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Autore: Elena Waters    31/10/2014    26 recensioni
Arina, giovane principessa del regno di Ferais, ha finalmente raggiunto la maggiore età: amata e rispettata da tutti, si appresta a donare al suo popolo una nuova epoca di pace e prosperità. Tuttavia, una donna trama nell'ombra, mossa dall'odio e dalla sete di giustizia: Arina non è la vera erede al trono.
Ogni traccia dell’evanescente gioia che aveva provato le si spense nel cuore: la giovane donna che scendeva con grazia la scalinata, indossando un abito troppo voluminoso per la sua figura minuta, era colei che le aveva rovinato la vita, rubandole il posto che le spettava per diritto di nascita.
Storia partecipante al contest "Peppa in reverse" di Giuns.
Storia partecipante al contest "Di peccati e angeli caduti" di Aduial95.
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questione di sangue



 




Storia partecipante al contest Peppa in reverse di Giuns


Storia partecipante al contest Di peccati e angeli caduti di Aduial95



 
 
Gli abeti che costeggiavano il sentiero si stagliavano contro il cielo appena arrossato e coperto di nubi sottili, lo stesso cielo gelido e distante che sovrastava le valli e l’altura su cui sorgeva il palazzo reale, splendido e malinconico teatro dei suoi ultimi anni. Immaginava i servitori correre senza posa, Arina trattenersi lo scialle di seta sollevato dalla brezza serale e dare ordini a tutti, gli occhi cerchiati di sonno e la voce roca per il tanto gridare.
L’unico affanno di Roxane era pensare all’indomani, mentre si beava della vista dal sentiero coperto di foglie ingiallite che svaniva nel fitto della foresta, degli alberi carichi di frutti e dei passeri che saltellavano di ramo in ramo, nell’aria pungente della sera. Una folata improvvisa la raggiunse e le diede i brividi; Roxane si scostò dalla finestra, stretta nel mantello di lana scura. Aidan l’attendeva sulla soglia.
«Mia signora, possiamo andare?»
Roxane si spostò i capelli scompigliati dal viso e gli sorrise.
Scesero nel salone e l'oste li accompagnò al loro tavolo, apparecchiato con il servizio migliore della locanda e ornato di frutta fresca e fiori, che empivano l’aria di un profumo dolciastro. Roxane si rigirò tra le dita un coltello di argento opaco, storcendo il naso. Aidan era convinto che si sarebbe lasciata andare a un commento pieno di disprezzo, ma lei tacque e sorrise all'oste quando questi portò in tavola le vivande e versò loro il vino. Roxane si portò il calice alle labbra; bevve e, per un istante, si lasciò distrarre dalla propria immagine riflessa nel liquido rosso come il sangue.
«Qualcosa vi turba, mia signora?» Aidan sgranò gli occhi, un'ombra di preoccupazione era calata sul suo volto. Roxane sussultò e appoggiò il bicchiere, con un sorriso smagliante sulle labbra. «Niente affatto. Anzi, ho una splendida notizia da darti». Lui inarcò un sopracciglio. «Di cosa si tratta?»
Roxane gli fece cenno di avvicinarsi e si guardò attorno: tutti gli altri ospiti erano intenti in conversazioni chiassose e vivaci. «Domani sera sarai il mio cavaliere», sussurrò.
Aidan la fissò interdetto, gli occhi azzurri sbarrati per la sorpresa. Prima che potesse ritrarsi, lei lo trattenne per un braccio e gli appoggiò un dito sulle labbra umide.
 
Roxane uscì dalla stanza da bagno, avvolta in una nuvola di vapore caldo. Senza degnare di uno sguardo Aidan, che aveva messo da parte tutte le loro cose e stava per chiudere i bauli da viaggio, si sedette davanti allo specchio e iniziò a spazzolarsi i capelli, canticchiando tra sé e sé una nenia che ricordava sin dall’infanzia e che, per raffinatezza e malinconia, tanto contrastava con i canti di gioia e le ballate in onore dell’incoronazione della principessa che risuonavano nelle strade delle città e nelle valli del regno da giorni.
«Com’è possibile che sia stato invitato?» Lei tacque e si voltò a guardarlo negli occhi; provò quasi tenerezza per la sua espressione stupita, per la sua ingenuità. «Non sei stato invitato, infatti».
