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Autore: Sissi Bennett    22/10/2008    10 recensioni
Piccolo dialogo senza pretese, tra Harry e Sirius ambientato prima dell'inizio del quinto anno. Harry è molto preoccupato per tutti i suoi guai e il suo padrino cerca di rincuorarlo con uno strano discorso.
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Sirius Black
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Polvere di Stella.

Una questione di fiducia

Harry Potter aprì lentamente la porta del terrazzo di Grimmuld Place numero 12 e la richiuse con altrettanta delicatezza.

In casa sua regnava una strana pace che lui non aveva nessuna intenzione di rompere: Lily si era appena addormentata dopo due ore di pianto e i due fratelli l’avevano seguita nel mondo dei sogni. James quel giorno aveva dato il meglio di sé.

Non sapeva se fosse per colpa del nome o per colpa di chissà quale legge d’ereditarietà, ma quel bambino aveva sviluppato un’incredibile tendenza al disastro.

Poco prima di cena James Sirius era sceso in salotto e senza farsi notare aveva agguantato il povero Grattastinchi che era stato loro affidato da Hermione, poiché lei e Ron erano andati a trovare i genitori della prima.

Con passo quatto si era rintanato in camera sua e gli aveva fatto bere una pozione dei Tiri Vispi Weasley. L’intruglio in questione si chiamava Risata istantanea e contagiosa. 

Come potete capire dal nome, il povero gatto aveva iniziato a emettere strani versi che avevano attirato tutta la famiglia Potter, che poco dopo si era trovata a ridere inconsciamente e aveva smesso solo quando Ginny tra una risata e l’altra si era decisa a porre fine all’incantesimo.

Guardando il cielo, Harry si trovò ad osservare una stella che anni prima aveva scrutato allo stesso modo con io suo padrino su quel medesimo terrazzo.

 

Quella sera Harry proprio non riusciva a prendere sonno.

Ron aveva deciso che era il momento buono per russare come un trattore, Kreacher invece stava trafficando al piano superiore nell’intento di nascondere i cimeli della defunta signora Black.

Mille pensieri affollavano la sua mente quella notte e la sua ansia aumentava sempre più.

Cedric, i Dissenatori, Silente che lo ignorava, i suoi amici che non gli raccontavano più nulla.

Scostò le coperte e a piedi nudi raggiunse il terrazzo, in cerca di un po’ d’aria.

Non era l’unico, comunque, a non dormire: c’era un’altra anima inquieta che girava per casa.

Sirius Black comparve sul terrazzo e si sedette per terra accanto a Harry silenziosamente.

“Perché non sei a dormire?” gli chiese.

“Ron russa” mentì Harry, sapendo benissimo che il motivo della sua insonnia era tutt’altro.

Sirius si schiarì la voce “C’è qualcosa che ti agita, Harry?”.

Il ragazzo rimase zitto per un attimo prima di esporre le sue preoccupazioni.

“Sirius … perché Silente non mi rivolge la parola? Perché voi non mi raccontate niente dell’Ordine? Non vi fidate più di me?” aveva pronunciato quelle parole con una sorta d’innocenza che quasi commosse Sirius.

“Noi ti vogliamo solo proteggere Harry; non vogliamo che il sacrificio dei tuoi genitori sia vanificato per colpa di una parola di troppo”.

A quel punto Harry scattò in piedi e strinse i pugni attorno alla ringhiera della balconata.

Non urlò, non diede di matto, né strepitò. Parlò con voce basse e debole dalla quale traspariva tutto il suo rancore e il suo disappunto.

“Proteggermi! Nel caso qualcuno se lo sia dimenticato, in questi quattro anni mi sono protetto benissimo da solo! Io ho il diritto di sapere che sta succedendo, io ho bisogno di sapere! Ho bisogno della vostra fiducia, ho bisogno della tua fiducia!”.

Gli occhi di Sirius luccicarono a quelle parole. Era come se una parte di James fosse tornata.

“Harry” cominciò “Io di fiducia ne so qualcosa. Quando fui arrestato per colpa di Peter, mi sentivo abbandonato dal mondo, ma quello che mi faceva più male era sapere che Remus, uno dei miei migliori amici, mi credeva un assassino” prese fiato.

Harry pensò che quello che gli stava per raccontare dovesse costargli molta fatica e dolore.

“La finestra della mia cella ad Azkaban era troppo piccola e troppo in basso perché io potessi vedere il cielo e una delle poche cose che mi teneva in vita lì dentro, era il pensiero che un giorno avrei rivisto le stelle.

Ti sembrerà stupido ma io ho sempre creduto che le stelle non fossero altro che le immagini nel cielo di chi ci ha amato. Così m’illudevo che uscito di prigione, guardando gli astri, avrei ritrovato James che mi sorrideva dal buio della notte. E per me è stato davvero così”.

Puntò il suo dito verso una stella luminosa sopra di loro “Quella era la preferita di tuo padre: diceva che risplendeva come tua madre. E quella laggiù invece è la mia”.

Poi riportò la sua attenzione sull’astro di James “Guarda, non vedi che sorride?”.

Harry la fissò incerto per un po’, poi scosse la testa in segno negativo.

Sirius rise bonariamente e prese il suo figlioccio per le spalle “Io ho molta fiducia in te, Harry.

Io credo in te. E un giorno vedrai anche tu il sorriso di James”.

 

Con quell’assurdo discorso se n’era tornato a letto. Ma aveva dato ad Harry l’energia necessaria per affrontare le sue preoccupazioni.

La porta del terrazzo si aprì di nuovo. Ginny lo aveva osservato per tutto quel tempo e infine si era decisa ad andare ad indagare le intenzioni di suo marito.

Gli passò un braccio intorno alla vita “Che fai? Non viene a dormire?”.

“Sì, vengo” poi riprese “Ginny, a te sembra che quella stella stia sorridendo?”.

Sua moglie corrugò la fronte “No, perché tu vedi un sorriso?”.

“Sì, ora lo vedo” affermò.

Ginny rientrò in casa mentre Lily aveva ripreso la sua performance di pianti e lamenti.

“Ora vedo il tuo sorriso, papà” ripeté.

E per un istante, gli era parso che la stella di Sirius avesse brillato un po’ di più.

  
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