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Autore: Ambaraba    01/11/2014    0 recensioni
- Noi non siamo di nessuna famiglia. Noi due siamo la Famiglia.
Chicago, anni '30.
Damon/Alaric
Mafia!AU, Soprannaturale.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Damon Salvatore
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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BOARDWALK VAMPIRE 2
Capitolo 2
Così facile, così difficile


Ora.


- E così, siete due cani sciolti? Non siete di nessuna famiglia?
La domanda che Don Ciro aveva rivolto loro era delicata. Un'eccessiva indipendenza poteva essere colta positivamente, e mostrarli ai suoi occhi come giovani capaci e intraprendenti che volevano dimostrare di sapersi gestire da soli, o negativamente, come sintomo di inaffidabilità, avidità e opportunismo.
Damon valutò la risposta più diplomatica, e si compiacque di sé stesso per la facilità con cui la trovò.
- Sì e no. Noi non siamo di nessuna famiglia... Noi due siamo la Famiglia.
Aveva calato il suo asso con grande stile, e si rese conto di aver detto la cosa giusta quando intercettò un lampo di ammirazione negli occhi del vecchio.
Preso, pensò, sorridendo ancora. Era fatta.
Verso fine serata, si ritirarono in un'ala più appartata della villa per discutere il primo incarico. Una cosa semplice: scoprire le mosse della concorrenza, scovare nomi, capire come muovevano la rete del contrabbando... Mentre Don Ciro spiegava, Damon dovette trattenersi per non scoppiargli a ridere in faccia. Il capomafia non aveva idea di quanto sarebbe stato semplice, per loro, ottenere quelle informazioni. Stava concedendo ad entrambi un'ulteriore occasione di fare il botto, procurandogli molto più di quanto avesse richiesto.
Quando ritornarono all'albergo, e si furono chiusi la porta alle spalle, Alaric lo aveva visto saltare di gioia e poi tirare fuori una bottiglia di liquore che aveva nascosto sotto al letto.
- Per le occasioni speciali, - declamò. - Regalo di don Ciro. Anche se lui non se lo ricorda, ovviamente.
Anche Alaric, messe da parte le perplessità, si era lasciato sfuggire un mezzo sorriso, prudentemente. Giocare sul tavolo dei grandi lo metteva leggermente in ansia, ma con Damon nulla poteva andare storto. Sempre meglio che tornare nel suo misero paesino con la coda tra le gambe, da una famiglia che non lo voleva... Scacciò il pensiero, anche perché il vampiro lo aveva spinto sul divano.
E improvvisamente ricordò qual era la vera ragione per cui si era lasciato coinvolgere in tutto questo. Perché non poteva fare a meno di quegli occhi, di quel nero, di quella risata tagliente. Non poteva fare a meno di lui.
Damon gli aveva stravolto la vita, e ormai Alaric non poteva più neanche immaginare di trascorrerla lontano da lui.
- Fattela una risata, ogni tanto, - commentò il moro, attirandolo a sé per baciarlo. Era seduto a cavalcioni su di lui; con una mano reggeva la bottiglia e con l'altra lo accarezzava. - Si può sapere che hai?
Alaric si strinse nelle spalle. Evitò di guardarlo direttamente negli occhi, come se temesse che l'altro potesse scoprire cosa provava per lui...
- Niente. Spero solo che vada tutto bene, - disse, passando pigramente le mani sulla sua schiena. Sentì i muscoli tesi rilassarsi al contatto, e chiuse gli occhi quando Damon cominciò a baciarlo sul collo quasi con fame. Sesso, la cura ad ogni male, aveva detto una volta il vampiro, ridendo, prima di una scopata epica che Alaric ricordava ancora benissimo.
Dimenticò ogni domanda, quando lo rovesciò e si sistemò tra le sue gambe. 

