quel tavolo. Rodolphus le sorrise ancora, in modo complice. Lo sarebbe diventata comunque. E lui, l’aveva già capito?

Ingoiò l’ultimo sorso di vino. L’orchestra d’archi sospesa a mezz’aria intonò l’attacco di un valzer. La musica le fece perdere il conto dei bicchieri che aveva svuotato e le riportò la mente su sentieri pericolosi. L’aveva incontrato nel corridoio di marmo bianco, appoggiato con indolenza a una parete, la sigaretta accesa e la camicia stropicciata, sbottonata, come se fosse reduce da un festino. La cerimonia stava per iniziare, tutti erano già schierati, oltre l’entrata, e lui era l’unico a essere rimasto lì, proprio come lei, che aspettava Rodolphus con un geranio bianco tra le mani. Non l’aveva salutata. Si era solo voltato e aveva aggrottato le sopracciglia, gli occhi grandi adombrati dalla furia. Aveva un labbro spaccato, la crosta sembrava tendersi a ogni tiro, ma questo non gli aveva impedito di sorridere con strafottenza, prima di dileguarsi. “La prossima sarai tu”, aveva sussurrato.

“Cugina, mi concedi questo ballo?”.

Bella trasalì, trascinata a forza fuori dai suoi pensieri.

“Non è il caso di agitarsi così, la mia è pura cortesia. Del resto sei l’unica femmina seduta a questo tavolo” aggiunse Rosier.

Accettò l’invito con un moto di stizza, ignorando la mano che le stava porgendo e precedendolo sulla pista. Quando fu il momento di attaccare il primo passo, gli afferrò la vita.

“Quanto mi piaci quando fai il maschiaccio” sibilò Evan, stringendosi a lei.

“Guarda e impara”.

Prese la guida con decisione, attirando lo sguardo confuso di qualche dama. Evan si lasciò addomesticare per i primi tre tempi, rivelandosi una ballerina piuttosto talentuosa, poi sovvertì la situazione premendole un palmo sulla ferita.

“Stai buona” mormorò al suo orecchio, pilotandola nuovamente al centro della pista.

Bella serrò gli occhi e si lasciò trasportare.

“Sbaglio o avresti dovuto essere tu, la sposa?” chiese lui, una volta certo della sua resa.

“Ho preferito lasciare la scena a Narcissa. In posa rende meglio di me” rispose.

“Brava ragazza. C’è chi si chiede se l’affare con Lestrange andrà in porto”.

“È già andato in porto da un pezzo, lo sanno tutti”.

Evan rise, inarcando le sopracciglia.

“Mi riferisco al contratto matrimoniale”.

“Anche io”.

Bella gli conficcò le unghie nel braccio, quando le sembrò che stesse tentando di farla cadere.

“Per Salazar, quanta tensione. Cosa ti preoccupa, cara?”.

“Non hai trovato nessuna vittima di tuo gusto, tra le invitate?”.

Lui curvò in velocità, seguendo la musica.

“A dirti la verità, la Selwyn controlla la scollatura in modo così pudico… è invitante”.

“Che peccato. Puntavo su suo fratello”.

“Un’eccellente alternativa”.

 Volteggiarono di fronte al tavolo di zia Walburga e, con la coda dell’occhio, riuscì a cogliere l’assenza di Sirius.

“Non ti ho invitata a ballare per mero divertimento, comunque” Evan rallentò appena “Devo riportarti notizia”.

Bella scrutò a lungo il suo volto, tentando vanamente di identificare una traccia di ironia.

“Cosa?”.

“Mi è stata appena riferita da Avery, pare siano voci fresche da Hogwarts”.

“Parla”.

Evan non esitò.

“Pare che tua sorella sia incinta”.

Il suo sguardo corse subito a Cissy, mentre lui la faceva volteggiare per la piroetta conclusiva. Quando si ricongiunsero, Evan scosse la testa.

“Non lei, Bella”.

