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Autore: Tenue    30/10/2014    2 recensioni
[VanVen]
Dal testo:
Fino a poco fa, non avrei mai potuto pensare che sarebbe potuto accadere tutto questo.
Tenerti per mano e correre su questa strada deserta, affiancata da alti palazzi imponenti e illuminata delle mille luci colorate di Londra. Ridere di cuore insieme a te. Togliermi il cappotto e immergermi nel freddo sentendo ogni singolo fiocco di neve giacciare le mie braccia nude. Stringere la tua mano fredda e fregarmene di tutto, per sentire la libertà.
Sentirmi bene. No: felice...
(Deddicata a Miryel e a Faith Halcyon Grace)
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Vanitas, Ventus
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Salve a tutti!
Questa storia l'ho scritta in particolare per Miryel e Faith, due fantastiche scrittrici, che ringrazio tanto per aver recensito la precedente VanVen!
Spero che possa piacervi...
L'ho scritta sotto le note dei Rammstein (metal tedesco) e...non so. Diciamo che ci ho messo tantissimo e quando l'ho finita ero abbastanza rimbecillita...perciò è probabile che abbia tralasciato qualche errore durante la revisione.
Bhe, buona lettura!

 
 
La mano fredda del sole
Fino a poco fa, non avrei mai potuto pensare che sarebbe potuto accadere tutto questo.
Tenerti per mano e correre su questa strada deserta, affiancata da alti palazzi imponenti e illuminata delle mille luci colorate di Londra. Ridere di cuore insieme a te. Togliermi il cappotto e immergermi nel freddo sentendo ogni singolo fiocco di neve giacciare le mie braccia nude. Stringere la tua mano fredda e fregarmene di tutto, per sentire la libertà.
Sentirmi bene. No: felice...
 
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Quando ero piccolo ero un bambino davvero gioioso. Ero iperattivo e avevo molti amici con i quali giocavo ogni pomeriggio. Broadstairs era una cittadina piccola perciò tutti conoscievano tutti e tra bambini si diventava amici facilmente. Ho molte foto di quando ero bambino; ancora oggi continuo a guardare quella mensola scura e piena di polvere del nostro soggiorno, che tiene le foto di un bel bambino biondo sorridente, e ancora oggi, continuo a non avere il coraggio di buttarle via per dimenticare. Ero sempre sorridente, perchè in fondo ero felice. Ora invece...non so più che cosa sia la felicità, anche se so di averla provata. 
Quando guardo quelle foto, è come se quel bambino non fossi io...evidentemente mi avranno trapiantato questi ricordi...è come se...no, non so spiegarlo. Non sono mai stato quel bambino, ecco.
Non so più come si sorrida. Ormai il mio viso è eternamente incastrato in un'espressione d'indifferenza e insensibilità.
Quando il bambino (che forse sono stato) si accorse di non poter più essere felice, ecco quella è stata l'ultima volta che abbia pianto.
Pechè io non piango.
E io non sorrido.
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Uscii dall'edificio scolastico, sbuffando appena i miei stivali sprofondarono nella neve. Così, maledicendo ogni singola nuvola che sputava quella roba ghiacciata, mi diressi verso la fermata dell'autobus. 
Appena  fui al riparo sotto la tettoia trasparente della fermata gettai lo zaino a terra e misi le cuffie.
Ero triste, esattamente come il giorno prima; ed il giorno prima ancora. Ero stanco di quella monotonia. Io non parlavo quasi mai, e quel silenzio veniva riempito con persieri sempre più spaventosi. La morte, ad esempio. Mi ero perso un sacco di volte a pensare alla morte.
C'era una, ed una sola canzone illumiava il mio cuore con la sua misteriosità, dandomi una piccola stella di speranza dentro di me. La speranza che un giorno questo strazio finisse.
Sonne...Sole.
Eins, zwei, drei, vier, fünf, sechs, sieben, acht, neun, aus
 
Alle warten auf das Licht
fürchtet euch fürchtet euch nicht
die Sonne scheint mir aus den Augen
sie wird heut Nacht nicht untergehen
und die Welt zählt laut bis zehn
---
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, out 
 
