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Autore: ValHerm    04/11/2014    2 recensioni
"Sherlock Holmes sapeva di avere dei limiti, e lei era stata il più grande di essi. Prevedere le sue mosse era un conto, ma capirla era diventato inevitabilmente lo scopo di una vita - mai portato a termine. Gli piaceva pensare che fosse lui stesso a farsela sfuggire, perchè poi avrebbe dovuto inseguirla di nuovo, perchè Irene Adler era come quegli sbuffi di fumo, un istante prima lì, e quello dopo chissà dove.
Abbiamo tutti un punto debole. Lui ha scoperto il mio."
[Sherlock/Irene post Game of Shadows]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Irene Adler, John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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You'll miss me, Sherlock
You'll miss me, Sherlock.


La stanza di Baker Street era sempre stata un mondo a parte, racchiuso nella bellezza e nell'eleganza dei quartieri di Londra. Un appartamento trasformista, a volte una giungla, altre un laboratorio o un campo d'addestramento militare. In quegli istanti però sembrava aver perso tutta la sua versatilità: era solo un appartamento polveroso pieno di oggetti legati a un passato ormai svanito. Il suo proprietario era seduto alla sua solita poltrona, immerso nel silenzio, mentre osservava gli sbuffi di fumo della pipa, da quando fuoriuscivano dalle sue labbra sino a dissolversi nell'aria. Molti fogli erano sparsi sulla scrivania; molti altri erano appesi alle pareti. Eppure, nessuno di loro gli aveva fornito una traccia, un indizio, una chiave per risolvere il mistero. Sherlock Holmes sapeva di avere dei limiti, e lei era stata il più grande di essi. Prevedere le sue mosse era un conto, ma capirla era diventato inevitabilmente lo scopo di una vita - mai portato a termine. Gli piaceva pensare che fosse lui stesso a farsela sfuggire, perchè poi avrebbe dovuto inseguirla di nuovo, perchè Irene Adler era come quegli sbuffi di fumo, un istante prima lì e quello dopo chissà dove. Quella stanza parlava delle sue avventure col dottor Watson ma anche di lei, ritratta in quella vecchia fotografia che non le aveva mai reso giustizia. Quell'immagine sbiadita era stato il compenso chiesto per averla aiutata la prima volta. Non riusciva ancora a spiegarsi perchè avesse voluto averla e l'avesse custodita come uno dei suoi tesori più preziosi. Tuttavia qualsiasi pensiero legato alla donna era ormai vano, e privo di significato. Allungò piano la mano, e abbassò a fatica la cornice scura. Stavolta non avrebbe potuto inseguirla. Stavolta non sarebbe tornata.

"Ti mancherò, Sherlock."

Forse l'aveva battuto sul tempo ancora una volta, e quella che era suonata come una dimostrazione di vanità si era rivelata una promessa. Ricordò di averle asciugato una lacrima solitaria e averle baciato la fronte con delicatezza, prima di confessarle che le sarebbe mancata. Non aveva mai voluto chiedersi perchè stesse piangendo: le lacrime della gente erano illusorie, le sue ancora di più. Tuttavia aveva cominciato a capire. Forse si era condannato da solo, o forse questa era la punizione della donna, per fargli comprendere ciò che lui aveva sempre ignorato con forza.

"Abbiamo tutti un punto debole. Lui ha scoperto il mio."

- ..e il mio.
Sospirò, senza nemmeno accorgersene. Gladstone fece un piccolo verso dubbioso, stiracchiandosi poco distante da lui. Holmes sorrise impercettibilmente. Il suo fidato dottore andava a trovarlo quasi più spesso di quando abitava con lui. A volte gli lasciava in custodia persino il suo cane, cavia da laboratorio di mille esperimenti - sempre sopravvissuto, in ogni caso. Probabilmente era preoccupato di come l'amico avrebbe reagito all'assenza della donna. In verità lui non stava reagendo, non veramente. Era ancora convinto che un giorno lei potesse oltrepassare quella porta con il suo bel copricapo di fiori, come aveva fatto l'ultima volta. Cercava in tutti i modi di allontanare questi pensieri, ma loro tornavano con forza nei momenti più impensati, specie quando vedeva Watson sorridere a Mary.

