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Autore: Menade Danzante    02/11/2014    1 recensioni
[ Seconda classificata al contest "Dalla mela avvelenata nascono farfalle" indetto da Shinkari e valutato da l@dyriddle sul forum di EFP ]
Dal testo: «Che ci fai qui?» le chiese con voce incolore e per niente impastata dal sonno appena interrotto.
Strega.
«Vengo a salutarvi, madre» Fu un sibilo agghiacciante, ma nessuna delle due parve accusarlo in maniera evidente.
«Bentornata, dunque»
Questo colpì Biancaneve. Si conficcò le unghie nel palmo della mano, stringendo sempre più forte fino a sentir pulsare appena la carne viva.
«Non siete cambiata affatto, madre» constatò, cercando di non forzare la voce.
«Difficile cambiare in meno di un mese, mia cara» la schernì Grimilde, issandosi perfettamente a sedere sul letto fino ad intrecciare le mani in grembo. «Non è passato molto tempo dall'ultima volta in cui ci siamo viste, non credi anche tu? E, a dirla tutta, non mi aspettavo di incontrarti così presto»
«Mi aspettavo di non incontrarvi più»
Dalla spontaneità con cui la regina annuì, la ragazza dedusse che avevano condiviso la stessa impressione.
Genere: Dark, Drammatico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Biancaneve, Grimilde, Sorpresa, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta, Tematiche delicate
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neve

A G., che mi ha fatto riscoprire le Twisted Princess!
A F. ed A. che mi hanno supportata, sopportata e
minacciata durante la stesura di questo delirio!
Grazie di cuore!


––



Neve rossa sotto un cielo senza luna




La capanna risuonava di uggiolati quando Biancaneve entrò con un fragoroso schiocco di legno: la porta, ormai vecchia e malridotta, girò sui cardini con uno stridìo particolarmente acuto, per infrangersi subito dopo in un cozzare contro la parete.
La fanciulla dalla morbida capigliatura corvina non si curò di richiudere il battente con delicatezza: semplicemente, lo abbandonò a se stesso senza stupirsi quando lo sentì schiantarsi nuovamente a posto.
«Fate silenzio» sibilò. Di colpo, il sommesso ringhiare che l'aveva accolta cessò, facendo piombare la casa in un silenzio spezzato solamente dalla legna che scoppiettava entusiasta nel caminetto.
Soltanto allora Biancaneve alzò gli occhi ad incrociare quelli di sette ometti accoccolati in un angolo che snudavano i denti ingialliti e appuntiti in attesa di ordini. Lo sguardo della fanciulla lampeggiò mentre si toglieva il mantello con movimenti meccanici, senza batter ciglio di fronte ai suoi migliori amici. Quando ebbe finalmente mostrato la familiare gonna gialla e il corsetto blu, i nani parvero riconoscerla con maggiore intensità.
La ragazza sentì su di sé sette paia d'occhi famelici seguirla nei gesti poco convinti che compì verso la dispensa. Ne tirò fuori, quasi controvoglia, pane e carne essiccata. Ogni suo movimento era casuale, fatto solo grazie all'abitudine: la sua testa era altrove.
Gettò con noncuranza quanto aveva preso, facendo atterrare il tutto in mezzo ai nani. Un ghigno vagamente disgustato le deformò il volto nel constatare quanto fossero bestiali quegli uomini: si erano avventati sul cibo con voracità, cominciando a massacrarlo senza preoccuparsi di seminare briciole e brandelli di cervo sulle assi di legno – non che facesse molta differenza: erano passati giorni dall'ultima volta in cui Biancaneve aveva spolverato quella casupola in mezzo al bosco.
Soltanto uno di loro, notò, non stava mangiando: Cucciolo. Inciampava nella veste troppo larga e non riusciva a raggiungere l'oggetto dei suoi desideri, cosa che lo irritava non poco.
La fanciulla si costrinse ad andargli vicino, ad afferrare una pagnotta e qualche striscia di carne e passargliele con malagrazia.
«Devi essere in forma anche tu, capisci?» disse con voce strascicata, forse annoiata. Cucciolo parve comprendere: senza nemmeno attendere un secondo, si fiondò su quanto gli veniva offerto e prese a divorare più velocemente degli altri.
Biancaneve, lieta di vederlo obbedire senza remore, gli sfilò il cappuccio per depositargli sulla superficie liscia e lucida del cranio un umido bacio.
«Sta arrivando il momento, manca poco», ma il rumore delle fauci animalesche sovrastò la sua affermazione.
Ghignò.


-


Il vento ululava con più veemenza che nelle notti precedenti, e Biancaneve lo avvertì con sommo orgoglio. Il momento era giunto quasi in maniera inaspettata. Il tempo era cambiato, continuava a peggiorare, e la ragazza non poteva chiedere di meglio.
Sorrise contro le nuvole nere che promettevano pioggia e grandine: avrebbe dovuto svegliare i nani per farli unire alla sua contemplazione.
Scese dabbasso, appuntandosi il mantello con una vecchia spilla a forma di rosa; il rosso dei petali brillò in una scintilla ammaliante quando incontrò il riverbero della candela che, e metà della sua lunghezza, continuava a colare pigramente la cera sulla lastra lucida del tavolo.
«In piedi» sibilò, battendo le mani due volte. Quel solo, semplice, primordiale richiamo fu sufficiente a destare l'attenzione dei sette che giacevano scompostamente raggomitolati come cani accanto al caminetto. Per primo, Brontolo alzò gli occhi luminosi sulla figura slanciata della padroncina, snudando i denti in un malevolo sorriso di assenso e comprensione, il quale ebbe il potere di infondere ancora più grinta in Biancaneve.
Le altre teste si mossero subito dopo, quasi in contemporanea. In capo ad un minuto, la fanciulla aveva colto il favore generale.
«Uno alla volta, da bravi» disse, premendosi una mano sulla coscia in un intuitivo ordine di farli avvicinare. Quando Dotto ebbe colmato la distanza che li separava, ella gli scoprì il collo dalla barba lunga e ispida, mostrando una cintura indossata a mo' di collare. Sulla fibbia agganciò una catena spessa, come se la sua funzione fosse stata esattamente quella. Quindi, fece segno all'omino di farsi da parte.
Gli altri sei, uno per uno, pacati e rispettosi tra loro, vennero forniti di quel guinzaglio che, tutto sommato, sembravano non amare particolarmente.
«Bene, bravi. Meritate proprio una ricompensa»
Prima di spalancare la porta, però Biancaneve fece bene attenzione a non dimenticare di portare con sé una fiala al cui interno giaceva un fumante contenuto violaceo. L'assicurò accuratamente alla cintola e, soddisfatta del lavoro, aprì il battente tenendo salde al polso tutte le catene.
È l'ora.


