Storie originali > Romantico
Ricorda la storia  |      
Autore: fragolottina    31/10/2014    1 recensioni
A volte è soltanto amicizia, altre volte non lo è.
Mary ne è convinta, ma Matteo rimane la persona che vorrebbe incontrare ogni notte per parlare ore ed ore.
Matteo ne è così sicuro da scommettere una cena con Emma sulla loro eterna amicizia casta. Eppure Mary gli manca, gli mancano le notte intere passate a parlare, anche se si sta vendendo con Chia... Gio... Giulia.
Emma li guarda ed aspetta che aprano gli occhi da soli, a volte li imbocca, altre volte le basta soltanto ascoltarli.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Racconto di Halloween Fragolottina’s time
Questa storia ha la pretesa di essere la storia a tema Halloween… tecnicamente avevo pensato di scrivere qualcosa per il fandom di Kingdom Hearts, ma poi c’ho ripensato, in virtù del fatto che ho trovato qualcosa nella vita vera che mi è piaciuto troppo.
Ho chiesto il permesso di scriverlo… più o meno… sospetto che quando Matteo mi ha chiesto “Che devi scrivere?” scandalizzato, non credesse davvero che l’avrei scritto e l’avrei pubblicato… soprattutto perché quel “Che devi scrivere?” non può completamente considerarsi un’autorizzazione…
Beh, ma tanto uso pseudonimi!
Nella speranza che nessuno scopra mai la mia vera identità – SONO BATMAN!! – mento facendo presente che ogni riferimento a persone, luoghi o fatti realmente accaduti è puuuuuuuramente casuale!







UNA MASCHERA IN DUE


Sabato 18.10
h. 21:05


«Oppure io mi maschero da Crudelia Demon e tu da dalmata!», propose Mary convinta e sorridente.
    Emma scoppiò a ridere e Matteo la guardò con rimprovero. «Dovrei vestirmi da cane!», sottolineò seccato.
    «Non vuoi mascherarti da Aladdin!».
    «Niente Disney», concluse senza commentare.
    «Da che ci possiamo vestire?».
    «Non dovevi fare mezzo scheletro e mezzo normale?», le ricordò Emma, l’argomento era stato il tema cruciale della conversazione della settimana prima.
    «Io mi vesto da diavoletta», intervenne Lucia.
    Matteo scosse la testa. «Un frontino con le corna non è un costume!», la rimproverò, più brusco di quanto avrebbe voluto. Lo era sempre e non poteva farci niente, non le piaceva che cercasse sempre di attirare la sua attenzione, non dopo essere stata lei a bloccare il suo tentativo di diventare più intimi.
    «Io però volevo fare una maschera di gruppo a tema!», piagnucolò Mary.
    «Lo facciamo per Carnevale», cercò di rincuorarla Emma, mentre Matteo la guardava come la guardava sempre quando rischiava di intristirsi: era uno strano mix di frustrazione e noia, ma difficilmente lasciava che     Mary si deprimesse senza porre rimedio, la cosa buffa era che di solito il rimedio era lui.    
    «Facciamo così: metà tu e metà io, così abbiamo una maschera in due». A differenza di Lucia, Mary non aveva mai avuto bisogno di attirare la sua attenzione, lei ce l’aveva sempre; non poteva essere altrimenti, sarebbe stato come non prestare attenzione a sé stesso.
    Lucia li guardò alternativamente, qualsiasi cosa ci fosse stato tra lei e Matteo non era proprio finita come credeva.
    «Oppure ci vestiamo da Puffi!», continuò Matteo.
    «Ma io sono bassa tutto l’anno!».



