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Autore: Valerie    02/11/2014    3 recensioni
Partecipante al 'Gli strati dell'amore-contest' di Lelle10
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Cit dal testo.
Voglio mettermi ad urlare.
Cerco di controllare gli spasmi. Non riesco a capire nulla. Mi infilo le dita fra i capelli, li stringo quasi a volerli strappare via tutti.
Mi sento frustrato, impotente, colpevole.
-Perché...?- chiedo ad una stanza vuota.
Abbandono le braccia lungo i fianchi, abbasso le spalle, arreso.
Un gracchiare di carta attira la mia attenzione.
Dalla tasca del pigiama fa capolino l'angolino di una busta.
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Autore: Valerie90(Forum) Valerie (EFP)
Titolo: Come diamante
Personaggi e Pairing: Het/ Shōnen'ai
Genere: Drammatico, Erotico, Introspettivo
Rating: Rosso
Avvertimenti: Tematiche delicate, contenuti forti, lemon
Introduzione: Cit dal testo
Voglio mettermi ad urlare.
Cerco di controllare gli spasmi. Non riesco a capire nulla. Mi infilo le dita fra i capelli, li stringo quasi a volerli strappare via tutti.
Mi sento frustrato, impotente, colpevole.
-Perché...?- chiedo ad una stanza vuota.
Abbandono le braccia lungo i fianchi, abbasso le spalle, arreso.
Un gracchiare di carta attira la mia attenzione.
Dalla tasca del pigiama fa capolino l'angolino di una busta.

Note dell'Autore: Si trovano in fondo alla storia, non le metto prima per non spoilerare.
 
 
 
 
                                                     COME DIAMANTE
 
 
 
 
 
3.14 a.m.
Una telefonata.
Corro giù per le scale, prendo al volo le chiavi della macchina appoggiate sul vecchio mobile di legno all'ingresso.
Esco di casa.
Mi guardo intorno smarrito, non ricordo dove ho parcheggiato la Punto.
La vedo, un paio di cento metri distante da me, vicino ai secchioni della differenziata.
Salgo e metto in moto.
Le luci dei lampioni lasciano scie luminose sui finestrini della macchina al mio passaggio.
Un dolore acuto si fa presente al centro del petto mentre sfreccio per le strade deserte della città.
Respiro corto.
Mi tremano le mani.
Cerco di calmarmi mentre abilito il vivavoce della macchina.
Faccio il 118.
-Pronto intervento, mi dica- Una voce impostata risponde all'altro capo del telefono.
-Salve, servirebbe un'ambulanza in via Borromini, 125...- dico tutto d'un fiato.
-Si calmi, mi dica cosa è successo-
-Non lo so cosa è successo! Ero al telefono con...un amico...lui, lui era strano, biascicava parole, borbottava. Tra i suoi mugolii ne ho recepito alcune come 'Adesso basta', 'Voglio morire' e ad un tratto ho sentito uno sparo, poi più nulla-
-Capisco. Avverta anche la polizia, noi nel frattempo invieremo una vettura-
Caduta la linea chiamo la polizia locale.
Saranno sul posto fra dieci minuti.
Sicuramente prima di me.
Casa mia dista da quella di Mirko più di venti minuti.
 
 
 
 
 
Circa un anno prima.
 
 
 
