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Autore: olicityintranslation    28/10/2014    7 recensioni
La prima volta che accadde, Oliver pensò fosse una coincidenza.
Cinque baci, più uno, tra Oliver e Felicity.
Olicity | Romantico, Drammatico, Commedia | Arancione | One-shot | Traduzione
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, John Diggle, Oliver Queen
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Titolo originale: Strategy
Introduzione: La prima volta che accadde, Oliver pensò fosse una coincidenza.
Storia in lingua originale: https://www.fanfiction.net/s/9647858/1/Strategy
 Profilo Autrice:
•             su fanfiction.net, LJC https://www.fanfiction.net/u/3454/LJC
Traduzione a cura di: jaybree
Beta-reader in italiano: vannagio
Personaggi: Oliver Queen, Felicity Smoak, John Diggle
Generi: Romantico, Drammatico, Commedia
Rating: Giallo
Capitoli: 1 – One Shot
NdT: Questa storia è stata scritta alla fine della prima stagione, ma trovo che sia incredibilmente in linea anche con i nuovi episodi che stanno andando in onda in America in questo periodo. Per questo motivo, ci tenevo tanto a tradurla e sono felicissima di averlo potuto fare. Buona lettura!

 


 

Strategia
di LJC

La prima volta che accadde, Oliver pensò fosse una coincidenza.
Si erano infiltrati sotto copertura in casa di un personaggio dell’élite di Starling City, Harlan Brownstein, che stava comprando i palazzi rimanenti nel Glades e sfrattando i sopravvissuti al terremoto.
Paradossalmente, il loro punto di contatto era un ballo di beneficienza in favore del Glades a cui partecipava tutta la città. Il piano era entrare nell’ufficio privato di Brownstein, copiare i suoi file e uscire senza venire beccati. L’Incappucciato gli avrebbe fatto una visitina più tardi quella notte.
Semplice. Facile. Come bere un bicchiere d’acqua.
A parte il fatto che il servizio di sicurezza interno di Brownstein pattugliava i piani superiori della villa ogni dieci minuti. Felicity era veloce, ma non così veloce.
 “Sta arrivando qualcuno,” disse Dig, nell’auricolare. Era posizionato ai piedi delle scale con il suo smoking in affitto, osservava minacciosamente il resto del personale addetto al catering, con un vassoio pieno di calici di champagne che lo rendeva invisibile agli occhi degli invitati.
“Ci siamo quasi,” mormorò Felicity, le dita volavano sulla tastiera, il suo algoritmo fai da te per la decifrazione crittografica si stava facendo strada tra le directory di Brownstein.
“Oliver, muovetevi!” sibilò Diggle.
Oliver stava dietro la poltrona di pelle, a guardare i file in coda per il download nel loro server ogni volta che un codice veniva decriptato. “Felicity, dobbiamo andare.”
“Ci sono quasi!” bisbigliò accanita, alzando il dito per sistemare degli occhiali che di fatto non aveva. Per il suo “travestimento” da ragazza trofeo di Oliver, indossava un abito smanicato vintage di Chanel. I suoi lunghi boccoli biondi erano stati tinti di un castano ramato scuro (“Tutti sanno che Oliver Queen, playboy del Mondo Occidentale[1], preferisce le brune,” aveva detto mentre scendeva con calma le scale di metallo del seminterrato della fabbrica, perché Oliver e Diggle erano rimasti allibititi dalla sua trasformazione) e li aveva stirati in modo da farli cadere sulla schiena come un sipario di seta.
Oliver aveva ripreso ad interpretare il suo ruolo di casanova convinto fino in fondo. Non stava però funzionando magnificamente; molti in città continuavano ad incolpare sua madre per non aver consegnato Malcom Merlyn alla polizia prima che avesse l’occasione di usare la tecnologia rubata alle industrie Unidac per distruggere un terzo del centro città. Eppure, la maggior parte delle occhiatacce venivano da persone che non avevano neanche un decimo della fortuna dei Queen. Il resto della gente di Starling aveva perdonato e dimenticato in base in base al numero di zeri presenti sugli assegni che Oliver aveva firmato per l’organizzazione benefica del momento, qualunque essa fosse.
“Felicity—” Oliver le acciuffò il braccio e cercò di farla alzare dalla poltrona mentre i passi della guardia si facevano più vicini.
Per un pelo Oliver non inciampò quando Felicity scivolò giù dalla poltrona e si voltò per afferrargli gli avambracci.
“Cosa –” iniziò a chiedere, Felicity lo spinse sulla poltrona, e poi alzò la sua gonna, già vergognosamente corta, per sedersi cavalcioni su di lui.
“Assecondami,” sussurrò lei, mentre spegneva il monitor e poggiava le sue dita sulla scrivania accanto alla luce lampeggiante della chiavetta USB. Poi le labbra di Felicity caddero sulle sue, e le mani di Oliver andarono automaticamente sui fianchi di lei.
Questo non era parte del piano, lo informò la parte razionale del suo cervello, mentre il resto di Oliver stava cercando di gestire la presenza improvvisa sulle sue gambe di una calda e disponibile esperta di informatica. Non parte del piano: dettaglio difficile da ricordare mentre la lingua di Felicity scivolava contro la sua, e le sue mani trovavano la pelle, calda e nuda, della schiena di lei.
Oliver si era mostrato molto attento per tutta la sera, avevano ballato insieme, aveva spostato la sedia per lei. Ma quando si era piegato per sussurrarle qualcosa nell’orecchio, erano informazioni sui turni delle guardie e sulle piante del piano che le diceva, non frasi sdolcinate.
In quel momento, però, era fin troppo consapevole di quanto dannatamente sexy fosse il suo appuntamento per la sera; Oliver si sentì annegare nel profumo di Felicity e nel calore del corpo avvinghiato a lui.
La porta si aprì di botto, e il corpo di Oliver si irrigidì sotto quello di Felicity. Ma lei continuò a baciarlo, premendo la testa di lui contro la poltrona. Oliver quasi ringhiò quando Felicity conficcò le unghie nelle sue spalle e inarcò la schiena.
“Hey! Piccioncini! Non potete stare qui.”
Felicity indietreggiò, sorrise e ridacchiò in maniera affettata, guardando da dietro le spalle l’enorme addetto alla sicurezza.
“La festa è al piano di sotto.”
“Ci scusi— cercavamo un po’ di privacy,” balbettò Oliver, mentre lei abbandonava il suo posto sulle gambe di lui.
Non la vide neanche intascare la chiavetta.
Stava diventando più brava nel farlo.
Stava diventando più brava nel fare un sacco di cose.
L’espressione infastidita della guardia peggiorò quando Oliver dedicò alla figura indietreggiante di Felicity uno dei suoi sorrisi più fascinosi e uno sguardo con un leggero accenno di lussuria, mentre saltellava per raggiungerla.
“Wow, la gente lo fa sempre in TV, ma non credevo funzionasse davvero!” bisbigliò Felicity, rossa sulle guance e con gli occhi lucidi di esaltazione. Le mani di Oliver vagarono un po’ sulla sua schiena prima di posarsi leggermente sulla vita.
“Prossima volta, un avviso?” Oliver sussurrò in risposta, incapace di nascondere un po’ del suo ringhio da Incappucciato nel tono di voce.
“Sembravi un pesce lesso.” Felicity ridacchiò, mentre si facevano strada giù per le scale a chiocciola. Diggle li aspettava in fondo, dall’altro lato della corda di velluto rossa, riusciva a stento a contenere le risate.
“Felicity! Non puoi baciare le persone a caso.”
“Non è stato a caso, è stato… strategico.”
“Non puoi neanche baciare le persone strategicamente.”
“Be’, ha funzionato, no?”
“Cosa hai fatto?” chiese Diggle con un sopracciglio alzato.
Felicity gli rivolse un gran sorriso. “L’ho scombussolato.”
“Non mi hai ‘scombussolato’.” Oliver le lanciò un’occhiataccia e guardò in giro per l’ingresso per assicurarsi che nessuno li stesse guardando.
“Ti ha completamente scombussolato,” disse Dig, indicandogli il mento. Oliver ci passò una mano sopra e si trovò sulle dita tracce del rossetto di Felicity.
“Io vado allora…” Felicity indicò il suo viso, e subito dopo i suoi tacchi stavano scattando sul pavimento di legno massiccio verso la toilette, per risistemare il trucco. Oliver fissava le tracce di rossetto cremisi sul suo pollice come se non ne avesse mai viste prima.
Alla fabbrica, dopo che Felicity fu andata via con i tacchi in una mano e la borsa con l’abito nell’altra, Diggle si sedette sulla sua poltrona. Ruotò un paio di volte prima di rallentare e fermarsi davanti ad Oliver.
“Felicity te l’ha davvero fatta questa volta, no?”
“Cosa? No.”
“Giusto. Una ragazza bellissima ti salta addosso, dico soltanto… va bene se ti serve un po’ di tempo per capire certe cose.”
“Non c’è niente da capire. È tutto a posto.”
Diggle gli lanciò un’occhiata perplessa, poi alzò le spalle. “Okay, ma poi non dire che non ti avevo avvisato.”
Quando l’Incappucciato fece la sua visita a Brownstein parecchio dopo la fine del ricevimento, l’uomo farfugliava terrorizzato. Ma anche quando Oliver gli offrì cupamente la scelta tra riabilitarsi affittando le sue fatiscenti proprietà, a prezzi controllati, ai sopravvissuti e lasciare Starling City con una o un paio di paletti di frassino conficcati nel corpo, la sua mente era altrove. A ricordare come si era sentito mentre sedeva su quella stessa poltrona di pelle solo qualche ora prima.
Sembrava che il profumo di Felicity fluttuasse ancora nell’aria. L’aria notturna, mentre guidava la sua motocicletta verso il Verdant, avrebbe dovuto farlo scomparire.
Era perseguitato dal ricordo di quel profumo.
 
