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Autore: Fear    02/11/2014    2 recensioni
[Slice of life, missing moments, introspettivo; whump – Rea!centric]
Cit/: Il suono ipnotico collideva con il lembo delle foglie, rimbombando nella malinconia di una vita sacrificata per una morte speranzosa; priva di qualsiasi ricordo dell'infanzia segregata e sfruttata insieme al suo puro corpo, Rea ascoltava. Girava su se stessa, volteggiando sul terreno bagnato, e divaricando le braccia di un bianco irreale verso il paradiso, fingendo di provare la sensazione dell'acqua scivolare sulla sua pelle. Solleticò un riso malizioso quando non resistette al denso profumo, così che assaporò un bacio dal vacuo nulla, inghiottendo la tempesta come nettare dalle nubi. Arrossendo malgrado la presenza della morte dentro di sé, stille di liquida fine primavera accarezzava il suo corpo penetrando nell'anima, generando un pentagramma nell'impassibilità delle ortensie circostanti. [...]
• {scritta perché Rea faceva della pioggia le sue lacrime; 1070 parole}
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Rea Sanka
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Confondendo espressioni svanite, prelibate foglie lacerano la gola.

- 昨日、今日、明日... ずっと -
With the arrival of the sun, broken in half, the light comes again;
maybe, today, I will be able to  love who I am.

 

 

Adagiava la guancia tra il rigoglioso arbusto, accarezzando il tronco gagliardo con il dorso della mano emaciata e spesso posata su di esso. Di profumo, nel nucleo della guazza del fitto fogliame, si sentiva solo il suo; Rea, che solitamente strappava un pensiero funebre agli scriccioli che sorvolavano briosi il campo di ortensie. Ormai, in seguito a molteplici cieli tersi e cieli uggiosi, la fiorente ragazza si dimostrava capace di percepire ed assimilare ogni dettaglio che caratterizzava i contorni delle piante con cui trascorreva il grigiore dei giorni e, talvolta, spartiva un'aria soporifera. Alla periferia dell'infiorescenza s'estendevano ciani i boccioli stellati riuniti in corimbi di piccole dimensioni; tempo prima, nei terreni alcalini, le ortensie si coloravano di rosa o cremisi, ma le reazioni acide donate dagli anni avevano tramutato i petali in un colore pervinca ed eccezionalmente bianco. Rea, nonostante avesse testimoniato l'indolente sparizione dei caldi colori, continuava ad amarli quei suoi fiori, perché riverberavano la sua immagine nelle chiare gocce mattutine, ricordandole che lei era mutata insieme a loro, e le artificiose vene all'interno della sua pelle sfregiata racchiudevano il potente veleno delle stesse foglie.
Sfumature di verde svolazzavano in dolci brezze, una breve danza di piroette nell'aria e fragranze di una determinata stagione giunta al suo termine. Erano le foglie che bisbigliavano a Rea il cambiamento della temperatura, che sorridevano da un'esposizione luminosa, ma riparata dal diretto calore di un sole menzognero; che persisteva a bruciare anche da posteriormente le nuvole, e che le fronde tolleravano quando l'atmosfera permutava in madidi soffi. E Rea Sanka amava la pioggia. Le piacevano quelle sottili lacrime del cielo che s'infrangevano sulla sua cute, infiltrandosi all'interno della carne senza che capisse se fossero composte da un freddo materiale o se fossero unicamente bollenti. Il suono ipnotico collideva con il lembo delle foglie, rimbombando nella malinconia di una vita sacrificata per un morte speranzosa; priva di qualsiasi ricordo dell'infanzia segregata e sfruttata insieme al suo puro corpo, Rea ascoltava. Girava su se stessa, volteggiando sul terreno bagnato, e divaricando le braccia di un bianco irreale verso il paradiso, fingendo di provare la sensazione dell'acqua scivolare sulla sua pelle. Sorridendo, cercò di afferrarla, la tanto adorata pioggia, serrando i palmi più volte attorno a decine di gocce, che in pochi istanti sgusciavano fuori dalle sue mani, cadendo tra le ortensie, apprestandosi a suonare acute note. Solleticò un riso malizioso quando non resistette al denso profumo, così che assaporò un bacio dal vacuo nulla, inghiottendo la tempesta come nettare dalle nubi. Arrossendo malgrado la presenza della morte dentro di sé, stille di liquida fine primavera accarezzava il suo corpo penetrando nell'anima, generando un pentagramma nell'impassibilità delle ortensie circostanti. Con la mente persa tra le promesse di Chihiro, Rea non poteva che avere il cuore – o ciò che ne rimaneva – pieno deliziosamente di lui nel fioco lucore dell'imbrunire. L'aiuola era ammantata di perle, così come il vestito della fanciulla che, non appena quest'ultima aveva smesso di danzare, se lo slacciò dai piccoli bottoni bianchi sul fianco di esso, rimanendo senza alcun velo, continuando ad arridere osservando per qualche secondo la profonda lesione che si estendeva lungo l'addome e che aveva cucito lei stessa con un filo argenteo. Strofinò la ferita con l'indice, velandola con il palmo perché deturpava il suo innaturale e niveo incanto con un rosso scuro, lo stesso che aveva intriso negli occhi. A quell'attuazione, alzando lo sguardo al cielo, alla pioggia, Rea strabuzzò gli occhi così che essa le sfiorasse i bulbi, forse colorandoli con un pigmento unico. Tuttavia, subito si fermò, riabbassando il viso appuntito, perché Chihiro aveva ammesso di adulare le sue iridi imporporate. Decisa, Rea s'inchinò davanti alle foglie delle piante, che le davano la forza, che le tagliavano la lingua e la gola dati i loro margini dentati e l'apice acuminato, che quando le mordeva esse si frantumavano tra la saliva, infettata con il loro velenoso miele e scivolavano nello stomaco, distribuendo un sapore di verve agli organi addormentati. In futuro, se per un'ennesima volta avrebbe pianto, le lacrime non si sarebbero certamente più confuse con la pioggia; esse sarebbero cadute pesantemente a terra, pugnalando l'erba con le tossine, marcendo ai piedi delle miracolose ortensie. Rea e le sue lacrime si sarebbero incontrate di nuovo, nell'epoca delle finite bellezze, sotto strati di terra che in questi mesi la giovane donna si ostinava così tanto ad eludere con una fittizia armatura a stringerle il busto, perché ancora troppo ingenua per emigrare verso l'aldilà.
«Quando del mio corpo ne resteranno solamente i miei avanzi mortali, voglio riposare qua, dove per questo breve tempo ho lucidato la mia spada per una battaglia mai combattuta», dopotutto, Rea, così tanto inesperta non lo era. Perché l'aveva accolta la sua sparizione, quel giorno, nella sua stanza, quando per la prima volta le sue papille testarono la morte – e che adesso, lo stesso gusto, la trascinava qualche passo più lontano dalla totale scomparsa. E quest'ultima l'aveva anche accettata, quando in un istante si liberò dalla vile persecuzione di suo padre, abbracciando delle serafiche ali che la fecero volare, e poi la gettarono giù nel sogno delle responsabilità che Chihiro si era assicurato dando luce ad una creatura agghiacciante quale lo era lei. Non era sicura di avere raccolto sufficiente forza dell'orgoglio per rimanere indifferente quando le ortensie non sarebbero più state in grado di tenerla a galla, però avrebbe sempre ricordato tutte le urla strazianti che non avevano avuto il permesso di abbandonare la sua gola squarciata ed i pianti segreti nel giardino selvatico lussureggiante, versati per l'efferatezza di un amore senza futuro. Un essere tremendamente sfortunato era Rea, che nonostante la decomposizione la stesse richiamando tramite preghiere recapitate da innumerevoli gocce, continuava a profumare di un'insolita rivitalizzante essenza di verbena, e la sua pelle splendeva, trasformandola in una stella intrappolata tra i bassi rami di un arbusto d'ortensia.
La pioggia sembrava non volere smettere di sorvegliare Rea, ormai inzuppata ed innocente, stesa come un petalo bianco macchiato dal suo stesso sangue. Nuda, tra pensieri trasformati in folate di volti annebbiati, non aveva intenzione di alzarsi. Il regno distorto che le foglie in balia del quasi eterno acquazzone forgiavano svaniva piano dalla visione, mentre una singola scia dell'ultimo sangue rimasto all'interno della sua scarna figura le rigava la gola lacerata senza che se ne accorgesse. E, piano, un venato elemento di una fredda gradazione le si posò sul diafano viso, confondendo un'espressione svanita tra la pioggia.           