Venerdì 31.10
h.17:12

Mary si sedette di fronte a Luca, sul tavolo accanto a loro erano sparpagliate trousse, trucchi e colori a tempera. Non aveva ancora deciso cosa fosse meglio usare sulla pelle del viso, c’erano molti fattori da considerare: la tenuta, l’intensità del colore, erano a prova di sudore?
    «Ma che devo fare?», chiese Mary a Luca. A differenza di Matteo, con la quale aveva studiato ogni dettaglio, discusso su ogni possibilità e guardato un’infinità di immagini, non aveva idea di cosa avesse in mente Luca.
    «Boh, che ti pare», lanciò un’occhiata a Matteo, seduto al contrario sono una sedia con le braccia appoggiate allo schienale.
    «Tu che fai, Ma’?».
    Lui sollevò lo sguardo nel sentirsi chiamare e lo guardò sorpreso, evidentemente non gli stava prestando attenzione. «Che?».
    «Ah!», si lamentò Luca. «Hai trovato qualche ragazzetta nuda?».
    Scosse la testa. «Emma. Sta sul treno», rise. «Dice di comportarsi bene, Mary».
    Mary sbuffò, come se avesse anche bisogno di qualcuno che glielo ricordasse: era diventata patologicamente allergica agli uomini. Prese un po’ di bianco con il pennello ed iniziò a stenderlo sul viso di Luca; non si sentiva molto ispirata e non ne aveva particolarmente voglia, soprattutto perché non aveva ancora deciso come farsi i capelli: non aveva proprio tempo da perdere con Luca.
    Quindi decise che avrebbe truccato Luca come l’ultimo degli amici di suo fratello: non sarebbero andati nello stesso locale, non se ne sarebbero mai accorti. E poi una faccia impiastricciata per Halloween, era una faccia impiastricciata, non era colpa sua se le avevano prosciugato la creatività.
    «Insomma da che ti mascheri?».
    Matteo si strinse nelle spalle, sembrava ancora più interessato a quello che c’era scritto sul telefono. «Boh, tipo zombie, con tutti tagli», rispose vago.
    «Fico», rispose Luca, prima che Mary iniziasse a pitturarlo intorno alla bocca costringendolo a stare fermo per evitare disastri.


Domenica 19.10
h. 1:07

«Sono depressa», confessò Mary ad Emma quando la riaccompagnò a prendere la macchina.
    «Perché?».
    «Non lo so», iniziò senza guardarla. «Ho ventisei anni, non ho finito l’università, non ho un lavoro. In un anno non sono riuscita ad incontrare nessuno che mi piace, mi sembra che la mia vita si sia fermata».
    Emma la osservò dispiaciuta. «È un periodo così, non lo sarà per sempre».
    «Emma, è un anno che io non vedo un uomo nudo», disse sgranando gli occhi, i contorni neri di eye-liner resero la sua espressione ancora più drammatica.
    La sua amica ci pensò, si grattò la base del naso cercando di nascondere un sorriso. «Mary, il fatto che Matteo stia in giro, l’altra settimana non sia venuto a ballare con te e con ogni probabilità andrà a letto con…», si interruppe corrucciata. «Come si chiama?».
    «Chi?».
    «La ragazza di Matteo».
    «Quale?».
    «Ma quella bionda, che dice sempre».
    «Ah, Giulia».
    «Eh! C’entra qualcosa?», ripeté Emma, le lanciò un’occhiata carica di significato che Mary finse furbamente di non capire.
    «No», rispose secca.
    Emma continuò a guardarla senza dire niente.
    «Emma, per me è solo un amico».
    «Che chiami per le coccoline», suggerì ricordando quello che era successo poche ore prima.
    «Perché siamo amici».
    «Mary, te lo ridico: se lo vuoi per te diglielo», le suggerì prima di aprire lo sportello per scendere dalla macchina.
    «Non lo voglio per me», rispose, scioccata come se si trattasse dell’idea più folle che le sarebbe potuta venire in mente. Non lo era, o almeno, per Emma non lo era.
    Scosse la testa e fece scattare la chiusura automatica della propria auto parcheggiata.
    Qualcosa nell’espressione accondiscendente di Emma le fece venir voglia di giustificarsi, giustficarli. «Certo, mi manca, perché era un punto di riferimento e poi perché adesso invece di venire da me studia o va dagli altri suoi amici e…».
    «Mary», la interruppe Emma. «Chiamalo».