***
 
La seconda volta che accadde, Oliver lo considerò come il giusto contrappasso.
Erano nella sala server, gelida e male illuminata, di uno dei principali concorrenti nell’industria dell’acciaio della Queen Consolidated. Qualcuno della Edge International stava traendo profitto dall’uso di materiali scadenti nel progetto di ricostruzione del Glades. Oliver era determinato a trovare la persona o le persone responsabili.
Sfortunatamente, i dati di cui avevano bisogno erano archiviati nei server, e Felicity non era riuscita ad hackerare il sistema di protezione dall’esterno. Dopo il quasi-disastro alla Merlyn Global, Oliver era reticente. Più che altro perché era convinto che presentarsi con il suo arco in bellavista nell’attico di Morgan Edge sarebbe stato più che sufficiente per trovare le risposte di cui avevano bisogno. Ma sia Dig che Felicity gli avevano fatto notare che Edge – nonostante la sua ambiguità – poteva non essere colpevole. Dovevano accedere ai server per stabilire chi esattamente aveva autorizzato la spedizione dei materiali dalla Cina a Starling City.
L’invito al cocktail party per l’inaugurazione dei nuovissimi uffici di Edge a Starling City, che Oliver aveva tutte le intenzioni di rifiutare, era diventato il loro lasciapassare. Era stato coraggioso ad invitare il rampollo della famiglia Queen, ma Edge era conosciuto per i suoi grandi gesti. In parte era anche il motivo che lo aveva reso un nome conosciuto a Metropolis, nonostante i suoi a-lungo-sospettati-ma-mai-confermati legami con la criminalità organizzata.
Ecco perché Oliver ancora una volta indossava la sua maschera da playboy inconcludente, al posto della pelle verde, mentre faceva da guardia a Felicity che collegava il suo tablet ai server. Oliver aveva temuto che qualcuno la riconoscesse, ma lei era scoppiata a ridere e lo aveva informato che nessuno fuori dal reparto d’informatica della QC aveva idea di chi fosse, tanto meno avrebbero ricordato il suo nome. Lui l’aveva presentata come “Meghan”, il nome standard su cui ripiegava sotto copertura, e avevano sorseggiato champagne e mordicchiato gamberetti finché non erano riusciti a sgattaiolare via senza essere seguiti.
Le erano bastati pochi secondi per localizzare le porte di accesso che stava cercando, ma le era servito più tempo di quanto a Oliver piacesse per trovare il manifesto di carico. Felicity si mordeva il labbro mentre inseguiva maniacalmente tutti i file di cui avevano bisogno. E un cocktail party per l’élite di Starling City si teneva due piani più giù.
 “Presi!” Felicity sorrise ampiamente, alzando il pugno in aria.
“Shh!” Oliver le ricordò, e lei si coprì la bocca con la mano.
“Li ho presi,” ripeté, sussurrando, mentre disconnetteva il tablet dai server.
Quando vide la luce della torcia di una guardia nell’angolo davanti a loro, Oliver la tirò per una manica.
Ripercorrendo a ritroso il percorso che avevano seguito per arrivare, Oliver aprì ogni porta finché ne trovò una che non era chiusa a chiave. Venne fuori che era un minuscolo sgabuzzino per le scope: scatoli di prodotti di carta e un enorme carrello per le pulizie occupavano gran parte dello spazio. Ma chi elemosina non può scegliere. Oliver trascinò Felicity nel ripostiglio, serrandole la bocca con la mano. Il tablet rimase intrappolato tra loro due quando s’immobilizzarono all’ascolto dei passi che si avvicinavano. Oliver sentiva il respiro di lei contro il palmo della mano, il suo petto si allargava e stringeva più velocemente man mano che i passi si avvicinavano.
Trattennero entrambi il respiro quando il rumore si fermò.
“Oh, merda,” sibilò lei; invece di allontanarsi, i passi erano diventati più forti.
“Assecondami,” sussurrò lui mentre toglieva la mano. Le sue dita le carezzarono gli zigomi, poi piegò la testa e le sfiorò le labbra con le proprie. Dopo tutto, come aveva già detto lei prima, Oliver Queen che veniva beccato a pomiciare con una bella ragazza non avrebbe sorpreso nessuno. Era quasi scontato.
Ma questo non fermò il suo cuore dal saltare un battito, quando le sue labbra si incontrarono direttamente con quelle di lei.
Il rantolo di Felicity sembrò rumoroso nello spazio chiuso, e lui si lasciò prendere dal panico – aveva combinato un casino, aveva incasinato il loro rapporto – prima che le braccia di lei si stringessero attorno al suo collo e gli spigoli del tablet si infilassero nelle sue scapole.
L’ultima volta che si erano baciati per evitare di essere scoperti, Oliver era rimasto così sconvolto che aveva appena risposto al bacio. Tutto il contrario di Felicity. Oliver sapeva che non era reale, ma si sentiva come se lo fosse. Felicity si inarcò contro di lui, con i denti gli stuzzicò il labbro inferiore, in una maniera che lo costrinse a spingerla istintivamente contro il muro.
Con i tacchi da lavoro, quelli bassi, Felicity doveva allungarsi per incontrare la bocca di Oliver, e anche se si trattava di puro inganno da parte loro – una copertura, una falsità, uno schema – non c’era motivo per cui Oliver non potesse apprezzare il modo in cui lei faceva scorrere le dita nei suoi capelli, oppure il seno di lei stretto contro il suo petto, divisi solo da sottili strati di abiti. Una mano scivolò lungo il fianco di Felicity, le dita desiderose di tirare su l’orlo della gonna e accarezzarle la coscia. Ma Oliver strinse la mano attorno alla vita, ricordando a se stesso, con ogni respiro, che era solo un diversivo.
Uno spettacolo per soli adulti, così Thea lo avrebbe chiamato, e Oliver non era sicuro di non poter essere d’accordo. Soprattutto quando Felicity dischiuse la bocca sotto la sua con un sospiro delicato.
La porta si aprì, e la luce dal corridoio fece strizzare gli occhi ad entrambi. Ma non era un addetto alla sicurezza di Edge, era Diggle.
“Davvero? Sul serio?”
“Era una cosa…” Felicity iniziò mentre tentava di calmare nuovamente il suo respiro.
“… strategica,” finì Oliver al posto suo, e sistemò il colletto della giacca.
Venne fuori che un capodipartimento tra i più fidati di Edge non solo stava facendo affari con dei fornitori in Cina, ma stava anche intascando la differenza tra l’acciaio di prima qualità per cui la società pagava e i materiali scadenti che arrivavano dall’Asia.
Oliver non dovette nemmeno minacciarla. Non molto perlomeno. La proposta di rendere l’informazione facilmente consultabile da Morgan Edge bastò per costringerla a mandare le lettere di dimissioni sul posto.
Edge avrebbe dovuto aspettare. Ma Oliver era quasi desideroso di visitare nuovamente la sala server della Edge International.
 