Un bar.
-Un caffè per favore- dico ad una platinata cameriera in minigonna bordeaux dietro al bancone.
La bionda alza gli occhi su di me.
-Come lo vuole?- mi chiede sbattendo le ciglia seppellite da troppe passate di mascara.
-Al vetro, macchiato. Grazie- le rispondo sedendomi su uno sgabello di fronte a lei.
Le sorrido.
Anche lei lo fa.
Me ne vado poco dopo con uno scontrino in mano, sul cui retro è stato scarabocchiato frettolosamente un numero di telefono.
Ho procacciato il divertimento per la serata.
Rientro dal lavoro, mi faccio una doccia e mi preparo per uscire.
Squilla il telefono, è Mirko.
-Ehi amico!- gli dico -No, mi dispiace, sta sera ho un certo movimento per le mani. Sarà per la prossima- lo liquido. Mi rendo conto che la fatidica 'prossima volta' non arriva da un po' di tempo.
Mirko è un mio grande amico, ci conosciamo da una vita, ma negli ultimi tempi è difficile che io anteponga lui ad "un'interessante" serata.
Ci siamo conosciuti al liceo. Frequentavamo due sezioni diverse, ma ci piaceva la stessa tipa. 
Una scazzottata e una notte in centrale ha fatto di noi i più grandi amici.
C'è stato per me quando ho scoperto che mia madre tradiva mio padre, per poi abbandonarmi e io c'ero per lui tutte le volte che il suo vecchio lo picchiava, sempre troppo ubriaco.
I rapporti hanno iniziato a prendere una brutta piega dopo il liceo, io mi sono iscritto alla facoltà di ingegneria, mentre lui coltivava brutte amicizie.
Lo vedevo spesso in giro con quegli altri.
-Qualche volta verrò a trovarti- mi diceva.
Dopo la laurea ci siamo visti ancor più di rado. Io sempre risucchiato dalla carriera (e dalle donne) e lui alla prese con un modesto lavoretto.
 
 
La bionda, di cui non so neanche il nome, mi aspetta davanti al bar. Scendo dalla macchina  e le apro la portiera, giusto per fare un po' di scena.
Dopo una mediocre cena ed un'insipida chiacchierata torniamo verso casa.
Mi chiede se voglio salire da lei per un caffè.
Accetto.
Le pareti dell'appartamento sono tappezzate di foto.
La bionda con delle amiche. La bionda con il cane. La bionda al mare. La bionda...
Mentre sorseggio il caffè, lei va un attimo in bagno.
Quando poso la tazzina che ho in mano, la bionda è di ritorno con indosso un completino di pizzo nero.
 
Verso le 3.00 torno a casa.
La scusa del cane solo funziona sempre. Non importa se banale.
Parcheggio la macchina poco lontano dal bilocale in cui abito.
Noto subito una cosa strana.
Una figura è accasciata sui gradini davanti la porta.
Mi avvicino titubante, guardingo.
La fioca luce della lampadina sotto la tettoia illumina il viso pallido di Mirko.
-Ma che cazzo...- dico solo.
Cerco di alzare il mio amico da terra smuovendolo veementemente.
Apre gli occhi di colpo.
-Dove sei stato?- mi chiede scattando in piedi.
Indietreggio un po'. Lo guardo sconcertato.
-Ma che hai? Sei fuori?- domando allargando le braccia.
Non capisco, non si è mai comportato così. Lo guardo meglio,annusando l'aria, alla ricerca di odore alcolico.
Niente.
-Sono settimane che ti chiamo e mi liquidi sempre con la stessa frase-
Avverto un'a nota isterica nella sua voce.
-Ho avuto da fare! E poi ti sembra questo il modo e il momento per fare...certe scenate? Sembri una donna gelosa!- gli urlo infastidito.
Forse è il buio, forse è la sorpresa, sta di fatto che non riesco ad evitare il forte pugno che Mirko mi assesta sullo zigomo destro.
 
 
 
Ripenso a come una scazzottata abbia dato inizio alla mia amicizia con Mirko e a come un'altra ne abbia deciso la fine.
Mentre ancora ci prendevamo a botte è arrivata la polizia. Qualcuno doveva aver chiamato le guardie.
La mattina dopo ci siamo svegliati in due celle distanti. Nessuno proferì parola.
Non uno sguardo, non un cenno. Siamo usciti dalla questura e abbiamo preso due strade diverse. Non ci siamo più sentiti.
Ancora oggi non mi è chiaro il perché di quella notte.
Un centinaio di metri prima del viale di casa di Mirko riesco a vedere i lampeggianti della polizia e dell'ambulanza.
Parcheggio lungo il marciapiede e scendo di corsa.
I bordi del pantalone del pigiama si bagnano a contatto con la rugiada mentre taglio per l'aiuola.
Un agente in divisa mi ferma sull'uscio della porta.
-Non può entrare-
-Come non posso entrare? Ho chiamato io la polizia!- dico esasperato.
-Mi dispiace. Non posso farla passare-
Fingo di arrendermi. Mi volto e faccio due passi in avanti.
Con la coda dell'occhio vedo la guardia rilassarsi.
Torno indietro e con uno scatto riesco a spostare il poliziotto e ad entrare.
-Si fermi! Lei...-
Il resto delle parole non le capisco.
Vedo solo un lenzuolo bianco steso a mo' di tappeto.
Una macchia vermiglia al centro.
Due braccia mi afferrano da dietro.
Cerco di divincolarmi. 
Devo vedere, devo capire, devo sperare...
 