Tutti aspettano la luce
abbiate paura, non abbiate paura
il sole splende dai miei occhi
non tramonterà stanotte
e il mondo conta ad alta voce fino a dieci
 
Io volevo quella luce... Così bella, così lontana...Stavo così male, il petto mi pulsava da tanta disperazione che avevo ingabbiato nel cuore.
Eins
Hier kommt die Sonne
---
Uno
Arriva il sole
 
Una melodia nel vento freddo...
Zwei
Hier kommt die Sonne
---
Due
arriva il sole
 
Dammela! Dammi quella stella...
Drei
Sie ist der hellste Stern von allen
Vier
Hier kommt die Sonne
---
Tre
È la stella più luminosa di tutte
Quattro
Arriva il sole
Si, un giorno sarò fe...
Ero completamente perso nei miei pensieri e non mi accorsi di un gruppetto di ragazzi che stavano arrivando. Una delle quali mi urtò di proposito, facendomi cadere le cuffie che trascinarono a terra il lettore mp4.
La ragazza se ne andò via ridendo e io mi sporsi in avanti per prendere il lettore, che era caduto sulla strada, e improvvisamente vidi con la coda dell'occhio un auto e sentii una forza che mi portava indietro. Sbattei la testa sulla panchina e rimasi con gli occhi chiusi per qualche secondo. Sbattei le palpebre un paio di volte. Davanti a me, un ragazzo mi porgeva il mio mio prezioso lettore. Lo presi e lui mi aiutò ad alzarmi. 
-Ehi Vanitas! Ma che fai? Aiuti quello sfigato!?- Disse incredula la ragazza che mi aveva urtato.
Il ragazzo che doveva chiamarsi Vanitas non la degnò di uno sguardo.
-Tutto bene? Hai sbattuto la testa, ti fa male?-
Sinceramente non mi accorsi che la nuca mi pulsava. Ero troppo occupato a studiare con attenzione ogni singolo particolare di quel viso coperto da capelli corvini totalmente spettinati. Aveva due occhi dorati coperti da folte ciglia nere, e un piercing al sopracciglio. Vestiva completamente di nero, e in particolare, notai gli stivali pieni di cinghie gli cingevano le gambe sottili e la giacca borchiata.
-Ah, sto...sto bene e... grazie.-
-Sicuro?- E cominciò a controllare che non ci fosse sangue dietro la mia testa spostandomi i capelli con le sue mani ghiacciate, gesto che mi fece rabbrividire, dal freddo e dall'imbarazzo.
Arrossì violentemente, ancor più quando mi guardò con i suoi occhi dorati, accennando un sorriso. 
-Come ti chiami?- Chiese
-Vanitas! Andiamo!- La chiamò la ragazza spazientita.
-Senti un po' tu- Disse riferendosi a lei tranquillamente -prendi quegli idioti dei tuoi amici e andatevene via. Mi date fastidio.-
Lei aprì la bocca, ma non seppe cosa dire e se ne andò indignata, seguita dai suoi amici.
-Allora?-
-V...Ventus.-
-Bene, Ventus. Io sono Vanitas come avrai già intuito.- Disse -Stavi tornando a casa?-
-Si, perchè?-
-Ti fa felice il fatto di tornare a casa?-
-No.- Non capii subito il senso di quella domanda, ma risposi istintivamente.
-Allora ti va di venire con me?- Mi porse la sua mano. Lo guardai incerto.
-Lo sai che sei proprio carino?- Mi disse.
-Come?!- Queste cose in genere, non si dicono tra ragazzi.
-Ho detto che sei carino! - Disse ridendo. -Quarda che non ti faccio mica del male, sai. Dai, vieni con me, ti farò sorridere!.-
Gli afferrai la mano; era ghiacciata. E risposi che volevo venire con lui, perchè non volevo tornare a casa.
E infondo che avevo da perdere?
Così mi trascinò via. Mi trascinò a Londra. 
___________________________________________________________________________
 
Continuai ad ascoltare musica per tutto il tragitto in treno. Le canzoni dei Rammstein mi entravano nella testa come linfa vitale, isolandomi dal mondo. Solo una mano fredda mi riportò bruscamente alla realtà. Vanitas guardava fuori dal finestrino i prati che comparivano e sparivano nella nebbia. Era evidentemente sovrapensiero, perchè cominciò ad accarezzarmi la mano che avevo poggiato sul bracciolo del sedile. Era stranamente piacevole sentire le sue unghie smaltate di nero graffiarmi piano la pelle. 
 