***
 
La terza volta che accadde, fu solo per fare scena.
Nell’ultima settimana, Felicity aveva sbottato con entrambi più di una volta, e quando il suo computer si era bloccato nel bel mezzo di una normale ricerca era persino scoppiata a piangere. A giudicare dalla sua reazione all’inaspettata schermata blu di errore, definirla “agitata” sarebbe stato l’eufemismo dell’anno.
“Okay, cosa è successo?” Dig aveva chiesto mentre le offriva un pacco di Kleenex. “La Felicity Smoak che conosco non s’arrabbierebbe così facilmente a meno che non stia per succedere qualcosa di grosso. Allora… cos’è questo qualcosa di grosso che ti tiene così sulle spine?”
“Riguarda questo fine settimana, vero?” domandò Oliver, prendendo posto.
“Cosa c’è questo fine settimana?” chiese Dig, confuso.
“Una delle mie migliori amiche del college si sposa. Ed io sono una damigella.”
Diggle annuì saggiamente. “È una spozilla[2]?”
“No, Amanda è fantastica. Sempre tranquilla, sempre la stessa vecchia Mandy. Sono le altre due damigelle. Sono due socie del suo studio legale, e ogni volta che siamo nella stessa stanza – alla festa per la sposa[3], alla prova del vestito, alla festa di fidanzamento – si comportano sempre come – ”
“Due grandi stronze?” Diggle continuò con facilità, e Oliver ebbe la sensazione che lui avesse già avuto questo genere di conversazione – molto probabilmente con Carly, la cui sorella si era sposata tre mesi prima.
“Di norma non uso quella parola per le altre donne. Ma sì. Oddio, partono in quarta. Niente di quello che faccio è mai abbastanza. Il mio regalo alla festa della sposa era stupido; tutte le mie idee per l’addio al nubilato fanno schifo; non ho i vestiti o le scarpe o il fidanzato giusto o niente. Clarissa è la peggiore, anche se Nichelle non è da meno. È la damigella d’onore e manda queste mail passivo-aggressive nella mailing list– ”
Dig sbatté le palpebre stupito. “C’è una mailing list per il matrimonio?”
“Dev’esserci – la cerimonia è divisa tra Starling City, Gotham e Metropolis. L’ho organizzata io. E il sito web. Ci saranno voluti, quanto?, dieci minuti. Niente di ché. Ma Mandy non riesce a capire quello che fa Clarissa. È solo… continuano a trollarmi.”
Adesso era il turno di Oliver di non capirci niente. “Trollarti?”
“È una cosa di internet,” spiegò Dig.
“Ed è come – okay, ho un bel lavoro, guadagno abbastanza.” Si rivolse verso Oliver. “E non sto cercando di ottenere un aumento, giuro. Ma posso arrivare a spendere i mille dollari per il vestito, e i gioielli coordinati e i tutti i voli di andata e ritorno. Okay, forse ci sarà un sacco di ramen nel mio prossimo futuro, ma posso farlo.”
“Aspetta – aspetta, aspetta.” Dig alzò la mano. “Mille dollari per un vestito che indosserai una sola volta? So che la gente ricca è fuori di testa ma tu sei… una persona normale.” Indicò i jeans, le ballerine, la t-shirt colorata e il cardigan di Felicity per dimostrare la sua affermazione.
“Se consideriamo ‘normale’ un valore dato,” Felicity aggiunse senza pausa, tamburellando sul piercing del suo orecchio destro. “Il vestito è prêt-à-porter, Zac Posen, con delle forme geometriche molto particolari, anni ‘30, molto retro e, oddio, è meraviglioso. Quindi forse potrò indossarlo altre volte. O ancora meglio, potrei rivenderlo su eBay. A dire il vero – sì, eBay. Decisamente eBay.”
“Mille dollari. Per un vestito.” L’espressione sul viso di Diggle era ancora sconvolta. “Oliver, dimmi che sta scherzando.”
“Ho visto quanto spende Thea per i suoi vestiti. Non sta scherzando. Anzi, direi che è davvero il minimo.”
“Infatti. Il vestito di Mandy? È un Vera Wang che costa più della mia macchina.”
“Credevo che la tua macchina fosse in leasing?”
“Intendo dire il prezzo di listino della mia macchina, venduta nuova.”
Mentre Dig tentava di inserire quest’informazione nel contesto, Felicity continuò, parlando animatamente anche con le mani.
“Quindi, adesso oltre a tutto il resto, Clarissa vuole che compriamo insieme questo carissimo regalo di gruppo. E lo capisco, sul serio, capisco! Ma continua a lanciare queste frecciatine sul fatto che potrebbe coprimi se non riesco ad arrivare alla mia parte. E non sto dicendo che saremmo dovute andare da David e comprare tre tubini coordinati -- cioè, ‘Che Dio ce ne liberi!’” disse in un tono talmente acuto che Oliver suppose fosse un’imitazione della malvagia damigella d’onore. “E come ho detto – ramen.  Niente di ché. Ma Kyle mi ha dato buca, e adesso devo affrontare tre giorni di tragedie da matrimonio senza spalla.”
“Kyle?” domandò Dig, nello stesso momento in cui Oliver chiese “Hai un fidanzato?”
“Kyle è l’altro mio migliore amico del college. E no, non è il mio fidanzato – solo il mio accompagnatore. Ma mi ha chiamato questo pomeriggio – si è fratturato la caviglia in un incidente con la bici e lo operano sabato. Quindi non può venire. Ed è troppo tardi per combinare con qualcun altro, parto direttamente domani dopo il lavoro.”
Ruotò sulla sedia, con la testa piegata all’indietro; sembrava completamente persa.
“Ce l’ho fatta finora solo perché Kyle ed io ci saremmo seduti in fondo alla sala a fare commenti sarcastici. Non posso superare questo week-end senza sarcasmo. Dico sul serio. A cena mi faranno sedere vicino a uno di quei testimoni cialtroni e inquietanti, e magari quando balleremo avrà le mani sudaticce ed io finirò per buttare fuori dalla finestra Clarissa e Nichelle rovinando il grande giorno di Mandy – ”
Oliver fermò la poltrona posando una mano su ogni bracciolo, e si piegò per incontrare gli occhi di Felicity. “Felicity, respira.”
Felicity inghiottì parecchia aria e poi si soffiò il naso in uno dei fazzoletti.
“Ce la farai. Hai superato un terremoto. Puoi farcela a superare questo matrimonio.”
“Questa cena di prova, cerimonia e ricevimento.”
“Tutto quello che hai detto. Sei inimitabile, ricordi?”
Oliver le sorrise con affetto nel vederla tirarsi un po’ su. Odiava vederla così triste, poteva trattarsi anche di una fioca scintilla rispetto all’esperta di informatica fiduciosa e sicura di sé che aveva incontrato la prima volta, ma adesso avrebbe preferito di gran lunga quella scintilla al posto della tristezza alla quale si era lasciata andare per tutto il giorno.