 
 
 
 
Questura. 11.18 a.m.
 
-Lei è il signor Gallo Luca?- mi chiede il commissario.
Annuisco.
-Queste devono essere per lei. Non passeranno agli atti, poiché non si tratta di omicidio. Può prenderle tranquillamente. Se vuole può andare-
Mi porge delle buste da lettera.
Esco dalla questura a passo lento, intontito.
Raggiungo la macchina. 
La gente mi fissa, sono ancora in pigiama.
Me ne frego. Salgo sull'auto.
Guido senza sapere bene dove andare.
Per qualche motivo mi ritrovo davanti casa di Mirko.
Scendo.
Un poliziotto mi vede, sta per aprire la bocca ma non dice nulla.
Lo riconosco, è quello che non voleva farmi entrare sta notte.
Si sposta dalla porta e mi lascia passare.
Mi guardo intorno. Le bianche pareti spoglie riflettono l'abbondante luce che entra dalle finestre.
Mi fanno quasi male gli occhi.
 Gli elementi di arredo sono praticamente inesistenti.
Noto che sono cambiate molte cose dall'ultima volta che sono stato qui.
Il salone consiste esclusivamente in un tavolino di legno grezzo, di quelli che si comprano da Ikea, e da una vecchia poltrona malconcia di pelle bianca.
Una televisione a tubo catodico si regge a malapena su un'impolverata sedia di plastica.
L'angolo cottura è abitato da un'arrugginita e solitaria macchina per il gas, con il cassettone del forno infilato subito sotto.
Un piccolo cestino di paglia, adagiato all'angolo della macchina, ospita un piatto di plastica incrostato ed una forchetta.
Il lavello manca.
Poco distante da me, all'ingresso, c'è la base di un telefono senza fili. Il telefono non è in carica.
Una morsa mi attanaglia lo stomaco.
Veloci fotogrammi mi attraversano la mente.
La macchia di sangue, il lenzuolo bianco, il corpo nudo di Mirko, la pistola nella sua mano sinistra.
I conati di vomito mi costringono in bagno.
Butto fuori tutto l'acido, come volessi rigettare tutto questo.
Mi accascio di fianco al water portandomi le mani alle tempie, la schiena poggiata contro le piastrelle.
Un bussare attira la mia attenzione.
-Signore, tutto bene?- mi chiede il poliziotto da dietro la porta chiusa.
Mi schiarisco la voce prima di parlare.
-Sì...non si preoccupi- rispondo a fatica.
L'acido del rigurgito mi brucia la gola.
Poggio lo sguardo su ciò che mi circonda.
Nulla.
Non c'è un mobiletto, un asciugamano, neanche la carta igienica.
Mi sporgo verso il lavandino per appurare che non v'è traccia neanche di un semplicissimo spazzolino.
Mi alzo velocemente ed esco dal bagno.
Il poliziotto è lì nel corridoio, appoggiato alla parete di fronte alla porta.
Mi scruta.
Gli faccio un cenno con la testa.
-Sto bene, grazie- gli dico a conferma.
-Posso...andare nella camera da letto?- chiedo.
-L'accompagno-
Capisco che non dovrei essere lì e che quest'uomo mi sta facendo un grande favore.
Mi scorta, aprendo una bianca porta cigolante.
-Scusi, ma non posso farla stare ancora molto- mi dice.
Annuisco con la testa.