 

*

 

Sirius tamponò il labbro con il tovagliolo, seduto nel chiostro esterno. Si gelava, quasi certamente si sarebbe guadagnato una febbre da cavallo, ma il freddo sedava la rabbia, costringendolo a tremare. La spaccatura nel labbro si era riaperta, l’umiliazione era tornata a bruciare insieme alla carne viva. Lo schiaffo di sua madre - l’anello che aveva strappato via pelle e sangue -; Regulus che distoglieva lo sguardo nel silenzio compiaciuto di suo padre; gli invitati che avevano assistito alla scena con serafica curiosità. Aveva gettato la giacca chissà dove, in uno dei buchi spettrali della casa degli zii, e addosso non aveva nient’altro che la camicia, sopravvissuta al tentativo di liberazione che aveva fallito, in preda alla furia. Non ricordava neppure il motivo di tanta collera. Cosa aveva detto? Cosa aveva fatto?

Le finestre si aprivano sulla sala da ballo, dove gli invitati danzavano con eleganza. Per loro era impossibile vederlo, non c’era luce che rischiarasse il cortile di pietra, mentre lui aveva quello spettacolo fasullo a fargli compagnia, luci dorate e abiti da festa sullo sfondo muto della campagna inglese.

“Tra tre giorni sarai di nuovo qui”.

Oh, James. Ma tre giorni non sono sufficienti a farti sprofondare?

Il rumore dei tacchi piantati nella pietra infranse la quiete, mettendolo in allarme. Quel passo…

Bellatrix emerse dall’ombra. Era sola e sembrava sconvolta. Dall’ultima volta in cui l’aveva vista aveva perso peso, si era assottigliata. Quando si immobilizzò, a pochi passi da lui, lo colse la delirante intuizione che fosse venuta a cercarlo, forse per assecondare le ansie di Walburga. Mentre stava ancora formulando il pensiero, lei gli puntò contro la bacchetta.

“Lasciami in pace” le disse, lanciando l’ultimo mozzicone nella neve “Ho abbastanza freddo per rientrare da s-”.

Perse contatto con il terreno e l’unica cosa di cui restò consapevole fu il vuoto. Improvvisamente, senza un collegamento tra il prima e il dopo, si ritrovò immerso nel ghiaccio di schiena, il respiro mozzato e un dolore intenso che si irradiava dalla spalla sinistra fino al petto. Non la sentì arrivare, forse lei era già lì ancora prima che atterrasse, china su di lui.

“Dov’è?” ringhiò, premendogli la bacchetta addosso.

Sirius sentì il panico aggrovigliargli le viscere.

Andromeda.

Non fece in tempo a prepararsi per il secondo schianto. L’energia lo trapassò e si scaricò nel suolo, facendo sobbalzare il suo corpo come quello di un pupazzo inanimato. Chiuse gli occhi, smise di respirare una seconda volta. Il cervello si inceppò su considerazioni elementari. È così freddo, freddo, fred-mi ucciderà ora? Proteggere Andro-dov’è?dov’è?

Fingersi morto o almeno svenuto. Srius obbedì alla voce nella sua testa, non si mosse più. La mente riprese a lavorare più lentamente. I piedi di Bella, sepolti nei metri di tulle, dovevano essere poco lontani dalla sua gamba destra. La sorpresa lasciò spazio alla consapevolezza.

“Inner-”.

Non le diede il tempo di terminare la formula, si girò sul fianco e spazzò il selciato sotto di lei con le gambe, sbilanciandola all’indietro. Le fu sopra ancora prima che cadesse, si impossessò della bacchetta e la lanciò lontano nell’oscurità. I suoi graffi colpirono il collo e il petto, per un attimo riuscì a divincolarsi, poi Sirius la sollevò, approfittando del suo peso, e la schiantò a terra, facendole sbattere la nuca. Bella soffocò un gemito digrignando i denti. La schiacciò senza nessuno scrupolo, piantandole i polsi sopra la testa, sfregandoli sui ciottoli affilati.

“Ti uccido” sfiatò.