“Sì, hai ragione. Posso farcela. Sono entrata nel database dei federali. Posso gestire un paio di Mean Girls.” Poi gli dedicò un sorriso pieno di spavalderia. Ma fu solo quando se ne andò per la notte che Oliver decise la sua linea d’azione.
Quando Oliver arrivò, scrollandosi da un ombrello Hermes la pioggia di Gotham, nell’atrio del costosissimo e incantevole bed & breakfast in cui si teneva la cena di prova, ebbe un momento di panico in cui si domandò se quella fosse davvero la cosa migliore da fare. Ma allontanò il pensiero e procedette a grandi passi nella sala da pranzo come se fosse stato Walter che entrava nella sala riunioni – calmo, sicuro di sé, come se stesse irradiando potere.
Passò davanti ai membri della famiglia e agli altri invitati alle nozze lasciandoli sbalorditi, diretto verso Felicity, che sedeva con un bicchiere di vino pronto ad essere bevuto di fronte alla sua bocca aperta. Dal rossore sulle sue guance e dalla luce nei suoi occhi, Oliver dedusse non fosse il suo primo bicchiere di vino rosso. Buttò giù il bicchiere, quando un cameriere vestito di bianco portò una sedia ad Oliver e la conversazione al tavolo si fermò di botto.
“Felicity?” una donna, all’incirca della sua età, che sedeva due posti più in là le si avvicinò, con la confusione dipinta in viso. “Chi è?”
“Mandy, lui è il mio… Oliver,” disse Felicity, allungando la mano da sotto il tavolo per afferrare quella di Oliver in una presa mortale, mentre lui si muoveva in avanti per presentarsi.
S’inchinò, sfoggiando il suo miglior sorriso verso gli invitati. “Oliver Queen, l’accompagnatore di Felicity. Chiedo scusa per il ritardo, ma il mio pilota ha compilato il piano di volo all’ultimo minuto e abbiamo aspettato una vita sull’asfalto allo SCIA prima di decollare.”
“Be’, questa sì che è una sorpresa,” disse la donna seduta accanto ad Amanda con un sorriso momentaneo. Oliver capì che si trattava di Clarissa dal fatto che il sorriso non le raggiunse lo sguardo.
“Cosa ci fai qua?” gli sussurrò Felicity nell’orecchio, quando i camerieri portarono via il primo e iniziarono a spazzolare via le molliche dalle immacolate tovaglie di lino bianco.
“Credevo avessi bisogno di una spalla. Non posso promettere molto riguardo al sarcasmo, ma so decisamente ballare il valzer. Mia madre mi ha obbligato a seguire un corso di ballo da sala quando avevo quattordici anni. E sono un esperto nel destreggiarmi tra i matrimoni dell’alta società. Mi hanno costretto ad andarci fin da quando ero abbastanza grande da infilarmi in uno smoking. Il trucco è farsi amici gli addetti al catering; ti becchi il primo morso degli stuzzichini, e di solito basta offrire una mancia a qualcuno per portarti a casa qualche bottiglia di champagne extra.”
“Ma non hai… cose da fare? A Starling City? Il Verdant, o altre…” abbassò il tono della voce fino a sussurrare, “cose verdi?”
“Niente che non possa aspettare fino a lunedì.”
Gli servirono pollo arrosto e verdure al vapore e Felicity continuava a lanciargli occhiate che erano un misto di confusione e sorpresa mentre lui scambiava qualche chiacchiera da tavolo con gli altri commensali. Iniziò a pensare di aver esagerato solo quando Felicity lo trascinò dietro la porta finestra del giardino dopo dessert e caffè.
Era convinto di essere sul punto di subire una dimostrazione ravvicinata e personalizzata di come esattamente suonasse il Tono Arrabbiato di Felicity Meghan Smoak, finché Felicity non gli si gettò addosso, abbracciandolo quasi con accanimento.
“Ohmiodiosonocosìcontentachetusiaqui,” disse contro il suo maglioncino di lana, e lui ridacchiò un po’ e ricambiò l’abbraccio.
Aveva smesso di piovigginare, il chiaro di luna delineava le pietre e il prato, mentre Oliver e Felicity passeggiavano sui gradini del giardino perfettamente curato.
“Ehi, non che pensassi tu non potessi gestirli da sola – ma ho pensato, fare da ragazzo trofeo almeno una volta era il minimo che potessi fare. Sai, invece di aumentarti lo stipendio.”
“Non direi esattamente no ad un aumento. Cioè, tecnicamente faccio due lavori.”
Le labbra di lui si contrassero, cercando di non ridere. “Vedrò quello che posso fare.”
“Forse non è una buona idea,” iniziò lei. “Voglio dire, far credere loro che tu sei il mio… che noi siamo…”
“Più che amici?”
“Sì! Ho visto il modo in cui Nichelle ti stava prendendo le misure a cena. Sono sicura che si stia domandando come diavolo ha fatto una Jane qualunque ad aggiudicarsi un multimilionario. Potevo leggerglielo in faccia.”
“Allora dovremo mostrare a Nichelle e Claire—”
“Clarissa.”
“—Clarissa, che Felicity Smoak è tutto fuorché una Jane qualunque.”
“Oliver, dico sul serio.”
“Anch’io.” Le afferrò le mani e si spostò, di modo che Felicity fosse di fronte alla veranda. “Adesso, non guardare, ma abbiamo un pubblico.”
Dietro gli occhiali, Felicity spalancò i suoi grandi occhi blu, e Oliver capì che aveva beccato le altre damigelle a guardarli dal portico di pietra dell’albergo.
“Ohmiodio,” sospirò lei, e Oliver avvicinò una delle mani di lei alla sua bocca, baciandole le nocche.
“Che ne dici se regaliamo loro uno spettacolo?” disse, e prima che lei potesse obiettare, la portò tra le sue braccia.
Felicity dapprima sconvolta rimase rigida, ma dopo qualche secondo avvolse le braccia intorno al collo di Oliver, offrendo tanto quanto riceveva. Oliver dimenticò la pioggia e il gelo nell’aria, o il suono distante degli animali nel bosco e dedicò se stesso al semplice piacere di baciare una bellissima donna – ignorava completamente la voce nella testa che gli ricordava tutti i limiti che stavano superando. Tutti i confini che ultimamente stavano ridisegnando, tra di loro.
Quando si distanziarono, Oliver si sentì leggermente stordito.
“Hanno visto?” bisbigliò Felicity contro il suo orecchio, mentre lui guardava verso il portico il più furtivamente possibile, ma i loro osservatori si erano allontani dalla finestra.
“Seh.”
Felicity rise allegramente, e Oliver allungò la mano per intrecciare le loro dita, mentre rientravano in casa.
Il matrimonio procedette senza alcun disguido. Al ricevimento Oliver e Felicity ballarono persino.
E quando lei rivendette il vestito su eBay, Oliver lo comprò, lo incartò con un fiocco ridicolo e glielo lasciò sulla poltrona alla fabbrica.
Si autoconvinse che era perché Felicity lo meritava. Ma la verità era che lui non riusciva a sopportare l’idea che qualcun altro potesse indossarlo.
 