---

<< Un altro tempo, un altro luogo >>

Si rifiutava di credere a quello che aveva sentito.
- Lei è viva, Damon, ed è libera. Sapeva dov'eri, ma non è mai venuta a cercarti. Katherine non ti ama... Mi dispiace.
In poche parole, quasi centocinquant'anni della sua vita avevano perso significato.
Si era dannato come un pazzo, girando il mondo alla ricerca di streghe, libri, leggende, qualunque cosa potesse tirar fuori Katherine dalla cripta in cui credeva fosse rinchiusa.
E invece.
E invece non solo aveva perso tempo, ma ora doveva anche sopportare il compatimento di una vecchia stronza - che avrebbe dovuto inginocchiarsi e baciare la terra su cui passava lui, perché altrimenti non sarebbe mai uscita da là sotto.
Katherine, Katherine, Katherine. Per settimane aveva continuato a tormentarsi.
Aveva distrutto tutto quello che aveva in casa, aveva ucciso gente innocente per un semplice capriccio d'ira, si era ubriacato fino a perdere i sensi e aveva contemplato seriamente l'ipotesi di sfilarsi l'anello e dissolversi alla luce del sole, in un attimo di annebbiamento. Possibile che fosse vero? Poteva essere così stronza?
La risposta che si diede, in tutta onestà, era affermativa. Perciò raccolse i propri pezzi e dimenticò tutto.
Se Katherine lo aveva abbandonato, era una puttana insensibile.
E allora non meritava né la sua rabbia, né il suo dolore.