Ripose la spazzola e aprì il suo baule da viaggio; dopo averlo svuotato di tutto il suo contenuto, davanti all’espressione sbigottita di Aidan, sollevò il doppio fondo ed estrasse un elegantissimo abito da cerimonia. Quando l’ebbe tra le mani per indossarlo, Aidan ne poté senza difficoltà constatare la splendida fattura; la pregiatezza del tessuto e la cura posta in ogni decorazione, nell’intreccio di fili dorati che dava vita al motivo della stoffa, lo spiazzava[1].
Roxane gli sistemò la giacca sul petto, ridendo soddisfatta, infine gli adagiò sul volto una maschera finemente decorata e gliela legò dietro la testa.
«Ho convinto Arina ad organizzare un ballo in maschera per la festa in suo onore». Gli ravviò i capelli chiari, scoprendogli il viso. «Vestito così potrai accompagnarmi senza che nessuno ti riconosca».
Aidan si avvicinò allo specchio e dovette sorreggersi al tavolo della toletta, tanta fu la sorpresa di vedersi vestito come un gentiluomo: un gentiluomo vero, non un semplice servo destinato ad accompagnare una dama d’alto lignaggio. «Perché desiderate che io venga?»
«Ha forse importanza?» Gli prese il viso tra le mani, sorridendo al pensiero che bastasse quel tocco innocente, una lieve carezza delle sue dita, a tingergli le gote di rosso e a riempirgli gli occhi di desiderio. «Non sei felice che te l’abbia chiesto?»
Gli sfiorò il viso, poi scese lentamente sul collo e sulle spalle e si soffermò sul bordo della giacca.
«Credo che un fiore all’occhiello sarebbe l’ideale. Cambiati e prendi una candela, vorrei andare nella foresta a cercare qualcosa di adatto».
Aidan sentì il respiro mozzarsi per la sorpresa, ma non proferì parola: non c'era nulla che potesse distoglierla dai suoi propositi. Adagiò la maschera su una panca di legno e la seguì nella notte; brividi di terrore gli corsero lungo la schiena, quando lei si allontanò dal sentiero principale per addentrarsi nel fitto del bosco. Tutto era coperto di una nebbia fine, che si attaccava alla pelle e alle vesti e formava un alone attorno alla luce della candela; gli uccelli notturni empivano l’aria di lamenti lugubri e di tanto in tanto si udiva qualche animale selvatico scalpitare sull’erba fresca e impregnata di rugiada. Roxane si arrestò soltanto quando giunsero in una radura immersa nell’oscurità. In mezzo al muschio selvatico sbocciavano dei fiori con cinque petali vermigli, striati di viola scuro sui bordi; appena sotto quei petali, si nascondevano delle piccole bacche scure. Roxane estrasse un falcetto d’argento dalla tasca interna del mantello, ne recise uno e lo porse ad Aidan.
«È meraviglioso, non è vero?» Gli rivolse il più dolce dei suoi sorrisi, i suoi occhi brillavano di una luce intensa e maliziosa. «Sta’ attento a non schiacciare le bacche».

Roxane sognò i bracieri ardenti disposti attorno allo spiazzo di pietra, sognò le enormi tavole imbandite, la musica e le danze che avrebbero accompagnato la festa, la notte satura di colori ed esplosioni assordanti, gli sfavillanti gioielli delle dame e le gemme incastonate nella tiara di Arina, sostituita in un turbinio di voci indistinte da una corona regale. Sognò sua madre, come ogni notte; sognò sua madre che le diceva la verità, in una notte gelida e pervasa dal terrore di essere scoperte: una verità che avrebbe potuto sconvolgere la sua vita e cambiare le sorti del regno per sempre.
Si sentì scuotere: Aidan l’aveva afferrata per una spalla. «Vi sentite bene, mia signora? Vi siete agitata per tutto il viaggio e avete gridato». Il suo viso era contratto per l’inquietudine. Roxane sospirò, passandosi una mano tra i capelli, la vista ancora sfocata per il sonno.
