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Autore: Adeia Di Elferas    02/11/2014    8 recensioni
La piccola Cersei Lannister cova un rancore che non può mettere a tacere nei confronti del fratellino appena nato. Ecco un episodio che racconta in parte le radici del loro rapporto più che conflittuale
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cersei Lannister, Jaime Lannister, Tyrion Lannister
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
- Questa storia fa parte della serie 'Nei Sette Regni e al di là del Mare'
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 I suoi passi erano rapidi e silenziosi, attraverso il corridoio scuro. I suoi piedi leggeri erano avvolti dalle scarpe nuove, le cui suole erano ancora soffici e pulite. L'orlo del suo lungo vestito elegante sfiorava il pavimento senza fare alcun rumore, rendondala simile ad un fantasma.
 Non incontrò nessuno, nemmeno una guardia, e ne fu molto felice. Non voleva che nessuno la vedesse. Voleva riuscire nel suo intento senza testimoni.
 Quando fu davanti alla porta che aveva voluto raggiungere fino a quel momento, ebbe un attimo di esitazione. Dovette richiamare a sé tutti i pensieri che l'avevano dominata in quelle ore, per decidersi.
 Con lentezza e cautela, abbassò la maniglia. Appena l'uscio fu aperto, la piccola Cersei fu investita dal ronfare della balia. Ma quanto russava quell'inutile donna?
 Sfruttando il sonno pesante della serva, Cersei le passò davanti, attraversando in fretta l'antisala che precedeva la stanza che le interessava.
 La camera adibita al suo mostruoso fratellino era avvolta dalle tenebre, come tutto il castello, eccezion fatta per una striscia di luce di luna, che colpiva il piccolo proprio sul volto. Nonostante questo, il neonato dormiva beatamente.
 Cersei lo guardò a lungo, studiandone ogni deformità. Era così piccolo, ma era già un mostro. Non aveva ancora una settimana di vita eppure si era già macchiato del crimine più grave di tutti: l'omicidio.
 Aveva la testa troppo grossa, con appena qualche capello biondo che ne denunciava l'origine. Le sue gambe erano storte e goffe, le sue braccia corte ed arcuate. Nel suo volto non c'era un dettaglio che non fosse sgradevole e ripugnante.
 Cersei si chiese come potesse davvero essere nato dagli stessi genitori che avevano dato la vita a lei. Non potevano davvero avere lo stesso sangue nelle vene...
 si avvicinò un po' di più a lui, per studiarne meglio il brutto naso e il mento orribile e quasi le prese un colpo quando il neonato spalancò gli occhi.
 Il suo non era lo sguardo di un bambino piccolo. Era lo sguardo di un demonio. Gli occhi erano asimmetrici e di due colori diversi. A ripensarci, Cersei aveva visto, una volta, un cane rabbioso che aveva gli occhi di due colori diversi. Lord Tywin, suo padre, lo aveva ucciso con un colpi di balestra, per paura che potesse fare del male ai suoi figli.
 Anche questo piccolo mostro era come quel cane rabbioso, Cersei ne era sicura. E la sicurezza di una bambina di otto anni è la cosa più incrollabile che esista al mondo.
 Mentre il fratellino allungava verso di lei le grottesche manine, abbozzando un sorriso sghembo e sdentato, Cersei si guardava attorno. Voleva qualcosa che non facesse rumore. Qualcosa che la lasciasse pulita, che non la facesse incolpare. Qualcosa che fosse rapido, ma che lo facesse anche soffrire. Soffrire come la loro madre aveva sofferto, morendo per lui.
 Il neonato fece un breve vagito, che Cersei ignorò. Dall'altra stanza arrivava ancora il russare sordo e insistente della balia. Cersei, per calmarsi, si mise ad ascoltare. Era un ritmo lento e costante che le dava sicurezza.
 “Pagherai per quello che hai fatto.” sibilò, rivolta al neonato. Quello la guardò allegro, ignaro di quello che la sorella aveva in serbo per lui.
 Cersei avrebbe voluto cominciare facendogli del male con qualche pizzicotto o magari con una sberla su quel muso rincagnato. Però aveva paura che si mettesse a piangere. La balia, addestrata com'era a correre al pianto dei bambini, si sarebbe di certo svegliata subito.
 Così Cersei si aggirò per un po' nella stanza, soppesando le armi improprie che quell'ambiente scarno le offriva.
 Dopo aver scartato una dopo l'altra tutte le possibilità, tornò ad affacciarsi sulla culla. Il mostriciattolo di era riaddormentato, sempre illuminato dal fascio di luce lunare. Così argentato sembrava una creatura uscita dai Sette Inferi, non dal grembo della madre di Cersei.
 “Perchè l'hai uccisa?” chiese Cersei, senza riuscire più a trattenersi, dandogli un forte sbuffetto sulla guancia paffuta.
 Il piccolo Tyrion si risvegliò di colpo, ma non pianse. Era insolitamente tranquillo, per essere un neonato. Doveva essere l'ennesimo segno della sua provenienza infernale, senza dubbio.
 Gli occhi diversi ed ingenui del piccolo nano la fissavano con un'allegria fuori luogo. Non capiva che la bambina che aveva di fronte lo voleva morto? Come poteva sorridere a colei che non desiderava altro che ucciderlo? Se ne stava lì, con le sue copertine ricamate, sul suo piccolo cuscino di piume soffici, a godersi una ricchezza che non avrebbe dovuto toccarlo mai, visto quello che aveva osato fare.