-


Il castello stagliava il suo profilo arcigno e austero contro le già fitte ombre della notte. La fanciulla osservò i pinnacoli con sguardo inespressivo pur sentendosi ribollire la rabbia nel cuore.
Sua madre¹ stava dormendo lì dentro, credendosi al sicuro, protetta da ogni avversità. In fondo, chi avrebbe potuto mai osare anche solo pensare di potersi avvicinare, sfidando guardie su guardie, per fare del male ad un membro della famiglia reale? Solo uno sciocco.
O sua figlia.
In un gesto istintivo, Biancaneve portò la mano a sfiorare la boccetta di vetro che le penzolava in vita. La accarezzò come a ringraziarla, come se fosse stato un oggetto animato di vita propria, come se le volesse bene...


Guarda l'intruglio dalla dubbia colorazione con un misto di orrore e bramosia. La più bella del reame è spaventata, ma la fascinazione è troppo forte perché i suoi occhi possano spontaneamente decidere di cambiare bersaglio visivo. Infatti, deve obbligarsi ad alzare lo sguardo per incrociare quello della donna che, da quando le si è presentata sulla soglia di casa, si è fatta chiamare solo la Maga².
«Cosa significa tutto questo?» pigola, spinta contro il muro dall'innato senso di autodifesa che si impossessa di lei.
«Bimba mia, significa che puoi avere la libertà che tanto cerchi!» La voce della Maga è invitante, eppure così raschiante che Biancaneve non ha voglia di starla a sentire oltre, ma il suo buon cuore le impedisce di andare via.
«Come?» chiede, un barlume di speranza ad inondarle il petto.
«Tua madre non ti ha insegnato proprio niente, vero?»
Quella domanda è crudele. Quella domanda non merita nemmeno di essere posta.
Biancaneve stringe le dita intorno al collo della bottiglietta fino a farsi sbiancare le nocche, mantenendo comunque la sua compostezza. Eppure, il gesto ha destato qualcosa nella Maga, che ora la guarda come a dirsi di aver avuto ragione.
«Allora te lo dico io, piccina, come stanno veramente le cose a questo mondo! Siamo divisi a metà, tesoro mio. Una metà è pura e dolce, armoniosa e leale, devota e pacata... Insomma, tutto ciò che c'è di buono è in quella metà. Capito?»
La mora annuisce. «E nell'altra cosa c'è?»
«Come sei ingenua!» la schernisce la Maga, appoggiandosi al tavolino per dare maggiore enfasi alle parole. «Nell'altra c'è tutto il resto»
Biancaneve impiega meno di mezzo secondo per sussurrare pateticamente: «Il male!»
«Come sei estremista, stavolta» Lo sguardo della sconosciuta è praticamente neutro. «
Male è una parola molto vasta, sai? Anche arrabbiarsi un po' è male, ma non fa certo del male al prossimo, no? Poi c'è l'altro male, quello estremo... Quello sì, fa davvero male» Ma di fronte al brivido della ragazza, aggiunge: «Tu non hai mai fatto del male a nessuno. A te, invece, ne hanno fatto così tanto! Con questa – e indica la pozione – potrai dire addio al dolore, potrai guadagnare ciò che ti spetta di diritto e potrai vendicarti della Regina»
«Io non voglio vendicarmi» sussurra Biancaneve, atteggiando il volto alla compassione per sua madre.
«Tutti vogliono vendicare i torti subiti, sciocca! Tutti, anche i più buoni, anche
tu, credimi»
La ragazza non risponde direttamente, ma fa notare in tono pacato: «Non hai ancora risposto alla mia domanda: come potrò ottenere la libertà?»
Il ghignò della Maga si estende nel dire: «Mettendo per un po' in secondo piano la metà buona e facendo vincere... l'altra metà»
«Vuoi farmi diventare malvagia!»
«Voglio farti realizzare un sogno, il tuo sogno più intimo. È questo che la pozione fa: vede i tuoi sogni e fa in modo che tu li realizzi. Magari il tuo vero sogno non implica l'altra metà, questo è chiaro»
«D-Dunque posso stare tranquilla?»
«Ma certo, bimba! Se conosci te stessa e i tuoi desideri,
devi stare tranquilla! Questo filtro non fa niente che non voglia essere fatto. Tu conosci i tuoi desideri?»
Biancaneve annuisce piano, fissando il liquido con maggior sicurezza.
«Allora... bevi!»
Ma Biancaneve non conosce i suoi più profondi desideri.