«Va tutto bene, Aidan. È stato soltanto un incubo». Si rilassò e guardò fuori: erano ormai giunti a valle e tutta la campagna era immersa nella luce dorata del pomeriggio. Roxane strinse i pugni e prese a torturarsi le dita. La carrozza scivolò nel cortile, in mezzo ai servitori che ancora correvano in ogni direzione per ultimare i preparativi, gridandosi istruzioni da un lato all’altro dello spiazzo. Aidan aiutò Roxane a scendere e l’accompagnò nelle sue stanze, un sorriso estatico stampato sulle labbra. Il braccio del giovane tremava sotto il suo, Roxane poteva sentirlo con chiarezza; ogni fibra del suo corpo era pervasa dall’esaltazione e fremeva per l’impazienza e Roxane si rese conto anche di questo. Lei stessa si sentiva sul punto di tremare, ma per ragioni più profonde, più tristi. Si sforzò di sorridergli, prima di sparire nelle sue stanze.
La vasca da bagno era già pronta; si immerse nell’acqua tiepida, respirando di sollievo per la sensazione di pulizia e di freschezza dopo quel lungo viaggio. Lasciò che le ancelle le pettinassero i capelli e che la profumassero, ma al momento di vestirsi le congedò: l’abito che si era fatta confezionare era troppo pregiato per correre il rischio che delle mani rozze ed inesperte lo rovinassero.
Aprì il baule da viaggio ed estrasse un abito di seta blu: era stato quello il motivo del suo viaggio, aveva voluto che fosse realizzato a casa sua, lontano dagli occhi del resto della corte, nonostante Arina avesse insistito molto perché restasse. Roxane rise al pensiero delle suppliche di sua cugina; non importava che neanche un mese prima le avesse permesso di congedarsi per svariati giorni, né che la sua presenza a corte fosse importantissima, soprattutto in un frangente simile, né che Arina fosse costretta ogni volta ad enormi sacrifici per rimediare alle sue assenze, senza mai rimproverarla per la sua negligenza.
Accarezzò la seta del vestito, liscia come acqua. Era di un blu molto profondo, che sembrava assorbire tutta la luce circostante, eccetto che per gli splendidi zaffiri che ornavano il corpetto e il bordo della gonna; sulla parte superiore era stato applicato un drappo di seta più sottile, scurissimo eppure trasparente, che dalle spalle scivolava sino a terra e si apriva in un ampio strascico. Indossò la maschera e si guardò allo specchio; una leggera malinconia la pervase, alla vista del suo riflesso: era triste e così irritante dover indossare un abito tanto maestoso per assistere al trionfo di sua cugina.
Roxane l’aveva odiata sin dal loro primo incontro: aveva odiato i capelli dorati che le sobbalzavano sulle spalle ad ogni passo impettito, gli occhi azzurri costantemente spalancati in un’espressione stolida, le labbra rosee incurvate nel più ingenuo e irritante dei sorrisi. Erano soltanto due ragazze, allora, due ragazze rimaste orfane di padre nello stesso giorno e per la stessa causa: Re Herion e suo fratello, Gewerad, erano partiti per una missione diplomatica che non aveva visto tornare indietro nessuno dei due. Arina era stanca di vivere nella solitudine e nella malinconia e per questo aveva richiesto la presenza di sua cugina a corte, anche se non l'aveva mai conosciuta; non correva buon sangue tra le due famiglie, dal momento che il re aveva scoperto che Dama Ender, la madre di Roxane, amava suo fratello Gewerad e probabilmente aspettava un figlio da lui. Erano stati scacciati entrambi dalla corte e si erano sposati, disprezzati e invisi a tutti.
Roxane aveva pianto e urlato a quella notizia, ma per la prima volta nella sua vita i capricci non erano serviti a nulla e si era ritrovata costretta a fare ciò che le era stato ordinato: avrebbe fatto parte della corte di una ragazzina di quattordici anni e avrebbe seguito ogni suo passo, ascoltato ogni sua confidenza e asciugato ogni sua stupida e inutile lacrima. Ormai erano passati sei anni da quel giorno, ma nel cuore di Roxane la fiamma dell’odio per Arina non si era mai estinta e, quella sera, ardeva più che mai.