- Il matrimonio è sopravvalutato.
- Il matrimonio è condividere la propria vita con la persona amata. So che lei non riesce a capirmi Holmes, ma spero ugualmente che un giorno miss Adler le darà questo piacere.
- Non ci speri troppo. L'unica cosa che la donna non può ispirarmi è un contratto prolungato con le sue trappole.

Si alzò, cercando di scacciare quei ricordi come degli insetti fastidiosi, perchè ammettere che gli procuravano una fastidiosa sensazione era la cosa peggiore che potesse succedergli. Pensare a lei lo turbava, angosciandolo e rendendolo vulnerabile. Il grande Sherlock Holmes non era così facilmente suscettibile. Eppure la morte di Irene Adler stava mettendo a dura prova il resto della sua esistenza. Per questo ogni mattina si alzava da quel letto pensando che no, lei non era scomparsa davvero. Era ancora da qualche parte nel mondo e si sarebbe rivelata solo al momento più giusto per lei, con un sorriso e una nuova trappola in cui farlo cadere. La sua mente così fredda e calcolatrice non riusciva a pensare altrimenti, perchè stavolta, il suo cuore non l'avrebbe sopportato.

"Perchè sei sempre così sospettoso?"

Si diceva che ad alcuni uomini il matrimonio giovava: questo era proprio il caso del dottor John Watson. Impeccabile nella sua eleganza, il suo volto era molto più luminoso. A quasi un anno dai fatti che l'avevano coinvolto con gli intrighi del professor Moriarty, poteva vantare una vita serena con la sua sposa, costellata dai soliti guai del suo paziente più particolare. In verità Sherlock Holmes non aveva più causato molti fastidi, dopo la vicenda con Moriarty. Aveva finto la sua morte ed era ancora deciso a mantenere quell'illusione, restando nascosto nel suo appartamento, mentre una preoccupata signora Hudson pensava che fosse tornato dalla tomba, se possibile, ancora più strano di prima. Il dottor Watson non riusciva a capacitarsi del nuovo amico che aveva davanti: per certi aspetti sembrava che quella storia non lo avesse scosso per nulla; tuttavia, appena abbassava lo sguardo, sapeva che al di là dei suoi occhi nascondeva dei fantasmi ancora vivi in lui. Nonostante le sue pretese, la morte di Irene Adler non l'aveva lasciato indifferente. L'aveva capito nell'attimo in cui Holmes aveva rivisto quel fazzoletto sporco di sangue e l'aveva annusato con intensità, prima di gettarlo in mare. Non gli aveva spiegato nulla, ma ormai il dottore aveva imparato a comprenderlo. Gettarsi alle spalle quell'oggetto era stato un simbolo più per sé stesso che per chiunque altro. Significava il suo desiderio di lasciarsi alle spalle la sua debolezza, la sua sconfitta, qualcosa di caro che non era riuscito a proteggere. Tuttavia, quando tornava nell'appartamento di Baker Street, sembrava che il tempo si fosse fermato a quando lui ancora ci abitava, e la bella miss Adler faceva visite a sorpresa nei momenti più impensati. La sua foto era ancora sul tavolino, a monito di un passato ormai esistente solo tra quelle mura.