Venerdì 31.10
h. 18:56

«Te lo dico subito: secondo me non regge», avvertì Matteo, in modo che, se poi a metà serata si fosse trovato con pezzi di colla e schifo che cadevano, non se la sarebbe presa con lei.
    Lui si alzò e portò la sedia di fronte a quella di Mary. «Oh, quella su youtube dice di sì!», obbiettò.
    «Io non ci credo», concluse. «Quale mezza?», chiese comunque.
    «Aspe’», rifletté. «Deve essere la mezza che hai pulita tu».
    «Io faccio questa qua», spiegò lei coprendosi con la mano la parte destra del viso.
    «Perciò io la sinistra, okay».
    Mary versò la colla vinilica su un piattino di carta e Matteo srotolò della carta igienica. Avvicinò di più la sua sedia a quella di Matteo, fino ad appoggiare i le punte dei piedi al piolo della sua sedia e trovarsi praticamente tra le sue gambe.
    «Ma poi come ti vesti?», gli chiese. Prese della colla e con un pennello iniziò a spalmarla, Matteo le porse un pezzo di carta igienica che lei appiccicò con cura alla sua guancia.
    «Strappo questi vestiti, tanto è tutta roba vecchia. Te che hai trovato?».
    «Con Emma abbiamo comprato un vestito tutto fronzoli», raccontò. «Bello, poi non l’ho pagato praticamente niente», rise. «Mi sa che era da bambini».
    Rise anche Matteo. «Tanto a te sta bene».
    «Ma poi Lucia e la Sara?».
    «Avranno il frontino con le corna», ricordò Matteo.
    Scoppiarono a ridere tutti e due.
    «Emma dice che almeno a pomiciare ci dovremmo provare».
    Mary scosse la testa, ignorando un pensiero che le fece notare quanto spesso quell’argomento uscisse fuori tra loro. «Sì, l’ha detto pure a me. Che poi le cose sarebbero diverse… sai che è fissata, c’ha ‘sto pallino che se baci un ragazzo ti si accende la lampadina», sbuffò. «Io penso che mi farebbe impressione, pensa un po’».
    «Oh, grazie!», si finse offeso.
    Mary lo ignorò, ci mancava pure che Matteo si offendesse quando si prendevano in giro, lo facevano sempre, sarebbe stata una guerra continua. «C’è Giulia?». Mary stava sorridendo troppo, ma era un riflesso involontario.
    «Ah, non lo so che vuole fa. Io non le ho detto niente!».
    «Perché?», domandò sorpresa Mary.
    «Perché ieri ha iniziato a dire che se la prendono a medicina non sa se ci va, che qui inizia ad avere gli affetti…».
    Mary fece una smorfia. «Quella vuole una storia, Matte’».
    «Sì, ma io no. Ho una lista di quaranta ragazze dell’università con cui ci voglio provare!».
    «Mi sa che ti conviene dirglielo», osservò con una smorfia.
    «Ma speriamo che l’hanno presa a medicina e parte».
    Mary sbuffò una risata. «Lucia me lo chiede sempre».
    «Che palle, trovale un ragazzo, così mi si leva dalla palle».
    Sgranò gli occhi. «Bella sfida». Posò piatto e pennello sul tavolo, si alzò in piedi e diede un calcetto al piede di Matteo per farlo spostare. «Mi sa che mentre la colla si asciuga vado a vestirmi, sennò non usciamo nemmeno domani mattina».
    Matteo annuì e si spostò poco.
    «Mi dai un paio di forbici? Intanto mi taglio i vestiti».