 Cersei osservava la culla e lo sfarzo dei tessuti che la ricoprivano. La colpì soprattutto il candore del guanciale, piccolo, ma sufficiente per il testone del fratellino.
 E così le venne l'ispirazione. Con delicatezza, sempre per scongiurare un pianto che l'avrebbe messa nei guai, prese da sotto il capo del nanetto il cuscino.
 Lo tenne tra le mani a lungo, mentre la sua testa si svuotava. Lasciò che il desiderio di fare giustizia si impadronisse di lei. Chiese ai Sette Dei di poter riavere la madre, in cambio del mostriciattolo che le stava davanti.
 Le sue orecchie si erano chiuse, i suoi occhi vedevano solo il brutto muso del nano, e le sue mani stringevano con forza crescente il guanciale.
 Adesso non esistevano altri che lei e il mostro e lei aveva potere di vita e di morte su di lui.
 Con risolutezza e tranquillità – la stessa tranquillità di chi non ha altre possibilità – abbassò il guanciale, fino a poggiarlo sulla faccia del piccolo Tyrion.
 Lo vide agitarsi, cercare aria, muovere le piccole braccia tozze e le gambette storte e lei continuava a premere, senza provare nulla se non la voglia di arrivare fino in fondo.
 Ecco che forse i movimenti del bambino stavano per fermarsi del tutto, ecco che forse la giustizia stava per trionfare...
 “Cersei, cosa fai?” la voce di Jaime la fecero voltare di scatto, mentre ancora, però, premeva il cuscino sul muso del mostro.
 “Cosa fai?!” chiese di nuovo Jaime, andando a strapparle di mano il cuscino. Cersei lo guardò a bocca spalancata, sopraffatta improvvisamente dalla realtà di quello che stava facendo. Eppure, malgrado tutto, non riuscì a togliersi di dosso la sgradevole sensazione di essere stata interrotta proprio sul più bello.
 Jaime, che era la sua precisa copia, eccezion fatta per i vestiti diversi, rimise con cura il guanciale sotto la testa di Tyrion. Il piccolo aveva il volto arrossato e gli occhi pieni di paura, ma nemmeno adesso piangeva.
 Jaime gli passò con cura una mano sulla guancia e gli sussurrò qualche parola rassicurante, mentre Cersei, alle sue spalle, ricacciava indietro le lacrime. Il suo pianto era dovuto al senso di sconfitta e di debolezza che si era impossessato di lei nel momento stesso in cui non aveva più avuto tra le mani il cuscino.
 “Cosa credevi di fare?” chiese piano Jaime, lasciando finalmente il piccolo Tyrion al suo destino: “Lui è nostro fratello.” le disse.
 Cersei cercò gli occhi di Jaime e quando li trovò si sorprese di trovarvi incredulità e paura. “Lui ha ucciso la mamma.” disse, tra i denti. Le sembrava una confessione inutile: tutti sapevano che era stato quel mostro a uccidere la moglie di Lord Tywin.
 “Non essere sciocca...” la riprese Jaime: “Non è stata colpa sua. Nostra madre è morta perchè così doveva andare, Tyrion non ne ha colpa.” scosse il capo Jaime, risoluto.
 Cersei lo invidiò, ma non per i soliti motivi per cui lo invidiava. Lo invidiò perchè nella sua voce non c'era risentimento né odio.
 “Ti sembra giusto che lui sia vivo e la mamma morta?” chiese Cersei, a voce un po' più alta. Il russare della balia ebbe una breve interruzione, che Jaime sfruttò per uscire agilmente dalla conversazione: “Andiamo, dai... Non voglio che la balia si svegli e ci trovi qui.”
 I due bambini uscirono in silenzio dalla stanza ed attraversarono il corridoio senza dirsi una parola.
 “Non ho voglia di dormire.” disse Cersei, quando Jaime cercò di portarla in camera. “Invece dovresti. Sei stanca.” la rimproverò lui.
 “Andiamo nelle stalle.” propose lei. Jaime la squadrò un momento poi accettò: “Va bene. Ma io ho sonno, quindi se vuoi andiamo nelle stalle, ma io dormo.” “Tu dormi e io ti guardo mentre dormi.” fece Cersei.
 Jaime accettò e così uscirono dal castello per raggiungere le stalle. Non seppero mai come fecero, ma riuscirono ad arrivare dai cavalli senza che nessuno li vedesse.
 La morte di Lady Joanna aveva frastornato tutti e molti erano chiusi in preghiera o stavano dormendo dopo i giorni frenetici passati a piangerla.
 Jaime si stese su un covone di paglia e si mise le braccia dietro alla schiena. Cersei lo guardava rivedendo in lui la sua stessa bellezza. Erano due parti dello stesso essere, lei lo sapeva, lo sentiva. Non c'entravano nulla con il piccolo mostro che aveva tolto loro la madre. Loro erano come degli Dei tra gli uomini. Un giorno il mondo sarebbe stato tutto per loro ed avrebbero riso alle sventure altrui.
 Jaime sbadigliò: “Buonanotte.” “Anche a te.” rispose la sorella. “E per favore, almeno per un po', non cercare più di uccidere nostro fratello – aggiunse Jaime, prima di addormentarsi – non avrei voglia di seguirti per tutto il castello per strapparti di mano dei cuscini. È nostro fartello, cerca di capirlo. E poi... È solo un neonato.” concluse, e in un momento fu addormentato.
 Coperta da un nitrito e da un piccolo sbattere di zoccoli in terra, Cersei guardò il fratello in sbieco e bisbigliò, con odio e rabbia: “È solo un mostro.”
   
 
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