 
Il sole era quasi sotto la linea dell’orizzonte, quando Roxane lasciò le sue stanze. Aidan, che sino a quel momento l’aveva attesa appoggiato sgraziatamente a una colonna, torturandosi le dita, si ricompose e le sorrise. Roxane sorrise a sua volta e scosse la testa quando gli passò davanti.
«Se ti muovi in questo modo ti scopriranno immediatamente», gli sussurrò.
«Non farò passi falsi, ve lo prometto». Lei gli sistemò il fiore all’occhiello, accarezzando lentamente le bacche scure, nascoste dai petali.
«Sono qui per voi», riprese Aidan. «Andrà tutto bene». Roxane gli afferrò la mano. «Stammi vicino, stasera: sempre».
Raggiunsero la terrazza che dominava il cortile principale e, prima di scendere la scalinata, Roxane trattenne Aidan per un braccio e rallentò il passo. Il suo respiro si fece affannoso alla vista dello spiazzo brulicante di cortigiani e dame agghindate che volteggiavano in cerchio, tra le lunghe tavole imbandite e avvolte in tovaglie di lino bianco, che scivolavano in morbide pieghe sulla pietra gelida; le fiamme ardevano alte nei bracieri e danzavano nel vento autunnale, stagliandosi contro il cielo freddo e striato di nubi sottili, tinte dalle luci del crepuscolo.
Roxane scambiò dei frettolosi saluti con i suoi conoscenti più cari a corte e si unì alle danze insieme ad Aidan; il suono dei canti di festa si sovrapponeva al frusciare delle foglie aride sui rami degli alberi, allo stormire dei venti occidentali che spazzavano con violenza tutta la valle. Arina aveva desiderato a tutti i costi festeggiare il suo compleanno come se fosse avvenuto in estate - amava le danze sotto le stelle più di qualsiasi altra cosa e, anni prima, aveva confidato a Roxane di invidiarla per il suo essere nata durante la mietitura del grano, nella stagione delle feste del raccolto e delle lucciole che allietavano le notti nei campi.
Roxane si lasciava cullare tra le braccia di Aidan, nel vortice di luci e colori delle fiamme e delle vesti degli altri cortigiani, che dettavano loro il ritmo delle danze. Non badava a loro, né all’imminente momento che avrebbe determinato la sorte sua e del resto del regno, di tutti quei fantocci che adesso li spingevano a rincorrersi in un cerchio senza fine: l’unica cosa su cui la sua mente riuscisse a concentrarsi era il viso di Aidan, il sorriso innocente che gli schiudeva le labbra e gli occhi azzurri che brillavano dietro la maschera. Ora la teneva per mano, ora le cingeva la vita per sollevarla, ora l’era alle spalle e le faceva scivolare le lunghe dita sulle spalle e le braccia nude, lasciandole una scia di calore sulla pelle accapponata.
Gli sorrideva a sua volta; gli sguardi che gli scagliava da sotto le ciglia scure erano colmi dello stesso desiderio, della stessa felicità.
La musica si arrestò e Roxane si sentì il sangue gelare nelle vene. Tutto sembrava essersi paralizzato, quando il suono delle fanfare iniziò a riecheggiare nell’aria della sera: il sole era tramontato e la futura regina poteva finalmente unirsi ai festeggiamenti. Ogni traccia dell’evanescente gioia che aveva provato le si spense nel cuore: la giovane donna che scendeva con grazia la scalinata, indossando un abito troppo voluminoso per la sua figura minuta, era colei che le aveva rovinato la vita, rubandole il posto che le spettava per diritto di nascita. Fu accolta con scroscianti applausi e grida adulanti: tutti l’amavano, tutti provavano per lei un rispetto di cui Roxane, per via degli errori di sua madre, mai e poi mai sarebbe stata ritenuta degna.
Eppure, quando la vide, Arina corse verso di lei e le gettò le braccia al collo, incurante del resto della folla.
«Cara cugina, come mi siete mancata!» Due leggere fossette le solcarono il viso, mentre si faceva scivolare tra le dita sottili il mantello di seta. «Sapete, ero contraria alla vostra partenza, ma per farvi confezionare un abito tanto meraviglioso n’è valsa la pena! Sono molto contenta di vedervi così raggiante oggi, è il giorno più importante della mia vita». Roxane le rivolse un sorriso imbarazzato.
