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Autore: Tury    01/11/2014    7 recensioni
“No.”
Emma Swan era abituata alle titubanze, le apprensioni e le paure dei suoi pazienti. Ma mai, prima di allora, si era imbattuta in una tale ferrea decisione, racchiusa in un’unica sillaba.
Si tolse gli occhiali dalla montatura nera e si passò due dita ai lati del naso con fare stanco, esattamente dove svettavano i segni lasciati dagli occhiali.
“Signora Mills, sarò sincera, questa è la sua unica possibilità di salvezza.”
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CAPITOLI
1-Incontri
2-Regali
3-Di promesse fragili come ali di farfalla
4-AVVISO!
5-Il mio nome è Regina
6-Pirati
7-Tenebre di luce
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Emma Swan, Regina Mills
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera a tutti. Inizio subito col dire che i contenuti di questa storia potrebbero far pensare ad una SwanQueen. Non so, precisamente, se si possa definire tale, dato che il contesto in cui è ambientata questa storia è un contesto abbastanza delicato, come leggerete voi stessi. Detto questo, lascio libera interpretazione. Con la speranza che il messaggio che voglio trasmette con questa storia possa arrivare chiaro e forte. Detto questo, buona lettura



“No.”
Emma Swan era abituata alle titubanze, le apprensioni e le paure dei suoi pazienti. Ma mai, prima di allora, si era imbattuta in una tale ferrea decisione, racchiusa in un’unica sillaba.
Si tolse gli occhiali dalla montatura nera e si passò due dita ai lati del naso con fare stanco, esattamente dove svettavano i segni lasciati dagli occhiali.
“Signora Mills, sarò sincera, questa è la sua unica possibilità di salvezza.”
“Non ha importanza.” Rispose la donna.
“Posso chiederle il motivo di questa sua decisione?”
Regina Mills restò qualche secondo a guardare quegli occhi verdi. Verdi come la speranza. Ma per lei, ormai, la speranza era solo un’illusione.
“I trattamenti che lei mi ha proposto comporterebbero una conseguenza che non credo di voler accettare.”
“Io non le ho proposto alcun trattamento, signora Mills. Non c’è nulla da proporre, o fa ciò che le ho detto o andrà incontro all’unica soluzione che le resta. Quella su cui nessun umano può agire.”
Emma Swan era perfettamente cosciente del fatto che nessun medico potesse costringere qualcuno a fare una scelta che non implicasse anche la volontà del paziente. Ma lei era una donna che si lasciava guidare spesso dall’istinto. E il suo istinto l’aveva sempre guidata su un’unica via, quella della salvezza.
“Vorrà dire che accetterò le conseguenze delle mie azioni.”
Emma Swan puntò il suo sguardo severo in quello scuro della donna, che sentì il peso di quegli occhi su di lei. Occhi luminosi, pieni di vita. Una vita che, lentamente, stava scivolando via da lei.
“Posso sapere almeno il motivo di questa sua decisione?”
Regina sembrò pensarci qualche secondo, prima di rispondere.
“Non voglio perdere i capelli.”
Emma le sorrise, ben cosciente di quella paura che attanagliava tutte le sue pazienti. Una paura che sapeva di poter affrontare e distruggere. O almeno, lo aveva creduto fino a quel momento.
“Non si preoccupi, è una cosa normale provare questa paura. Ma esistono ottimi negozi che vendono parrucche, anche con capelli ve…”
“Ho detto di no. Credevo di esser stata chiara, dottoressa Swan.”
Emma tornò a puntare i suoi occhi in quelli della donna.
“Perché?” chiese semplicemente.
La donna incrociò le braccia al petto, sostenendo quello sguardo. Una nuova sfumatura si era aggiunta a quelle già presenti nelle iridi del giovane medico. Era qualcosa del colore della determinazione. Regina capì in quell’istante che non le sarebbe stato facile sottrarsi al volere della donna.
“Credevo di essere stata chiara.”
Emma si sistemò meglio sulla sedia del suo studio e iniziò a giocare con la sua penna, concentrando su di essa tutta la sua attenzione.
“Vedrò di essere più esplicita, signora Mills. Perché non ammette di aver paura?” chiese, tornando a guardarla.
La donna avvertì un brivido percorrerle la schiena nell’udire quella domanda. Convinta, ormai, che la donna che le stava di fronte non si sarebbe mai arresa, decise di fare ciò che faceva sempre. Scappare.