Mercoledì 22.10
h. 16:45

Mary si spennellò della colla vinilica sul braccio nudo e lo ricoprì con uno strato di carta, mentre Emma si passava uno smalto viola sull’unghia dell’anulare.
    «Secondo me non ci sta», commentò Mary osservandosi con sguardo critico il braccio. Avevano guardato una ragazza asiatica fare quello stesso procedimento sul suo viso con risultati macabri e strabilianti, ma per il momento il braccio di Mary sembrava semplicemente ricoperto di una poltiglia bianca.
    «È per Matteo?», chiese Emma lanciandole un’occhiata.
    Mary annuì. «Pure per gli amici di mio fratello». L’avevano incastrata con tanti di quei trucchi da curare, che sarebbe stato un miracolo se avesse trovato il tempo di preparare anche sé stessa.
    «Come ha deciso di fare per mangiare?».
    Mary si strinse nelle spalle, il suo umore non si era ancora del tutto risollevato. «Non mangia», concluse.
    «Domenica mi ha chiesto se sono ancora convinta della scommessa che abbiamo fatto», rivelò.
    Mary si girò e la raggiunse per sedersi accanto a lei. «Quale scommessa?».
    Emma alzò gli occhi al cielo. «Secondo te?».
    «Quella che se alla fine andiamo a letto ti paga una cena?», provò, in realtà aveva sempre saputo a quale scommessa si riferiva.
    «Yes!».
    «E che gli hai detto?».
    Emma scrollò le spalle. «Di sì. Dieci anni sono un tempo lungo. Potrebbero cambiare tante cose».
    «Erano dieci?», chiese Mary con un nodo all’altezza del petto: pensare ai cambiamenti la turbava, la faceva sentire insicura.
    Emma ci pensò. «In realtà non mi ricordo, ma va beh, dieci o quel che era».
    Mary sospirò. «Chissà se tra dieci anni mi sarò laureata!».
    «Oddio, ma certo che ti sarai laureata!».
    «Secondo me dovrei trovarmi un trombamico», rifletté Mary stupendo Emma con il suo repentino cambio di argomento, sollevò le sopracciglia scettica.
    «Ma se hai sempre detto che non volevi uno con cui andare a letto così, senza impegno. Non eri quella che cercava l’uomo giusto?».
    «Beh, ma tanto non lo trovo! Tanto vale che sto con qualcuno che mi fa compagnia nel frattempo!».
    Emma rimase zitta a guardarla per alcuni secondi prima di sospirare il più teatralmente possibile. «È per Matteo», esclamò con il tono di una supplica.
    «Ma che c’entra?».
    «È perché Matteo si vede con Giorgia», insistette Emma.
    «Chi è Giorgia?», domandò Mary confusa.
    Emma ci pensò. «Quella che si vede con Matteo, no?».
    «Giulia».
    «Giulia», si corresse seccata.
    «Non è per quello», negò Mary. «È perché a volte mi sento sola».
    «Tipo quando non c’è lui?», insinuò Emma.
    Mary sospirò. «Quando c’è lui mi diverto di più, è un’altra cosa», disse seria, lo era troppo di rado perché Emma non la ascoltasse attentamente. «Alla fine sto bene pure quando sto con Luca e quegli altri, però… mi diverto di meno».
    Emma allungò una mano e la posò sul braccio non impiastricciato di colla e carta di Mary. «Mary, te lo chiedo come favore personale: vi prego, pomiciate».
    «Ma perché?», rise imbarazzata.
    «Perché tu ce l’hai un trombamico», le fece notare. «Solo che non trombate».
    Mary non rispose la guardò. «Vieni al Cool con noi venerdì».
    Emma fece una smorfia. «Non posso tardare».
    «Nemmeno Matteo, ha una cresima il giorno dopo».
    «Allora prenderemo la macchina insieme».
    Spostò lo sguardo sul suo braccio ingessato. «Secondo me ‘sto coso non ci sta».