***
 
La quarta volta che accadde, era solo perché Oliver doveva esserne sicuro.
Diggle e Oliver stavano allenandosi con lo yantok, quando Diggle tirò fuori l’elefante nella stanza che era stato ignorato nella fabbrica per settimane.
“Devi piantarla.”
“Piantare cosa?”
“Questa cosa con Felicity.”
Oliver esitò per una frazione di secondo e digrignò i denti, mentre Dig gli assestava un colpo alle costole. “Che cosa?”
“Felicity mi ha raccontato della tua piccola deviazione a Gotham. Incluso il vostro piccolo siparietto di baci e carezze.”
“Non è stato un – Stavamo solo facendo un po’ di scena per le ‘malvagie’ damigelle.”
“Ah sì, un po’ di scena. Ma lei ha una cotta per te. Non puoi approfittarne.”
“È lei quella che mi è saltata addosso alla raccolta di fondi.”
“Oh, capisco. Lei ha iniziato, e tu assecondi i suoi desideri per fare l’amicone?”
“Sì, a Gotham è stata solidarietà tra compagni di squadra. Tutto qui.”
“E nello sgabuzzino dei server alla Edge?”
“Credevamo tu fossi un addetto alla sicurezza.”
“Sto solo cercando di dire, mettersi a pomiciare come due adolescenti arrapati ad ogni opportunità – devi prendere una decisione, Oliver. Non illudere la ragazza.”
“Non la sto illudendo. Casomai,” Oliver superò la posizione di difesa di Diggle e lo colpì sulla spalla, “è lei quella che stravolge tutte le cose.”
“Be’, allora rimettile insieme. Devi mantenere la concentrazione, Oliver.”
Oliver picchiò lo yantok così forte su Diggle che si frantumò, metà del paletto di rattan volò via nelle ombre della fabbrica scura.
“Non è un gioco, Dig.”
“Questo lei lo sa?” Diggle chiese con un sopracciglio alzato, ma Oliver non aveva risposta.
Quando Felicity arrivò, dopo aver lavorato fino a tardi alla QC, Dig lo aveva lasciato per andare a prendere AJ dall’allenamento di calcio. Dopo aver poggiato la borsa accanto alla sua scrivania, accese i suoi adorati computer, era di umore particolarmente allegro.
Oliver aveva passato le ultime ore cercando di capire come affrontare esattamente “la situazione Felicity”.
Aveva preparato tutt’un discorso. Lo aveva anche provato. Aveva affrontato il problema da ogni angolazione. Il loro lavorare a stretto contatto, tutti e tre insieme, e come questa situazione avrebbe potuto rovinare gli equilibri del team. Il fatto che lui stava ancora cercando di superare le conseguenze dell’aver tradito Tommy con Laurel e che quindi probabilmente non avrebbe dovuto frequentare nessuno al momento. Per non menzionare il fatto che forse non sarebbe stato sicuro per nessuno iniziare una relazione con il giustiziere di Starling City, visti i suoi precedenti. Stava solo cercando di proteggere la loro amicizia, perché significava così tanto per lui averla nella sua vita – una persona in meno a cui mentire su come passava le notti. Era un bel discorso.
Felicity si rigirò sulla poltrona, le sue ballerine strisciavano sul pavimento di cemento.
Oliver improvvisamente non riuscì a ricordare una sola parola del suo bel discorso.
Felicity rallentò fino a fermarsi, di fronte a lui, osservandolo da sopra gli occhiali. “Allora, stavo pensando. Hai mai pensato di usare degli occhiali da sole? Cioè, non occhiali da sole, sole. Tipo Google Glasses, ma non proprio. Voglio dire, con uno schermo ottico direttivo, ma ovviamente non prodotti da Google perché… perché. Soprattutto perché stavo pensando alla biometria. I software di riconoscimento del volto possono capire la tua identità dallo spazio tra i tuoi occhi, e il trucco non lo maschera granché in scala di grigio. E lo sai, quegli algoritmi sono davvero precisi quando si tratta di estrarre una scena anche da filmati schifosi. E non è che non abbiano foto di te con cui fare il confronto. Voglio dire, pensa solo alle foto segnaletiche di tutte le volte che ti sei fatto -”
Oliver si piegò in avanti e coprì la bocca di lei con la sua prima che potesse continuare. Fu rapido, ma le guance di lei erano rossissime quando lui si allontanò.
"—arrestare," concluse.
Oliver tirò su il suo cappuccio e indietreggiò intenzionalmente.
“Vado a pattugliare la città.”
“Oh… kay.”
Era fregato.
 
