Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: Targaryen    29/10/2014    8 recensioni
Meeme è saggia ed antica, parla con lo sguardo e ride col cuore, e nella sua mente è custodito tutto il sapere di una razza vecchia quasi quanto l’universo. Eppure ora non riesce a dare un nome a ciò che prova. La felicità è solo uno spento riflesso delle emozioni che sente di fronte all’immagine dell’uomo che ama, seduto sul suo scranno incoronato di stelle e con il figlio tra le braccia. Forse sarebbe bello se il tempo si fermasse e se congelasse quell’istante nella sua eternità.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Miime
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Il Canto delle Stelle'
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Il retaggio di Yura
 
 
“Non è nelle stelle che è conservato
il nostro destino, ma in noi stessi.”
(William Shakespeare)


Una brezza leggera accarezza la grande nave e le placide onde si dissolvono in allegri spruzzi, infrangendosi sulle fiancate in un gioco continuo di forme e di suoni. Come una creatura sorta da oscuri abissi l’Arcadia riposa nella quiete della notte, l’enorme rostro adagiato sul fondale e il corpo parzialmente immerso nelle acque del mare. I motori sono spenti e bui e la bandiera si staglia sullo sfondo del cielo punteggiato di stelle, mossa dallo stesso vento che scuote le fronde di alberi lontani. Pare quasi che il vascello dorma nell’abbraccio del silenzio, cullato dal mormorio dei flutti che dà voce a quell’angolo di infinito.
Eppure, nel suo ventre, il sonno ha dimenticato di far visita all’equipaggio, e un’ansia palpabile avvolge cose e persone. Riuniti in plancia, uomini e donne cercano di non pensare dedicandosi alle più svariate mansioni, ma il loro sguardo pare catalizzato dal grande seggio vuoto che si nasconde tra le ombre. Non sono abituati a vederlo vuoto, e non sono abituati a vedere le tenebre dietro di esso. Senza colei che ne governa il cuore l’Arcadia è solo un relitto figlio di altri tempi e di altri luoghi, che ha chiesto asilo alle acque e alla terra sulle quali vigilava.