Venerdì 31.10
h. 20:06

Quando Mary uscì di nuovo dalla cameretta indossava un vestito di una stoffa lucida. Sembrava un po’ una maschera da strega con il corpetto stringato e la gonna di tanti veli sovrapposti, però era abbastanza adatto all’occasione.
    «Come ti sembra?», gli chiese, non aveva l’espressione convinta.
    Matteo avrebbe voluto ridere perché senza scarpe, con la gonna e le calze, Mary sembrava alta una trentina di centimetri, ma non lo fece per evitare di farle venire ancora più dubbi.
    «È carino», disse senza sbilanciarsi. Lui nel frattempo aveva ridotto pantaloni e camicia in un insieme di stracci: sua madre non sarebbe stata proprio contenta.
    Mary rientrò in camera per specchiarsi, visto che non chiuse la porta Matteo la seguì e si fece spazio sul suo letto, scostando un po’ di vestiti accumulati, borse e accessori vari.
    «Non mi piacciono questi», disse strattonandosi le maniche a sbuffo bianche che effettivamente erano poco in tema con il vestito.
    «Tagliale», suggerì.
    Ci pensò specchiandosi e tirandosi indietro i capelli troppo gonfi. Sfilò le braccia dalle maniche e le nascose dentro il corpetto. «Mi sa di sì», rifletté. «Mi passi le forbici?».
    Matteo obbedì e la osservò tagliare con attenzione davanti.
    «Mi aiuti dietro?».
    «E lo sapevo».
    Mary rise e si tirò avanti i capelli. «Oh, stai attento!», lo ammonì.
    Non le rispose nemmeno, tese la stoffa e tagliò sperando di non prendere qualche cucitura. «Meglio?», chiese mostrandole i due lembi di stoffa bianca che gli erano rimasti in mano.
    Mary si studiò e si aggiustò allo specchio: si girò di profilo e si passò le mani tra i capelli, muovendoli e allisciandoli per capire come stavano meglio. «Direi di sì. Quell’affare si è asciugato?», domandò a Matteo osservando il suo riflesso nello specchio.
    Lui sollevò la mano e si toccò la guancia. «Pare di sì».
    «Allora lo trucchiamo», decise. «Tu lo volevi tagliare, vero?».
    Annuì. «E dentro ci metto il sangue finto di Stefano».
    «Okay». Mary prese il tubetto di sangue finto e si diresse di nuovo in cucina, seguita da Matteo. «Ma la prende lui stasera la macchina?», chiese lasciando trasparire il suo malcontento.
    Matteo sbuffò immaginando di già come sarebbe andata a finire: a Mary non piaceva andare in macchina con Stefano, non gli piaceva avere orari e lui ne aveva anche troppi.
    «Che palle che sei», sbottò, si sedette sulla sedia di fronte a lei ed allargò automaticamente le gambe per farle posto.
    Lei si accomodò sorridente e contenta, si sporse fino ad appoggiarsi con le ginocchia, poi lo tirò per un lembo della camicia. «Non ci arrivo», si giustificò. Prese le forbici e le avvicinò pericolosamente alla guancia, seppur coperta di strati di colla e carta igienica, di Matteo.
    «Mary, attenzione».
    «Basta, che stai fermo!», lo rassicurò.
    Lui si appoggiò con le mani al bordo della sedia dove stava seduta Mary; strizzò gli occhi quando lei iniziò ad infilare la punta delle forbici sotto il sottile strato posticcio.
    «Fatto!», esclamò soddisfatta. Gli prese il viso per il mento, rigirandolo per studiarlo da più angolazioni. «No, non ti ho fatto niente!».
    «Avevi dubbi?!», sbottò.
    «Secondo me Emma sbaglia», disse Mary di botto. «Non credo che cambierebbe niente se anche ci baciassimo».
    «Ormai no», Matteo si strinse nelle spalle, fingendo di non sapere quanto spesso quel discorso affiorasse nelle loro conversazioni. «Siamo troppo appiccicati».
    «Eh, infatti», annuì decisa. «È che lei si è fissata così».
    Per un po’ rimasero zitti tutti e due, per essere tanto convinti, sembravano un po’ troppo pensierosi.
    «Dovresti dire a Giulia dove siamo stasera, così magari ci raggiunge».
    Matteo la guardò. «Così poi magari decide che me la dà ed io devo portare a casa a te, no?».
    Mary scoppiò a ridere.
    «Il nostro rapporto sarebbe compromesso per sempre!», la prese in giro.
    «E poi dopo c’è Lucia che la fissa».
    «Vero», concordò.
    Mary prese il fondotinta e lo usò per coprire la carta più evidente, prima di passare al sangue finto. Matteo pensò che aveva chiesto ad Emma se era ancora convinta della sua scommessa, si era proposto di offrirle un’uscita cortese: aveva rifiutato, era ancora convinta.
    Mary aveva ragione, non sarebbe cambiato niente.
    Però pensò anche che a lui non avrebbe fatto impressione.


Venerdì 24.10
h. 23:42

«Stasera non c’è Chiara?», domandò Emma a Matteo mentre, dopo aver parcheggiato la macchina, stavano camminando verso il Cool per raggiungere Mary, Luca, Stefano e Giorgio.
    «Chi è Chiara?».
    «Non si chiama Chiara?».
    «Giulia», la corresse Matteo alzando gli occhi al cielo. «Perché non ti ricordi mai?».
    Emma scrollò le spalle.
    «Non le ho detto niente, stasera mi andava di stare con voi, poi la Mary mi manca».
    Emma si fermò in mezzo alla strada ed incrociò le braccia sul petto, metà frustrata e metà indispettita. Matteo fece un altro paio di passi prima di fermarsi e voltarsi a metà a guardarla. «Che c’è?», chiese confuso.
    «C’è che è la seconda volta che io faccio questo discorso!», sbottò. «Perché?!».