Entrò nella palazzina come faceva spesso ormai, per assicurarsi che Holmes stesse bene, e non reagisse improvvisamente a tutto quello che gli era capitato. In realtà il dottor Watson non l'aveva visto affrontare la morte di Irene, e questa cosa lo metteva in ansia più delle manie suicida del suo amico. Non aveva pianto, non aveva urlato, o forse aveva fatto tutto dentro sè stesso, lasciando attorno a lui solo il silenzio. Aprì la porta dell'appartamento, e fu felice di vedere Gladstone ancora tutto intero, venirgli incontro e sedersi sull'uscio. Holmes era seduto alla solita poltrona con la pipa tra le mani, lo sguardo nel vuoto e la coscienza altrove. Appena si accorse della sua presenza precipitò nuovamente in quella stanza, facendogli un fugace sorriso, come se fosse sempre stato lì.
- Gladstone è ancora in piedi. Buon segno.
- Non si preoccupa troppo del suo cane, Watson, se lo lascia ogni giorno qui con me.
- Fa una buona compagnia.
- Non ho bisogno della compagnia di un cane.
- Dato che è un morto vivente, io e la mia famiglia siamo gli unici a poterla vedere, vecchio merlo.
- Ammetta che non può più starmi lontano, amico mio.
Watson fissò Holmes e sbuffò con un sorriso. Si guardò intorno leggendo stralci di documenti qua e là fissati sulle pareti, e ad un tratto uno di quei fogli ingialliti gli fece venire uno strano dubbio. Si avviò verso la sua stanza, mentre un perplesso Sherlock si alzava in piedi e lo seguiva a grandi falcate.
- Le manca la sua stanza?
Chiese. Il dottore non rispose, occupato com'era ad analizzare le pareti in quel metodo singolare che solo Holmes utilizzava. Quando ricostruì il suo sospetto, si voltò verso di lui, sospirando.
- La sta cercando?
Non c'era bisogno di soggetto, in una frase così.
- Ho molto da fare, amico mio, se non le dispiace io andrei.
- Si fermi. Dove vuole andare, al piano di sopra?
- La terrazza ha un prospetto interessante.
- Holmes! Sta continuando a cercarla, senza di me. Ignorare la cosa e coprirla col suo sarcasmo non le servirà.
Tra i due calò il silenzio. Holmes deglutì, voltando lo sguardo verso la finestra, e gli ci vollero alcuni istanti per rispondergli.
- Non più. Ho esaurito le piste possibili. Non c'è più niente da trovare.
Tra i due calò il silenzio. Il dottor Watson si pentì di aver alzato la voce con l'amico. Tuttavia, sentì di aver aperto uno spiraglio, e decise di andare fino infondo.
- Non ha affrontato la sua morte. Finchè non lo farà, non potrà ricominciare. Ecco perchè preferisce essere un fantasma. Così può evitare di vivere la realtà.
- È un'analisi, ciò che vuole, Watson? Ricorda che mi sono liberato del suo ultimo fazzoletto? Osservi anche la sua fotografia. È abbassata. Perchè ormai la mia ricerca si è conclusa.
- La sua ricerca, forse si. La sua attesa, no. Sa che basta rialzare quella cornice, per rivederla.
Holmes abbozzò un sorriso.
- Peccato che nella realtà non sia lo stesso.
Watson cercò di trovare le parole, perchè qualcosa in lui gli disse che non avrebbe avuto una seconda occasione per affrontare l'argomento.
- È solo che.. ascolti. Io sono qui, se ha bisogno.
- Lo so. La vedo. Non sono ancora diventato cieco.
Lo punzecchiò Sherlock. I due si guardarono, e non servirono altre parole per assicurare che si fossero compresi.
- Adesso vada. Sua moglie l'aspetta, il suo cane ha bisogno di un bagno, e anche lei. Io ho un appuntamento.
- Davvero? E con chi?
- Non importa. Tuttavia non posso tardare. 
Il dottore alzò le mani prima di riprendere Gladstone col collare. Salutò l'amico con un cenno e chiuse la porta alle sue spalle.
- Non sono mai in ritardo, al massimo in anticipo.
Mormorò Holmes, nel silenzio. Gli sembrò quasi di sentire una voce di donna accompagnata dal vento.

"Elegantemente."

Aprì l'orologio da taschino, controllando lo scorrere del tempo, proprio come aveva fatto un anno prima. Le 19e45. Nascosto da un accenno di barba in più e un cilindro distinto, nessuno sarebbe stato capace di riconoscerlo. Attorno a lui le voci dei signori seduti ai tavoli si sovrapponevano, eppure il suo udito e la sua capacità di osservazione riuscivano a garantirgli l'integrità di ogni conversazione. Erano mesi che Sherlock Holmes usciva sotto mentite spoglie. Per la prima volta da molto tempo, però, era in quel ristorante non per una ricerca o un'indagine, ma solo per rispettare una promessa. Lei non era mai mancata ad un appuntamento, perciò era convinto che un giorno sarebbe arrivata. Lui sarebbe stato lì per dimostrarle la sua impeccabile precisione, e per scegliere personalmente una bottiglia di vino sigillata, evitando così di cadere nell'ennesima delle sue trappole.

"Ma perchè non puoi semplicemente venire via con me?"