“La ringrazio per l’interessamento, dottoressa, ma non farò nulla di ciò che ha detto. Con il suo permesso, tolgo il disturbo, così il tempo che sta perdendo con me potrà usarlo per salvare qualcun altro.” Disse, alzandosi e dirigendosi verso la porta.
Ma Emma fu più veloce di lei, comprendendo in un attimo le sue intenzioni. Chiuse di scatto la porta e si poggiò contro di essa, eliminando qualsiasi possibilità di fuga.
“Che cosa significa?”
“Significa che non si perde mai tempo nel cercare di salvare qualcuno. Per questo motivo, lei non lascerà questa stanza.”
“È una minaccia?”
“Lo prenda come un aiuto.”
“Un aiuto? E per cosa?”
“Io non la lascerò…”
“Uscire da questa stanza? Sì, me l’ha già detto.” La interruppe Regina.
“Morire.” Concluse Emma.
La donna la guardò con un ghigno sul volto, senza scomporsi minimamente.
“Sa, dottoressa, mi piacerebbe crederle, ma sappiamo entrambe che la mia guarigione è legata solo alla fortuna e, se permette, la vita è mia e non mi va di viverla stando in bilico tra numeri probabilistici e casi fortuiti. Quindi le chiedo, per l’ennesima volta, di lasciarmi andare.”
Emma, di risposta alla richiesta della donna, si portò una mano dietro la schiena, facendo scattare la serratura, per poi sfilare la chiave e infilarla nella piccola tasca superiore del camice.
“Diceva, signora Mills?” disse, con un sorriso soddisfatto sul volto, notando la sfumatura che si era impossessata degli occhi della donna.
Emma Swan non era il tipo di persona che si lasciasse intimorire per così poco. In fondo, non lo era mai stata.
“Mi faccia uscire o io…”
“Mi accuserà di sequestro di persona?- la interruppe prontamente il medico- Vede, signora Mills, quattro anni fa ho fatto un giuramento, un giuramento molto importante per un medico. Ed è in nome di quel giuramento che io non posso lasciarla andare. Sceglierò il regime per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, e mi asterrò dal recar danno e offesa. Non somministrerò a nessuno, neppure se richiesto, alcun farmaco mortale, e non prenderò mai un' iniziativa del genere; e neppure fornirò mai a una donna un mezzo per procurare l'aborto. Conserverò pia e pura la mia vita e la mia arte.” Terminò Emma, avendo cura di citare il testo antico e non quello moderno. La dottoressa Swan era infatti dell’idea che in quello antico risiedesse il vero spirito di Ippocrate e trovava la nuova versione scialba e monotona. Lettere buttate al vento, prive di un vero intento e di un vero significato.
“Belle parole, devo ammetterlo, ma che non sortiranno alcun effetto. Ho detto di no, dottoressa, e la mia decisione non cambierà.”
“Di cosa ha paura?”
“Non capirebbe.”
“Ci provi.”
“Non ne ho alcuna voglia.” Terminò la donna, avvicinandosi alla dottoressa e prendendole una spalla, con la chiara intenzione di volerla spostare dalla porta per poter uscire.
Con un scatto deciso, Emma afferrò il polso della donna e portò la mano lontano dalla sua spalla.
“Ho detto ci provi.” Ribadì.
La donna fissò il suo sguardo iroso in quello luminoso della dottoressa.
“Cosa vorrebbe capire, lei? La sua conoscenza è tutta basata sulla teoria, basata sullo studio di microrganismi e cellule. Cosa ne sa, lei, della vita che si cela dietro tutto questo?”
“Forse ne so più di quanto crede e, se anche non ne sapessi nulla, lei potrebbe spiegarmelo. Sa, possediamo le orecchie proprio per poter ascoltare, oltre che per l’equilibrio.” Le sorrise Emma.
“Equilibrio?” chiese scettica Regina.
“Non è sorprendente?”
“Cosa?”
“Il fatto che proprio il nostro orecchio sia la sede del nostro equilibrio. Una perfetta visione del mondo.”
“Cosa intende dire?”
“Che se imparassimo ad ascoltare le tacite richieste di aiuto di tutti coloro che incontriamo in questa nostra esistenza, sapremmo destrarci meglio nella nostra vita. Con più equilibrio, per la precisione.”