***
 
La quinta volta che accadde, erano ubriachi.
Be’, Felicity era ubriaca. Oliver non aveva bevuto veramente. Non vino. Forse, in passato, dopo Tommy, c’era stata una relazione seria con una bottiglia o due di whiskey. Ma il fatto era che aveva cercato di evitare sia la fabbrica che Felicity mentre tentava di risolvere alcune cose.
Non importava quello che provava per Felicity, avrebbe dovuto rallentare prima che le cose andassero troppo avanti. Ma le cose erano già andate troppo avanti, almeno secondo Diggle. E se Felicity non aveva intenzione di mettere il freno alla loro nascente relazione fisica, allora toccava ad Oliver.
Il che significò armarsi di vino per addolcire la pillola. Forse non sapeva molto su Felicity Smoak, ma sapeva che non avrebbe rifiutato un rosso di Toscana. Quel pomeriggio le aveva mandato un messaggio per dirle che quella sera avrebbe appeso al chiodo il suo cappuccio, concedendo a lei e a Dig la serata libera. Dig aveva risposto immediatamente, ma lei non si era fatta sentire. Oliver aveva cenato con Thea – che lo aveva stuzzicato senza pietà su come avesse lasciato i conti del club in rosso, costringendo lei a ripulire i suoi casini. L’aveva lasciata parlare; aveva ragione dopo tutto. Era Tommy quello che gestiva il Verdant. Oliver riusciva a malapena a seguire l’inventario esistente, figurarsi mantenere il club ben rifornito.
Quando gli aprì la porta, Felicity indossava un paio di pantaloni da yoga e una felpa scolorita dell’ SC Tech,  sotto la quale facevano capolino le bretelle e la parte superiore di un toppino viola acceso. I capelli cadevano lisci sulla schiena, liberi dalla solita coda. Sembrava più bassa di quel che ricordava, Oliver guardò giù e si accorse che era in calzini. Precisamente, in calzini a righine rosa e viola.
I calzini sembrarono confermare i suoi sospetti. “Sto interrompendo la tua serata libera.”
“La mia serata libera finora ha comportato poltrire sul divano a leggere riviste online. Non mi farebbe male una pausa. E da come sembra, non farebbe male neanche a te.” Felicity aprì la porta e lui entrò. “Problemi di famiglia?”
Oliver annuì con forza. “Cena con mia sorella.”
“Ti ha dato del filo da torcere per via del club?”
“Due ore. Due ore di predica da parte della mia sorellina su come controllare l’inventario. A quanto pare, è impossibile fare una Jagerbomb senza Jägermeister.”
“E lei conosce questa informazione perché…?”
“Dicerie, pettegolezzi e allusioni. Continuo a ripetermelo, nella remota possibilità che sia vero.”
“Fai morir dal ridere.”
“Così si dice.”
Oliver tirò fuori con una mano la bottiglia di vino per mostrargliela.
“Non è una Rothschild dell’82, ma spero basterà.”
“Sassicaia 2007? Bene, molto bene. Scuse o mazzetta?”
“Un ragazzo non può semplicemente portare una bella bottiglia di vino alla sua amica?”
“Nop.” Fece scoppiare la ‘p’ e gli sorrise apertamente.
“Perché dici così?”
“Perché nei quattordici mesi della nostra conoscenza, non ti sei mai avvicinato al mio appartamento dalla porta principale. Tanto meno con una bottiglia di vino. Ed è vino di qualità. Quindi… scuse o mazzetta?”
“Ho fatto qualcosa per cui dovrei scusarmi?”
“Vediamo… da dove iniziare?” Arricciò gli angoli degli occhi mentre lo stuzzicava. “Forse la parte quando la polizia mi ha sequestrato per una settimana il computer che uso per lavorare, portando ad un accumulo di lavoro nel bel mezzo di un disastro cittadino? O l’aver fatto due lavori nell’ultimo anno con cinque ore di sonno per notte – se sono fortunata? O aspetta… lo so! L’assenza totale di vita sociale e personale, e non vado in vacanza senza che siano coinvolti appostamenti e intercettazioni da otto mesi circa? Continuo?”
“Avrei dovuto portare più vino.” Oliver lasciò cadere la testa fingendo la sconfitta. “Tutto qui? Nient’altro?”
“Be’,” picchiettò sulle labbra con l’indice, “mi hai regalato uno Zac Posen davvero costoso. E questa è una bottiglia davvero buona. Quindi, scuse accettate.”
Ecco, questo era il momento in cui avrebbe dovuto spiegare per cosa voleva davvero scusarsi. Ma lei sembrava così contenta e così rilassata e Oliver non voleva tuffarsi a capofitto in quella che sarebbe stata una discussione incredibilmente imbarazzante. Non subito. Invece, la seguì nel soggiorno, notando il modo in cui Felicity aveva acciuffato in fretta una pila di libri e riviste dal tavolino da caffè e li aveva ammassati disordinatamente accanto alla poltrona.
“Allora… possiamo aprire le citate scuse?”
“Sì, per favore.” Felicity saltellò verso la cucina e riemerse con un apribottiglie e due ampi bicchieri di vino. Oliver fece gli onori, mentre lei sventolava verso di lui il telecomando.
“Cosa vuoi vedere?” chiese lei mentre si sedevano sul suo divano pieno da scoppiare.
“Non ne ho idea. Ancora cerco di recuperare gli arretrati di cultura popolare su cui Thea si delizia a prendermi in giro. Quello che vuoi tu, suppongo? Questa è la tua serata libera e io sono un intruso, dopo tutto.”
“Be’, hai detto di non aver mai letto l’Amleto. Possiamo vedere Il Re Leone.” Oliver si accigliò, scavando nei suoi ricordi pre-isola. “Il film della Disney?”
“Seh.”
“Cosa c’entra con l’Amleto?”
“C’entra tutto con l’Amleto.” Fece una smorfia. “Okay, a parte la fine.”
“Vorresti dire che Amleto non vive per sempre felice e contento?” Oliver rispose impassibile, e lei sorrise di nuovo, un gran sorriso aperto.
“Sì. Non proprio. Non è che s’intitola La Commedia di Amleto, Principe di Danimarca.”
“Non posso saperlo; non ho mai letto l’Amleto,” le ricordò.
“Esattamente. E la scelta è tra Il Re Leone o la versione da quattro ore di Branagh, e non credo di farcela stasera.”
“C’è una versione di Amleto lunga quattro ore?”
“A dire il vero, l’opera per intero con gli intervalli di solito dura circa cinque ore.”
Oliver capì di aver fatto una faccia totalmente orripilata, perché lei lo squadrò in viso e scoppiò a ridere.
Cliccò sul televisore e iniziò a navigare attraverso un menù online. Ecco un’altra cosa che era cambiata da quando era andato via: nessuno guardava più i DVD.
“Ehi, aspetta un minuto. Non ti servono gli occhiali?”
“Ehm…” Il rossore le avvampò le guance, e si morse il labbro inferiore.
“Ho sempre pensato fossi quasi cieca senza occhiali.”
“Non esattamente?” Trascinò le sillabe, alzando il tono di voce. “Sono davvero astigmatica! È solo davvero, davvero—“
Oliver la fissò, allibito. “Sono occhiali finti?”
“Sono occhiali veri!” disse lei quasi con violenza, schiaffeggiandolo sul braccio. “Solo che mi servono più che altro per guardare da vicino. Come quando lavoro al computer o leggo. Non devo portarli sempre davvero. Ma se sei una ragazza bionda sulla ventina, la gente non ti prende del tutto sul serio quando cerchi di lavorare nell’informatica. Soprattutto quando ti candidi per lavori di alto profilo. Gli occhiali… aiutano.”
Scrollò le spalle e incrociò le braccia come se volesse sfidarlo a contraddirla.
Oliver scosse la testa fingendo delusione. “Felicity Smoak, sei una fasulla.”
“Sì, bene… ora conosci il mio segreto più oscuro e nascosto.”
Felicity stabilì che il vino aveva decantato abbastanza, ne versò un bicchiere ciascuno, e se il suo era leggermente più pieno di quello di Oliver, lui non ne fece menzione. Specialmente quando lei ne tirò giù metà prima che il film finisse di caricarsi e nel piccolo salotto echeggiassero le note iniziali del “Cerchio della Vita”.
Oliver tentò di stare attento al film, ma si ritrovò, invece, a guardare Felicity di nascosto. Era accovacciata sul divano, un cuscino in grembo, e i piedi, nei suoi ridicoli calzini a righine, infilati tra i due cuscini del divano. Ogni tanto, tirava un sorso di vino o prendeva il tablet dal tavolino da caffè per controllare l’email. Ma a parte questo, era completamente rapita dalla pellicola.
Alla morte di Mufasa le si velarono gli occhi, e anche Oliver dovette mandare giù un bel sorso di vino – ancora il suo primo bicchiere, dato che doveva guidare – per coprire la sua reazione all’assassinio di suo fratello da parte di Scar. Aveva ragione lei: i drammi della famiglia Queen erano un po’ troppo Shakespeariani.
Arrivarono fino a “L’amore è nell’aria stasera”, quando Oliver afferrò il telecomando dal tavolino e mise in pausa.
“Da quando nell’Amleto ci sono dei passaggi musicali?”
“Ophelia canta quando impazzisce,” spiegò Felicity gentilmente, cercando di acciuffare il telecomando che Oliver teneva fuori dalla sua portata.
“Devo supporre che in questo Amleto ci siano molte più cose che suricati e facoceri?”
“Devi guardare per scoprirlo.” Felicity cercò di nuovo di afferrare il telecomando, e Oliver lo allontanò ancora di più.
“Sono animali. Che cantano.”
“Com’è che non hai mai visto Il Re Leone prima di adesso?”
“Mio padre portò Thea a vedere lo spettacolo a Broadway per il suo settimo compleanno. Io ero in collegio.”
Felicity alzò gli occhi al cielo. “Non è la stessa cosa.”
“Quanti bicchieri di vino hai bevuto?”
“Due…” Strinse le labbra e osservò la bottiglia, che era quasi vuota. “…di troppo.”