***

Nella vasta cabina del castello di poppa la quiete regna sovrana e solo la luce delle candele tiene a bada le tenebre, eppure la notte che si sta consumando non è una notte come le altre e in essa riecheggia il suono di quel calice di vino che, molti mesi addietro, poche parole ridussero in frantumi. Ci sono eventi che segnano una svolta, e quello fu uno di essi.
Seduto sul bordo del letto, Harlock rivolge lo sguardo ai grappoli di fiori bianchi disposti con eleganza sul tavolo vicino. Li hanno trovati quella stessa mattina, lui e Meeme, quando hanno posato i piedi sul suolo della Terra e si sono tuffati nel suo verde pieno di promesse. Assomigliano ai fiori di ciliegio che crescevano su di essa prima che la sua sfortunata decisione la riducesse in cenere, e regalano alle ombre un odore speziato mentre lentamente lasciano cadere i loro petali sul legno scuro. Un petalo per ogni vita, come l’orbita eterna che per poter esistere esige da ciascuno un inizio ed una fine. Da lui, da lei, e dai petali dei fiori. Harlock non ne è mai stato consapevole come ora, e mai come ora è stato pronto ad accettarla.
Per un attimo si lascia trasportare dai ricordi e dai meandri della memoria il volto di Yama gli sorride, giovane, adulto e poi piegato dall’età, ma sempre con lo stesso, fragile fiore stretto tra le mani e con l’offerta di un miracolo in cui egli non credeva. Ringrazia in silenzio l’amico di quei giorni, per non essersi arreso e per avergli mostrato la porta attraverso cui entrare a far parte del domani.
“Ne crescevano di simili su Yura”, sussurra Meeme, “Si aggrappavano alle rocce e aprivano le loro corolle al calare del sole. Il loro profumo si spingeva a grandi distanze e annunciava l’inizio di un nuovo ciclo. Era dolce, e percorreva luminoso le valli sulle ali del vento … Harlock, avrei tanto voluto poterteli mostrare, i fiori e il mio mondo.”
La sua voce è serena e non lascia trasparire alcuna apprensione, ma Harlock ne conosce ogni sfumatura e comprende che Meeme ha raggiunto un nuovo livello di stanchezza. Lo percepisce come una nota stonata nella sua melodia e la morsa impietosa che da diverse ore gli serra i polmoni intensifica la sua stretta. Dimentica i fiori e sorride nonostante tutto, sfiorando con le  labbra la mano che custodisce tra le proprie.
“Vedo tutto attraverso le tue parole”, le fa eco.
Meeme trae un profondo respiro e socchiude gli occhi per un lungo istante, mentre la forza della sua presa si intensifica, come se qualcosa avesse interrotto bruscamente la quiete in cui era immersa.
Harlock non ha mai assistito ad una nascita prima d’ora, ma non è impreparato. Meeme gli ha raccontato ogni cosa nei loro lunghi mesi di attesa, e gli ha ripetuto più volte che se lo avesse desiderato lei si sarebbe adeguata all’uso in voga tra gli umani, acconsentendo ad aprire al medico le porte delle loro stanze. Egli ha esitato dapprima, dilaniato da dubbi e da timori, ma infine il rispetto per lei e per le tradizioni del suo popolo hanno avuto il sopravvento. Chi vive esistenze millenarie forse comprende l’importanza di una nuova vita meglio di quanto possa farlo chi non possiede altro che ali effimere, e solo chi quella vita l’ha generata è ammesso a vederla sbocciare. Un diritto ed un dovere. Così è scritto nel sangue dei figli di Yura e per questo, ora, sono lei e lui, e nessun altro. Eppure le emozioni, nonostante i suoi sforzi, rischiano di minare la sua lucidità, aggrovigliandosi intorno alla sua anima e perdendo la loro identità proprio quando non può permetterselo.
Qualcuno bussa alla pesante porta, ma la mano di Meeme è ancora contratta e Harlock non si volge e non si alza. Avverte il succedersi dei rintocchi come un fastidioso sottofondo che gli giunge da lontane distanze,  la sua mente ed il suo cuore totalmente focalizzati sulla compagna. Non esiste altro per lui in quel momento. Solo lei e il figlio non ancora nato.
Lentamente la contrazione si esaurisce e il volto di Meeme torna a distendersi. Con uno sforzo di volontà Harlock raggiunge l’ingresso e scosta di poco il battente.
Il medico di bordo, quasi timoroso e con il fiato corto, inanella una serie di frasi di cui egli afferra solo alcune parole, sufficienti comunque a fargli comprendere il senso del discorso. Scuote il capo e si limita a ringraziarlo, ribadendo per l’ennesima volta che la sua presenza non è richiesta. In altre occasioni avrebbe usato maggiore cortesia, ma ora non è in grado di farlo. Senza preoccuparsi della reazione dell’uomo Harlock torna accanto a Meeme, imponendosi la calma e costringendosi a mantenere il controllo si sé.
Anche per una donna di Yura il divenire madre non è esente da rischi e nel caso del figlio di due razze possono insorgere complicazioni non previste. Il definitivo mutamento che ha fatto seguito alla loro redenzione li protegge solo dallo scorrere degli anni, ma non li rende immortali. Anche loro possono perire, per libera scelta o per eventi imprevisti. Harlock ne è consapevole in maniera quasi dolorosa, ma non può concedersi il lusso di essere dominato dalle proprie angosce.
Con cura rincalza le coperte intorno a lei, nell’intento di ridurre la perdita di calore a cui il suo corpo sta andando incontro. Qualcosa che una donna umana non avrebbe sperimentato.
Meeme apre gli occhi e gli sorride di nuovo, un misto di amore, gratitudine e spossatezza fusi nel verde delle sue iridi. Sino a qualche ora prima lo faceva spesso, ma adesso i suoi sorrisi sono più rari e la sua carnagione ha perduto le consuete sfumature.
Non emette alcun lamento e resta immobile, ma Harlock percepisce il suo battito irregolare e in quelle ore ha imparato che nel silenzio il dolore può parlare attraverso la luce … una luce intensa, di un colore indefinito, che pulsa al ritmo con cui la mano di Meeme stringe la sua e che è per lui pura agonia. Ma la pena che lo affligge la tiene per sé, perché sa che lei ha bisogno di questo. Non è ancora giunto il momento per lasciarsi andare.