Mi lascia entrare, chiudendo la porta alle mie spalle.
La luce fioca della lampadina illumina a fatica una stanza verniciata completamente di nero.
L'oscurità mi disorienta.
L'aria pesante sembra soffocarmi. 
Cerco istintivamente la finestra.
Non la trovo.
Mi avvicino lento alla parete di fronte a me.
Tocco la superficie che un tempo ospitava un'ampia finestra.
Le mie dita incontrano la ruvidezza del cemento non carteggiato.
Scosto la mano di scatto, come fosse stata ustionata.
Un nodo mi stringe la gola.
Mi volto e vedo il letto spoglio con accanto una piccola scrivania, letteralmente sommersa da fogli di carta straccia.
Allungo solamente il braccio, non volendomi accostare troppo. Timoroso afferro un pezzo di carta spiegazzata.
Lo apro.
Un mucchio di scarabocchi si distende su quel foglio, apparentemente senza senso.
Lo rigiro fra le mani, come a trovare il verso giusto.
Un mucchio di disordinate linee curve si intrecciano fra loro. Sembrano delle nuvole stilizzate.
Penso, ricordando i miei disegni di bambino.
Prendo altri fogli, alcuni scarabocchiati, alcuni lasciati in bianco, altri ancora scarabocchiati per metà.
Li spiego uno ad uno, poggiandoli sul pavimento.
Li guardo dall'alto della mia posizione.
Una certa inquietudine mi invade.
Inizio a spostare i fogli, a seguirne un ordine, quasi fossero i pezzi di un puzzle.
Alla fine dei profondi brividi mi scuotono tutto il corpo, facendomi rizzare i peli dietro al nuca e sulle braccia.
Una stilizzata immagine ritrae il mio viso colto da stupore.
Porto una mano alla bocca quando sento nuovi conati arrivare.
Indietreggio appoggiandomi al letto.
Del sudore inizia ad imperlarmi la fronte.
Voglio mettermi ad urlare.
Cerco di controllare gli spasmi. Non riesco a capire nulla. Mi infilo le dita fra i capelli, li stringo quasi a volerli strappare via tutti.
Mi sento frustrato, impotente, colpevole.
-Perché...?- chiedo ad una stanza vuota.
Abbandono le braccia lungo i fianchi, abbasso le spalle, arreso.
Un gracchiare di carta attira la mia attenzione.
Dalla tasca del pigiama fa capolino l'angolino di una busta.
Ricordo improvvisamente le lettere che il commissario mi ha dato prima di rilasciarmi dalla questura.
Le tiro fuori, saranno una decina.
La maggior parte delle buste sono bianche, solo su una è riportato il mio nome con il mio indirizzo.
Apro la prima.
'Ciao Lu...'
Recita.
'Ti scrivo perché, perché...Niente, lascia stare'
Così si conclude.
Apro la seconda, ma non riporta niente di diverso.
Fino alla nona lettera sembra che Mirko abbia provato a buttare giù una bozza di discorso senza riuscire a prenderne le fila.
Apro l'ultima e sta volta trovo un foglio scritto in modo molto fitto.
Dalle prime parole noto che i tentennamenti, i freni che non permettevano al mio amico di parlare sono svaniti, lasciando il posto ad un dirompente ed esasperante dolore.
Nessun ciao né caro inizia questa lettera.
 