Lui scoppiò a ridere. Non poté evitarlo. Era così diverso da come erano alla fabbrica. Lì erano tutti concentrati sul lavoro, e anche se le battute di Felicity, le sue osservazioni e i lapsus freudiani occasionali lo facevano ridere nonostante la sua prospettiva sempre tutta nera, questa sera era diverso. In casa di lei, circondato da tutte le piccole cose che rendevano Felicity Felicity, come il tappetino con il motivo colorato e la collezioni di libri per la programmazione e manuali di software raccolti a caso in una specie di torre traballante a lato della sua scrivania, Oliver si sentiva tranquillo e rilassato. Stare con lei lo faceva sentire molto più simile a una persona reale piuttosto che a un attore con una maschera.
Felicity posò il braccio sullo schienale del divano, e sostenne il mento sulla mano mentre lo osservava. “Mi piace vederti così.”
“Così come?”
“Sorridente. Spensierato. Non lo fai spesso, ridere.”
Oliver si voltò per guardarla in viso, il suo braccio posato sullo schienale del divano e la mano abbastanza vicina al gomito di lei per sentirne il calore attraverso il tessuto consumato della sua felpa.
“Lo faccio quando ci sei tu. Tu mi fai sorridere.”
“Con le mie chiacchiere sconclusionate?”
“Non solo con le tue chiacchiere sconclusionate.”
Felicity si coprì il viso con le mani. “Nessuno si è mai complimentato per la mia incapacità di capire quando chiudere la bocca.”
Oliver le allontanò le mani dal viso, ridacchiando. “Non è che una delle tue tante attrattive.”
Alzò le sopracciglia. “Quindi, adesso sono attraente?”
“Ti ho sempre trovato attraente. Fin dal giorno in cui ci siamo conosciuti.”
Strinse gli occhi. “Sei in cerca di complimenti?”
“Tu lo sei?”
 “Sono in cerca del telecomando,” ridacchiò lei, cercando di raggiungerlo di nuovo. Finì quasi del tutto addosso a Oliver, che la strinse attorno alla vita per non farla precipitare sul pavimento. Le risate di Felicity si bloccarono d’un tratto, e i suoi occhi blu divennero più scuri. Tutti i buoni propositi di Oliver di interrompere la loro relazione prima che potesse iniziare si sciolsero davanti allo sguardo negli occhi di Felicity. Tutto quello che lui sapeva era che lei era calda, e viva, e così vicina da poter respirare il profumo del suo shampoo. E lui la desiderava. Era come un dolore fisico nel petto.
Ed era
Fregato.
Felicity si abbassò, e posò la fronte contro la sua. “Posso farti una domanda?”
“Sempre.”
“Perché mi hai baciato? Alla fabbrica, dico.”
Per un lungo momento Oliver cercò di trovare una scusa convincente. Alla fine, non ci riuscì. Non così. Non con lei. Non più.
“Ti ho baciato perché avevo bisogno di sapere come sarebbe stato – se fosse stato vero. Non parte di una strategia, o di una copertura. O una scena.”
“Com’è stato?” La voce di lei era poco più che un sussurro.
La mano di Oliver le accarezzava su e giù la schiena, e Felicity spostò il proprio peso, cercando di bilanciarsi con entrambe le mani sulle spalle, mentre si sedeva cavalcioni su di lui. Oliver chiuse gli occhi, poteva sentire i muscoli nella sua mandibola contarsi mentre lei ne tracciava i contorni con il pollice.
“È stato vero, reale,” disse mentre apriva gli occhi, il pollice di lei stava tracciando il suo labbro inferiore. “È stato come se avessi dovuto continuare a baciarti, e non fermarmi più.”
“Oh,” sospirò lei.
“Seh.”
 “Probabilmente questa è una pessima idea,” disse lei, la bocca tanto vicina a quella di Oliver da poterne sentire il respiro caldo sulle labbra.
“La peggiore,” concordò lui.
Oliver non seppe chi si mosse per primo. Tra un respiro e l’altro, le labbra di lei erano sulle sue e baciarsi era semplice come respirare.
Felicity aveva il sapore del vino che stava bevendo, acerbo e corposo. Il telecomando colpì il pavimento in legno, e lui seppellì le mani nei capelli di lei, piegandosi alle sue carezze.  Oliver tirò giù la zip della felpa, desiderando sentire la pelle calda di lei sotto le sue mani. Il suo top viola si era sollevato, e i pollici di Oliver la accarezzavano lungo il nastro di pelle tra l’orlo e i pantaloni.
Felicity emise un piccolo suono dal profondo della gola, le unghie corte si conficcarono nelle spalle di lui mentre gli lambiva l’interno della bocca. Oliver strinse la sua presa intorno alla vita di lei, e si girò così da bloccarla contro il divano, le loro gambe intrecciate. Felicity gli sfilò la giacca dalle spalle con dita improvvisamente impacciate, e lui si raddrizzò quel po’ che servì per lasciarla cadere sul pavimento, prima di bloccarle i polsi sopra la testa e premere le labbra contro la vena sotto l’orecchio, lì dove batteva selvaggiamente.
Le gambe di lei si strinsero intorno alla vita di Oliver, e questa volta fu lui a gemere mentre lei si inarcava contro di lui e i talloni di Felicity coperti dai calzini premevano sulla parte posteriore delle sue cosce.
“Oliver,” disse lei dolcemente, i suoi respiri arrivavano più veloci mentre lui, con il suo peso, la spingeva tra i cuscini del divano. Oliver amò il tono in cui disse il suo nome, ansimante e profondo. Lei inarcò la schiena, le vene del collo risaltavano sotto la sua pelle chiara mentre lui tracciava una scia di baci lungo la clavicola verso i suoi seni. Le lasciò un succhiotto sulla giuntura tra il collo e la spalla e poi lo stuzzicò con le labbra e la lingua, e Felicity si dimenò sotto di lui, ansimando. Zona erogena annotata, pensò lui, esaltato dalla scoperta.
Felicity liberò una mano e gli afferrò i capelli per riportare le labbra di lui sulla sua bocca, stringendolo con le gambe. Lui le fece scivolare una mano lungo la coscia, e le spinse più in alto la gamba, posizionandola intorno al suo fianco. Lei staccò i bottoni della camicia blu, infilando le mani all’interno per stringerlo dalla schiena, le unghie corte e smussate lo stavano facendo diventare matto mentre lei gli misurava l’interno della bocca con la lingua.
I polmoni di Oliver bruciavano per mancanza di ossigeno, e si allontanarono così da poter tirare un respiro. Lui posò per un momento la fronte contro quella di lei, lottando per mantenere il controllo quando tutto quello che voleva era prenderla e portarla in camera da letto e imparare a conoscere ogni suono emesso dalla sua bocca, tutto quello che la faceva ansimare o gemere. Lo voleva così tanto.
“Probabilmente dovremmo fermarci.”
“Dovremmo,” lei accordò, ma le dita che giocavano con i corti capelli sulla nuca di lui smentivano le sue parole.
“Sei ubriaca –“
“—Brilla.”
“Hai bevuto troppo vino, e io sono…” Soffocò un gemito, quando lei si dondolò su di lui, “io sono ancora…”
“Cosa?”
Lui si allontanò, e scostò via dal suo viso il groviglio di riccioli biondi. Le sue guance erano completamente arrossate, così come le labbra, rosse e gonfie. Ci volle ogni briciolo di autocontrollo di cui ancora era in possesso per non finire quello che avevano iniziato.
“Io. Io sono ancora io.”
“Domani sarò sobria,” lei puntualizzò, cercando di toccarlo, ma lui le afferrò la mano e le baciò le dita prima di ritirarsi riluttante dal calore del suo abbraccio. Si risedette nell’angolo opposto del divano e si sfregò le mani sul viso.
“Ma io sarò ancora il giustiziere di Starling City.”
Oliver alzò lo sguardo verso di lei, mentre Felicity si tirava su e piegava le gambe sotto di sé. Distrattamente tirò giù il suo top, e Oliver sussultò quando vide i segni dei suoi denti sul collo di lei. Iniziò a sospettare ci fossero dei succhiotti simili anche sul suo collo, e avrebbe dovuto ricordarsi di evitare Dig finché non fossero scomparsi. Dig. Che lo avrebbe ucciso. Probabilmente. Sicuramente probabilmente lo avrebbe ucciso.
Felicity s’accigliò, e prese il suo bicchiere di vino, buttando giù quel che era rimasto prima di posarlo con attenzione sul tavolino.
“Quindi, cosa significa questo per noi?” chiese, e raccolse i suoi capelli all’indietro in una disordinata coda, legandoli con l’elastico rosa acceso che aveva intorno al polso.
“Ancora amici? Spero?”
Felicity alzò gli occhi al cielo. “Ci vuole molto più di questo per farti perdere la mia amicizia.”
“Non voglio mai scoprire cosa,” disse lui in fretta, e capì che lo pensava veramente. Avrebbe potuto vivere senza di lei come amante. Ma il pensiero di non averla al suo fianco, nel suo angolo, come parte della sua vita, lo faceva sentire come fosse di nuovo sull’isola. Solo e senza aiuto. L’espressione di lei si addolcì, e si precipitò ad avvicinarsi.
“Ehi, seriamente. Segnali contrastanti, segnali incrociati, qualsiasi cosa – dico sul serio. Mi avrai finché mi vorrai.”  Trasalì appena realizzò quello che aveva detto. “Come amica. Mi avrai come amica. Sempre.”
Lui le offrì un debole sorriso e si abbassò per prendere la giacca lì dove era caduta.
“Dovrei andare.”
“Non abbiamo finito il film,” puntualizzò lei mordendosi il labbro inferiore.
“Va bene. So come finisce.” Non aveva esattamente detto la verità riguardo all’Amleto.
Sua madre lo aveva portato a vedere la produzione della Royal Shakespeare Company al Kennedy Centre quando aveva quindici anni. Lo spettacolo si apriva con un giovane uomo in un elegante abito su misura, e proiettato dietro di lui un tremolante filmino domestico di un padre e un figlio che giocavano insieme nella neve.
Se c’era una cosa che Oliver Queen ricordava da sempre era come andavano a finire le tragedie.
 