Aspettano entrambi per un tempo che ad Harlock pare quasi eterno, e durante il quale all’ansia si aggiunge quel senso di assoluta impotenza che forse tutti i futuri padri provano in simili circostanze. Una sensazione che lo soffoca, colorandosi di sterile rabbia ogni qualvolta la mano della compagna grida senza voce.
Poi, ad un tratto, le dita di Meeme sfiorano il suo volto e ne disegnano i contorni. Indugiano per qualche secondo, scivolando lungo la cicatrice che lo deturpa per poi tornare ad intrecciarsi con le sue. Egli comprende che l’attesa sta per giungere al termine ed il suo cuore salta un battito.
“Aiutami”, sussurra lei.
Vorrebbe essere una richiesta, ma ad Harlock pare una supplica. Le pupille che lo fissano sono dilatate e una miriade di luci fatue danzano in quegli oscuri abissi. Luci silenziose e sofferenti, che lasciano trasparire un velo di timore che non è per lei.
“Sono qui”, cerca di rassicurarla, nonostante anche il suo cuore tremi.
D’istinto accosta le labbra alla sua fronte e ripete due parole per loro confinate il più delle volte in uno sguardo. In risposta a quell’antica dichiarazione un caldo sorriso attraversa per un istante il viso di Meeme, ma le scintille che solitamente lo accompagnano e che volteggiano intorno a lei muoiono nell’aria. Harlock si costringe a non pensare e la aiuta a sollevarsi, liberandola dalle coperte divenute ormai inutili. Un osservatore distaccato si stupirebbe di come la nascita di un figlio di Yura in apparenza non differisca poi così tanto da quella di un figlio della Terra, e di come sia invece il comportamento della madre a mutare … Nessun pianto, nessun gemito … solo il silenzio, e la luce che dà voce a tutto il resto.
Con un sospiro Meeme riversa il capo all’indietro appoggiandosi ai cuscini, e abbassa le palpebre. Se non fosse per la posizione sembrerebbe dormire, ma Harlock sa che non è così. Stringe le sue mani quasi con disperazione, e le scariche di luce che la percorrono sovrapponendosi al sottofondo pulsante gli rivelano tutt’altro.
Trascorre un’ora, forse … Harlock non saprebbe dirlo, perché tutto il suo essere è proteso nel tentativo di  tenere sotto controllo emozioni ancestrali e di dominare un terrore più grande di quello che ancora, a volte, visita i suoi sogni.
All’improvviso Meeme spalanca gli occhi. Due rivoli luminosi, sottili come il taglio di una lama, solcano il suo volto e la voce con cui parla è talmente fievole che pare un alito di vento. Il suo corpo è scosso da brividi e le sue mani artigliano il giaciglio. Non rilascia più luce, ma solo un’opalescenza diffusa che conferisce al suo incarnato un colore spettrale. Harlock sa cosa deve fare e relega a dopo tutto ciò che non sia la necessità di aiutarla. Si sposta e aspetta. Una macchia di un blu denso e scuro ruba il candore della coperta su cui giace l’ultima donna di Yura mentre il figlio, lentamente, fa il suo ingresso nel mondo. Harlock osserva senza riuscire a dare un nome a ciò che prova. L’unica cosa di cui è certo è che non dimenticherà mai il sapore di quegli istanti. Un ultimo sforzo e Meeme crolla sui cuscini, il respiro per la prima volta affannato e gli occhi chiusi. Le dita si distendono e il suono che emette è più simile ad un gemito che al nome del compagno. Ma per lui è più che sufficiente. L’aria pare mancargli e le mani protese tremano, ma egli non esita e fa esattamente ciò che gli è stato chiesto di fare mesi addietro. Separa il figlio dalla madre, e quando lo avvolge nella coperta e per la prima volta lo prende tra le braccia il suo cuore rischia di fermarsi, per la gioia e per la tempesta di emozioni che si scatena in lui. E per un improvviso moto di orgoglio di cui non comprende le ragioni. Lo osserva attentamente, divorando ogni suo più piccolo dettaglio, e abbandona ogni timore circa la sua salute nell’udire il vagito deciso che annuncia la sua venuta al mondo.
“Non piangere”, sussurra con una voce profondamente incrinata dalla commozione, “Sono qui.”
Come se avesse compreso di essere al sicuro, il piccolo si quieta all’istante e distende i suoi lineamenti, rivelandosi la perfetta fusione dei due popoli che si sono incontrati in lui. Harlock lo sente fragile e minuto, eppure stringendolo a sé ha quasi la sensazione di cullare l’intero universo e comprende in un battito di ciglia il vero significato della responsabilità che trasforma un uomo in un padre. E si stupisce nel non provare alcun timore di fronte ad essa.
Con uno sforzo disumano distoglie gli occhi dalla creatura che sta saggiando per la prima volta il mondo tra le sue braccia, e cerca lo sguardo di Meeme.
Lei li sta osservando, il corpo abbandonato sul giaciglio e una mano parzialmente sollevata nella loro direzione. Nei suoi occhi brilla una luce che Harlock non ha mai veduto prima e che si imprime nella sua anima come fuoco vivo. Sta piangendo, come lui, e gli sta ponendo una muta domanda.
“E’ un maschio …”, risponde.
Meeme abbassa le palpebre nell’evidente tentativo di assimilare l’informazione. Harlock le concede il tempo di cui ha bisogno e quindi, con tutta la delicatezza di cui è capace, si china e le adagia il loro primogenito tra le braccia. A quel tocco lei spalanca gli occhi e trattiene il respiro per un istante … incredulità, meraviglia, felicità, amore, gratitudine … tutto traspare dal suo sguardo e forse, nonostante il suo sapere, in quel momento dimentica ogni cosa eccetto il figlio che ha appena messo al mondo e l’uomo che le ha donato quella parte di sé.
“E’ bellissimo …”, sussurra incantata.
Per un tempo indefinito resta ferma ad ammirarlo, versando lacrime che spazzano via i secoli e la sua infinita conoscenza e che lasciano al loro posto solo una donna divenuta madre.