«Non avevo dubbi, ero convinta che vi sarebbe piaciuto», rispose Roxane, con il tono più freddo e grave che la sua voce potesse permettere. «Anche il vostro sarebbe stato altrettanto bello, se aveste avuto a disposizione dei sarti capaci come i miei». Arina non rispose alla provocazione: probabilmente non l'aveva neanche notata.
«La prossima volta commissionerete loro qualcosa per me, vero? Ve ne sarei grata!» Spostò lo sguardo su Aidan. «E[2] il vostro cavaliere? L’avete conosciuto alla corte di vostra madre? Ditegli di togliersi la maschera, ve ne prego: desidererei tanto vedere il viso del primo uomo che mettete al vostro fianco per vostra scelta».
«Lo farei, cara cugina». Roxane ammiccò ad Aidan. «Ma così trasgredireste le stesse regole che avete imposto a noi invitati, non credete?»
Arina annuì. «Bene», riprese Roxane. «Ora vorrei tornare a danzare, se non vi spiace».
«Fate pure, Roxane». Arina le sorrise. «Davvero, sono molto felice per voi!»
Appena fu fuori dalla vista di sua cugina, Roxane sospirò.
«Qualcosa non va?», le chiese Aidan, quando ripresero a danzare. Lei scrollò le spalle e disse di no, era soltanto stanca per il viaggio e nervosa.
Non riuscì a danzare con la stessa serenità e scioltezza di prima; non riusciva a distogliere lo sguardo da Arina.
I suoi movimenti erano incerti, distratti, persino legnosi; se prima Aidan se la sentiva scivolare tra le dita come acqua, ora gli sembrava rigida e fredda come l’acciaio. Ad un tratto, Roxane si fermò del tutto, dopo aver eseguito svogliatamente l’ultima giravolta. Disse ad Aidan che era stanca e voleva bere qualcosa prima di riprendere a danzare. Si diressero verso il tavolo delle bevande e lo sguardo di Roxane immediatamente cadde sulla piccola fontana, costruita per l’occasione, che gorgogliava di vino scuro e fumante. Su un piccolo tavolino, proprio accanto a loro, si trovavano delle grandi ciotole piene di frutta di stagione tagliata a pezzi e immersa nel succo di agrumi.
«Desiderate del vino?», le chiese Aidan.
Roxane scosse la testa. «È bollente, e già mi sento accaldata per aver danzato così a lungo. Vi ringrazio».
Il suo tono sembrava così falso: non si era mai rivolta ad Aidan in quel modo.
Arina, che sino a quel momento si era soffermata a parlare con delle dame, si voltò nella loro direzione, raggiante.
«Roxane! Avete visto? Ho realizzato la vostra idea del vino bollente con la frutta di stagione. Tutti gli invitati ne sono entusiasti, e così io stessa. L’avete assaggiato?»
Roxane le sorrise freddamente. «È stato fatto un ottimo lavoro, avete ragione. Avrei tanto voluto provare anch’io, ma temo di essere indisposta, purtroppo. È tutto il giorno che mi sento poco bene».
Arina sgranò gli occhi e le afferrò le mani. «Oh, mi dispiace moltissimo. Se è così, fareste meglio ad evitare, rischiereste di sentirvi peggio».
Roxane fece spallucce. «Credo che abbiate ragione, tuttavia mi spiace vedervi delusa». Accarezzò il bordo della giacca di Aidan e il fiore che vi era incastrato, insistendo finché una delle bacche le scivolò tra le dita. «Ared, ve ne prego, prendete del vino per la nostra futura regina». Arina arrossì, quando udì Roxane chiamarla così per la prima volta. Roxane le strinse il polso con la mano libera e la condusse dolcemente più vicino al tavolo dove era disposta la frutta. «Sapete, se potessi assaggiare il vino, credo proprio che vi aggiungerei delle more selvatiche. Vi spiace?»
Roxane afferrò il calice bollente che Aidan porgeva ad Arina, sotto gli sguardi stupiti di entrambi, raccolse una manciata di more selvatiche dal cestino e la immerse nel vino, assieme alla bacca scura che aveva nascosto con tanta cura tra le dita. Porse la bevanda ad Arina. «Non sapete quanto vi invidi in questo momento, davvero», le disse, un sorriso incerto a distenderle parzialmente le labbra vermiglie. «Purtroppo adesso dobbiamo lasciarvi: è molto caldo e c’è molta gente e tutto questo non sembra lenire il mio malessere».