Regina capì perfettamente quali erano le intenzioni della dottoressa. Voleva che si aprisse con lei, che si mettesse a nudo davanti a quegli occhi così chiari. Ma lei non l’aveva mai fatto con nessuno e non l’avrebbe fatto ora.
“Grazie per la spiegazione, dottoressa Swan. Ora, con il suo permesso, vorrei passare.”
“Perché?” chiese per l’ennesima volta Emma.
“Perché, semplicemente, non è lei la malata tra le due. Tutte le sue belle parole potranno risollevare il morale dei suoi pazienti, ma non il mio, dottoressa. Vede, tra le due, sarò io quella a perdere i capelli, io quella che dovrà fare i conti con i conati di vomito, io che dimagrirò, divenendo lo spettro di me stessa. Lei potrà stare lì, ad osservare il mio lento declino, ma non potrà mai sapere cosa si prova, anche se mi guardasse ogni secondo, anche se ascoltasse sempre le mie parole. Lei non saprà mai cosa si prova a sottoporsi a quelle torture che lei continua a chiamare trattamenti terapeutici. La pratica e la teoria non sono mai andate a braccetto, o ci si vota all’una o ci si vota all’altra. Lei saprà sicuramente tutta la teoria di questo mondo, ma è la mia esperienza che lei non conoscerà mai. E poi, mi creda, non mancherei a nessuno, dunque perché sprecare il suo tempo con me?”
L’aria si riempì del suono di quel colpo sferrato da Emma. Gli occhi di Regina erano ancora sbarrati per la sorpresa, un filo di sangue che colava ai lati della bocca, il volto girato da un lato. Con una lentezza quasi disumana raddrizzò il volto e si portò una mano alle labbra, venendo subito a contatto con il liquido vischioso. Posò lo sguardo sui suoi polpastrelli, decorati con stille di sangue, prima di volgerlo nuovamente alla dottoressa che le stava di fronte, riservandole tutto l’odio che nutriva in quel momento. E, senza pensarci due volte, le restituì il colpo appena incassato, cercando di colpirla con quanta forza avesse in corpo. Emma si aspettava quella reazione, ma mai avrebbe immaginato che la donna possedesse una tal forza ma, soprattutto, una tale velocità. E così, il pugno non solo colpì la sua mandibola, ma riuscì anche a farla cadere, allontanandola finalmente dalla porta.
Regina si avvicinò alla donna ed estrasse dalla tasca la chiave dello studio.
“Questa, se non le dispiace, la prendo io.” Le disse a pochi centimetri dal volto, per poi allontanarsi verso la porta, far scattare la serratura e, finalmente, uscire da quello studio che era divenuto la sua prigione negli ultimi minuti.
Emma la guardò uscire, impotente.
“Diamine!” disse, colpendo il muro alle sue spalle con un pugno, procurandosi una fitta di dolore. Fitta che fu completamente ignorata, mentre le lacrime ormai scendevano copiose dai suoi occhi. Emma si portò le gambe al petto e poggiò la testa sulle sue ginocchia, dando libero sfogo alla sua frustrazione con quel pianto silenzioso. L’idea di non essere riuscita a trattenere quella donna, di non essere stata capace di aiutarla, la stava letteralmente divorando. Perché non poteva credere che lei, Emma Swan, la giovane dottoressa che aveva votato la sua vita alla salvezza del suo prossimo, non fosse stata capace di salvare quella donna da se stessa.
 
Regina Mills camminava con passo svelto nei corridoi dell’ospedale, desiderosa di allontanarsi il prima possibile da quella struttura. Solo quando giunse nella hall dell’ingresso, si accorse di aver dimenticato la sua borsa nello studio della dottoressa.
Inclinò la testa all’indietro e socchiuse gli occhi, sospirando. Sapeva che se fosse tornata indietro avrebbe dovuto discutere nuovamente con quella donna e, magari, ricorrere nuovamente alle maniere forti per poter passare, ma non aveva altra scelta. In quella borsa, c’erano le chiavi della sua auto, senza la quale non sarebbe mai potuta tornare a casa. Fece un profondo respiro e si voltò, tornando sui propri passi, dirigendosi nuovamente verso lo studio di Emma Swan.