Die Sonne scheint mir aus den Händen
kann verbrennen, kann euch blenden
wenn sie aus den Fäusten bricht
legt sich heiß auf das Gesicht
sie wird heut Nacht nicht untergehen
und die Welt zählt laut bis zehn  
 ---
Il sole splende dalle mie mani
può bruciare, vi può accecare
quando rompe fuori dai pugni
si posa caldamente sulla faccia
non tramonterà stanotte
e il mondo conta ad alta voce fino a dieci
 
Tutto ciò che volevo era soltanto poter sentire quella mano fredda toccarmi delicatamente. Mi accontentavo anche solo di quello. 
Quella mano fredda era il mio sole. Era ciò che volevo. Non sapevo dove Vanitas mi avrebbe  portato, ma lo desideravo. Lo desideravo con tutto me stesso.
 
Eins
Hier kommt die Sonne
Zwei
Hier kommt die Sonne
Drei
Sie ist der hellste Stern von allen
Vier
---
Uno
Arriva il sole
Due
Arriva il sole
Tre
È la stella più luminosa di tutte
Quattro
Arriva il sole
La neve che scendeva dal cielo ingrigito si fece più fitta e minuscoli frammenti di ghiaccio s'infransero sul finestrino. Vanitas strinse ancora di più la mia mano. 
Fünf
Hier kommt die Sonne
Sechs
Hier kommt die Sonne
Sieben
Sie ist der hellste Stern von allen
Acht, neun
Hier kommt die Sonne
---
Cinque
Arriva il sole
Sei
Arriva il sole
Sette
È la stella più luminosa di tutte
Otto, nove
Arriva il sole
Il mio telefono prese a vibrare all'improvviso: era mia madre che chiamava.
Le avevo detto che ero andato a farmi un giro e che non sapevo quando sarei tornato. Le si era messa a sbraitare e continuò a chiamarmi, finchè Vanitas mi prese il telefono e me lo spense.
-Meglio così, no?-
Dopo alcuni minuti mi decisi a parlare.
-Posso sapere perchè mi stai portando a Londra?-
-Perchè amo quella città. Che c'è, a te non piace?-
-No no, non intendo quello... perchè stai portando...me?-
Non rispose subito, si limitò a posare lo sguardo sui suoi stavali e mostrare un vago rossore sulle guance.
-Io...io frequento il liceo artistico accanto alla tua scuola...e...insomma, noi artisti facciamo sempre quello che ci va, senza un motivo preciso!- Inspirò profondamente ed espirò, iniziando poi a tartassare l'unghia del suo indice, togliendo un pezzo di smalto. -Ho realizzato molti ritratti...ho visto, studiato molti visi...e posso affermare di non aver mai visto un faccino bello come il tuo. E sono sicuro che se sorridessi saresti...non so...- Si bloccò e arrossì ancora di più. -Mi hai incuriosito, ecco.-
___________________________________________________________________________
 Scendemmo a Londra dopo ore di viaggio; erano ormai le quattro del pomeriggio quando raggiungemmo Trafalgar Square.
C'era una confusione assurda, soprattutto per me che non ero mai stato in una città grande e caotica come Londra. Mi guardavo in giro spaesato e Vanitas sembrò addolcirsi al mio sguardo. Mi trascinò ovunque, passammo il pomeriggio tra le strade affollate e la metropolitana. Lui camminava velocemente tenendomi costantemente per mano, forse perchè aveva paura che mi perdessi, tra la gente. Alcune persone si giravano a guardarci, ma non facevano commenti.
Arrivammo ad un incrocio e aspettammo che il semaforo diventasse verde. Si vedevano gli alberi coperti di brina di Hide Park in lontananza circondati da edifici grigi. Londra era spettacolare. E ancora più spettacolare era vedere minuscoli fiocchi di neve incastonarsi tra i capelli neri di Vanitas, sentirlo respirare piano con le labbra socchiuse e guardare le sue folte ciglia sbattere regolarmente, continuare a sentire la sua mano e mi ritrovai a sussultare ogni volta che la stringeva.
 Ci dirigemmo verso la stazione metropolitana; il marciapiede era giacciato, infatti scivolai e per poco non caddi, ma perfortuna Vanitas mi prese, afferrandomi per la vita. Quando mi rimisi in piedi lui mi fissava. 