Avrebbe voluto urlare, invece lo scontro l’aveva lasciato ansimante. La rabbia ottundeva i sensi, l’aria sembrava improvvisamente così incandescente, il dolore non esisteva più. C’era solo il desiderio bestiale di colpirla fino a farle chiudere quegli occhi crudeli.

La gola di Bella, tesa all’indietro, si contrasse. Stava ridendo.

“Uccidermi…” gorgogliò, senza più muoversi.

I suoi capelli affondavano nella neve fresca, serpenti neri arrotolati e vivi, le labbra erano bianche come il gesso, tese sui canini appuntiti. Non sembrava neppure umana.

“Lasciala in pace, Bella, hai capito?”.

Aveva recuperato un po’ di fiato e la minaccia non suonò del tutto vuota. Lei non commentò ma smise di ridere.

“Te lo giuro, Bella. Se le fai del male ti uccido”.

Nessun Incantesimo, solo le mie mani strette intorno al tuo collo.

Lei lo guardò a lungo negli occhi, impassibile, poi scosse la testa.

“È colpa tua”.

Fu un sussurro ma non c’era nient’altro intorno a loro e risuonò nel nulla come un tuono. Sembrava esausta. Per un istante, Sirius fu sul punto di pentirsi per la violenza con cui l’aveva trattata. Le lasciò lentamente i polsi, senza smettere di guardarla. Le dita di lei si sollevarono rapidamente e non riuscì a scansarle in tempo. Si paralizzò quando, invece di sentirle conficcate nella carne, le avvertì scivolare sulla pelle, dal colletto della camicia alla mascella e poi oltre, lungo la tempia, attraverso una linea invisibile che gli solcava la fronte. I polpastrelli di Bella sembrarono percorrere strade così familiari sul suo viso, come se conoscesse precisamente la meta. Lo sguardo di Sirius si appannò. Pensò che si trattasse di un Incantesimo e temette di soccombere, invece la vista si fece nitida quasi immediatamente. Il palmo di Bella accolse una sua guancia, in un contatto così naturale… così naturale. La vista si appannò di nuovo. Capì di stare piangendo quando vide una goccia d’acqua infrangersi sulle labbra di lei, esplodere nel vapore grigio dei loro respiri. Anche Bella piangeva, le lacrime scavavano due tracce precise ai lati del suo viso.

Perché?

La lama penetrò nella mente all’improvviso, sfrecciò nel profondo del suo essere tranciando una resistenza debole.

Io ti amo”.

La voce urlò nella sua coscienza.

Sirius scattò all’indietro e finì nuovamente nelle braccia ghiacciate dell’inverno. Scappò prima che qualsiasi risposta potesse raggiungerlo.

 

*

 

Due settimane dopo

 

Aveva gli occhi chiusi e fu per questo che riuscì a sentire la presenza di Remus quando era ancora in fondo alle scale. A occhi chiusi il mondo era chiaro, non poteva nascondere nulla di veramente vicino e il pericolo di spaventarsi per qualcosa di ancora lontano era scongiurato. Lo sapeva meglio di chiunque altro: gli incubi peggiori si affollavano sempre sull’orizzonte.

“Sirius” l’amico gli sorrise, sollevato “Da quanto sei qui?”.

Si rigirò la pergamena tra le mani. I bordi si erano consumati, per quante volte l’aveva aperta e ripiegata.

“Non lo so” confessò.

Remus sembrò cogliere al volo i sottintesi di quell’ammissione, infatti si rabbuiò e lo raggiunse, sedendosi al suo fianco, sullo scalino

“Ti stavamo cercando”.

“Scusa. È che dovevo spedire una lettera… poi…”.

Il risultato era ben evidente e smise di parlare prima di ribadire l’ovvio.

“Che cosa non va?”.

“No, sto bene. È solo questa stupida lettera”.

Si forzò in una risata. Era il genere di stratagemma che sembrava riuscirgli meglio, in situazioni del genere; ma, ancora una volta, quel poco di buono che c’era nel suo sangue – il talento innato nel mentire – lo tradì.

“James non è d’accordo, però io credo sia meglio parlarne…”.