Arina le appoggiò una mano sulla spalla, comprensiva. «Ma certo, una passeggiata nel parco e un po’ d’aria fresca non potranno che giovarvi». Poi sorrise ad Aidan. «È stato un piacere incontrarvi, Messer Ared. Spero di rivedervi presto a corte».
Aidan le baciò la mano e svanì dietro a Roxane, che già lo precedeva di qualche metro. Quando si rese conto di averlo lasciato indietro si voltò e vide Arina che si portava il calice alla bocca. Aidan la raggiunse.
«Perdonami, credevo di soffocare in mezzo a tutte quelle persone».
Le afferrò le mani, facendole quasi male. «Non sapevo che foste malata, perché me l’avete nascosto?»
Roxane sospirò. «Non è nulla di grave, davvero. Facciamo una passeggiata nel parco, mi sentirò meglio».
«Non ne sono sicuro: questa mattina avete dormito quasi tutto il viaggio e avete anche urlato nel sonno. Temo che vogliate nascondermi qualcosa: cosa c’è che non va?»
Lei si divincolò dalla stretta. «Nulla, Aidan, davvero. Per favore, non tormentarmi con le tue preoccupazioni: domani starò meglio».
Aidan la guardò esterrefatto, mentre lei si addentrava nel parco senza guardarsi indietro. Il vento freddo le faceva ondeggiare la lunga veste da una parte e dall’altra e Roxane non si sentiva più le gambe, ma continuò a camminare come se nulla fosse, come se i vapori del vino non le avessero dato alla testa, come se non fosse stata sul punto di svenire.
Affrettò il passo, quando vide la grande fontana in lontananza: per un istante temette persino di non riuscire a raggiungerla. Si sedette sulla pietra liscia e si portò una mano al petto: aveva il fiato corto e sudava freddo. Immerse le mani nell’acqua con incredibile urgenza: si inumidì i polsi, la nuca e il viso e, mentre l’acqua le scorreva tra le dita e le lasciava macchie scure e fredde sull’abito, la sua mente tornò alle parole di Aidan e al sogno di quella mattina.
Erano passati più di tre anni dalla vigilia del suo ventesimo compleanno, ma Roxane non avrebbe mai dimenticato quel giorno. Avrebbe dovuto essere al settimo cielo: era a un passo dalla maggiore età, dalla possibilità di sposarsi e tornare finalmente a vivere a casa sua, lontana dalla corte e dalle altre dame di Arina. Tuttavia, uno strano malessere le aveva attanagliato le viscere per giorni; e tale malessere, all’arrivo di sua madre, si era persino aggravato. Era la prima volta che Dama Ender faceva ritorno, dopo lo scandalo che l’aveva scacciata dalla capitale, e vent’anni non sembravano aver lenito l’odio e il disprezzo che tutti provavano per lei; la regina reggente, Ylera, addirittura fuggiva disgustata quando la vedeva aggirarsi algida e sprezzante per i corridoi. Quei vent’anni l’avevano riempita di risentimento, di freddezza e di indifferenza, pertanto Ender non aveva esitato a rivelare a Roxane una verità sconcertante, che le avrebbe sconvolto la vita: il suo secondo marito, Gewerad, era sempre stato sterile.
Roxane non era più stata la stessa, dopo quella notte: aveva scacciato sua madre in malo modo, come se quell’unico inganno avesse obliterato diciassette anni di amore e di attenzioni; aveva fatto annullare i festeggiamenti in suo onore a un’ora dall’inizio della festa, per chiudersi nelle sue stanze e meditare vendetta. Aveva digiunato fino a ridursi allo sfinimento, ma non voleva ancora cedere, così una notte era sgattaiolata nelle cucine e, mentre frugava nelle dispense, era stata sorpresa da Aidan. Non lo conosceva ancora, ma il fatto che non avesse rivelato a nessuno quel piccolo segreto e che le avesse portato da mangiare di nascosto nei giorni seguenti gliel’aveva reso incredibilmente caro; Roxane sentiva di dovere a lui più che a chiunque altro e, una volta rientrata a corte, aveva licenziato il suo drappello di dame di compagnia e l’aveva preso al suo servizio, strappandolo dalle cucine sotto gli sguardi esterrefatti di tutto il palazzo.