Non si udì nulla quando, con precisione metodica, i nani abbatterono le guardie armate una ad una. Erano tozzi e sproporzionati, ma il lavoro nelle miniere aveva migliorato agilità e forza, nonché reso i movimenti più ovattati: erano diventati dei perfetti assassini della notte.
Mammolo tolse l'ultimo pugnale corto dalla giugulare dell'ultimo soldato con una luce di insana mania negli occhi. Uno spruzzo di sangue gli insozzò la barba, ma egli non parve farci caso. Ripose l'arma ancora grondante nella cintura e si affrettò a tornare agli ordini della fanciulla.
Dal canto suo, Biancaneve osservava il cielo. Non c'era la luna. Se ne riusciva ad intravedere il chiarore offuscato da coltri di nubi che, nonostante la distanza, non faticò a connotare di un grigio opaco, tendente al bianco.
Sarebbe nevicato di lì a poco, lo capiva, sentiva il freddo pungerle le ossa e il midollo. Era una sensazione che avrebbe volentieri evitato, ma non osò dare segno di cedimento, non di fronte ai sette nani, non ad un passo dalla vendetta.
Ricompensa, è la nostra ricompensa, non vendetta, pensò, o meglio, si impose di pensare in tali termini. Non era solo il capriccio di una notte, di un momento. Quello era ciò che le spettava. Stava soltanto andando a riscuoterlo.
Bastò che voltasse la schiena al grande portone in legno e ferro per far capire a tutti gli altri che non avrebbero preso quella strada: passare dall'ingresso avrebbe significato dover affrontare altre guardie e perdere del tempo per ucciderle una ad una. Il suo sguardo, infatti, si fissò sugli alti alberi del giardino, di quel meraviglioso giardino cui aveva dedicato la sua adolescenza e che ora aveva sgombrato di eventuali seccatori. Nell'oscura foschìa, Biancaneve riuscì a dare forma al vecchio pozzo che apparteneva a quella casa da sempre, ne era convinta.
In un brevissimo istante, come se fosse il suo presente, vide il suo principe oltrepassare quello stesso pozzo per convincerla ad uscire dall'involucro di tendaggio, a parlargli, a rispondere alla sua serenata d'amore.
Ma quello non era il presente.
Raggiunta la struttura di pietra, seguì con le iridi il profilo sicuro del maschio, raggiungendo intuitivamente la sua camera da letto. Se non andava errata, poco più a sinistra, vi era quella di sua madre.
«Il vostro compito finisce qui» sibilò, diretta ai nani. «Dovete aspettare qui. È un ordine. Conoscete la punizione»
Come se il solo pensiero della pena da scontare fosse la pena stessa, i sette si ritrassero istintivamente, facendosi scudo gli uni con gli altri.
Approfittando del momento di smarrimento dei suoi scagnozzi, Biancaneve legò saldamente le corde alla leva del pozzo; quindi, febbrilmente e con cautela allo stesso tempo, lasciò scivolare dalle sue spalle il mantello – non senza avvertire un brivido a causa delle condizioni climatiche. Un soffio gelido agitò le fronde dei ciliegi, dandole qualche secondo in più per calcolare i suoi piani. Quando il vento smise di ululare e la sua pelle si fu abituata alla nuova sferzata di gelo, ella decise di avvicinarsi al muro irregolare. Lo tastò con attenzione, provando a delineare visivamente le scanalature che percepiva sotto le dita, ma fu inutile: tutto ciò che poteva guardare distintamente era la scia di rampicanti che saliva fino al limitare delle torri.
Con un sospiro di rassegnazione, considerò che la vista minorata non le sarebbe stata che d'impaccio. Chiuse gli occhi, quindi, affidandosi completamente agli altri sensi che sperava fossero più sviluppati da infonderle sicurezza.
In quel modo, accorta e silenziosa, diede inizio alla scalata.