 
Ti ricordi perché abbiamo iniziato a vederci poco? Smettila di raccontarti stronzate, smettila di dirti che è stata l'università, il lavoro, la routine quotidiana. Lo so che hai ben presente quella sera, anche se hai sempre fatto finta di niente.
Siamo tornati dalla disco un po' alticci, è vero, ma non abbastanza da dimenticare tutto quello che è successo dopo.
Ho ben stampata nella testa l'espressione schifata, mista a stupore, che hai fatto quando mi sono staccato da te.
Ricordo di aver fatto finta di essere più ubriaco di quel che ero per nascondere l'intenzione di quel contatto e tu sembravi averci creduto, almeno così pensavo.
Ricordo che ti sei passato la manica della maglia sulla bocca.
Ricordo il dolore che ho provato nel profondo del cuore.
Il giorno dopo ho fatto finta di niente e a te ha fatto comodo così.
Non avresti mai accettato quella realtà, infatti i nostri rapporti si sono sciolti quasi del tutto.
Ad oggi non so dirti il perché del mio comportamento.
Non so spiegarti l'affetto che provo per te, che natura abbia in realtà.
So solo che è stato per tanto tempo il mio ancoraggio alla vita. Mentre mio padre mi picchiava tu eri lì a difendermi, ad accogliermi, a proteggermi.
Poi te ne sei andato e l'ultimo baluardo ha desistito.
La droga è arrivata a darmi sostegno e con lei l'HIV.
So bene dove ti porta il dolore, so dove mi sta portando il mio.
Non permettergli di prendere il sopravvento della tua vita. Ti conosco, devi solo renderti conto di quale ferita sto parlando.
Tua madre.
Smettila di punire tutte le donne che vedi e che conosci, non sono lei! Non possono farsi carico delle sue colpe e nessuna di loro te la ridarà mai indietro!
Esci  da questo circolo vizioso o vivrai sempre nel vano tentativo di tramutare il presente in passato.
Ho cercato la paternità in molti uomini più grandi di me.
Sai cosa voglio dire e sai bene che non è stato possibile trovarla.
Il mondo è vuoto, non può darmi quello che cerco e se non può farlo non vale la pena rimanerci.
La gioia rende l'uomo socievole, il dolore lo allontana dagli altri.
Amo te come avrei amato mio padre? Può darsi.
Sono malato terminale, Lu.
Non ti chiamo perché i miei momenti di lucidità sono ben pochi, le crisi di astinenza sono sempre più frequenti e non faccio altro che aumentare le dosi ogni volta che mi buco.
Non è una buona cosa quella che sto facendo, sono un grande egoista, mi sto liberando della mia zavorra
 ma la sto caricando sulle tue spalle. 
Scrollatela di dosso il più presto possibile, ma lasciami morire libero.
Anche tu devi essere libero, libero di vivere!
Qualche tempo fa un prete mi ha detto che i peccati veri sono quelli che facciamo contro il nostro cuore, quelli che nessun'altra persona potrà perdonarci, solo noi stessi. Sono in genere proprio quelli che, invece, non riusciamo a condonarci, che ci deturpano l'anima.
La fede mi ha fatto prendere coscienza di una cosa, anche se troppo tardi,ognuno di noi è un diamante.
Anche se questo diamante cade in una pozzanghera e sta lì per mesi o anni e il fango gli si secca intorno, esso non perde il suo valore, basta dargli una pulita e il diamante torna a splendere brillante.
Mi dispiace di non aver incontrato Dio prima e di non essermi sentito diamante nelle sue mani quando avrei ancora potuto cambiare la mia vita.
Prega per me se ti va, io lo farò per te.
Con tutto l'amore di cui sono capace.
   