Stavo immobile, cercando di mantenere il respiro il meno rumoroso possibile, ma era difficile, in quanto mi stessi agitando moltissimo. Mi passò il pollice sul viso lentamente, accarezzandomi lo zigomo, poi la guancia e infine il mento. Rabbrividii. Mi studiava ogni particolare del viso, quasi volesse imprimenmi nella mente per poi potermi ritrarre.
-Perchè sei così triste?- Chiese, a voce bassa.
-Perchè non mi posso permettere di essere felice...- mi bloccai per qualche secondo, presi un bel respiro -Ogni volta che trovo una piccola luce di felicità nella mia vita, essa mi acceca e scompare...perchè io non mi posso permettere di essere felice. Perchè non posso essere me stesso.- Singhiozzai, ma non scese nessuna lacrima.
 Io non piango. 
-Le persone mi odierebbero se sapessero come sono davvero...perchè sono diverso, sono omossessuale e per di più ascolto musica pesante che loro definirebbero strana...trovo affascinante la filosofia e la complessità della mente umana...di notte sogno di uccidere atrocemente le persone che odio e credo di avere qualche malattia mentale, per il quale ho una miriade di tic, che tento di nascondere a tutti. La mia famiglia si dimostra gentile con me, ma io so che se non fossi suo figlio, mia madre mi ripudierebbe e non fossi suo nipote, mia nonna mi picchierebbe e mi darebbe dell'essere schifoso...se sapessero chi sono davvero. Come potrei trovare la felicità in questa vita...? Quando, a dodici anni, ho scoperto che se continuavo ad essere me stesso non avrei più trovato la felicità io...mi sono nascosto dietro ad una maschera si freddezza... io voglio solo essere felice...-
Hier kommt die Sonne...
E allora cedetti...si framtumò tutto...la rigida dittatura della mia mente crollò.
Arriva il sole...
Vanitas mi prese tra le sue braccia, appoggiando delicatamente le sue labbra sulle mie. Le mie lacrime scesero luminose, andando ad incastrarsi nelle sue ciglia o percorrendo i nosti visi. Mi accarezzò piano il mento e mi strinse di più a se. Ci staccammo in cerca di aria, per poi riprendere subito a baciarci. Passò le sue labbra sulla mia guancia bollente e inumidita dalle lacrime e poi sulla mia fronte. Mi misi a ridere tra le lacrime...così, senza motivo. E Vanitas mi guardò dolcemente, mettendosi a ridere con me. Continuai a ridere e piangere, con la testa appoggiata alla sua spalla, in balia del vento, che trascinava con se le ultime foglie d'autunno e le mie lacrime. Il vento s'infrangeva nell'aria freneticamente e s'intrufolava tra i nosti capelli. 
Vanitas guardò le nuvole vagamente grigie nel cielo. -Hai ragione, sei proprio un tipo strano...mi piace.- Poi tornò a guardarmi. -Vieni. Ti porto in un posto.-
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Fino a poco fa, non avrei mai potuto pensare che sarebbe potuto accadere tutto questo.
Ora sono qui, insieme a te. Che corro per le stade deserte di Camdem Town alle due di notte, tenendoti per mano. Quasi trascinandoti, perchè sei stanco. Alzo lo sguardo e vedo palazzi illuminati debolmente dai lampioni arruginiti. Ti lascio un attimo la mano, perchè devo togliermi il cappotto, per poter sentire l'aria gelata che mi ghiaccia le braccia e le spalle. per poter sentire la libertà. Anche se so già che domani mi ritroverò nel letto con la febbre, con te che mi accarezzerai e mi dirai che sono uno stupido . Ma non m'importa.
M'importa solo di sentire ancora la tua mano fredda nella mia. M'importa solo di poter ridere di nuovo.
M'importa solo di te. E tu mi fai sentire bene. No: felice.
 
 
 
 
 
 
 
 
 



 
  
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