-


I capelli di Grimilde giacevano in disordine sul cuscino dalla tonalità violacea o comunque scura. La vista di quel manto liscio e folto che ricopriva buona parte della superficie del tessuto lasciò Biancaneve così di stucco da farle dimenticare il motivo della visita per diversi interi minuti. Non aveva mai visto sua madre senza il copricapo che indossava costantemente, nonostante avesse potuto smettere il lutto per la scomparsa di suo marito da molto tempo. La ragazza, nella purezza infantile, aveva associato quel comportamento al Vero Amore che la regina provava nei confronti del re suo padre. Le era sempre piaciuta, come ipotesi, ed era troppo piccola perché la sua testolina divagasse su altri sentieri. In quel momento, invece, le apparve incredibilmente chiaro il motivo di tale scelta: sua madre era dotata di una bellezza indiscutibile, ma era solo per se stessa, come quella chioma, che anche così deposta, era foriera di fascino, di femminilità sensuale, di donna oltre che sovrana. Grimilde non aveva mai voluto condividere tutto di sé, nemmeno con sua figlia. L'aveva tagliata fuori dalla sua vita non appena aveva emesso il primo vagito – ciò era molto probabile. Non una carezza affettuosa, non un gesto materno le aveva riservato. Solo ordini, espressioni severe, insoddisfatte, e infine invidia, sentimento che l'aveva portata ad ucciderla, non fosse stato per l'arrivo dei suoi aiutanti e fidi amici.
Biancaneve strinse il tessuto della gonna con furore crescente mentre le riaffiorarono i ricordi di tutte le volte in cui aveva sopportato di doversi vestire di stracci a strofinare il pavimento fino a farlo luccicare senza poter sperare in un sorriso da parte di sua madre, della donna che avrebbe dovuto darle amore prima ancora del suo principe, prima del resto del mondo.
Scosse appena il capo: doveva concentrarsi sul da farsi piuttosto che sulla tristezza della sua vita. Con piena coscienza della situazione, pestò il piede a terra tre volte, aumentando progressivamente l'intensità del tocco. Non dovette aspettare molto prima che un movimento di lenzuola agitasse l'atmosfera della stanza da letto. Poco dopo, il busto della regina, sorretto da un braccio piegato, si stagliò incerto sul materasso e, dall'inclinazione che ebbe il secondo arto, Biancaneve intuì che la donna si stesse passando una mano sulla fronte. Dunque, per darle conferma della sua presenza, uscì dall'ombra dell'armadio di faggio cui si era appoggiata per godersi indisturbata lo spettacolo.
Ciò che seguì fu così rapido che la stessa fanciulla ne rimase brevemente interdetta: un fulmineo guizzo per accendere una delle candele sul comodino accanto al letto ed un faccia a faccia che, seppur previsto – agognato –, non poté che provocare una fitta alla più giovane. Tuttavia, ella non fece nulla per reprimere il ghigno di puro sadismo di fronte all'espressione sconvolta di sua madre. Alla tremula luce della candela, che spandeva sul viso pallido di Grimilde giochi di luci e ombre, Biancaneve dovette ammettere che fosse davvero una bellissima donna, soprattutto lo notò nel seguire minuziosamente l'operazione di recupero del controllo che la sovrana fece per riacquistare un contegno degno di sé.
«Che ci fai qui?» le chiese con voce incolore e per niente impastata dal sonno appena interrotto.
Strega.
«Vengo a salutarvi, madre» Fu un sibilo agghiacciante, ma nessuna delle due parve accusarlo in maniera evidente.
«Bentornata, dunque»
Questo colpì Biancaneve. Si conficcò le unghie nel palmo della mano, stringendo sempre più forte fino a sentir pulsare appena la carne viva.
«Non siete cambiata affatto, madre» constatò, cercando di non forzare la voce.
«Difficile cambiare in meno di un mese, mia cara» la schernì Grimilde, issandosi perfettamente a sedere sul letto fino ad intrecciare le mani in grembo. «Non è passato molto tempo dall'ultima volta in cui ci siamo viste, non credi anche tu? E, a dirla tutta, non mi aspettavo di incontrarti così presto»
«Mi aspettavo di non incontrarvi più»
Dalla spontaneità con cui la regina annuì, la ragazza dedusse che avevano condiviso la stessa impressione.
«Cosa vuoi?»
«Mi mancavate, madre»
Una risata sincera scaturì dalla gola di Grimilde. Con grazia si posizionò una ciocca di capelli – d'ebano, come quelli di sua figlia – dietro un orecchio, temporeggiando nel dire qualcosa.
«Mi credi davvero così sciocca da crederti?» parlò infine, senza smettere l'aria di superiorità che l'aveva sempre contraddistinta. «Dopo tutto ciò che c'è stato tra noi... Dovrei anche prestare attenzione a quello che dici?»
«Io vi ho prestato la mia attenzione persino quando mi sentivo odiata»
Parte del viso di Grimilde si oscurò quando si volse a guardarla – a tentare di guardare – al meglio delle possibilità. Non aprì bocca, ma lo sguardo di ghiaccio bastò perché Biancaneve avvertisse una stilettata al cuore. Per un attimo aveva pensato di potervi individuare del rimorso, del dispiacere, una conversione improvvisa o forse celata per troppo tempo. Ad una seconda analisi, invece, la consapevolezza che quella fosse soltanto indifferenza verso di lei le fece sentire opprimenti lacrime pungerle gli occhi fino a farle abbassare le palpebre per impedir loro di uscire. Quando l'ebbe riaperte, sua madre manteneva ancora il cipiglio.
Non ha mai finto, realizzò con un dolore più forte di quanto si aspettasse. Non è mai stata una maschera.
«Bene, sono qui. Ti ascolto, se è questo che vuoi» annunciò la regina con un vago sospiro che non fece altro che irritare ancora di più la figura fremente addossata al muro.
«Non è necessario che ascoltiate, madre» berciò Biancaneve, muovendo un passo verso il letto. «Non me, almeno»
Il capo di Grimilde ruotò appena in cerca di qualcun altro all'interno della stanza, ma erano sole, madre e figlia.