 

note dell'autrice; questa one-shot è semplicemente una dedica alla mia dolce Rea, che bella com'è si merita questo ed altro. Salve a tutti, Miku è (di nuovo) approdata in un nuovo fandom, pubblicando una delle due due storie che si era ripromessa di scrivere su questo anime/manga. Ammetto che quest'ultimo non l'ho letto, però sono sicura al cento per cento che lo comprerò. Comunque, l'anime l'ho concluso massimo due mesi fa e come dire... mi è piaciuto molto. Sì, molto probabilmente per l'originalità dei personaggi, la grafica piacevole e la storia unica - che nel manga deve essere ancora più entusiasmante. Di personaggi preferiti ce ne ho sicuramente due: Rea, ma anche Mero, perché come si fa a non amare quella zuccherosa fantasmina? Di coppie, alè, ne shippo di tutti i colori: dalla Rea/Chihiro/Ranko alla Rea/Yuzuna/Mero, alla mia preferita: Rea/Mero. E nulla, la one-shot è un momento introspettivo incentrato su Rea nel campo di ortensie vicino a casa di Chihiro, in un giorno piovoso di fine primavera. Ed oggi, dato che è il giorno dei morti, pubblico sulla mia zombie preferita, che nella storia si ritrova spaventata ma allo stesso tempo cosciente dell'inevitabile futuro. Ah! E la frase in giapponese sotto il titolo significa "Ieri, oggi, domani... per sempre", mentre le frasi in inglese sono state prese e leggermente modificate dall'opening dell'anime. Grazie mille per aver letto e alla prossima. Miku.
 
 
   
 
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