“Harlock … che nome hai scelto per lui?”, domanda infine, senza distogliere lo sguardo dal nuovo nato.
Egli alza la mano e fa scorrere le dita tra i suoi capelli. Non appaiono diversi dal solito, eppure al tocco sono bagnati ed insolitamente freddi. Vi posa un bacio e si volge in direzione della culla che attende accanto alla grande arpa.
“Yura, nostro figlio si chiamerà Yura”, risponde con voce ferma.
Tra le sue braccia Meeme sussulta e il suo corpo emette una debole luminescenza. Il parto ha prosciugato le sue forze e la sua biologia non può fare di più, ma Harlock è sicuro che quella luce sarebbe, in normali circostanze, intensa come luce di stella.
Con un sorriso lei accosta le labbra al viso del piccolo e lo bacia.
“Tuo padre ed io ti ringraziamo per essere giunto a noi, Yura.”
Harlock resterebbe così per sempre, perduto nella gioia di quel momento e dimentico di tutto il resto, ma sa che non può farlo. Osserva per un istante Meeme portasi il figlio al seno in un gesto spontaneo ed antico come la vita stessa, quindi a malincuore si alza ed inizia ad occuparsi di lei.
Lo fa senza esitazione alcuna, grato di poterle finalmente essere d’aiuto e lieto per quanto appreso durante le loro passate conversazioni. Meeme tace e sposta la sua attenzione dal padre al figlio, come se stesse facendo una sorta di confronto tra i due.
“Dunque?”, sorride Harlock, sistemando su di lei una calda coperta e baciandola di nuovo.
“Ha i tuoi occhi.”
Lui la guarda con una punta di sorpresa.
“Li tiene chiusi. Come fai a saperlo?”, domanda.
“Aspetta …”, sussurra Meeme.
Parla ancora a voce bassa, ma con minore difficoltà. Harlock annuisce e siede al suo fianco, stringendola a sé con un sospiro soddisfatto. Attendono entrambi ed egli quasi dimentica di respirare quando Yura sbadiglia e solleva lentamente le palpebre, fissandolo con due splendidi occhi dalle grandi iridi ambrate … identiche alle proprie, ma infinitamente più luminose.
Forse l’esistenza di ognuno è un momento che si ripete nel tempo, un istante nell’eterno ciclo di vita e di morte, eppure Harlock percepisce la propria come composta da una successione di momenti irripetibili, nel bene e nel male. E quello che sta vivendo è uno di questi momenti.
“Non ha le nittitanti …”, si meraviglia.
“No”, conferma Meeme, “E ha i capelli del tuo stesso colore.”
Lui scuote il capo, improvvisamente preda di un assurdo senso di colpa che non riesce ad arginare. Ha quasi la sensazione che quella spiccata somiglianza abbia rubato qualcosa alla donna che ama. Si appresta a parlare e a scusarsi, ma avverte le dita di lei sfiorare con dolcezza le sue labbra e si ferma.
“No, non avere mai simili dubbi”, lo rimprovera con un sorriso, “Io sono fiera che nostro figlio assomigli a te. Tye-mela'ne(*), Harlock.”
Come accade tutte le volte che lei pronuncia quelle parole nella lingua del suo popolo, il cuore di Harlock annega per un istante nella felicità più assoluta.
“Tye-mela'ne, Meeme … hantanyel (*)”, ripete, appoggiando la fronte alla sua.
Meeme sorride di nuovo e abbandona il capo sui cuscini, abbassando le palpebre. Al di là della gioia che la avvolge Harlock scorge, prepotente, uno sfinimento nuovo che ha il potere di trafiggere la sua anima. Gli pare umano a tratti, ma non ne ha la certezza perché ormai è difficile per lui stabilire cosa in Meeme sia umano e cosa non lo sia. Vive al suo fianco da troppo tempo e ogni suo gesto è divenuto nei secoli talmente famigliare da superare il limite che dovrebbe separare le loro razze. In fondo “umano” è solo una parola, una goccia d’acqua nelle infinite possibilità che la vita concede. L’essenza di un essere vivente non può essere definita attraverso un limite e quella parola non è altro che un limite che loro non hanno più. Neppure lui può definirsi umano, ormai.
“Devi riposare …”, sussurra scostandole una ciocca di capelli dal volto.
Meeme riapre gli occhi.
“Prima mostra a nostro figlio le stelle”, lo invita.
E con gesti dettati dall’istinto che accomuna tutte le madri, solleva Yura e lo adagia tra le sue braccia.
Harlock resta immobile per un istante, quindi si alza lentamente, ancora insicuro, e si muove con cautela sino alle ampie vetrate. Con qualche difficoltà allunga una mano e preme il pulsante di apertura. Dinanzi a lui una piccola porzione della paratia trasparente slitta di lato e l’aria dal sapore di salsedine si diffonde nella stanza.
Egli osserva le stelle rispecchiarsi sulla superficie del mare e sfumare di luce l’orizzonte, quindi torna con gli occhi alla nuova vita che ha contribuito a creare e sorride. 
“Guarda, Yura, tua madre ed io veniamo da lassù. Eppure abbiamo voluto che tu nascessi qui, tra i fiori della Terra. Amiamo le stelle perché sono le custodi della nostra libertà, ma non dimentichiamo mai le nostre origini, perché una libertà senza radici è solo una parola vuota. Lo capirai, un giorno, e un giorno sceglierai la tua strada. Io sono tuo padre, ma non ti chiederò mai di seguire la mia né ti caricherò di alcuna eredità. L’unica cosa che ti domando sin da ora, figlio mio, è di onorare tua madre e il popolo di cui rappresenti il retaggio. Nient’altro, solo questo.”
La voce di Harlock si spegne tra lo sciacquio delle onde, mentre si lascia scivolare sul seggio sormontato da teschi.
Meeme è saggia ed antica, parla con lo sguardo e ride col cuore, e nella sua mente è custodito tutto il sapere di una razza vecchia quasi quanto l’universo. Eppure ora non riesce a dare un nome a ciò che prova. La felicità è solo uno spento riflesso delle emozioni che sente di fronte all’immagine dell’uomo che ama, seduto sul suo scranno incoronato di stelle e con il figlio tra le braccia. Forse sarebbe bello se il tempo si fermasse e se congelasse quell’istante nella sua eternità.