«Non capisco» ammise lasciando trapelare perplessità dalla voce; perplessità che arrivò a deformarle i tratti del volto nell'udire la risposta.
«Dovrete ascoltare voi stessa, madre. Dovrete sentirvi pregare per ciò che ho sempre desiderato di ottenere»
Rabbia. Biancaneve era la rappresentazione di una rabbia a lungo covata, di un odio difficile da placare, di un sentimento violento che la fece gioire non poco nel riconoscere tracce di terrore nell'interlocutrice.
«Fa paura non sapere, vero?» la canzonò, sempre più vicina, sempre ancorata agli occhi materni. «A me fa male, invece, sapere che non avete mai guardato ai miei bisogni, a me come figlia»
Parole forti, dure, ma che non ebbero comunque il potere di scuotere la sovrana. Ella rimase composta, tacita, famelica soltanto di intuire i piani della piccola.
«Sentirete sulla vostra pelle, madre, ciò che avete fatto a me»
«Biancaneve, che cosa stai dicendo?» La voce di Grimilde si incupì, tremò fino a spegnersi, in attesa.
«Siete davvero così impaziente?» La fanciulla era consapevole di essere entrata pienamente nel campo di luce della candela, ed era fiera del suo ghigno scoperto: un ghigno rosso sangue su un volto diafano.
Era ormai a qualche piede dal letto, ma, evitando di sedersi accanto a sua madre, deviò la traiettoria, preferendo il comodino come obiettivo dei suoi occhi. Si permise di guardare la donna con maggiore attenzione: di nuovo, la vide concentrata solo su se stessa, cieca alla ragazza che aveva messo al mondo; continuava a non accorgersi della sofferenza del suo stesso sangue.
Sangue.
«Non avete risposto, madre» sussurrò chinandosi sulle ginocchia fino ad incrociare frontalmente gli occhi dell'altra. Trattenne a stento l'impulso di schioccare la lingua sul palato in un'esternazione di soddisfazione nel rilevare che le pupille di Grimilde erano dilatate – e non solo per la poca luce. «Siete così impaziente?»
Le giunse solo un muto fremito a ribattere. «Lo prendo per un sì», e Biancaneve tese il collo a schiudere le labbra nell'atto di soffiare sulla fiammella accesa.
«Aspetta, ragazzina!» tentò la madre, spostandosi a disagio sul materasso. Il supplice grido arrivò tardi, però: un alito nella stanza aveva già spento la candela, immergendo ancora una volta l'ambiente in quell'oscurità ovattata che sembrava non voler abbandonare la notte.
«Non sono più una ragazzina, madre»
Chiunque l'avesse sentita in quell'attimo, avrebbe potuto definire il suo tono di voce con un solo aggettivo: malato.
«Ragiona, folle!» Se la regina avesse voluto darle un ordine, Biancaneve non lo capi: quelle parole le arrivarono alle orecchie come uno scongiuro, un'implorazione, la preghiera di un condannato.
«Mi chiamate folle? Ebbene, lo siete anche voi – sapete, voglio ripagarvi con la stessa moneta»
Il letto affondò nel punto in cui la ragazza aveva adagiato una gamba per aiutarsi ad issare l'intero corpo.
Si sarebbe aspettata molte cose, in quel frangente, ma non aveva assolutamente previsto che, d'improvviso, la mano tremante di sua madre fosse sul punto di sfiorarle il ginocchio frettolosamente, per poi quasi rifuggire colpevole nell'entrare in contatto con il tessuto della sua gonna. Fu invece sconcertante avvertire la stessa mano ripensarci e tuffarsi sotto il cuscino, alla spasmodica ricerca di qualcosa – ed ella non impiegò molto a capire cosa cercasse.
Accadde in un battito di ciglia: veloce, Biancaneve estrasse dalle pieghe dell'abito un pugnale e, con forza e freddezza, lo infilzò nell'avambraccio di Grimilde. Tutto ciò che quest'ultima riuscì a fare fu strozzare un grido di dolore misto a terrore nel sentirsi trapassare la carne dalla lama fredda e affilata.
«Abitudini di famiglia, madre, non trovate?» ironizzò la figlia che, senza perdere ulteriore tempo, premette le dita libere sulla gola della donna, stringendo delicatamente ma con determinatezza, il necessario per ridurre l'urlo ad un filo di voce rauca quasi inudibile.
«Già vi lamentate così?» rise percependo il rantolìo della creatura che, ormai, giaceva sotto il suo corpo contorcendosi come poteva.
La piccola si mise più comoda prima di sfilare il pugnale dall'arto di sua madre, ignorando le sue proteste fisiche per liberarsi.
«Piangere non vi salverà la vita, risparmiatemi queste scene patetiche!» abbaiò quando avvertì una lacrima bagnarle il dorso delle dita che pressavano sul collo di Grimilde.
Solo quando l'antica regina sembrò completamente sottomessa al suo volere, Biancaneve scelse di chinarsi lentamente su di lei, guidata dal tatto e dal calore bollente dei corpi. Abbassò il capo per sfiorare con le labbra il lobo dell'altra in un gesto incoerente con l'aggressione appena commessa, ma non parve coglierne la stranezza.
«In fondo, madre, io vi ho amata» mormorò, infatti, con estrema tranquillità; tranquillità che perse ragion d'essere non appena un singulto straziante seguitò quell'affermazione.
«Volevo solo che lo sapeste» rincarò stizzita, rinforzando la pressione sull'esofago, non lasciando a sua madre alcuna scelta, alcuna capacità di replicare. Non ce ne fu tempo, d'altronde: Biancaneve alzò il pugnale a mezz'aria, incurante del sangue che già colava dall'acciaio sporcandole la mano.
Una scintilla di perversione nello sguardo, un rumore come di stoffa stracciata e la camicia da notte di Grimilde giaceva viscida e a pezzi sull'addome della vittima.
Squarciò mirando dritta al cuore, distruggendo quel petto fiorente che, a poco a poco, smise di agitarsi: la regina aveva sbarrato gli occhi, lasciandosi cadere contro le coperte per l'ultima volta.
Se ci fosse stato uno spiraglio di luce nella notte, Biancaneve avrebbe letto nelle iridi di sua madre quella pura, idonea, disperata paura che non era stata in grado di urlare. Non v'era più indifferenza.
Ma la notte rimase nera.