“Parlare di che?”.

“Cosa è successo?”.

Il brivido non sfuggì allo sguardo vigile di Remus, che forse dovette spaventarsi a morte, anche se non lo diede a vedere. Sirius gliene fu immensamente grato.

“Cosa ti è successo? Dal tuo ritorno sei un fantasma. Se non ci spieghi qual è il problema non possiamo aiutarti a risolverlo” continuò, con voce calma.

Il vento spazzò le scale e Sirius tirò le maniche del maglione oltre le dita, nascondendo i palmi contro il petto. Mentirgli era fuori discussione. Sarebbe stato inutile, perché in ogni caso Remus avrebbe fiutato la menzogna. Se la sua vocazione era la finzione, quella dell’amico era la capacità di decifrare tutti loro come libri aperti. Dove chiunque altro non avrebbe notato nulla più di una ruga, una smorfia involontaria, un’esitazione mancata, Remus avrebbe letto la reticenza, il dolore, un segreto.

“Sai, a volte ammettere qualcosa aiuta a stare meglio. È una specie di catarsi”.

Avrebbe voluto parlare ma la voce sembrava essersi nascosta in qualche anfratto irraggiungibile.

“Prendi me, per esempio” aggiunse l'amico “da quando tutti sapete del problema, va meglio. Il problema è sempre uguale, le mie preoccupazioni sono le stesse. Ma non sono solo. Capisci la differenza?”.

Annuì, ripiegando ancora in quattro la lettera.

“Perché hai paura?”.

“Perché ho paura”.

“È peggio di un alter ego licantropo?”.

Sirius affondò le dita tra i capelli, lasciando che il maglione risalisse lungo gli avambracci.

“Credo di sì, Remus”.

“Spiegami”.

L’amico non si scompose, rimase al suo fianco, sinceramente interessato a ciò che aveva da dirgli. Sapeva che sarebbe rimasto lì fino al mattino seguente, se ce ne fosse stata la necessità.

“Non so neppure come fare…”.

“Provaci”.

“Se ti rendessi conto che una parte della tua mente…” il respiro gli morì in gola, ritentò “Quello che voglio dire è, se ti rendessi conto di non poterti fidare di una parte importante di te stesso. Cioè se scoprissi di aver… perso qualcosa che avrebbe potuto cambiarti, renderti una persona completamente diversa”.

“Dipende da quello che credi di aver perso”.

“Ho un’ipotesi che, se fosse vera, potrebbe cambiare tutto”.

Remus lo incoraggiò con gli occhi.

“Non devi parlarne con nessuno, neppure con Peter. Neppure con James. Me lo devi giurare. Non ne parlerei neppure con te, se non avessi davvero bisogno di aiuto”.

“Te lo giuro”.

Sirius respirò a fondo. Pronunciare quelle parole ad alta voce lo spaventava molto più che pensarle soltanto. Si strinse nel suo stesso abbraccio. L’unica cosa che avrebbe voluto fare, in quel momento, era correre lontano, nel parco, perdersi ancora una volta e sparire.

“Credo che Bellatrix abbia rimosso alcuni miei ricordi”.

Remus incassò il colpo ma non interruppe il contatto visivo.

“Perché lo pensi?”.

“Sono successe delle cose strane, quest’estate… Meda mi ha parlato per caso di alcuni episodi che non ricordo affatto, cose successe quando ero già abbastanza grande. Non ho nessun ricordo in comune con Bella prima dei miei undici anni. Nessuno dei ricordi di cui mi ha parlato Andromeda, lei compare solo di sfuggita… è come tentare di afferrare un sogno. È tutto così confuso… e quando tento di forzare la memoria, sto male. Fisicamente”.

“Come te ne sei accorto?”.

“Al matrimonio Bella mi ha aggredito, voleva sapere dove vive Meda” rispose Sirius “L’ho disarmata. E poi lei… lei ha smesso di combattere. Mi ha… mi ha accarezzato… io l’ho sentita nella mia testa, Remus. La cosa peggiore è che ripeteva la stessa frase che stavo pensando anche io, o almeno una parte di me che non ho mai sentito. Una parte di me che non dovrebbe esistere”.