Sabato 1.11
h. 02:45

Se anche glielo avessero chiesto, se anche avesse provato a pensarci, Mary non avrebbe saputo spiegare né come né perché. Ricordava la canzone che c’era quando era successo però, anche se non conosceva il titolo; ricordava di aver avuto caldo, ricordava di essersi anche preoccupata che il suo fantastico trucco sbavasse e finisse ovunque; ricordava di aver guardato Matteo ed essersi accorta che, come aveva giustamente previsto, il finto taglio si stava staccando.
    Era stata tanto previdente da portarsi il rossetto, il fondotinta, la matita, tre paia di scarpe di scorta, ma certo non aveva preso un rotolo di carta igienica e la colla.
    Gli si era avvicinata e si era allungata sulle punte per arrivare a parlargli all’orecchio, era alto anche quando lei aveva i tacchi. «Perdi pezzi», aveva urlato vicino al suo viso per farsi sentire.
    Era un po’ ubriaca, non tanto da perdere cognizione di sé, però aveva quella confusione in testa che la portava ad essere un po’ goffa e scoordinata; quindi non era proprio, proprio sicura di aver urlato tanto forte, la voce le rimbombava nella mente e le sembrava di gridare anche quando pensava soltanto.
    Matteo non si toccò il viso come aveva pensato che facesse, si chinò su di lei con una smorfia incerta ed immaginò di dover ripetere.
    «Ti si sta staccando la faccia», disse e per sottolineare il concetto sollevò la mano tirando, il più delicatamente possibile, la ferita posticcia.
    «Cazzo».
    Matteo odorava di fumo e per un attimo Mary pensò soltanto al fatto che fosse andato a fumare senza di lei e che quindi non le aveva lasciato il solito ultimo tiro – che poi era sempre mezza sigaretta.
    «Sei andato a fumare senza di me», lo rimproverò.
    Matteo rise. «Mica ti dovevo chiedere il permesso! Scusa, se per una volta ho fumato tutta una sigaretta», la prese in giro.
    Il problema, avrebbe riflettuto poi Mary, era che non avevano più la cognizione di distanza adeguata. Erano troppo vicini anche in quel momento, se ci fosse stata Giulia si sarebbe arrabbiata sicuramente, però se ci fosse stata Giulia lei non si sarebbe avvicinata così tanto, nemmeno lui.
    L’avrebbe chiamata dopo e le avrebbe raccontato quello che era successo.
    Mary sapeva che la sua espressione stava cambiando, lo sentiva, ma non poteva farci niente. Dopo una relazione definitivamente sbagliata si era appoggiata a lui, senza chiedersi se fosse giusto, se ci fosse altro, cosa sarebbe successo nel futuro: lo sapeva, ma non voleva pensarci. Aveva passato un intero anno senza porsi tutte le domande che Emma le suggeriva subdolamente un giorno sì e uno no.
    La realtà era che aveva paura.
    «Che hai?», le chiese Matteo.
    Paura. Avrebbe voluto allontanarsi, anche da lui; avrebbe voluto incontrare qualcuno di così interessante da volerlo conoscere, da volerci passare del tempo, da non farle pesare in ogni momento che si divertiva di più con Matteo. Se fosse stata più onesta sarebbe stato quello che avrebbe detto giorni prima ad Emma, quando le aveva confessato di essere giù.
    «Niente». Si era stretta nelle spalle ed aveva smesso di guardarlo negli occhi per concentrarsi sulla finta pelle che stava perdendo, un’ottima scusa in quel momento. «Se vuoi ci possiamo mettere il mio lucidalabbra, è bello appiccicoso», suggerì.
    Matteo la prese per mano e la guidò in mezzo alla folla fino al corridoio che portava ai bagni.
    Mary si mise da una parte poco affollata ed aprì la sua borsa, iniziò a tirare fuori un assortimento improbabile di cose che non le sarebbero mai potute servire per un serata del genere, passandole una dopo l’altra a Matteo perché le tenesse. Ovviamente il lucidalabbra era in fondo.
    Matteo lo studiò. «Ma è fucsia!», obbiettò.
    «Questo c’è».
    «Va beh».
    Aspettò che salisse su uno scalino prima di avvicinarsi ed abbassarsi un pochino, per permetterle di arrivarci.
    «Accendi il cellulare che non ci vedo».
    Obbedì e si puntò il flash del telefono al viso, per un attimo la luce la abbagliò, tanto che quando fece per avvicinarsi quasi traballò. Si aggrappò al braccio di Matteo per ritrovare l’equilibrio.
    Premette il tubetto del lucidalabbra per spremersi sul dito una goccia abbondante di prodotto che poi mise dietro la pelle finta; premette tutto il palmo contro la sua guancia in modo da dargli una maggiore aderenza.     Il lucidalabbra di troppo uscì e le impiastricciò la mano, se la pulì sulle calze e realizzò anche di avere una smagliatura. Fantastico, se ne voleva andare.
    «Grazie!», urlò Matteo ed allungò le braccia verso di lei per abbracciarla. Gli andò incontro per ricambiare, Matteo era così magro che sentiva sotto i palmi le scapole e la forma della cassa toracica. La pelle dove i lembi della camicia tagliata lo scoprivano.
    Matteo le schioccò un bacio tra i capelli come sempre, prima di allontanarsi.
    «Pensi che dovremmo provarci?», disse prima che fosse troppo lontano. Non urlò, la piccola parte lucida di lei sperava che non avesse sentito.
    «A fare che?».
    Non aveva il coraggio di dirlo: Emma gli aveva scombinato il cervello, era ubriaca, era un po’ triste perché nemmeno quella sera aveva incontrato nessuno che le piacesse.
    «Così Emma la pianterebbe e ti offrirebbe la cena».
    Mary vide il momento esatto in cui quel concetto divenne sensato nel cervello di Matteo, perché i suoi occhi si ingrandirono leggermente e sul suo viso passò qualcosa che somigliava vagamente alla preoccupazione.
    «La conosci: direbbe che non ci siamo impegnati, che è stata una cosa macchinosa, che siamo testardi ed abbiamo deciso di darle torto».
    Mary sorrise, sollevata, era vero: non sarebbe cambiato niente ed Emma avrebbe detto chissà cosa.
    Annuì e scese dallo scalino, si aggrappò al braccio di Matteo per non cadere dai tacchi.
    Si incamminarono verso gli altri attraversando la pista, Mary non si voltò mai a controllare, ma Matteo la seguiva. Le bussò sulla spalla prima che li raggiungessero.
    Mary si voltò, lui le posò una mano sulla spalla, si chinò su di lei e la baciò. Meno di un attimo, veloce come se le stesse baciando una guancia. Ma quando si allontanò Mary aveva gli occhi sgranati e le sopracciglia sollevate, lo fissava immobile come una statua di sale.