-


I nani accolsero rumorosamente l'odore forte e acre del sangue fresco di cui l'abito e gli arti di Biancaneve erano pregni. La padrona lo capì subito dal modo in cui si ritrassero quando la riconobbero tornare da loro. Preventiva, nascose il pugno chiuso dietro la schiena, occultando con fare protettivo il cuore strappato dal cadavere di sua madre, come chi custodisce gelosamente un oggetto da collezione: non poteva permettersi che scappassero in quello stato o che, peggio, le si rivoltassero contro.
«Andiamo. Il lavoro è finito»
Riluttanti ma docili, i sette si disposero in attesa di compiacerla, e non protestarono in alcuno modo quando ella afferrò di nuovo i guinzagli per assicurarsi che le rimanessero accanto. Tra loro, uno soltanto mostrò la volontà di avvicinarla con affetto: era Cucciolo, ma la ragazza lo cacciò malamente, facendolo tornare nei ranghi risentito. Dovette ammettere a se stessa di aver sentito come una fitta di rammarico per quel gesto cattivo.
Questo le ricordò che c'era qualcos'altro da fare, ancora, prima di poter considerare il lavoro davvero concluso.


«Potresti subire qualche cambiamento, bambina, ma niente di grave»
Le parole lanciate in fretta della Maga scuotono non poco Biancaneve, che sgrana di occhi e fissa la donna di nuovo con fare sospettoso.
«C-Cambiamenti?» le fa eco, assottigliando le dita contro la superficie liscia della fiala dal contenuto violaceo: improvvisamente, non è più così convinta di voler proseguire.
«Ma sì! Oh, come sei sciocca! Dipende tutto dal tuo desiderio più profondo, mi sembra naturale» La voce della Maga trasuda semplicità e facilità. È quasi impossibile non fidarsi di una persona così.
«Ad esempio?» chiede, solo per sicurezza. Le viene da sorridere nel vedere il gesto insofferente che l'altra le mostra.
«Un esempio, eh? Che so, bimba mia! La pozione amplifica le tue capacità, le tue caratteristiche in modo che tu possa realizzare il tuo sogno! Capito?»
«Dunque... Se il mio desiderio è nuotare, io saprò farlo. Non è così?»
La Maga la osserva con una malcelata esultanza. «Sì, piccina! Hai capito!»
Biancaneve è felice: pensa che finalmente sposerà il principe, anche se è così lontano da casa per sbrigare alcune pratiche del suo regno – non ha ben capito di cosa si tratti, ma le è stato promesso che tra poco saranno di nuovo insieme, e stavolta per sempre.
Ora è curiosa, la ragazza dai capelli d'ebano. È curiosa di sapere cosa la pozione le riserverà per dar credito al suo più profondo desiderio. Adesso, invece, è dubbiosa: e se non fosse quello il suo desiderio? In fondo, lo sposerà comunque, il suo principe, anche senza l'aiuto di un filtro. Le serve davvero quel liquido magico? Razionalmente, no, no che non le serve: il suo principe tornerà, a breve, e la chiederà in moglie come si deve. Se quello è il suo sogno, può anche restituire il tutto alla Maga, ringraziarla e spiegarle che non ne ha necessità.
Sta per farlo, infatti, quando arriva una domanda a coglierla di sorpresa.

E se lo usassi per aiutare mia madre?
Biancaneve sa che, fin da quando era piccola piccola, solo una bambina indifesa e speranzosa di ricevere bontà dall'ultimo componente della famiglia che le era rimasto, ha ottenuto solo saluti formali e poco sentiti. Sa anche che c'è del buono in ogni essere vivente, sa che sua madre non voleva davvero ucciderla quando ha ordinato al cacciatore di strapparle il cuore dal petto, sa che le vuole bene pur avendo provato ad ammazzarla. Lo sa, e sa che vorrebbe fare qualcosa per lei, per farle capire come tirar fuori la parte buona di sé – l'ha detto anche la Maga che quella parte esiste. Sì, è il suo più grande desiderio, quello che non ha mai confessato neanche al suo fidanzato. Ricorda fin troppo bene l'espressione preoccupata del principe nel dirle che la regina era riuscita a scappare dall'attacco dei nani, tornando al castello e fortificando il palazzo come a barricarvisi dentro. Non che le augurasse la morte, ma “La sua presenza è pericolosa per te, mia cara”, aveva detto. La fanciulla non aveva trovato il coraggio per comunicargli la felicità provata a quella rivelazione, ma ora sente di potercela fare. È tutto ciò che vuole, sì, sicuramente.
Biancaneve rinsalda, così, la presa sul contenitore di vetro. «D'accordo»
La Maga non trattiene neanche per un secondo il sorriso di trionfo che le increspa le labbra. «Benissimo! Ma tieni a mente una cosa, piccola mia: una volta che tu avrai realizzato il tuo desiderio e i cambiamenti... se ci saranno, s'intende... insomma, se i cambiamenti non ti serviranno più, devi solo bere di nuovo quel liquido. Hai capito?»
«Come se fosse l'antidoto del suo stesso effetto. Sì, ho capito»
La Maga batte le mani festosa, avvicinandosi a lei con una parvenza di ingordigia negli atteggiamenti. Soltanto adesso la ragazza capisce di doverle qualcosa.
«Qual è il prezzo, Maga?» domanda, sperando di sembrare gentile nonostante la dimenticanza.
«Oh, tesoro! Non mi devi niente! Mi piace fare del bene al prossimo, carissima!»
Per quanto la voce di quella donna sia melliflua e ancora vagamente inquietante, Biancaneve non può fare a meno di dirsi di star fronteggiando una persona decisamente buona.
«Assisterò soltanto alla tua felicità, bimba bella!» ripete la Maga, stringendo le mani alla ragazza con fare gentile e caritatevole. Non le importa molto di capire il senso profondo di quella frase, ma le basta.
«Grazie, grazie con tutto il cuore!»
Non passa molto tempo prima che la donna si congedi, lasciando la giovane sola con la sua fiala che non teme più. È per questo che non esita a bere il liquido viola. Non ha previsto di doverselo staccare dalle labbra con foga. Non ha previsto di sentire il mondo girare intorno a sé. Non capisce perché, ma in un attimo la cucinetta dove si trova ha preso a vorticare frenetica, come mossa da una forza esterna. Non sa definire cosa le stia bruciando il cuore e il petto. Le sfiora la mente il dubbio che sia solo tutta una sua impressione, ma non fa in tempo a formularlo per intero: riesce a salvare la boccetta giusto un momento prima di cadere a terra incontrollatamente.
Quando riapre gli occhi, intorno a sé tutto è fermo. Ci sono i nani che la guardano con occhi diversi, da bestie. La fanciulla vede la fiala accanto a loro: hanno bevuto parte della pozione, forse per accertarsi che non fosse niente di grave, e ora non desiderano che soddisfare l'amica, a lungo protetta dalle grinfie del Male.
Assottiglia appena gli occhi, Biancaneve, mentre pensa e si analizza, scruta dentro di sé, nel suo cuore, alla ricerca del suo grande sogno.