Quando giunse alla porta, notò che questa era leggermente aperta, esattamente come l’aveva lasciata. Stava per aprirla completamente, ma un suono la fece desistere. Qualcuno stava piangendo. Si sporse quanto bastava per comprendere di chi si trattasse, finché non la vide, seduta esattamente nel punto in cui l’aveva lasciata, il capo chino sulle ginocchia per nascondere il volto. Regina si sorprese di vedere la giovane dottoressa in quello stato. Era completamente diversa dalla giovane donna con cui aveva parlato qualche minuto prima, una nuova Emma Swan. Guardò la scrivania della dottoressa, in cerca della sua borsa, e finalmente la vide. Decise, però, di non entrare. Non voleva disturbare Emma in quel momento, come timorosa di infrangere il suo spazio. E lei, di spazi vuoti e rotti, ne sapeva parecchio. Restò ancora qualche secondo a guardare la giovane donna, dopodiché si allontanò, cercando di ridurre il più possibile il rumore dei suoi passi. Per quel giorno, sarebbe tornata a casa a piedi, anche se il suo appartamento distava dieci chilometri. Poco male, un po’ di attività fisica non aveva mai ucciso nessuno, dopotutto.
 
Emma rimase ancora qualche minuto in quella posizione, persa nei suoi pensieri, finché non sentì un rumore di passi. Alzò lo sguardo verso la porta ma non vide nessuno. Decise, quindi di andare a controllare se ci fosse qualcuno nel corridoio, ma anche questa volta non trovò nessuno. Scosse piano la testa, convinta di essersi impressionata. Fu solo quando tornò alla sua scrivania che la vide. Una borsa di pelle nera, dal gusto classico. Emma si sedette sulla sua sedia, incrociando le mani sotto il mento, gli occhi puntati sull’oggetto. Sarebbe stato inutile aprirla e controllare i documenti, per risalire all’identità della sua proprietaria. Sapeva perfettamente a quale delle sue pazienti apparteneva. Chiuse gli occhi e lasciò uscire un sospiro dalle sue labbra. A quanto pare, si sarebbe dovuta confrontare nuovamente con Regina Mills. Si chiese se quella dimenticanza non fosse un segno del destino, la base per un nuovo incontro. O una nuova battaglia, come si ritrovò a pensare. Una battaglia che non era sicura di poter vincere, visti i recenti risultati che aveva avuto con quella donna. Emma sospirò nuovamente, prendendo la borsa e poggiandola vicino alla sua. Decise di accantonare quei pensieri, per il momento. Ora, doveva concentrarsi solo sul presente. E così, con una determinazione rinnovata, chiamò il nome del prossimo paziente. Un sorriso svettava nuovamente sulle sue labbra.
Emma congedò con la sua solita gentilezza anche l’ultimo paziente di quella giornata. Sbottonò il camice e lo appese sull’appendiabiti del suo studio, prese il suo zaino e si soffermò alcuni secondi a guardare quella borsa, indecisa se lasciarla lì o portarla a casa con sé. Optò per la seconda opzione e, presa anche quella, si diresse verso l’entrata dell’ospedale, salutando chiunque incrociasse la sua strada. Infine, entrò nella sua auto e guidò fino al suo appartamento, cercando di impedire ai suoi pensieri di accavallarsi nella sua mente. Quando, finalmente, giunse nel suo appartamento, si fiondò subito nella sua camera da letto, lasciando il suo zaino a terra e poggiando la borsa sul letto, stanca come non mai. Emma Swan era abituata agli orari frenetici dell’ospedale ed era raro che una tale spossatezza si impossessasse di lei, nonostante lei spendesse tutte le sue energie per tutti i suoi pazienti, in egual misura. Il problema era che, solitamente, quelle energie le venivano restituite sotto forma di sorrisi o attraverso la gratitudine di quelle persone. Ma, quel giorno, aveva incontrato un ostacolo più duro del previsto e, inevitabilmente, era caduta. E lei sapeva che, nella sua professione, le cadute non erano tollerate. O, almeno, nel percorso professionale che lei aveva deciso per se stessa. Con uno sforzo disumano, decise di alzarsi e dirigersi in bagno, per potersi fare una doccia, in modo da alleviare la stanchezza di quella giornata. Ma quando vide il suo riflesso nello specchio, tutto intorno a lei si fermò, mentre un sorriso tornava a regnare sul suo volto e gli occhi brillavano di nuovo di determinazione. Forse, quella dimenticanza era stata davvero un segno del destino. E, forse, lei poteva vincere quella battaglia. Perché, adesso, sapeva cosa fare.
  
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