Domenica 25.10
h. 23:57

«Non riuscirei ad andarci a letto, è un amico».
    Emma sbadigliò. «Nemmeno lo baceresti? Non ci credo». Accostò davanti a casa di Mary e si voltò a salutarla. Lei però non si era mossa, aveva ancora la cintura di sicurezza addosso e fissava il parabrezza come se ci fosse scritta la storia della sua vita. Era sporco, ma non c’era scritto niente.
    «Lo bacerei».
    Emma tirò il freno a mano e spense il motore.
    «Davvero?», le chiese, stavolta comprensiva e paziente.
    «Penso di sì». Fece una smorfia. «Anche se non è il mio tipo».
    «No, certo», confermò Emma sorridendo, intuendo che non fosse il momento migliore per contraddirla.


Sabato 1.11
h. 4:05

Matteo parcheggiò sotto casa di Mary, non pensò nemmeno di andarsene subito: tirò il freno a mano e spense il motore. Mary si era fatta incartare un pezzo di pizza nel bar dove si erano fermati dopo la discoteca e la stava ancora mangiucchiando un morsetto per volta.
    «Me la dai un pezzetto?».
    Mary gli porse l’incarto.
    «Emma torna domenica», disse. «Le ho mandato un messaggio prima».
    «Gli hai detto che è successo?».
    Mary rise. «No», lo guardò. «Quando torna».
    Matteo fissò il parabrezza c’era qualcosa di strano in quel discorso, di sbagliato. Lì per lì, quando aveva deciso che in fondo un bacio se lo potevano pure dare, non sarebbe cambiato nulla, non ci aveva pensato più di tanto. Due settimane prima perfino Luca l’aveva baciata a tradimento e non era cambiato proprio niente, con lui non sarebbe stato diverso. Ora almeno sapeva che Emma aveva definitivamente torto. Si era tolto un peso dalla coscienza.
    Erano ancora lì, sulla sua macchina a chiacchierare, esattamente come avevano fatto durante tutto l’ultimo anno. Non c’era assolutamente niente di diverso.
    Sapeva che sapore aveva però, il suo lucidalabbra gli era rimasto appiccicato alla bocca, ma se si fosse leccato la roba che aveva sotto la ferita finta sarebbe stata la stessa cosa.
    Sapeva che consistenza aveva e quello avrebbe potuto scoprirlo solo baciandola.
    «Che facciamo domani?». Aveva un tarlo che gli rosicchiava il cervello, un tarlo che si chiamava Emma.
    «Boh, ci penseremo domani».
    Scoprì di non sapere come salutarla, in genere si davano un bacino sulla guancia e l’abbraccio della buonanotte, oppure se Mary era giù gli chiedeva due coccole.
    Quando lei si sporse per salutarlo, le andò incontro e la baciò. Di nuovo.