Uccidere mia madre la Regina Cattiva.
Snuda i denti e ride, e ride ancora perché i sette ripetono il suo gesto come se fossero il suo specchio. Ora che ci ragiona su, quegli sguardi malvagi la riflettono appieno.
Il riso si fa più forte.


Non percepì il fetore del sangue fin quando una folata di vento aspramente gelido le fece accapponare la pelle.
Biancaneve alzò gli occhi ad inquadrare il paesaggio che le si presentava, ma ricordò troppo tardi di non poter vedere nulla a causa del buio completo. Non che le importasse molto, in fondo: aveva la mente ancora ingombra delle immagini di sua madre, di come le era parsa totalmente crudele anche nei suoi ultimi istanti di vita – aveva tentato di ucciderla di nuovo, e l'avrebbe fatto, stavolta senza interferenze, se la giovane non fosse stata così spietata nell'agire.
D'istinto, artigliò le dita nella carne ancora morbida dell'organo che aveva in mano, sentendo gocce di sangue stillarle sulla pelle.
Ricordava anche di essersi ferita durante la delicata operazione, ma sul momento aveva deciso che quel taglio, per quanto profondo, avrebbe atteso. Lì, con quel freddo a fenderle il corpo quasi scoperto ad eccezione del mantello, le labbra del graffio presero a pizzicarle insopportabilmente. Si morse la lingua, sperando che quel dolore annullasse il primo.
Un ringhio di frustrazione le colorò la voce nel momento in cui l'ennesima scia di vento le scompigliò i capelli. Data la potenza dell'aria, Biancaneve comprese di essere uscita dal portico del castello. I suoi occhi cominciavano fortunatamente a distinguere molte sagome cariche di nero, tanto da tranquillizzarla sulla via del ritorno: non avrebbe faticato a ritrovare il viale, il ponte di pietra, il sentiero dei cacciatori nel bosco e la capanna.
Fu comunque costretta a fermarsi sul posto, in silenzio, tirando le catene che teneva strette al polso per bloccare l'avanzare dei nani. Qualcosa l'aveva colpita sul viso, lasciandole una minuscola – ma percepibile – chiazza bagnata sulla guancia di porcellana. Alzò la mano che occultava il cuore di Grimilde per asciugarsi quella lacrima non versata: neve, un delicato fiocco di neve che le si era appuntato sul volto.
Il tempo è davvero cambiato, pensò con una punta di agonia nella coscienza. Le tornò alla mente una lontana mattina d'inverno, anni addietro, poco prima che suo padre morisse. Era esattamente l'ultimo ricordo felice che avesse del suo vecchio, malato genitore. Avevano giocato a lungo con la neve, con quell'elemento che apparteneva al suo stesso nome. Erano stati così felici, così puri, ma in quella notte senza luna tutto ciò che riusciva a provare era odio, irritazione, ira.
Si passò rabbiosamente le dita sulla gota per scacciare il fiocco e le memorie del passato, non badando al sangue che, probabilmente, le stava imporporando la parte sfiorata. Con un unico gesto fulmineo, la fanciulla coprì la testa con il cappuccio leggero che le penzolava sulla schiena.
Riprese il cammino con mestizia, mentre un nodo cominciava ad ostruirle la gola con inaudita prepotenza: tutto ciò che ora desiderava era tornare a casa.