«Mia signora!» Aidan l’afferrò per le braccia e Roxane sollevò la testa e lo guardò negli occhi, pallida come uno spettro. «Che cosa vi succede? Perché avete corso? Se mi aveste detto che stavate così male, vi avrei portato io l’acqua, vi avrei portata di peso sino alla fontana, se fosse stato necessario! Perché continuate a mentirmi e a mettervi in pericolo?»
Roxane lo abbracciò, con le lacrime agli occhi: il sangue stava tornando a scorrere normalmente e le indolenziva le membra. Se quello era stato l’effetto del veleno su di lei, che l’aveva inalato soltanto per pochi istanti, quanto velocemente avrebbe portato Arina alla morte?
Percepì le grida prima ancora di poterle udire davvero; Aidan la sostenne e tornarono nel cortile, quasi correndo.
I medici di corte sgomitavano in mezzo ai cortigiani, intimando loro di fare largo; quando la folla si dileguò, esterrefatta, Roxane poté chiaramente vedere sua cugina riversa a terra, con la veste spiegazzata e la pelle cianotica. La regina reggente urlava e singhiozzava, tentando di gettarsi sul corpo della figlia, ma uno dei medici la bloccò e l’affidò a Roxane, mentre gli altri sollevavano la ragazza e la portavano via.
Roxane lanciò uno sguardo disperato ad Aidan, che si dileguò: la regina madre singhiozzava tra le sue braccia, il volto ridotto a una maschera di dolore. Per il cortile si diffuse un brusio dapprima sommesso, poi sempre più sfacciato.
«Non avete nulla da fare qui», gridò Roxane. «Tornate nelle vostre stanze: la vostra regina vuole essere lasciata sola!»
Tutti la guardarono interdetti, ma infine lasciarono il cortile. Roxane fece sedere Ylera, che delirava in preda al dolore, e le asciugò il viso e le lacrime. Le diede del vino per calmarla e l’accompagnò nelle sue stanze, dove l’affidò alle sue dame di compagnia e alle sue ancelle. Quando la porta le si chiuse alle spalle, sospirò di sollievo: certo non avrebbero potuto ritenerla una morte naturale, data la velocità con cui il veleno aveva ucciso Arina, ma era quasi impossibile che risalissero a lei e Roxane, in un certo senso, era riuscita nel suo intento: la cerimonia per l’incoronazione di Arina avrebbe dovuto aver luogo il mese successivo e, se ella fosse morta dopo l’investitura, il regno sarebbe passato a sua madre, la sua parente più stretta. Tuttavia, Arina era morta senza corona: l’ultimo a sedere sul trono di Ferais era stato re Herion, e che fosse suo zio o suo padre a quel punto non aveva più importanza, perché era comunque lei la sua parente di sangue più stretta; era prossima in linea di successione.
Tornò nelle sue stanze cercando di apparire sconvolta ad Aidan, che l’attendeva, ma dentro si sentiva leggera e serena come in quei tre anni non era mai stata, avendo convissuto con la consapevolezza di quell’ingiustizia. Tuttavia, non fece in tempo a richiudersi la porta alle spalle che Aidan le fu addosso.
«Mia signora, ci avete messo tantissimo tempo a tornare. Mi sono preoccupato come mai in vita mia!»
Roxane sospirò, quasi divertita: lo prese per mano e lo spinse a sedersi. «È stata una lunga giornata». Esordì. «So che ti stai preoccupando perché temi mi abbia colta lo stesso male di Arina, ma sto benissimo. Si è trattato soltanto di un momento, mi sono ripresa subito!»
Ma Aidan non riusciva a calmarsi: schizzò in piedi e prese a vagare per tutta la stanza. «Non si tratta di questo, cosa avete capito?», gridò, afferrandola per le braccia. «Li ho sentiti, sapete». Abbassò la voce. «Ho sentito i magistrati: forse interrogheranno il giovane che danzava con la principessa in quel momento, solo per essere sicuri che sia innocente, ma sono quasi certi che dietro tutto questo ci siate voi e vogliono catturarvi e giustiziarvi!»