Non ebbe il coraggio di continuare a guardare l’amico negli occhi. La paura era ancora lì, allacciata ai muscoli.

Era scappato da Bella, quella notte, ma l’eco di ciò che era apparso nella sua coscienza aveva continuato a perseguitarlo nei sogni. Io ti amo. Il singolo istante in cui avrebbe voluto abbracciarla, con la sensazione di ritornare a casa. Si era spinto a fondo nella memoria, fino a sputare sangue: non era servito, nessun ricordo era ricomparso. Solo nel sonno qualcosa pareva riemergere dall’abisso, niente più che immagini spettrali.

“A chi stai spedendo la lettera?” chiese Remus, dopo diversi minuti di mutismo.

“Non la spedisco più, era per Meda”.

“Volevi raccontarle di questa storia?”.

“Sì, ma ho cambiato idea”.

“Credo dovresti tenerla fuori. Se le tue ipotesi sono reali, potresti non essere l’unico a cui Bella ha modificato la memoria”.

Sirius si afferrò il capo, puntando i gomiti contro le ginocchia.

“Ho paura di me stesso, non sono stato neppure in grado di reagire. Non so se voglio conoscere la verità… vorrei solo poter cancellare quello che è successo. Credi che potrei farlo? Voglio dire, rimuovere un ricordo su me stesso, è possibile?”.

Remus lo guardò con angoscia.

“Se quello che pensi è successo davvero, hai già rischiato troppo. Dovrei documentarmi meglio, ma quello che so è che è illegale modificare i ricordi legati alla sfera emotiva. Cioè, non sono semplici ricordi, sono ancorati alla parte più profonda di te, per così dire. Questa parte della memoria coinvolge sentimenti troppo intensi per non creare un trauma nel cancellarli. Il cervello non può restare indenne”.

“Vuoi dire che potrei essere già compromesso in qualche modo?”.

“Non credo che staremmo qui a parlarne se si trattasse di un danno grave. Ma non puoi pensare di cancellare qualcosa. Secondo me sarebbe troppo rischioso”.

“Capisci che questo potrebbe cambiare tutto?”.

“Tutto cosa?”.

“Me, lei. Non saprò mai qual è la verità…”.

“È importante? Sai in cosa credi”.

Sirius circondò le gambe con le braccia. Si sentiva perso. Era bastato così poco.

“Forse Bella ti ha fatto un regalo”.

Avrebbe voluto sorridere. In un’altra circostanza una frase del genere sarebbe suonata comica, in quel frangente, invece, era drammatica.

“Perché pensi che avrebbe potuto farlo?”.

Remus scosse la testa e toccò a lui lasciar vagare lo sguardo nel vuoto, alla ricerca di risposte.

“Non lo so, Sirius. Vuoi davvero scoprirlo?”.

 

*

 

Bella aveva scavato una fossa nelle lenzuola umide, si specchiava negli occhi di Rodolphus e vedeva solo buio.

“Sei sicura che non sia pericoloso?”.

Mai più pericoloso della sua coscienza che esplodeva, penetrando nel cuore di Sirius. Infinitamente meno rischioso di qualsiasi tranello conservato nella memoria.

“Devo farlo” rispose “Non so come potrei reagire. Se dovessi supplicarti, non lasciare la presa. Non lasciare la presa anche se dovessi piangere o urlare, anche se tentassi di colpirti. Non lasciare la presa, fino a quando non avrò finito”.

“Come me ne accorgerò?”.

“Non lo so”.

“Bella lo sai, che potresti bruciare tutto?”.

Avrebbe voluto possedere la forza per scoppiare a ridergli in faccia.

Bruciare, bruciare! Non c’è più nulla che il fuoco possa consumare.

Gli prese la mano e la avvolse stretta intorno alla sua, che manteneva la bacchetta puntata contro la fronte.

Neppure un respiro, prima di cancellare un universo di ricordi.

“Oblivion”.

   
 
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