 
                                                                           Mirko
 
 
Continuo a guardare il foglio che ho tra le mani, mentre delle lacrime cadono andando a sbiadire l'inchiostro.
Mi stringo le braccia al petto per cercare di arrestare il vuoto che sento dilagare nel cuore.
Mi alzo dal letto ed esco dalla stanza spalancando la porta.
Il poliziotto che sosta su una sedia poco più in la sobbalza dallo spavento.
Mi chiede qualcosa ma non lo sto a sentire.
Boccheggio, mi manca l'aria.
Barcollando arrivo alla macchina.
Metto in moto.
La Basilica di S. Paolo brulica di gente.
Parcheggio e scendo.
Ancora in stato confusionale entro nella chiesa.
Un prete dentro un confessionale fa capolino con la testa.
Si alza.
-Lei...- inizia a dirmi guardandomi dalla testa ai piedi.
-La prego, mi confessi- lo supplico.
 
Quattro anni dopo.
 
 
 
-Salve signore, le ricordiamo che oggi il cimitero è aperto fino alle 14.00- mi dice il custode vedendomi entrare.
-Sì, la ringrazio- gli rispondo cordialmente.
 Percorro una ventina di metri e poi ti vedo, nella foto più bella che sono riuscito a trovare.
Sorridente.
-Ciao Mì...- ti saluto battendo leggero una mano sulla lapide.
Dei piccoli passi scalpitanti mi raggiungono alle spalle.
-Papà! Papà! Posso mettere io i fiori a zio Mirko?- la voce della piccola Elena risuona cristallina.
-Non urlare!- la rimbecco.
Mortificata si porta una mano alla bocca.
Le sorrido.
-Certo che puoi metterli tu- le dico più dolce.
Tutta contenta toglie i fiori un po' appassiti dal vaso sulla lapide e vi mette quelli freschi.
Si fa il segno della croce e congiunge le mani a mo' di preghiera.
Una lacrima di commozione mi solca il viso.
Due braccia mi cingono i fianchi.
Francesca mi si fa accanto, silenziosa.
Mi stringe semplicemente e mi bacia per poi carezzare la tua foto e mettersi accanto ad Elena.
Avrei voluto ci fossi al mio matrimonio, sai?
Saresti stato il mio testimone, perché è solo grazie a te se oggi sono qui, libero dal doloroso passato e felice nell'amore.
Le tue preghiere hanno funzionato alla grande Mì...grazie.
 
 
 
 
Note dell'Autore:
 Saaalve a tutti/e!
Che dire di questa One-shot? La adoro!
Nasce da un contest, così come si legge nell'introduzione, 'Gli strati dell'amore' di Lelle10.
Ci tengo a sottolineare alcuni particolari della storia.
La casa di Mirko e la finestra della camera da letto.
Mi sono fermata moltissimo sulla descrizione dell'abitazione del ragazzo, non a caso, proprio per sottolinearne l'importanza.
Mirko riproduce in concreto quello che sta vivendo e lo si capisce quando dice che il mondo è vuoto, e così come esso è vuoto, lo è anche casa sua.
Riporta il 'macrocosmo' nel suo 'microcosmo'.
 Così prende le distanze da tutto ciò che è fuori e si rinchiude in sé stesso.
Si barrica nella sua stanza, unico posto dove riesce ad esistere.
Chiuso, buio, impenetrabile.
Da notare il dettaglio della finestra, murata in fretta, tanto che il cemento grezzo non viene neanche rasato, proprio per riuscire a mettere una barriere fra sé e ciò che lo circonda,che lo priva dell'amore e della gioia.
Sottolineo anche il contrasto che c'è tra l'oscurità soffocante della camera da letto e il resto della casa, invece bianca e luminosa a tal punto da far male agli occhi, tanto riflette la luce del sole che viene da fuori.
Questo sta ad indicare quanto Mirko soffra, non solo il proprio male, ma anche la gioia del mondo esterno, quella gioia che lui non riesce a raggiungere, il cui guardarla gli procura solamente altro dolore.
Spero che questa spiegazione possa aver chiarito il sorgere di qualche dubbio.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Un bacio grandissimo a tutti!
_Val_ Terzo posto:

'Come diamante' 
di Valerie90.
Vincitrice del premio per la storia che mi ha fatta commuovere di più.
 
Grammatica 6/10 
Allora... inizio con il dirti che hai periodi davvero, davvero brevi... dovresti allungarli maggiormente!
Poi... il tuo lessico non è molto ricco di vocaboli, usi ancora un po' di lingua parlata, ti faccio un esempio: ''Faccio il 118.''
Potevi scrivere ''Digita il numero per ricorrere ai soccorsi.'' Sarebbe andato già meglio.
Poi un consiglio, non ripetere sempre ''La bionda'' dai altri soprannomi, o dalle un nome.
E per un ultimo -ma non meno importante- dovresti staccare i segni di punteggiatura dalla parola successiva e attaccarli alla precedente, te lo dico perché ho visto dei ''...'' attaccati a entrambi.
 
Impaginazione 9/10 
Impaginazione davvero magnifica, complimenti! 
Avrei però usato, al posto tuo, una scrittura più grande o anche un altro stile.
 
Originalità: 18/20
L'originalità c'è... alla grande... e si vede!
 
Rispetto consegna e pacchetti 10/10
Che dire... il pacchetto è stato rispettato alla grande.
 
Gradimento personale 14/15
La storia mi è piaciuta tantissimo -parla una che odia le het erotiche- però oltre questo, è davvero stupenda!
Sapendo di Mirko, giuro mi è venuto un groppo alla gola. Davvero commovente, brava!
 
Punto bonus 1.5
Un mezzo punto per lo shonen-ai e un punto per il banner.

 
Tot 58.5/65
 
   
 
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