Il dottor Watson aveva appena terminato il giro dei suoi pazienti portandosi dietro un pigro Gladstone, che aveva sonnecchiato tra una visita e l'altra. Giunto quasi a casa, si ritrovava a tirarlo per il collare, sperando in futuro di evitare passeggiate così lunghe in sua compagnia.
- Muoviti, cane svogliato come quell'investigatore da strapazzo. Ti avrà iniettato del sedativo?
Chiese ad alta voce, come se Gladstone potesse rispondergli. Quello lo fissò di traverso prima di rendersi conto di essere tornato a casa, quindi salì i pochi scalini con entusiasmo e precedette l'ingresso del padrone. John lo liberò dal guinzaglio, togliendosi il soprabito e stiracchiandosi.
- Mary!
Chiamò, andando in soggiorno.
- Scusa il ritardo, è che la tosse del signor Black non accennava a diminui-..
Gli bastò alzare gli occhi, per arrestarsi di colpo. Mary era seduta sul divano, mentre l'odore del the impregnava la stanza. Di fronte a lei sedeva una giovane donna, con i capelli sciolti e gli occhi arrossati. Anche se l'aveva sempre vista impeccabile, forte della sua sicurezza e della sua eleganza, riuscì a riconoscerla ugualmente.
- Non è possibile.
Mormorò.
- John, miss Adler ti cercava. Perchè fai quella faccia?
Chiese Mary, raggiungendolo, apprensiva. Lui deglutì.
- Perchè lei.. dovrebbe essere morta.
Sussurrò il dottore, ancora sconvolto.
- Sono viva.
Rispose Irene, con la voce rotta.
- Per miracolo, s'intende. Ma lui.. credevo che lui ce l'avrebbe fatta.
Il dottore, sulle prime, non riuscì a comprendere. Era ancora scombussolato dal trovarsela di fronte.
- Quando ho saputo della sua morte ho pensato ad uno scherzo. Invece ho trovato l'appartamento vuoto, la polvere sui mobili e la mia foto rivolta verso il basso. La teneva sempre in vista, se non quando si accorgeva della mia presenza. Credo volesse farmi pensare di non tenerci troppo.
Sorrise per un istante, immersa nei suoi ricordi.
- Sono tornata appena ho potuto. Non è stato semplice. Tutti mi credono morta ed è meglio che i seguaci di Moriarty continuino a pensarlo. Mi trovo qui perchè lei è l'unica persona al mondo che può darmi una risposta.
Si fermò un attimo, cercando di prendere coraggio. Non aveva mai detto quella cosa ad alta voce, per paura che facendolo, si sarebbe concretizzata.
- Sherlock.. è morto?
Mary fissò il marito, caduto momentaneamente in uno strano silenzio. Attese che ritrovasse la forza per parlare, e che decidesse autonomamente cosa rispondere. Watson deglutì, passandosi una mano tra i capelli.
- Se lei fosse una spia non potrei parlarle.
- Non sono una spia. Guardare la morte in faccia mi ha cambiata, mi creda.
- Ma è una criminale.
- Non lo nego, ed è grazie a questo che sono ancora qui. Tuttavia lei mi conosce. Ho bisogno di una risposta.
- Perchè?
Irene si alzò di scatto, incapace di contenersi oltre.
- Perchè non so nulla di cosa gli sia successo, e sono venuta fin qui per questo. Perchè mi sono resa conto di aver ceduto ai miei sentimenti. Perchè dovevo essere io la sua debolezza, e invece lui è diventato la mia. 
Una piccola lacrima scese dalle iridi scure di miss Adler. La donna abbassò lo sguardo, e Mary ne approfittò per stringere il braccio del marito e suggerirgli una risposta con lo sguardo. Il dottore annuì, sospirando.
- È vivo, miss Adler.
Irene alzò gli occhi, spalancandoli.
- O meglio, è un morto vivente, come lei.
Watson sorrise.
- L'appartamento è vuoto perchè aveva un appuntamento, anche se non so i dettagli. La foto è abbassata perchè voleva far credere non solo a lei, ma anche a me, a sè stesso e al mondo, di non tenerci troppo. C'è la polvere sui mobili perchè è uno smidollato, pigro, scansafatiche.
La donna si lasciò scappare un sorriso, passandosi una mano tra i capelli.
- Aspetti, un appuntamento?
- Sì, e non mi pare il caso di fare la gelosa. Mi ha detto solo che non poteva tardare.
Irene si alzò di scatto.
- Oggi.
Mormorò, prima che l'orologio a pendolo iniziasse a rintoccare le undici.

