PROLOGO
Il generale scostò
leggermente i lembi della sua tenda, volgendo gli occhi verso la città che,
abbarbicata su di una collina dall’altro lato dell’imponente fiume, risplendeva
degli incendi che le divampavano tutto intorno.
I
rimbombi dei cannoni riempivano l’aria, ed il cielo era solcato di lag’ni del re i cui cavalieri
cercavano, vanamente, di arrestare l’opera degli assedianti assaltando le
imbarcazioni che facevano ininterrottamente la spola tra una sponda e l’altra,
trasportando morti e feriti in una direzione e nuova carne da macello
nell’altra.
Ai piedi
delle mura, come lucciole immobilizzate a terra, fiammelle di torce
percorrevano su e giù per le trincee scavate dagli imperiali lungo la collina,
e che ad ogni giorno che passava si facevano, agli occhi degli assediati, un
po’ più vicine.
«Questa
guerra è iniziata quando mio nonno era ancora un bambino. E probabilmente i
miei figli faranno in tempo ad avere dei pronipoti prima che qualcuno cominci
anche solo a pensare di farla finire.»
Una
palla di fuoco lanciata da uno dei lag’ni colpì in pieno una delle barche da trasporto, che
stipata anche di munizioni e polvere pirica esplose in un tremendo boato
illuminando a giorno il fiume e liberando una potente esplosione.
«Un
tempo, questo fiume divideva in due i nostri due Paesi» disse, con fare quasi
sconsolato, tornando a guardare il suo inatteso ospite. «Ma aver riconquistato
le terre che ci erano state tolte ormai non basta più al nostro imperatore. Ne
ha fatta una questione personale. Loro hanno occupato la nostra terra, noi
occuperemo la loro.
Invece,
ormai sono quasi sei mesi che siamo bloccati qui, ad assediare questa maledetta
città, e quei bastardi non ne vogliono sapere di cedere.»
Il
giovane non sembrava ascoltarlo, ed osservava con fare distratto la grande
mappa della regione srotolata sul tavolo al centro della stanza, puntellata in
ogni dove da soldatini e bandierine.
«Ma
immagino che questo non le interessi. Dico bene signor…»
«Arthur»
rispose lui con un mormorio appena percettibile, ulteriormente affievolito dal
cappuccio del pesante mantello che gli cingeva le spalle.
Gli
ufficiali presenti si guardarono tra di loro, perplessi e confusi.
«Ah già,
signor Arthur. Ho sentito molte storie sul vostro conto. L’imperatore sembra
tenervi in grande considerazione. Mi hanno detto che avete anche salvato il
principe Philip da un tentativo di omicidio organizzato dalle spie del regno.»
«È stato
solo un caso.»
«Sapete
che mi sono sempre domandato come foste fatto? Non sembrate esattamente come vi
dipingono i racconti popolari.»
«La
lettera dell’imperatore che vi ho mostrato mi autorizza a transitare per questa
regione e ad entrare nel regno» tagliò corto il giovane. «Vi sarei grato perciò
se mi indicaste il punto più agevole per poter guadare il fiume.»
«Punti
agevoli ce ne sono quanti ne volete, il problema è stabilire se siano sicuri.»
Le urla
dei sopravvissuti all’affondamento dell’ultima barca e portati faticosamente a
riva risultò più eloquente di qualunque altra parola.
«Quei
maledetti lag’ni battono il
fiume in lungo e in largo. Di dieci barche ne abbattono ogni volta almeno tre.
È dura trovare un punto di guado in cui non si rischi la vita.
Però so
che c’è un vecchio villaggio di pescatori a sud di qui, a una decina di miglia.
Sicuramente ora sarà abbandonato, ma forse c’è ancora una barca con cui potrete
attraversare il fiume.»
Detto
questo il generale si affrettò a scarabocchiare un foglio di autorizzazione che
avrebbe protetto Arthur dalle pattuglie disseminate lungo tutta la sponda, o
che più realisticamente avrebbe protetto loro da lui.
«Posso
domandarvi di preciso cosa state andando a fare nel regno?»
«Sto
cercando qualcuno.»
«Dia
retta a me, non esiste nessuno tanto pazzo da avventurarsi in quell’inferno,
tra credenti infervorati, tagliagole e predicatori folli, soprattutto ora che
infuria questa benedetta guerra.»
«La
persona che cerco non rifugge le guerre» replicò il giovane prendendo il
documento arrotolato e facendolo scomparire dentro il mantello. «Le provoca.» e
detto questo fece per lasciare la tenda
«Ho
sentito che siete interessato a storie e leggende inerenti alla scomparsa o
distruzione di città e villaggi» lo intercettò il Generale prima che potesse
uscire. «Quando ero bambino i vecchi del villaggio parlavano di una cittadina
poco oltre il confine, Ludgored, che secondo loro
sarebbe stata spazzata via in una notte da un demone bianco.»
Arthur
si bloccò, stringendo con forza il lembo della tenda, quindi, con l’anziano
comandante che lo guardava sorridendo, se ne andò senza dire un’altra parola.
Fuori dalla tenda, seduto
attorno ad un bivacco, un ragazzetto dall’aria ebete era intento a spillare a carte
qualche soldo ad un gruppetto di soldati.
Aveva un
portamento leggermente gobbo, occhi di un blu insolito e capelli ispidi biondi
nascosti quasi interamente sotto un vistoso cappello a cuffietta.
I
soldati si erano già insospettiti per il suo continuo vincere, e i loro dubbi
divennero certezza quando, chinatosi a raccogliere l’ennesima vincita, il
ragazzetto fece scivolare inavvertitamente fuori dalle maniche una piccola
collezione di re e di assi, sbiancando subito per lo spavento.