Roxane si sentì il sangue gelare nelle vene, le gambe molli. «Che cosa? Non è possibile, Aidan, eravamo anche lontani quando lei è morta, come possono credere che sia stata io?» Aidan la abbracciò e lei prese a singhiozzare, senza riuscire a fermarsi. «Sono innocente, tu lo sai», sussurrò tra le lacrime.
«Vi credo, mia signora. Ne sono convinto dal profondo dell’anima».
Roxane lo strinse più forte. «Ma loro non mi crederanno mai: se mi accusano in tale assenza di prove è perché mi vogliono morta, non perché io sia colpevole. Sanno che il trono spetta a me per diritto di sangue, ora, ma non vogliono lasciarmi il regno. Lo cederei a chiunque desiderino, ma non mi lascerebbero andare comunque: vogliono il mio sangue e l’estinzione della mia stirpe impura, mi vogliono morta, non importa cosa abbia fatto o cosa farò!»
«Potremmo fuggire, mia signora. Potremmo rubare dei cavalli e andarcene, questa stessa notte. Conosco dei passaggi segreti che portano alle stalle, non ci vedrà nessuno, ve lo prometto!»
Roxane si scostò da lui e scosse la testa «Non posso fuggire», sussurrò. «Se lo facessi, avrebbero una buona ragione di ritenermi colpevole. No, non possiamo fuggire: ci troverebbero e giustizierebbero entrambi, se accadesse!»
«Che cosa volete fare, allora? Non possiamo nemmeno attendere che vi catturino».
Roxane sospirò, con gli occhi pieni di lacrime. «Mi piange il cuore a chiederti questo, Aidan, eppure è l’unica via di uscita, per me. Accusati. Va’ da loro e accusati, di' che ti sei mischiato tra gli invitati e che l’hai uccisa tu!»
Aidan impallidì. «Farei qualsiasi cosa per voi, ma questo!»
Roxane prese a singhiozzare violentemente. «Ti supplico, Aidan! Io sono innocente: non posso morire per un crimine che non ho commesso e lasciare il trono senza un erede! Hai forse idea di ciò che accadrebbe se lo facessi? Non è solo per me, non ti chiederei mai di dare la tua vita, se fosse solo per me!»
Le prese il viso tra le mani e la guardò, un’ombra di terrore negli occhi azzurri. «Se è questo ciò che volete, lo farò».
Si tolse la giacca, aprì la porta e scomparve nel corridoio, lasciando Roxane sul letto, ansante.
Cercava di trovare una spiegazione nel profondo della propria anima per ciò che aveva fatto: il regno le spettava di diritto e se la vita di Aidan, nonostante fosse stato il suo unico vero amico, non valeva abbastanza di fronte a questa verità, perché desiderava rincorrerlo, fermarlo e accondiscendere al suo desiderio di fuggire? Lei non era stata mai leale, non aveva riconoscenza per niente e per nessuno. Fissò la giacca di seta abbandonata su una sedia e, in preda a un moto d’ira, si slegò la maschera che aveva ancora indosso e la scagliò a terra, singhiozzando. Avrebbe potuto ancora fermarlo: finché Aidan fosse restato in vita, aveva tempo per confessare le proprie colpe e metterlo in salvo. Tuttavia, Roxane sapeva che non l’avrebbe fatto, che non avrebbe avuto nemmeno il coraggio di recarsi nelle segrete per vederlo un’ultima volta o di assistere alla sua esecuzione. Non gli avrebbe concesso nemmeno quest’ultimo segno d’affetto.

 
 



NdA:
 
Che dire? Mi rendo conto che questa storia si discosti in parecchi punti da ciò che scrivo di solito e io stessa non riesco a capire se ne sono soddisfatta o meno.
Spero comunque che a voi sia piaciuta.
 
 

[1] Concordanza a senso. In italiano è comunemente accettata, ma segnalo lo stesso per far capire che non si tratta di una distrazione, ma di una scelta voluta.
[2] “E” qui è congiunzione. Non sono paranoica, solo che una volta una “e” congiunzione in un tema mi è stata considerata voce del verbo essere (la situazione era ambigua, in effetti) e da allora devo puntualizzare xD
   
 
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