***
 
L’ultima volta che accadde, fu l’inizio di qualcosa di nuovo.
Se Diggle aveva notato i due comportarsi in maniera diversa l’uno con l’altra, non ne aveva fatto parola. Oliver era sempre attento a mantenere una certa distanza da Felicity, anche se lo uccideva distanziarsi da lei anziché avvicinarsi, mentre lei fingeva di non subire le conseguenze di tutto ciò.
Non aveva paura di obliterare qualsiasi barriera professionale e personale che c’era ancora tra di loro, piuttosto aveva paura che lei glielo lasciasse fare. E se avesse dovuto rimanere sveglio di notte, facendo scorrere i polpastrelli sulle labbra, ricordando la sensazione di lei sotto di lui, il suo sapore, il modo in cui si muoveva, be’… quella era una condizione con cui avrebbe potuto convivere. Ricordi e fantasie erano più sicure per entrambi. Se lo ripeteva così spesso, quasi ci credeva.
Quasi.
Ma alla fine, le cose sembrarono risistemarsi verso la loro normale routine – per quanto le sue attività notturne, perseguitare e minacciare i cattivi finché non ritornassero sulla retta via o lasciassero la città, potessero chiamarsi ‘normali’.
“Allora, ho preso una decisione,” disse Felicity una notte – mattina presto – indossando il suo soprabito e sistemando solidamente sul torace la tracolla della borsa. Il locale di sopra era calmo – il coprifuoco nel Glades ancora attivo a tutti gli effetti. Oliver aveva sostituito il suo completo di pelle verde con una t-shirt e  un paio di jeans consumati, infilati negli scarponi. Non sapeva mai quando avrebbe dovuto mettersi a saltare tra i grattacieli, anche da Oliver Queen. I suoi capelli erano ancora umidi per aver lavato via la maschera verde, e gocce di acqua fredda gli correvano lungo la schiena, gli erano sfuggite quando si era asciugato con il singolo asciugamano che adesso pendeva sul lavandino maltrattato nell’unica sala da bagno che restava funzionante.
“Che tipo di decisione?” chiese Oliver, cercando di ignorare il terrore che iniziava a riempirgli il fegato per via del modo in cui lei si stava muovendo verso di lui, il volto in alto, le spalle indietro e uno sfolgorio di determinazione nei suoi occhi blu dietro agli occhiali veri-ma-non-davvero-veri.
“Ho deciso che non sei tu l’unico che ha qualcosa da dire riguardo alla nostra relazione.”
“Felicity-“ iniziò lui, allontanandosi da lei con lentezza, muovendosi verso il muro di cemento che stava dietro di lui. Non c’era nessun posto in cui scappare, nessun angolo in cui nascondersi.
“No. Nooo, è il mio turno, e tu devi stare zitto e ascoltare.”
Lui aprì la bocca per protestare, ma lei gliela serrò con la mano, il suo cipiglio allo stesso tempo adorabile e frustrante.
“Mi piaci. Mi piaci, piaci. Come un amico, ma anche più che un amico. Dato che non siamo in seconda media, non elaborerò. Voglio solo farti presente che non è una cotta. È iniziata come una cotta – e sono piuttosto sicura che tu ne fossi al corrente per via di quella cosuccia che fa il mio cervello quando sceglie sempre il modo peggiore per dire le cose. Ma. Cotta? Sì, non più da un po’ a questo punto.”
Le mani di Oliver si contrassero, ma si sforzò di lasciarle immobili.
“Sono un’adulta, e ho il diritto e il permesso di decidere chi voglio baciare, quando voglio baciarlo e se lo bacio o meno per un tempo indeterminato, con regolarità. Tra le altre cose.”
Oliver emise un suono che si fermò sulla mano di lei, e lei strinse ancora più forte, invadendo sempre più il suo spazio personale e lanciandogli un’occhiataccia.
“So che sei convinto di essere in qualche modo nocivo e spezzato e incapace di fare il fidanzato. E so che hai tutta una serie di obiezioni perfettamente sensate e nobili per non cedere a ‘questo’ – qualunque cosa ‘questo’ sia – e lo capisco. Lo capisco davvero. Ma ecco il fatto: sono un sacco di stronzate.”
Oliver raggelò.
“Dico sul serio. Non conosco i tuoi, ma i miei sentimenti non sono cambiati, e che li assecondiamo o meno, non andranno via. E nel caso non l’avessi notato, non mettono in pericolo la tua missione o il lavoro che stiamo facendo o quanto bene lavoriamo insieme. Quindi, saltellare l’uno attorno all’altro tenendoci in continuazione a distanza di sicurezza è stupido.”
Con cautela Oliver avvolse la mano intorno al polso di lei, e con gentilezza lo tirò finché lei non alzò la mano dalla sua bocca.
“Felicity, sto solo cercando di proteggerti.”
“Da cosa? Innamorarmi di te? Troppo tardi. Mi avevi già a ‘Ho buttato tutte le bottiglie’, Jerry McGuire. Prova di nuovo.”
Oliver alzò gli occhi al cielo. “Dal farti del male.”
“L’unico che mi fa del male adesso sei tu,” specificò lei. “E nel caso non lo avessi notato, non stai facendo un grande favore neppure a te stesso. Sei solo, Oliver. Io e Dig siamo le uniche persone nella tua vita adesso che ti conoscono – che conoscono tutto di te, il vero te.”
“E esattamente chi sarebbe il vero me?”
“Quello che sta male perché deve mentire ai suoi amici e alla sua famiglia, quello che sta male perché è costretto a perdere sempre i suoi compagni. Quello che sta seduto al buio a pensare a nuovi ed esotici metodi per far saltare le cose in aria con armi da lancio primitive, invece di vivere la vita che si merita di vivere. Sei sopravvissuto per cinque anni su un’isola. Sei sopravvissuto alla perdita della donna che amavi e del tuo migliore amico. Sei sopravvissuto. E te ne fai una colpa ogni giorno.”
Felicity tirò un sospiro profondo, e fece cadere lo sguardo, guardando di lato con nervosismo, mentre cercava di continuare quello che era ovviamente un discorso scritto e provato con cura.
“Capisco che hai un passato pesante. Lo capisco. Ma Oliver, tutti abbiamo dei trascorsi. È parte di quello che significa avere relazioni, interagire con la gente là fuori nel mondo. Non puoi nasconderti nel tuo ufficio o sotto il cappuccio per sempre, fingendo che non ti manchino le persone che hai perso, o che hai allontanato, o che hai tenuto a distanza per via di quello che facciamo. Ma non hai bisogno di allontanare me. Io non voglio che mi allontani.” Alzò gli occhi umidi a causa delle lacrime non versate, e Oliver si odiò per averla fatta piangere anche solo per un secondo.
“E sono solo stanca di vederti mentre ti neghi un’altra cosa che possa renderti felice. Voglio dire – penso che io possa renderti felice, anche se per, quanto, cinque minuti –”
Oliver diede un leggero colpetto al suo polso, e Felicity si scontrò con il suo torace, le parole scorrevano ancora dalle sue labbra mentre lui stringeva le braccia attorno a lei.
“Mi hai fatto felice.” Posò la fronte contro quella di lei. “Mi fai felice.”
“Allora…” respirò profondamente. “Allora penso che forse dovremmo provarci. Meritiamo entrambi di essere felici, no?”
“E se—”
Lei scosse la testa. “Oh. Non si gioca a questo gioco. Ho passato gli ultimi non so quanti mesi catalogando tutti i possibili se. Fine della storia: voglio concederci un’occasione, a questo, a noi. E voglio che tu voglia concederci un’occasione. Puoi farlo? Per me?”
Oliver annuì. “Non posso assicurarti che funzionerà.”
“Nessuno può. Ma non lo sapremo mai, se non facciamo quel salto.” Lei gli fece scivolare le mani sul petto, gliele avvolse intorno al collo e lo condusse verso la propria bocca.
Non somigliò a nessuno degli altri baci che si erano scambiati. Non era programmato, né uno show ad uso e consumo altrui. Non fu frenetico, né pieno di desiderio a stento represso. 
Fu dolce e lento e promise più di quanto concesse. Ma la sola promessa era abbastanza per farla sospirare sulla bocca di lui, e farla saltare sulle punte.
Oliver si staccò lentamente, e allungò la mano per scostarle i capelli dal viso, i suoi pollici tracciavano le curve degli zigomi. Felicity sorrise. Non come il gatto che era riuscito a bere il suo latte, ma come Felicity. Era un sorriso luminoso e aperto e tutto per lui.
“Be’, allora com’era?” le sussurrò nell’orecchio.
“Baciarti solo per il piacere di baciarti, invece che baciarti per—”
“—strategia?”
“Oh, è stato decisamente strategico,” disse lei, le labbra piegate in un sorriso segreto.
 
 



Precedentemente: Cocktail Rosa e Frasi da Rimorchio (di Frea O' Scanlin)
Pubblicità (non tanto occulta): Just wanna make you smile (Prima storia nel fandom di Arrow scritta di proprio pugno dalla, sempre vostra, traduttrice, jaybree)

 
 

 


[1] Playboy of the Western World, commedia irlandese

[2] Bridezilla

[3] Il wedding shower, o bridal shower, è una festa in cui parenti e amici consegnano i propri regali alla sposa in attesa del matrimonio. 

   
 
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