Fortuna
volle che il giovane dal mantello nero che la truppa aveva visto entrare nella
tenda del Generale si ritrovasse a transitare in quel momento accanto al fuoco,
procedendo tuttavia per la sua strada senza fermarsi ad assistere alla
situazione.
«Mio
signore, aspettatemi!» strillò il ragazzetto correndogli dietro, ma riuscendo a
raggiungerlo solo al limitare del campo.
Insieme,
o per meglio dire camminando uno due passi avanti all’altro, percorsero in
silenzio la strada che correva lungo l’argine del fiume, raggiungendo nel cuore
della notte il villaggio abbandonato di cui aveva parlato il Generale.
Tutto
intorno era solo buio e silenzio, e persino gli echi della battaglia sembravano
molto più lontani; le case erano fatiscenti, alcune incendiate, e quelle poche
barche che non erano già state assalite dalle conseguenze dell’incuria
apparivano bruciate e devastate, segnali inequivocabili del passaggio di
soldati e saccheggiatori.
«Che
seccatura» mugugnò Gora avventurandosi in quella specie di cimitero di legno.
«Però a ben pensarci potremmo usare il vostro potere, mio signore. Con le sue
capacità sarebbe uno scherzo arrivare dall’altra parte.»
L’interessato
però non rispose, quasi non lo avesse sentito, seguitando a guardarsi attorno.
«Ah già,
dimenticavo» si rispose da solo. «Se usiamo i nostri poteri, quelli ci beccano
subito. Dico bene?»
Alla
fine, aperta la porta di una specie di rimessa, Gora si imbatté in un piccolo
barchino da tre posti provvisto di remi, un po’ vecchio e scolorito ma a prima
vista in buono stato.
«Ehi, questo
sembra a posto! Forse possiamo usarlo! Mio signore!»
Quando
si volse, però, Arthur si stava di nuovo allontanando.
«Vado ad
esplorare la zona.»
«Come!?
Ma, mio signore! Dobbiamo mettere la barca in acqua!»
Ma fu
tutto inutile.
«In
altre parole dovrò farlo da solo» imprecò tra sé e sé, prendendo dopo poco a
tirare quella barca incredibilmente pesante verso la sponda. «Un giorno o
l’altro lo uccido, parola mia!».
Arthur girò attorno al
villaggio, raggiungendo la palizzata mezza abbattuta ed avventurandosi tra le
poche casupole che sorgevano subito dopo di essa.
Non
c’era segno di cadaveri o di combattimenti; probabilmente gli abitanti avevano
fatto in tempo a scappare.
Entrato
in una di quelle catapecchie, il giovane si inginocchiò accanto a quello che
restava di un focolare, saggiandone la cenere; era fredda e bagnata, e doveva
essere passato molto tempo dall’ultima volta che une pentola era stata scaldata
lì sopra.
«Non può
essere» mormorò con fare preoccupato. «Anche qui?»
Due
occhi rossi si accesero nel buio, strisciando con fare serpentino a pochi passi
dal tetto impagliato, puntandosi minacciosi verso il giovane di spalle. Lui non
si mosse, apparentemente ignaro, ma come un sibilo sinistro riecheggiò nel
silenzio, e quegli occhi si avvicinarono, si volse con grazia felina,
afferrando in una morsa la testa triangolare di un essere a metà tra un insetto
ad un serpente, la pelle nera e grinzosa, simile al carbone, una bocca a più
mandibole concentriche ed un lungo corpo sinuoso, che immobilizzato tentava
inutilmente di liberarsi.
Dopo
averlo stretto fin quasi a soffocarlo Arthur lo sbatté violentemente a terra,
schiacciandolo sotto il piede, e un attimo dopo che ebbe infilato la mano nel
mantello il luccichio scintillante di una lunga e slanciata lama diamantata
parve quasi accecare la creatura, che ebbe appena il tempo di guardare
quell’oggetto meraviglioso prima che la punta gli tranciasse di netto la testa,
tramutando tutto il suo corpo in una fuliggine densa e fangosa simile a
catrame.
Nello
stesso istante Gora, che era riuscito finalmente a mettere a mare la barca e
cercava di riprendere fiato, quando una improvvisa e sgradevole sensazione lo
fece trasalire.
«Ma cosa…» disse incredulo.
Quando raggiunse,
di corsa, la capanna, Arthur ne stava già uscendo, la spada ancora in mano e lo
sguardo basso.
«Mio
signore, era…»
«È
passato da qui. Era uno dei suoi servitori.»
«Quindi… era davvero… un seed?»
«Muoviamoci.»
Senza aggiungere
altro salirono entrambi in barca, immergendo i remi in acqua e prendendo a
pagaiare il più velocemente possibile verso l’altra sponda, mentre i fuochi in
lontananza aumentavano progressivamente di intensità, tingendo il cielo nero di
un tetro bagliore rosso sangue.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Eccomi qua con una nuova storia, stavolta
eccezionalmente distaccata dalle altre inerenti alla saga di Tales Of, la cui lunghezza
dovrebbe attestarsi attorno agli 8-10 capitoli, prologo escluso.
Come ho accennato nell’introduzione si
tratta di un sequel de “La Mano della Dea”, scritto dalla mia grande amica e
beta Ely, ovviamente con il suo benestare.
Se non l’avete fatto andatela
a leggere, perché merita, senza contare che in caso contrario vi sarebbe
difficile riuscire a capire questa.
Spero che incontrerà il vostro interesse.
A presto!^_^
Carlos Olivera