Epilogo

Spesso, in questi secoli, ho ascoltato gli umani raccontare dello scorrere della loro vita come fosse il fluire delle acque di un fiume. La sorgente lo vede nascere, e la vita ha inizio. Il fiume avanza, sbuffando a tratti impaziente e sonnecchiando placido laddove il cammino lo consente, e la vita prosegue. E poi il mare chiama e le acque lo abbracciano perdendosi in esso, e la vita finisce.
Anche la mia vita, per quanto possa apparire quasi eterna agli occhi di chi non appartiene al mio popolo, ha avuto un inizio e un giorno vedrà la sua fine, e come la loro fluisce come le acque del fiume. Un fiume diverso, però, che non nasce da uno zampillo tra rocce nascoste, ma dallo sciogliersi di una lingua di ghiaccio che da millenni attendeva la sua fine e che invece ha trovato un mondo che non conosceva.
Un giorno è accaduto qualcosa. Il tempo di cui il ghiacciaio non avvertiva i rintocchi ha alzato la sua voce e l’acqua si è impregnata di lui, ha abbandonato la valle e ha scoperto di essere un fiume.
Non vedo ancora la foce, Harlock, ma non mi stancherò mai di osservare il volto di colui che ha tramutato in acqua il mio sonno e che ha intrecciato la sua vita alla mia. E non mi stancherò mai di ringraziarlo per ciò che mi ha dato.
Sorrido e ti guardo. Non mi stancherò mai di ringraziare te.

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(*) Tye-mela'ne = Io ti amo
     Hantanyel = Grazie
 
Nota
Avendo la necessità di riportare alcune frasi nell’antica lingua di Yura ho preferito, piuttosto che inventare parole prive di significato, prendere in prestito quello che considero uno dei linguaggi più armoniosi in cui mi sia imbattuta, e che trovo perfetto per i Nibelunghi: il Quenya (elfico antico), inventato da J.R.R. Tolkien. Naturalmente ringrazio in anticipo chiunque mi segnalerà eventuali errori ogni qualvolta vi farò ricorso.
  
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