Domenica 2.11
h. 20:47

«Insomma vi siete divertiti ad Halloween?», chiese Emma innocente e sorridente, il viso appoggiato alla mano.
    Lucia iniziò a raccontare, ma Emma continuò a guardare Mary e Matteo che non dissero niente, si limitarono a ricambiare il suo sguardo in silenzio.


Sabato 1.11
h. 4:16

Matteo non lo sapeva, semplicemente.
    Non sapeva perché aveva salito le scale che portavano all’appartamento di Mary insieme a lei, non sapeva nemmeno perché non le stesse chiedendo se c’erano i suoi in casa – stava sperando che non ci fossero, sarebbe stato poco carino; gli rimaneva complicato perfino capire, come era successo che si era ritrovato la lingua di Mary in bocca. Con la propria, cazzo.
    Erano entrati a casa, Mary si era voltata e si era allungata dietro di lui per inchiavare la porta. Lui le aveva preso il viso tra le mani e l’aveva baciata di nuovo, tanto a quel punto farsi domande sarebbe stato del tutto inutile e piuttosto frustrante.
    Mary non si era ritirata, forse anche lei si era arresa.
    Il giorno dopo avrebbero dato la colpa all’alcol – lui era sobrio – la solitudine – lui aveva una tipa – Emma – che non c’era: una scusa l’avrebbero trovata.
    Perciò spense il cervello e basta, seguì Mary nella sua stanza intrecciando le gambe con i suoi ad ogni passo, per non allontanarsi. Fu lei a cercare le sue mani e stringerle, come se dovessero farsi forza l’uno nell’altra per andare avanti, come se non ci sarebbe riuscita da sola, come se tutto quello la spaventasse a morte.
    Si aspettava che da un secondo all’altro lei si ritirasse, lo allontanasse, gli chiedesse imbarazzata cosa stessero facendo. Mary non fece niente di tutto questo.
    Matteo lasciò la sua mano per aggrapparsi allo stipite della porta della sua camera, si fermò e tirò indietro il viso. Aprì gli occhi per guardarla, quasi avesse potuto scoprire che fosse un’altra: un’altra persona, un altro bacio, un’altra cosa.
    Invece era Mary, con gli occhi castani ed i capelli gonfi, con lo stesso vestito bizzarro che aveva quando erano usciti di casa. Ad un certo punto non sapeva più dove stavano andando, non sapeva nemmeno quando erano partiti.
    Mary si sedette sul suo letto e lo guardò, aveva le labbra gonfie di baci dati e non dati. Sembrò pensarci, poi allungò le braccia verso di lui e piegò leggermente la testa di lato. «Coccoline?», chiese quasi timida.
    Matteo rise, entrò nella sua camera e si chiuse la porta alle spalle.


Domenica 2.11
h. 21:03

Emma si avvicinò alla cassa e tirò fuori il proprio portafogli per pagare, ma Matteo si mise in mezzo.
    «Che hai preso?», le chiese.
    «Un pezzo di pizza mista, una rossa ed una bottiglietta d’acqua».
    «Pago io», disse solo.
    Emma fece un passo indietro, non commentò ma sorrise.



Nda
Spero che vi sia piaciuta. Nonostante mi ispiri sempre a cose che succedono intorno a me è la prima volta che la realtà è così presente nella mia vita, quindi è un esperimento: ditemi voi se è riuscito o meno.
Non chiedetemi niente però.
Ho scoperto di avere un’etica nel momento meno opportuno e questo mi ha portato a non calcare troppo la mano sui dettagli spinti ed a giurare di non rivelare mai, a nessuno, nemmeno ai protagonisti quale parti sono veramente accadute e quali mi sono inventata io!
Beh, che dire, anche se so che di Halloween in questa storia c’è davvero poco… buon Halloween!
baci
   
 
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: fragolottina