"Vogliamo fare al Savoy, alle 20? E non tardare."

Irene Adler era corsa fuori dall'appartamento del dottor Watson, dirigendosi verso un luogo particolarmente caro ai suoi ricordi. Il ristorante dove aveva dato appuntamento a Sherlock Holmes un anno prima era l'unico indizio che aveva. Quello era stato l'ultimo invito che gli aveva rivolto, e la sua prima, involontaria, mancanza. Ora che era a pochi passi da lui, l'accompagnava la fastidiosa sensazione che avrebbe potuto perderlo. Nei mesi che aveva trascorso lontana da Londra aveva pensato a molte cose. Era sopravvissuta per miracolo al veleno somministratole da Moriarty, rifugiandosi in Italia mentre Germania e Francia attraversavano la tempesta. Aveva pensato spesso a ciò che si era lasciata indietro, sperando che ancora una volta tutto andasse per il meglio. Aveva appreso la notizia della morte di lui quasi per caso, da un ufficiale che aveva sempre ammirato le imprese del grande Holmes. Non era riuscita a crederci, prima di aver telefonato alla sua governante fingendosi un'altra, ed averne avuto conferma. A quel punto restare in un altro stato senza sapere la verità non era stato più tollerabile, per lei. Moriarty aveva avuto ragione: aveva ceduto ai suoi sentimenti. Aveva fallito, e aveva pagato il prezzo del gioco. Tuttavia, lei e il suo re erano troppo scaltri per subire uno scacco matto.
Giunse all'angolo della strada, fermandosi un attimo per riprendere fiato. Si piego sulle ginocchia e si rialzò, respirando a fondo. Ora che era giunta sino a lì qualcosa sembrò bloccarle le gambe e attanagliarle il cuore. A un tratto, la porta del locale si spalancò. Un cameriere stava spingendo con decisione un uomo fuori dal ristorante.
- Le ripeto che dobbiamo chiudere, signore. Grazie e arrivederci.
Stava dicendo il ragazzo, esasperato.
- Ma non è mezzanotte. Che politica è, siamo o non siamo in Inghilterra?
La porta si chiuse di scatto, lasciando l'uomo da solo a parlare col vuoto. Irene rimase immobile, osservando quella figura dal lungo mantello e lo strano cilindro. Era scoperta, preda del vento che si stava alzando. Tuttavia voleva essere certa che fosse lui, prima di compiere una qualsiasi mossa. Le sue gambe erano ancora salde sul terreno.
L'uomo si voltò verso la strada, e con una scintilla accese una pipa, nel modo insolito in cui solo lui soleva fare. Irene deglutì.
- Sherlock.
La sua  voce suonò strana persino alle proprie orecchie. Aveva paura di crollare da un momento all'altro. Lui si fermò all'istante, voltando il viso verso di lei. Rimase in silenzio, mentre la pipa gli scivolava via dalle dita. Cadde per terra con un tonfo, al quale nessuno dei due badò. L'espressione di Holmes era indecifrabile.
- Sei in ritardo.
Sentenziò. Lei si lasciò sfuggire un sorriso, annuendo.
- Elegantemente.
Rispose. Il peso delle sue gambe scomparve, e iniziò a muovere passi piccoli e veloci verso di lui. Irene Adler aveva sempre comandato la situazione, deciso se schiaffeggiarlo o baciarlo, condannarlo o salvarlo. Stavolta però Sherlock Holmes rispose ai suoi passi, precedendola e afferrandole il volto, prima di darle un lungo bacio che sapeva di vino, attesa e vita.
- Ti avevo detto che ti sarei mancata.
Sussurrò lei al suo orecchio.
- Non immaginavo che mi saresti mancato tu.
Holmes fece una smorfia, l'ombra di un sorriso tra i suoi capelli.
- Cosa mi ruberai stavolta?
Chiese. Quando Irene lo fissò, notò un piccolo bagliore nascosto nei suoi occhi, e involontariamente, sorrise.
- Tutto ciò che mi appartiene.
La donna passo le braccia intorno al suo petto, per la prima volta senza afferrare nulla da sotto la giacca.
Nulla, se non il suo cuore.



  
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