---

Damon scrutò fuori dalla finestra. L'autunno in arrivo lo riempiva di malinconia.
C'erano un sacco di cose che non aveva raccontato ad Alaric. Cose della sua vita passata, cose che lo avevano rovinato. Cose che lo avevano segnato.
Cose, cose, cose: un mucchio di cose.
Aveva sempre odiato quel termine, così generico e sgraziato, ma non sapeva come altro definire alcuni dei fatti della sua vita. Erano come oggetti polverosi che aveva chiuso in una scatola e confinato in uno sgabuzzino in cui non aveva voglia di guardare. Erano dolorosi e ammuffiti. Erano affari personali. Ma prima o poi avrebbe dovuto parlare con lui.
Si era accorto già da un po' che Alaric si stava affezionando... Per usare un eufemismo. Pendeva dalle sue labbra, e più di una volta lo aveva beccato a rivolgergli sguardi adoranti. Come equivocare?
Era umano, e Damon poteva sentire il suo cuore battere più forte quando erano insieme. Non c'era spazio per i dubbi.
Si versò un bicchiere di whisky, continuando a guardare fuori senza vedere veramente nulla. E lui, cosa provava per Alaric?
Bevve tutto d'un fiato. Non sapeva cosa fare. Non riusciva a sbilanciarsi, non riusciva a prendere una decisione, ma non voleva neanche usarlo e poi abbandonarlo. Non voleva voltargli le spalle. Non voleva fare ad Alaric quello che gli altri avevano fatto a lui. Eppure era così difficile dire quelle parole. Era così difficile lasciarsi andare, dopo essersi scottato così tanto...
- Non torni a letto...?
Damon si voltò. Vide Alaric, assonnato e accartocciato tra le coperte, nel mezzo di uno dei suoi sorrisi comodi e rassicuranti. Esitò.
Mosse alcuni passi rapidi verso il letto, sotto lo sguardo ipnotizzato dell'altro, e posò il bicchiere vuoto sul comodino prima di tornare sul materasso. Si sedette su di lui, gli prese le mani bloccandole sul cuscino, lo guardò negli occhi. Alaric lo lasciò fare, continuava a guardarlo con uno sguardo che traboccava affetto. Era quasi irritante la dolcezza che traspariva da alcuni suoi atteggiamenti, a volte, ma era anche qualcosa di cui Damon aveva bisogno. Ecco, più che altro ciò che lo irritava era ammettere che ne aveva bisogno.
- Ti stai innamorando?
Glielo chiese a bruciapelo, e vide lo stupore e l'imbarazzo riversarsi sul volto di Alaric nel giro di una frazione di secondo. Voleva saperlo, voleva delle certezze. Ripeté la domanda.
- Ti stai innamorando di me? Ho bisogno di saperlo. Non ti sto controllando mentalmente, voglio che tu risponda da solo. Ti stai innamorando?
Strinse la presa sui suoi polsi senza nemmeno rendersene conto. Allentò quando Alaric cercò di sfilare una mano, con una smorfia di dolore. Era tutto così assurdo... Non avrebbe voluto affrontare quel genere di discorsi, ma come potevano andare avanti altrimenti?
Lo sguardo smarrito di Alaric vagò sul suo viso per qualche secondo, in cerca delle parole giuste. Non riuscì a trovarle.
- ... Sì, - disse soltanto, e se ne pentì subito dopo. Avrebbe potuto mentire - sapeva che Damon non lo stava controllando sul serio, era un patto che avevano fatto tempo prima - ma non se la sentì. Preferì dire la verità, anche se temeva di spezzare qualcosa. Non voleva spaventarlo e farlo andar via; era il motivo per cui aveva preferito tenersi per sé la verità.
Damon restò su di lui, lo scrutò come cercando nel suo viso una conferma, qualcosa che gli dicesse che quelle due lettere che aveva pronunciato, quel sì, erano vere e non frutto della sua immaginazione. Poi, senza dire altro, si chinò su di lui e lo baciò. Lo sentì rilassarsi, e capì quanto dovesse essere teso di fronte a una domanda del genere, e si sentì uno stronzo per avergliela posta con così poca delicatezza.
Quando si separarono, Damon restò esattamente dov'era prima. Lasciò andare una mano di Alaric per fargli una carezza. Aveva un'espressione seria come ne aveva raramente, anche se un po'... Persa.
- Va tutto bene, - lo rassicurò, in un sussurro. Si maledì per il modo rozzo e troppo diretto con cui trattava i sentimenti, e poi gli fece un'altra domanda. Assolutamente pertinente, vista la risposta che aveva ottenuto.
- Perché non me l'hai detto prima?
Alaric abbassò lo sguardo.
- Io... Pensavo che saresti andato via, se te l'avessi detto... - confessò, e fu liberatorio.
Sono così stronzo, agli occhi degli altri? si chiese Damon, ma non lo disse a voce alta. - Ti va di restare con me per sempre? - chiese invece. Si rese conto di cosa provava quando si ritrovò a pregare, tra sé e sé:
Dimmi di sì. Dimmi che lo vuoi. Dimmi che resterai.
Alaric soffiò fuori l'aria che aveva trattenuto fino a quel momento e lo guardò, illuminato, come se non avesse mai desiderato altro.
- Sì... - mormorò, e poi, più convinto: - Sì che mi va!
Avrebbe voluto aggiungere di più, avrebbe voluto dirgli che lo aveva sognato dal primo momento in cui aveva capito di amarlo, avrebbe voluto dirgli che voleva vivere per sempre al suo fianco, ma d'istinto soffocò tutte le parole. Non era il momento, intuì.
- Perché ti amo, - sussurrò soltanto, accarezzandogli una guancia. Era così freddo, così distante. Ma ce l'avrebbe fatta a scioglierlo, prima o poi.
Ci sarebbe stato tempo. Tempo per perdersi in quegli occhi, tempo per parlare. Tempo per dirgli che incontrarlo era stata la cosa migliore che potesse capitargli. Tutto il tempo del mondo.
Damon lo baciò di nuovo.
Non disse niente. Non sapeva di quanto tempo avrebbe avuto bisogno per riuscire a dire di nuovo quelle parole, e smettere di rispondere con il silenzio all'amore di Alaric. Non voleva farlo soffrire, ma non era facile confrontarsi con qualcosa del genere. Non era facile ammettere di amare e accettare di poter star male di nuovo come un cane, forse. Non era facile essere sé stesso, non era facile essere spontaneo, non era facile nulla nella sua vita... Se non uccidere.
Si sottrasse alla carezza di Alaric con un vago senso di colpa.



  
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