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Autore: Ashura_exarch    02/11/2014    3 recensioni
E se l'impero romano non fosse mai crollato? E se fosse andata in modo diverso?
Io cerco di dare la mia risposta personale, modificando la storia della città a partire dalle origini.
AGGIORNAMENTI PARECCHIO IRREGOLARI
Genere: Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Fortunatamente mancava poco alla fine dell'anno, e i successivi consoli Proculo Olcinio Spartico e Canuzio Valgo, erano coscienti della gravità della situazione e dichiararono lo stato d'emergenza (eas res tumultum). Non vennero però prese eccessive misure di sicurezza. E ciò si rivelò una scelta sbagliata.

Una notte di quintilio (antico nome del mese di luglio) scoppiarono tre incendi simultanei nella capitale: uno al palazzo del Senato, uno all'antico tempio di Zeus Laziale, meta di pellegrinaggio da tutta la repubblica, e un altro al tempio di Giano. Fortunatamente quello al Senato fu domato dopo poco, mentre quelli ai templi no. All'alba il fuoco al tempio di Zeus continuava a bruciare, mentre quello al tempio di Giano era stato domato a fatica.

L'ammontare dei danni venne calcolato la settimana successiva. Al Senato i danni erano stati trascurabili, ma non negli altri luoghi. Il tempio di Giano era stato distrutto per più di metà, mentre quello di Zeus era andato completamente in fumo. La cifra per ricostruire il tutto ammontava a più di ventimila aes gravi, tantissimo per l'epoca.

Il fatto che gli incendi erano stati dolosi era stato appurato fin da subito. Questo bastò perché utte le legioni venissero mobilitate e poste a guardia della capitale, mentre tutti i municipali ricevettero messaggi di allarme che invitavano a monitorare chiunque uscisse e chiunque entrasse nelle loro città. Ci si aspettava un attacco nemico da un momento all'altro, anche se non si sapeva bene da chi.

Questo arrivò, ma non prima dell'anno successivo. Furono mesi di paura, quelli che intercorsero fra il 564 e il 563 a.C. La popolazione aveva paura ad uscire di casa, e pattuglie di soldati marciavano costantemente per le strade, giorno e notte, per controllare l'identità di eventuali vagabondi. Il panico scoppiò quando giunse la notizia di una battaglia.

Lo stagno di Melinie si trovava a qualche chilometro a sud di Caractae, in una posizione intermedia tra la città e Roma. Quando l'anno prima le legioni erano state mobilitate, una coorte della Legio III era rimasta in città per fare la guardia al centro abitato. Era però arrivato l'ordine di rientrare nella capitale da parte dei neoconsoli Terzio Grazio Petro e Appio Quintilio Minervale, i quali intendevano serrare la sorveglianza nell'Urbe.

Erano state richiamate truppe anche dalle altre città sedi di legione, fra le quali anche la coorte di Antemnae guidata dall'ufficiale Massimo Balvenzio Umile. Egli conosceva il comandante della coorte rimasta a Caractae, ovvero Nono Marcio Melo. Per questo motivo si erano accordati per riunirsi a circa un chilometro dalla capitale per serrare i ranghi ed entrare insieme. Questo appuntamento era stato previsto per il pomeriggio del 14 settembre. La mattina del 15 non si era ancora visto nessun legionario appartenente alla Legio III. Umile, allarmato, decise di mandare degli esploratori a controllare la posizione di Melo. Questi tornarono nel pomeriggio, e non poté credere alle proprie orecchie. Mobilitò i propri uomini e si mosse verso la direzione indicatagli dagli esploratori.

Quando arrivò allo stagno di Melinae gli si presentò davanti un vero e proprio bagno di sangue. Romano. L'accampamento di Melo era stato distrutto, e l'erba era fradicia di sangue. Le acque dello stagno stesso erano rosse e piene di corpi galleggianti. Non era sopravvissuto della coorte di Nono Melo.

Umile fece esaminare tutti i corpi prima di erigere una pira funeraria, e tutti risultarono avere il segno identificativo della Legio III, ovvero un piccolo simbolo dell'aquila cucito sul vestito. Ciò voleva dire che chi li aveva attaccati non aveva subito perdite, e ciò era ancora più disturbante.

Umile si diresse subito verso Roma e avvertì tutti dell'accaduto. Il console Petro svenne quando gli venne comunicato ciò. Minervale, che invece aveva più sangue freddo, chiese di farsi portare sul luogo del massacro. Vi arrivarono a tarda sera, e, nonostante il parere sfavorevole di molti soldati, il console decise di accamparsi lì per esaminare tutto il mattino seguente.

Nella notte si ripeté probabilmente lo stesso copione di quanto era successo a Melo e ai suoi uomini. I romani vennero attaccati da tutti i lati, e molti vennero massacrati. Melo e Minervale, svegliati dal clamore della battaglia, mantennero la calma e assieme ad un manipolo di uomini si concentrarono al centro dell'accampamento rappresentato dal bivacco, armati di torce e di lance. Quando vennero anch'essi attaccati combatterono furiosamente, e seppero tenere impegnati gli assalitori fino all'alba. Il sorgere del sole fece dileguare gli sconosciuti nemici, mentre i romani crollarono a terra esausti. Il console Minervale invece si mise a contemplare il corpo di un nemico appena abbattuto. Non indossava armatura, ma portava solo una spada ed uno scudo, sul quale vi era rappresentato il sole che sorge. Il simbolo di Alba Longa.

  
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