-


Il bosco era silenzioso, eccetto che per il lievissimo fruscìo delle foglie agitate da un vento molto più leggero di prima. Nevicava ancora. I capelli e il mantello di Biancaneve erano completamente bagnati quando giunse sull'uscio della capanna, aprendolo con slancio. Si meravigliò nell'accorgersi di aver lasciato la candela a consumarsi inutilmente, lì, accesa sul tavolino di legno.
Tanto meglio, pensò quindi, socchiudendo gli occhi a quella luce inattesa che le ferì le iridi. Il chiarore soffuso illuminò parte del vialetto e soltanto allora ella si accorse di quanta neve fosse già caduta: un tappeto bianco ricopriva quello che fino a poche ore prima era stato un praticello verde dall'erba tagliata bassissima da mani soffici, le sue.
È ora di tornare.
Senza permettere che la porta le si chiudesse dietro le spalle, Biancaneve sganciò la fiala, che finora le era rimasta appesa alla gonna, e la stappò con una modesta pressione dei denti. Rivoltandola, facendo ben attenzione che neanche una goccia del liquido viola ricadesse sulla neve, umettò l'indice con il contenuto, resistendo strenuamente alla tentazione di bere per prima.
«Qui, uno per volta» ordinò, ma la sua voce aveva perso vigore.
Per primo le si avvicinò Brontolo, grugnendo stancamente. Stette stoico ad attendere eventuali richieste: il suo desiderio era ancora esaudire le volontà della donna per cui sarebbe volentieri morto.
Biancaneve si limitò a passargli il dito sulle labbra, a dargli una spinta per farlo entrare dentro la casupola e a fare segno al prossimo di imitarlo. Forse rassicurati, forse infreddoliti e sognanti un letto comodo su cui dormire, i nani eseguirono con celerità, ricevendo ognuno lo stesso trattamento, semplice, indolore e apparentemente privo di senso.
Quando anche l'ultimo dei sette fu rientrato, un po' barcollante, nella familiare abitazione, Biancaneve fece qualcosa che non aveva previsto di fare: si portò il cuore di Grimilde al petto, come se potesse sentirlo ancora battere, stringendolo in un abbraccio impossibile da ricambiare. Restò in quella posizione per qualche minuto, ad occhi chiusi, noncurante del freddo e dell'ambiente circostante. Voleva soltanto vivere un ultimo momento con ciò che le restava di sua madre senza doversene sentire atterrita, impaurita, disgustata.
Avrebbe mantenuto ancora il cuore senza vita premuto contro il suo, ben pulsante nella gabbia toracica, se solo non fosse giunto un maschile grugnito di dolore dalla casa. Sussultò nell'udirlo distintamente, mentre il timore – la certezza – di esserne la sola e unica responsabile le invadeva l'anima.
Io ho ceduto, io ho fatto del male, io ho odiato, io li ho resi ciò che sono stati in questi giorni, io li ho indotti a testare sulla loro pelle qualcosa che non avrebbero dovuto mai provare. Io ho rovinato tutto.
Di colpo, sentì le gambe non sostenere più il suo esile corpo. Crollò a terra, cercando di salvare dall'impatto ciò che stringeva in entrambe le mani. Percepì un passeggera fitta alla spalla, ma decise che il secondo urlo di terrore fosse più doloroso di qualsiasi male si fosse procurata all'istante. Fu quando ne seguirono un terzo, un quarto e un quinto che comprese: voleva cambiare all'istante.
Constatando che la pozione era ancora al suo posto, Biancaneve se la portò alle labbra, le mani che tremavano senza sosta tanto da istillarle la paura che quel contenuto potesse non arrivarle alla gola, ma preferire il terreno candido ad un corpo immondo.
Bevve tutto d'un fiato, tossendo convulsamente quando il liquido le bruciò la lingua. Ricordava di non aver avuto quella reazione la prima volta, ma non ebbe la forza di continuare il ragionamento: il petto le fu scosso da uno spasmo violento che l'appiattì contro il suolo. Si accorse di aver rotto la bottiglia quando una scheggia di vetro le ampliò il già presente graffio che sembrava aver smesso di protestare. Avrebbe voluto gridare per la fitta che le procurò, ma qualcosa le impediva di farlo, persino respirare le risultò difficile. Non capiva più nulla, guardava la neve, le sue mani ma non le vedeva davvero. Desiderava, ora, che quella sofferenza svanisse nel nulla, ma l'effetto della pozione scemava sempre di più: niente le avrebbe permesso di realizzare un altro sogno, niente le avrebbe tolto il peso che gravava sulla sua mente e che non si era accorta di avere.
Protese il collo verso l'alto senza un motivo preciso, o forse sperando di poter alleviare il tormento stendendo i muscoli. O, ancora, credeva di poter rivedere la faccia della luna illuminare il paesaggio, illuminare lei, darle la via.
Vide tutt'altro: dietro ad un nodoso tronco arboreo un'ombra verticale si stagliava sulla radura. Se non avesse avuto a sua disposizione la tremula fiammella della candela a spandere un po' di chiarore, Biancaneve non avrebbe intravisto la figura un po' curva di una persona dai capelli lunghi parzialmente nascosti da quello che, ad una prima impressione, le parve essere un mantello. La fanciulla strabuzzò gli occhi prima di balbettare, incerta:
«Ma-Maga...?»
Una risatina gutturale le riempì le orecchie, seguita da uno scintillio sinistro sul fianco di quell'individuo.
Che cos'è?, si chiese, cercando di rialzarsi colta da un terribile presentimento.
Era riuscita ad issarsi sulle ginocchia con movimenti impacciati quando la candela si spense definitivamente, ormai consumatasi del tutto. L'ultima cosa che le rimase impressa nella retina fu la visione delle sue dita atte a racchiudere il cuore di sua madre su un bracciolo di neve rossa sotto un cielo senza luna. Nelle orecchie, l'ultimo grido dei nani.
Sovvenne il buio.




FINE




Note:
]: nel film d'animazione, Grimilde è la seconda moglie del padre di Biancaneve, dunque sua matrigna, ma l'elemento è ripreso da altre versioni della fiaba che vogliono la regina come genitore della protagonista.
[²]: la Maga altri non è che la trasformazione di Grimilde nella vecchia donna che offre la mela a Biancaneve. Le due figure, in questa storia, NON sono la stessa persona, ma sono sdoppiate per economia della trama: la regina è la regina, la Maga è la Maga.




Angolo dell'Autrice: In ritardo, ma... Buon Halloween a tutti voi!
Avrei voluto pubblicare prima qualcosa per l'evento, ma non ci sono riuscita per motivi scolastici.
L'idea mi balenava da un po' nella mente, e la definitiva riscoperta delle principesse versione dark mi ha dato l'input necessario per buttarla giù.
Negli avvertimenti ho inserito l'OOC perché, pur essendo ampiamente spiegato il motivo per cui ognuno dei personaggi agisce nella maniera in cui agisce, è innegabile che siano OOC! Se credete che sia superfluo, ditemelo e lo ometterò dalle caratteristiche! ;)
Ringrazio calorosamente e preventivamente tutti coloro che arriveranno fin qui a leggere questa storia assolutamente senza pretese, ora e in seguito, chi vorrà inserirla in una delle liste e chi vorrà lasciarmi il proprio parere, negativo, positivo o neutro che sia! Siete tutti i benvenuti, non fatevi scrupoli!
Sperando di avervi suscitato qualche emozione, io vi saluto e vi mando un bacione immenso! :***
Ciao ciao!

Julie_Julia

   
 
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